(13.07.19) Vi
sono segnali importanti circa la volontà dei circoli capitalistici
euromondialisti di puntare sul liberal-ambientalismo quale nuovo
strumento di plagio di massa, utile per avere a disposizione nuovi
maggiordomi politici. Lo smaccato "fenomeno Greta", il "pompaggio"
mediatico elettorale pro verdi, il prossimo sinodo sull'Amazzonia, la
candidatura di Sala (l'"ambientalista" della piastra Expo) indicano in
modo univoco questa direzione di marcia. Del resto la crisi verticale
della sinistra in Francia, Italia, Germania non può non porre il
problema di un cambio di cavallo. Dopo aver reso ottimi servizi al
capitalismo per decenni, aiutandolo a vincere la lotta di classe e a
imporre l'attuale spietata forma di capitalismo senza limiti, la
sinistra ha perso la capacità di creare e mantenere il consenso degli
strati popolari ; è un cavallo bolso che è meglio sostituire. Il nuovo
soggetto politico liberal-ambientalista è funzionale e pienamente
coerente con la forma post moderna di capitalismo assoluto: una
bioeconomia e una biopolitica che non esclude alcun aspetto delle vite
umane e della natura dalla mercificazione e dallo sfruttamento. La
sinistra fingeva di difendere i diritti dei lavoratori mentre questi
erano smantellati. Il nuovo soggetto politico liberal-ambientalista
allo stesso modo deve fingere di promuovere libertà e diritti
illimitati e di tutelare l'ambiente nascondendo, in un gioco di
illusioni e di spregiudicato uso della neo-lingua,la realtà
dell'affermazione di nuove forme di servaggio e di schiavitù e della
distruzione senza sosta, in nome del profitto, di ecosistemi
cruciali per il pianeta attuata con la copertura delle foglie di fico
delle compensazioni di CO2 e di analoghi giochi di prestigio, nonché
delle politiche di "rinaturalizzazione" in Europa (che oltre a
nascondere la deforestazione in altri continenti , mirano
all'eliminazione del popolamento umano delle aree rurali , in vista
dell'obiettivo della concentrazione di plebi sempre più amorfe,
sradicate e subalterne nelle aree urbane onde esercitare politiche di
controllo panoptico e feroci strategie
malthusiane e eugeniste, da sempre chiodo fisso dell'ambientalismo.
Ciò
che il neo-potere liberal-ambientalista dovrà far digerire alle plebi
sradicate, senza identità, memoria e storia, è ancora più indigesto
delle "ricette" ultraliberiste della fase storica recente. Nonostante
l'umanità stia per smettere di crescere e che l'agricoltura sarebbe in
grado di sfamare tutti, il neo-potere liberal-ambientalista deve
convincere della necessità di "superare" l'agricoltura (per non parlare
dell'allevamento animale). Metà delle superfici emerse del pianeta
dovranno diventare "area protetta", non per tutelarle - come la
narrazione del biopotere liberal-ambiental-capitalista suggerisce
- ma per sfruttarle in modo spietato con la mani libere, una volta
eliminata, in nome della rimozione del "disturbo antropico", la
presenza di popolazioni indigene, tradizionali, rurali.
All'agricoltura e all'allevamento, che hanno la colpa di perpetuare sia
pure in forme diverse dal passato, la relazione tra l'uomo e la terra,
di riprodurre radicamento, forme di economia in grado di sottrarsi
dalle filiere agroindustriali mondiali, saranno sostituite le industrie
del cibo dove la materia prima non è più fornita dall'agricoltura e
dall'allevamento ma è essa stessa industriale. In queste fabbriche si
produrranno alghe, insetti, carne artificiale, il meraviglioso cibo
delle prossime generazioni che i media stanno già convincendoci a dover
mangiare (e al quale ci sta abituando il cibo senz'anima e senza gusto
dei tanta agroindustria attuale). Le antiche superfici agricole e
pastorali, utilizzate per produrre cibo sin dal neolitico, torneranno
alla "wilderness" per la gioia dell'ideologia conservazionsta,
naturalista, antiumanista.
Dove
serie interminabili di generazioni hanno prodotto cibo in grado di
garantire la vita (e la sua perpetuazione) oggi il sistema
liberal-ambiental-capitalista vuole vedere nuovi boschi "naturali"
mentre in Asia, in Sudamerica disbosca foreste primarie per
creare piantagioioni (soja, palma). E questi boschi devono essere
regolarmente popolati da orsi, lupi, linci, sciacalli. Sì, serve
proprio che l'ideologia liberal-ambientalista trionfi per mettere
ulteriormente in riga le moltitudini. Queste ultime devono credere in
modo fideistico e acritico ai dogmi "scientifici" sulle devastanti
conseguenze della crescita demografica e del riscaldamento globale.
Premessa per poter far subire politiche fiscali "verdi"che rendano i
ricchi ancora più ricchi e i poveri ancora più poveri , per es.
finanziando con sovratasse le auto a benzina e gasolio di chi vive in
montagna e nelle aree interne per finanziare gli incentivi all'acquisto
da parte dei ricconi di costose e (nel ciclo di vita) inquinanti Tesla.
Premessa per far accettare politiche demografiche suicide e la
definitiva demolizione dell'istituzione famigliare.
La
sinistra, per decenni, ha puntellato efficacemente il capitalismo,
inducendo ampi strati popolari ad accettare come una necessità, quasi
fossero una catastrofe naturale ineludibile, le politiche liberiste e
di austerity. In nome di un falso solidarismo che nulla ha a che
fare con quello cristiano o proletario, la sinistra ha sostenuto con
forza la politica di porte aperte all'immigrazione extracomunitaria
che, in un contesto deflattivo e unitamente ai processi di
delocalizzazione e all'abbattimento dei dazi, hanno fortemente
contribuito alla creazione di un esercito industriale di riserva
riducendo ulteriormente il potere contrattuale dei lavoratori, già
indebolito dalla demolizione del sistema di diritti collettivi e
sindacali.
Quel
sistema non era stato un grazioso regalo di padroni illuminati. Contro
un capitale chiuso a ogni concessione, la sinistra dovette impegnarsi
sul serio nella lotta di classe.
Venne poi il tempo delle
"conquiste sociali", delle "garanzie", dei contratti collettivi di
lavoro, dei rapporti a tempo indeterminato. Il capitale, organizzato ancora largamente su base nazionale, finì per
accettare una politica di pieno impiego, di 40 ore settimanali e di
alti salari, che consentiva agli operai di comprarsi le merci che
producevano (e al capitale di godere di una domanda interna in
espansione). Lo stato, da parte sua, attraverso le politiche keynesiane
di investimenti pubblici, sosteneva la domanda e la piena
occupazione sosteneva l'erogazione di servizi sociali che
garantiva, insieme agli alti salari e alle tutele sindacali, la pace
sociale. Il periodo d'oro di questo "compromesso sociale", fiorì nei
"gloriosi" venticinque anni, tra il 1950 e il 1975. Va precisato che il
prezzo di questa pace sociale consistette nell'accettazione, da parte
della sinistra, della logica di meri miglioramenti economici
all'interno di un quadro di definitiva accettazione dell'assetto
capitalista e della rinuncia alla lotta di classe. Nel mentre venivano
celebrati i trionfi dei modelli socialdemocratici, del capitalismo
renano, si creavano le premesse per la rivincita del capitale.
Dietro
la facciata della forza della sinistra politica e sindacale si
nascondevano già quei fattori di indebolimento della coscienza collettiva
che, nella fase storica successiva, sull'onda di radicali cambiamenti
geopolitici, socio-culturali e tecnologici, avrebbero sbriciolato il
potere contrattuale del declinante proletariato di fabbrica, quello
delle identità solide, del posto fisso, dell'impiego a vita
in un'azienda. Quello della fabbrica fordista, della catena di
montaggio e della produzione di massa standardizzata, della
condivisione della identica condizione salariale e di lavoro, ma anche
di vita (fuori dei cancelli degli opifici nei luoghi di aggregazione
popolari). La condizione di lavoro, per quanto dura, era condivisa con
innumerevoli altri lavoratori, con i quali era facile intendersi,
organizzarsi, lottare. I compagni di lavoro condividevano non solo le stesse
esperienze ma anche gli stessi valori, le stesse aspettative, l'etica
del lavoro, l'orgoglio di classe. Consapevole del potere del
capitalismo, la classe operaia, pur dominata, non ne subiva la
subalternità, non ne subiva l'influenza ideologica, non si beveva le
sue narrazioni. Gradualmente, però, tutto ciò venne meno.
Con l'aumento del "tempo libero",
dei salari e dei consumi si sono fortemente differenziati gli
interessi, le sensibilità, i valori e ha prevalso la ricerca
dell'interesse individuale e dell'aumento di reddito, sotto forma di
secondo lavoro, straordinario, avanzamento individuale di carriera.
Diventava sempre più importante guadagnare di più per poter consumare
di più come condizione di affermazione individuale. La contrattazione
collettiva perdeva terreno. Per approfondire l'analisi sociale della
transizione all'individualismo e alla crisi della militanza politica e
sindacale degli anni '80 vedi qui.
Fig. 1 - Percentuale di reddito del 10% più
ricco della popolazione (Stati Uniti)
Tutto
non è stato più lo stesso dopo l'avvio delle politiche liberiste alla
fine degli anni '70 e, soprattutto, dopo il
1989, quando il capitalismo e il sistema politico liberale sono
rimasti senza alternative e il mondo si è trovato unificato all'interno
dell'unico capitalismo globale, di una società di mercato (prima era
solo un'economia di mercato) allargata a
tutto il pianeta. Da allora la perdita di sovranità degli stati e di
diritti sociali sono procedute parallelamente, la forza contrattuale
dei lavoratori è stata spezzata dalla delocalizzione, dall'aumento
della disoccupazione legato alle politiche deflazioniste, dalla
diffusione del precariato che pone il lavoratore in condizioni di forte
concorrenzialità con chi è nella stessa condizione al fine di ottenere
(spesso implorare) un rinnovo del proprio contratto, sino a forme di
nuovo servaggio e sottomissione personali. Le politiche liberiste e
rigoriste non hanno colpito e destrutturato solo il lavoro ma anche i
ceti sociali più deboli, i territori più fragili che hanno subito le
politiche di "aziendalizzazione" della sanità e di altri servizi, con
la chiusura di scuole, uffici postali, punti nascita (che continua sino
ad oggi). Il ridimensionamento dei servizi sociali e sanitari (sempre
più affidati al mercato, ovvero alle assicurazioni integrative della
pensione e sanitarie) è stato invocato e attuato
in nome di "sprechi", che pure esistevano ed esistono, ma si è reso
necessario a causa di un colossale trasferimento di ricchezza verso la
cupola finanziaria mondiale che si è avvantaggiata della deregulation,
mentre il debito pubblico è cresciuto ancora, nonostante i tagli, gli
irrazionali blocchi della spesa pubblica che paralizzano le
amministrazioni locali (anche quando non hanno problemi di bilancio).
Parallelamente alla
compressione dei salari, il top management ha sganciato le proprie
retribuzioni da quelle dell'insieme dei dipendenti delle grande aziende
mentre alla speculazione finanziaria si sono aperte nuove immense
possibilità di guadagno grazie alla deregulation e alle nuove
tecnologie della comunicazione. Ampi praterie verdi (verde dollaro)
si sono aperte per nuove forme di sfruttamento. Solo che
l'intermediazione di meccanismi anonimi e la subalternità ideologica
impediscono agli sfruttati di rendersene conto e di individuare i loro
sfruttatori.
Con chi prendersela? Con le grandi banche d'affari internazionali, le
società di rating, il Fondo mondiale internazionale, la Banca mondiale,
le multinazionali di Internet, le multinazionali "tradizionali", la Bce?
Una cosa è certa: il trasferimento di sovranità a organismi
internazionali ha enormemente aumentato il potere della finanza
internazionale.
La
fine della fabbrica (letteralmente dissolta nello spazio sociale) e la
frantumazione delle modalità contrattuali (outsourcing, partite iva,
cococo, lavoro a contratto, a progetto, part-time, interinale, a
termine, suddiviso, a chiamata) hanno spezzato ogni resistenza alla
vittoriosa lotta di classe di restaurazione di un (di nuovo) ferreo dominio degli
sfruttatori su una plebe disgregata, facilmente manipolabile,
conquistata dall'ideologia liberal-liberista della competizione
individuale, della microimprenditorialità, delle supposte pari
opportunità per tutti. Una circostanza che emerge con evidenza
plastica nella tragedia sociale e culturale dei precari che affollano
(costosi) corsi che promettono miracolose ricette per far soldi
(trading ecc.) e si identificano nelle saghe delle start-up della radio
di Confindustria.
Alla
perdita dei diritti sociali si è offerta, come compensazione, la
prospettiva oppiacea della "conquista" di sempre più numerosi diritti
individuali che consentirebbero ai singoli di poter esprimere
liberamente le proprie inclinazioni, di perseguire desideri e
soddisfare bisogni (spesso accortamente indotti dal sistema
consumistico). Sbarrata la strada all'emancipazione sociale delle
masse,
si trasferisce la
tensione emancipativa verso la "sfida a competere" (persa in partenza
per la stragrande maggioranza) o, fuori dall'ambito economico, verso
altre forme di "liberazione", funzionali,
oltre che al consumo, alla demolizione di quanto resta della famiglia e
delle altre istituzioni che si frappongono alla definitiva dissoluzione
della società in un amorfo insieme di individui. Tutti facilmente
manipolabili
in forza nel loro isolamento e dell'incapacità di coalizzarsi,
dell'assoluta mancanza di ancoraggi, di
sponde, di visioni e discorsi non omologati al pensiero unico
liberal-capitalista.
La
sinistra ha contribuito efficacemente a
promuovere il passaggio dalle lotte per i diritti collettivi alle
campagne per i diritti individuali. Bastava scopiazzare gli Stati
Uniti. Emblematiche di queste campagne sono quelle che vedono oggi
protagoniste le cosidette "minoranze" LGTB, già cresciute con
successive addizioni
a LGBTQIAPK che si decifra in Lesbica, Gay,
Transessuale, Bisessuale, Queer (che non sa bene cos'è), Intersessuale,
Asessuale, Pansessuale/Poligamo, Kink (sadomaso e simili). A ben
guardare questo campionario di "orientamenti sessuali" rappresenta la
graduale legittimazione di ogni perversione (attendiamoci di veder
aggregati alle "minoranze" i pedofili stupratori di bimbi mentre, per
gli zooerastri, lo sdoganamento appare più in salita scontrandosi con
l'animalismo che assegna più tutele e diritti all'animale che ai
bambini).
La
sinistra, con questa rivoluzione copernicana (dal sociale
all'individuale), è tornata alle origini
settecentesche, ovvero a collocarsi sul terreno del liberalismo
"progressista", libertino, utilitarista, individualista che la
caratterizzava prima che da essa, prima che dal ceppo liberale si
staccasse il movimento
socialista che, per quasi tutto il XIX si mantenne indipendente dalla
sinistra borghese e che anzi non si considerava di sinistra tout
court. Per un periodo piuttosto lungo le forze
socialiste restarono infatti estranee e contrapposte alla sinistra
(radicali, repubblicani) .
Un primo riavvicinamento, giustificato dalla necessità di riunire le
forze contro la "reazione clericale", si ebbe in Francia e in Italia
negli ultimi anni dell'Ottocento. Fu una sciagura. Da allora socialismo
e sinistra
finirono per identificarsi tanto più in forza dell'esigenza di
esorcizzare i casi di Mussolini e delle tendenze socialiste del primo
movimento hitleriano. Anche i partiti comunisti, che pure
rivendicavano la loro differenza contro i "social traditori", che
avevano abbandonato la lotta di classe per il riformismo e l'accordo
con la borghesia, continuarono a identificarsi con la sinistra
(nonostante le tante affinità tra esperienze totalitarie fasciste e
comuniste). Il rifarsi della sinistra all'illuminismo e alla
rivoluzione francese, per "nobilitarsi" e rendersi accetta a strati non
proletari, l'ha indotta - dopo il crollo del socialismo reale -
a gettare con l'acqua sporca anche il bambino e a rifarsi una verginità
reclamando il ritorno alle origini liberali. Ben presto la sinistra non
solo si è riscoperta liberale sul piano politico, ma anche liberista
(economia) e libertina (costume).
La
politica dei diritti individuali, la dissoluzione delle appartenenze
collettive e di ogni forma di identità solida (sino alla liquefazione
della stessa identità di genere, modulabile a piacere e ridefinibile),
hanno "liberato" gli individui dai vincoli della morale tradizionale,
dall'esigenza di lealtà nei confronti delle aggregazioni sociali di
appartenenza (famiglia, gruppi professionali, vicinato, comunità locale, nazione).
L'individuo
è tendenzialmente libero di soddisfare i propri desideri e
bisogni; eliminato ogni quadro di riferimento etico, scardinato il
"patriarcalismo", demolito ogni principio educativo improntato a
trasmettere alle nuove generazioni il senso del limite, della rinuncia.
Trionfa il permissivismo, il femminile. Il solo limite al piacere è
dato, eccolo il traguardo della libertà liberale, dalla capienza del
portafoglio, anche a costo di fare degli altri -
smentendo ogni buonismo - dei puri strumenti, degli oggetti della
soddisfazione del proprio piacere e dei propri desideri (vedi l'utero
in affitto). All'esaltazione della libera ricerca del proprio piacere
da parte di chi possiede molto denaro corrisponde la degradazione
dell'altro a forme di nuova schiavitù e servitù della gleba.
L'amoralità libertina del marchese di Sade trova una sua dimensione di
massa non tanto nell'emularne gli eccessi ma nel quotidiano, banale,
rapporto utilitaristico. Con la caduta di ogni limite morale,
tutto diventa merce,
il corpo umano, parti di esso, la natura (vedi i crediti di carbonio, i
titoli di biodiversità, i pagamenti per i servizi ecologici e gli
strumenti finanziari derivati).
Il
quadro apparentemente seducente e ammaliatore dell'emancipazione
dell'individuo e del fiorire di diritti di ogni tipo, si scontra con
una realtà di progressiva concentrazione della ricchezza in poche mani.
Nella liquefazione della società e nella precarizzazione delle
relazioni sociali, nell'isolamento dell'individuo dagli altri
individui alienati e sfruttati. Così, a rafforzarsi oltre ogni limite, con la
"collaborazione" degli sfruttati, che un tempo bisognava disciplinare e
reprimere con costosi apparati coercitivi, è stato il capitale.
L'esasperata politica dei diritti individuali frammenta la società in
un puzzle di minoranze ed è causa di ulteriore disgregazione dal
momento che la moltiplicazione dei diritti porta inevitabilmente a
conflitti di prevalenza tra essi (e vince sempre il criterio di chi è
più ricco).
L'impoverimento
del ceto medio, la generale precarizzazione, la coazione a lavorare per
compensi miserabili, e anche gratis (pur di poter mettere qualcosa nel
c.v.), l'impossibilità di programmare l'esistenza, di farsi una
famiglia, una casa, l'instabilità residenziale, affettiva,
residenziale, presentate dagli apparati ideologici del capitalismo
neoliberale quali "opportunità" di una vita smart e interessante, sono
altrettanti aspetti di una nuova miseria, conseguenze della vittoriosa
lotta di classe dell'elite transnazionale. Ora
lo sfruttamento non si realizza più solo dentro le mura della fabbrica
e degli
uffici, ma in forma integrale, in ogni aspetto della vita, a seguito
della caduta di ogni distinzione tra i tempi e gli spazi del lavoro e
quelli dedicati ad altre attività, tra il momento della produzione e
quello del consumo (al consumatore vengono trasferite incombenze che un
tempo erano svolte da salariati). Agevolano la diffusione del rapporto
di sfruttamento, anche al di fuori di ogni forma di dipendenza formale,
le enormi disparità tra piccoli produttori e grande distribuzione
organizzata. Il contadino, l'agricoltore indipendente vincolato da
mercati tutto tranne che fluidi e concorrenziali sia attraverso gli
acquisti di input dall'industria, sia attraverso la vendita è di fatto
un operaio delocalizzato, fatto che diventa palese nelle soccide e nei
contratti di coltivazione. Agevolano forme di sfruttamento nascosto e
ubiquitario la colonizzazione,
da parte del mercato e del modello aziendale, di tutte le istituzioni
sociali (sanitarie, assistenziali, educative). Non c'è più la classe
operaia ma gli sfruttati sono ancora di più, in forme tali da non
averne coscienza.
La
sinistra "del costume scostumato", alla quale il capitalismo ha
volentieri spalancato le porte dei media e degli apparati di produzione
del consenso, ha svolto un ruolo decisivo, dal 68 in avanti, per
abbattere ogni barriera che limitasse l'estensione del mercato ad ogni
aspetto della vita sociale e ogni vincolo che tenesse unite tra loro le
persone sulla base di interessi, origini, appartenenze, valori
condivisi.
La demolizione della sovranità nazionale, dei confini, sempre in nome
della "libertà di movimento" (di uomini, merci e capitali),
sapientamente mescolata con retorici e impropri richiami
all'universalismo e ai vecchi solidarismi, ha dato il colpo di grazia
alle conquiste storiche del movimento dei lavoratori ma anche allargato
l'area dello sfruttamento a quelle categorie che si ritenevano
"indipendenti" (artigiani, contadini, commercianti, professionisti).
Queste
figure indipendenti o accettano di entrare in relazione subalterna con
le grandi organizzazioni economiche o devono cessare l'attività. Non è
facile resistere alla concorrenza sleale di multinazionali, sempre più
potenti e capaci di stabilire quanto e dove
pagare di tasse, sempre più in grado di controllare l'informazione e la
distribuzione delle merci e ogni aspetto della vita delle persone, in
grado di battere moneta quando agli stati non è più concesso farlo.
Esse sono anche in
grado di imporre nuovi modelli di organizzazione e sfruttamento del
lavoro che reintroducono persino le catene degli schiavi, in forma di
microchip
sotto pelle, per il controllo panoptico del lavoratore. Ma nessuno o
quasi si scandalizza. Il fascino della tecnologia che viene dalla
California fa digerire anche il ritorno alla schiavitù e la
volatilizzazione di interi settori commerciali barattati con posti di
lavoro poco qualificati e a grande intensità di sfruttamento.
Alle multinazionali, alle agenzie
internazionali (FMI, Banca
mondiale), alle grosse Ong
(simbiontiche alle multinazionali) è stato trasferito, ponendolo al di
fuori del controllo politico democratico, gran parte del potere che un
tempo era in capo agli stati nazionali. Contro i poteri transnazionali
non si può scioperare, non serve fare leggi locali. Quelli che
erano gli strumenti localizzati del potere di pressione dei lavoratori
(e dei cittadini) sono spuntati in un contesto globalizzato.
Se
il quadro è così fosco ci si può e si deve chiedere come abbia potuto
la sinistra ingannare così a lungo i lavoratori, così a lungo
da consentire al capitalismo di vincere su tutti i fronti?
Innanzitutto attraverso il controllo degli apparati di creazione del
consenso che il sistema capitalistico ha pensato conveniente affidarle.
La svolta liberal-liberista, attuata con la sinistra al governo in
forme ancor più feroci della destra (vedi Tony Blair), è stata
presentata dai media main stream (quindi di sinistra, progressisti )
come inevitabile, come un fatto naturale.
Tony
Blair con Lord Levy. Levy, esponente sionista, creato
baronetto per meriti di business acquisiti nell'industria discografica,
era il principale finanziatore del partito laburista. Fu arrestato
perché vendeva onorificenze.
Ha
giocato però anche l'effetto di riconoscenza, di identificazione e di
fiducia inossidabile (almeno per un po' di tempo) verso forze politiche
storiche che erano riuscite a strappare importanti conquiste, quindi un
fattore inerziale e ...anagrafico. Gli anziani che hanno trascorso la
maggior parte della vita nella società solida, dove l'operaio lavorava
tutta la vita alle officine Fiat di Mirafiori e risiedeva tutta la vita
nel medesimo
quartiere dormitorio della cintura torinese, era iscritto alla Fiom e
votava PCI. Una condizione stabile e consequenziale che non ammetteva
smagliature. Un fideismo duro a morire induceva a credere - con qualche
dubbio - che il PD, erede del PCI, non avrebbe mai tradito la classe
operaia. Ci sono voluti i colpi d'ariete inferti dalla sinistra al
governo allo statuto dei lavoratori, la "riforma delle pensioni",
l'accondiscendenza alle politiche di austerity della UE a trazione
tedesca, le ondate immigratorie clandestine, (in presenza di elevata
disoccupazione e di ripresa dell'emigrazione giovanile dall'Italia),
la Fornero. Il PD, oltre che per gli aspetti economici si è alienato le
simpatie popolari per l'altezzosa politica da sinistra al caviale,
palese nell'opposizione alle misure "securitarie", fortemente invocate
dai ceti
più deboli, maggiormente esposti alle conseguenze della criminalità
diffusa (legata all'immigrazione, alle bande straniere e ai campi rom).
Finalmente, la combinazione di fattori economici, sociali e culturali
(possiamo anche dire antropologici) ha contribuito ad aprire gli occhi
a chi, da generazioni, votava a sinistra. Con conseguenze di vero
terremoto politico dove era consolidato il sistema di potere "rosso"
(Umbria, Emilia).
Gli esiti
della macelleria sociale, l'esempio della Grecia con il caso vergognoso dei bambini
morti di austerity, quelli censurati dal vice- direttore del Corriere-Pravda, hanno reso sempre più
difficile per i circoli dominanti, i nuovi signori feudali di Davos,
continuare a mascherare la realtà della sconfitta dei
lavoratori, dello smantellamento dei diritti sociali. Mentre il
capitalismo neoliberale impone agli stati leggi a favore del diritto al
matrimonio gay, all'utero in affitto, in Grecia per recuperare i suoi
crediti ha condannato a morte vecchi e bambini negando il diritto alla
salute e alla vita. Come si fa a credere alle campagne buoniste delle Ong degli sfruttatori?
Oggi è divenuta pura illusione pensare di convincere i lavoratori a
subire le politiche imposte dall'elite continuando a utilizzare come persuasori i
partiti di sinistra. Percepiti dai ceti
popolari come traditori, come maggiordomi dell'elite, i
politici di sinistra raccolgono il consenso degli stessi privilegiati, dei
chierici ben pagati al suo servizio, dei frustrati piccolo-borghesi che pensano di
elevarsi socialmente, di darsi un tono e di ottenere qualche briciola
che cade dalla tavola imbandita dell'elite, esibendo idee di sinistra.
Tutti fenomeni in esaurimento. La sinistra non è smart e
nella società di mercato che essa ha sposato con entusiasmo, specie se ti identifichi nei suoi valori,
questo è esiziale.
Sul
piano economico e sociale, malgrado tutte le strategie di persuasione
(la globalizzazione è inevitabile, non resta che affrontare la
competizione, vanno eliminati gli sprechi dello stato sociale, bisogna
recuperare efficienza) diventa problematico far ingoiare ai popoli
nuovi rospi, a fronte dell'evidenza dei folli guadagni dei padroni
della
new economy di internet e degli speculatori alla Soros e della crescita
della povertà anche in quelli che erano i paesi con i più alti redditi.
Perdenti e vincitori della globalizzazione sono entrambi facilmente
identificabili e ogni nuovo appello a stringere i denti e ad
affrontare, accettando i sacrifici del caso, la competizione
internazionale rischia di suscitare opposizione. Meglio cambiare
musica, meglio chiedere sacrifici in nome del... clima.
Via i tromboni dem, largo alle treccine
La vecchia
sinistra aveva già provato a riciclarsi in questo senso. Chi non
ricorda quel trombone di Al Gore che, con le sue profezie strampalate e
la scarsa credibilità del politico di lungo corso, è stato messo in
soffitta. Sostituito dalla voce della falso candore di Greta, fenomeno
costruito accuratamente in laboratorio ma, per un po', di sicura presa. La
fiaba della piccola ecologista con le treccine che (vorrebbero farti credere) scuote i cuori dei potenti di
Davos, dello zio Juncker, ha folgorato gli adolescenti (in buona fede)
e molti adulti (in perfetta cattiva fede) pronti, questi ultimi, a
sfruttare il fenomeno mediatico virale che, guarda caso, è stato
programmato con tempismo sospetto per influenzare le elezioni del
parlamento europeo gonfiando le liste verdi.
Greta alla
commissione europea.Venerazione e applausi per l'icona vivente anche se
dice che non fanno nulla di nulla per evitare la catastrofe
planetaria
Greta ha numerosi manager, a cominciare
dagli astuti genitori, passando per Ingmar
Rentzhog, esperto di marketing e comunicazione, che creato la
società "We don't have time" e incassa milioni con l'immagine
di Greta. In Germania la manager dello sciopero scolastico gretino è
Luisa Neubauer. Di professione "giovane" di bella presenza e idee
ambientaliste. Ovvero rappresentante e ambasciatrice giovanile di molte
campagne e organizzazioni. Una vera professionista che, poverina, è
"costretta" a molti voli intercontinentali che le macchiano la fedina
ecologica.
La
"piccola Greta" in tenuta d'ordinanza, con la sua manager tedesca: la
ormai navigata ventitreenne Luisa Neubauer,
"ambasciatrice" di One, ong sostenuta da Soros, Gates e compagnia brutta
La Neubaumer, a differenza di Greta che, da
copione (l'angioletto non fa
apparentemente politica partitica, ma vedremo che non è così), è membro del partito verde che non esita
a contestare in quanto troppo morbido in materia di azzeramento delle
emissioni di CO2. Il suo ruolo più prestigioso è quello di
ambasciatrice giovanile di One
campaing, uno dei due bracci operativi (l'altro è One action) della Ong One. One
è devota alla
causa della lotta alla "povertà estrema" congiunta con quella al
"sessismo" e alla discriminazione di genere. Attraverso la
lotta alla povertà queste Ong veicolano l'ideologia liberale di genere,
impongono
il controllo delle nascite (anche con l'aborto, ma da quest'ultima
pratica si è dissociata Melinda Gates molto impegnata con il marito a ridurre la popolazione africana). Interessante notare come
le Ong come
One considerino la percentuale di addetti all'agricoltura come uno dei
peggiori indici di povertà. Essi, nel loro filantropismo, con i loro "aiuti", cercano infatti
di sostituire alla "misera" agricoltura di sussistenza,
quella commerciale, che, se fa alzare il PIL, sia pure artificiosamente, riduce la sovranità
alimentare e crea spazio e profitti per i filantropi, tra i quali ci
sono le multinazionali del commercio agricolo che sostengono le Ong.
Ovviamente il passaggio
all'agricoltura commerciale se, a qualcuno, consente di ottenere un
reddito restando a vivere nel villaggio, per molti (molte braccia con
la transizione all'agricoltura "moderna" sono "liberate") è la
premessa allo sradicamento, all'inurbamento e
all'emigrazione (ovvero creazione di esercito industriale di riserva
per i filantropi). Come da copione come tutte le Ong espressione dei
circoli capitalisti mondialisti, anche One è sostenuta da due colonne:
lo
star system e i "filantropi" (le loro multinazionali, le loro
fondazioni).
Note
star supportano la campagna di One
Il numeroso basso clero del sistema di creazione del consenso al
sistema dell'aristocrazia finanziaria hanno gridato alla fake news quando i mezzi di
controinformazione hanno messo in evidenza il nesso tra Luisa
Neubaumer e la Open society
foundation e, per proprietà transitiva, hanno osato proporre il
"blasfemo" accostamento tra il santino vivente (la
Greta) e Soros, il personaggio che, per quanto i pennivendoli si
sforzino di presentare
come "filantropo", per gli italiani è lo speculatore spietato, il
criminale finanziario, che ha
sottratto al nostro paese 48 miliardi di dollari speculando al ribasso
contro la lira con vendite allo scoperto che gli procurarono guadagni
di un miliardo di dollari in un solo giorno. A dimostrazione che in
Italia le cose non vanno affatto per il verso giusto, il suddetto arcicriminale viene in Italia a
pontificare al festival dell'economia.
I fatti dicono che nel consiglio di amministrazione di One siede tale Halperin (foto sotto dal sito di One), un
rappresentante della Open society
foundation di Soros e che la Open
Society Foundations e l'Open
Society Policy Center sono tra gli sponsor
di One. Così come ben note
multinazionali (Google, Coca-cola,
Cargill, Bloomberg), Bill e Melinda Gates e altri noti personaggi del
capitalismo
globale.
Che
la Neubamer presti la sua immagine giovanile a una delle tante Ong
sostenute da Soros ha poca importanza. Quello che conta è che
l'ambientalismo alla Greta, e
alla Neubauer, rappresenta un salto di qualità in una direzione ben
precisa. Il capitalismo ha bisogno di qualcosa di nuovo e di diverso
per controllare politicamente l'Europa. (e gli altri paesi di quello
che era l'Occidente).
Le grandi Ong ambiental-conservazioniste (le bingos: WWF, IC,
TNC, WCS) sono fortemente collegate al mondo accademico e alle
multinazionali (attraverso le sponsorizzazioni e la partecipazione
incrociata nei consigli di amministrazione del top management).
Esse operano attraverso azioni di lobbying largamente invisibili ma
spesso gestiscono direttamente, con budget importanti, le aree protette
del mondo e grandi progetti, tanto
da sostituirsi, almeno in Africa, ai deboli governi locali nelle loro
funzioni. In occidente lavorano come consulenti delle imprese
promettendo di incrementare i loro affari grazie a opportune
verniciature verdi. La green economy è largamente un gioco di prestigio
e di pizzi pagati agli ambientalisti , ma tutto ciò crea profitto ed è
cosa buona e giusta (per la green economy vedi qui) Le campagne rivolte al pubblico sono, per le bingos, solo una
punta di un iceberg delle loro attività. I messaggi emotivi rivolti al
pubblico dalle Ong non hanno la finalità di promuovere attivazione
politica, ma servono solo a raccogliere fondi e a costruire un'immagine
positiva delle stesse, un'immagine inossidabile a ogni scandalo,
che consente loro di intraprendere iniziative spregiudicate, sino alla
violazione dei diritti umani e alla spudorata vendita di indulgenze
ecologiche a favore di gruppi economici autori di devastazioni
ambientali.
Chiuse nella loro torri d'avorio, impegnate a lavorare a
gomito a gomito con il management delle multinazionali, con gli alti
papaveri della burocrazia degli stati e degli organismi internazionali,
le Ong non si prestano certo a interpretare o suscitare forme di
attivismo "di base", di militanza politica (o pseudo tale). Se al WWF
si devono attribuire dei volti iconici, l'immaginario collettivo
continua a richiamare quelli di Filippo d'Edimburgo, Bernardo d'Olanda
(scandalo Lockeed e ex nazista), i padri fondatori. La gente deve identificare il WWF con il Panda, non
con dei personaggi in carne ed ossa (tolti i suddetti grandi vecchi
che, di certo, non suscitano molto entusiasmo, men che meno nei
giovani). E allora ... Greta.
Greta: l'irresistibile fenomeno costruito nei laboratori della manipolazione delle masse
A cosa serva Greta, nel contesto della "svolta" politica ambientalista,
non è difficile capirlo. Il "movimento" suscitato da Greta è, in tutta
evidenza, nato in provetta e geneticamente modificato, dello spontaneo
movimento sociale ha ben poco se non il genuino e ingenuo entusiasmo
dei giovanissimi adepti. Ma dubitiamo fortemente che dagli scioperi
scolastici nasca un movimento stabile sostenuto da reale militanza
volontaria. Portando in piazza i marmocchi, e
anche qualche grandicello, il gretismo ha dato la possibilità ai media
dell'aristocrazia finanziaria di rilanciare il fenomeno, gonfiandolo artificialmente a dismisura. I
media possono parlare di un'opinione pubblica gretina e sentirsi
legittimati a farsene portavoce. In realtà si tratta di un ventriloquio.
A cosa
serve Greta? Facciamo un esempio concreto. Il papagallino, il 4
maggio , con il suo
iPhone d'ordinanza, ha cinguettato che bisogna smetterla di
parlare di cambiamento climatico . Al suo posto il
politically correct gretino vorrebbe imporre "collasso
climatico". Non contenta suggerisce, bontà sua, possibili
variazioni: "crisi climatica", "emergenza climatica", "collasso
ecologico", "crisi ecologica" e "emergenza ecologica".
Non
sfugge a nessuno che non si tratta di sfumature lessicali ma di
adozione del
dogma del prossimo, imminente, devastante collasso climatico. Poco
importa se sia farina del sacco di Greta o dei suoi suggeritori. Se
fosse
davvero così, se un collasso irreversibile degli ecosistemi terrestri
con rischio di estinzione della specie umana fosse alle porte, dovremmo
tutti smetterla di pensare ad altro e
concentrarci su questo problema, sempre che fossimo ancora in tempo a
farlo (il rischio è che un terrorismo di questo tipo può indurre la
gente all'apatia, "se le cose sono messe così male non sarà certo con
l'impegno mio e neppure di tanti altri che si invertirà la sorte). Se, però,
la situazione non fosse così apocalittica è evidente che sotto c'è
l'interesse a terrorizzare le
persone per distoglierle da altri problemi (sociali). Fatto sta che, dopo pochi
giorni dal cinguettio del pappagallino, il Guardian, voce della sinistra
politically correct british
(ma anche internazionale), raccomanda caldamente ai propri
collaboratori
una nuova "disciplina lessicale" (vedi qui).
Viene bandito
l'uso del sintagma "riscaldamento climatico", troppo morbido, in favore
di emergenza/crisi/collasso climatico. Al posto di global warming si
deve usare global heating (in italiano si traduce sempre
"riscaldamento", ma nell'originale la differenza è marcata perché
warming può essere solo un intiepidimento). La
raccomandazione che suona più sinistra (anche nel senso di preoccupante
oltre che di leftist) è la
sostituzione di "scettico climatico" con "negazionista della scienza
climatica". Siamo alla caccia alle streghe. Ovvero attendiamoci che,
dopo le leggi sul negazionismoper
antonomasia (quello che riguarda
all'olocausto di 6 milioni di ebrei, non certo le foibe e altri
massacri che, per impar condicio, possono essere tranquillamente
negati)
vengano proposte leggi tese a punire il negazionismo climatico. Delle
belle armi per chiudere la bocca al dissenso politico e sociale.
Una
guida alla denigrazione a priori del negazionismo climatico
Le distopie alla Orwell di 1984 si stanno
evidentemente concretizzando. Ma
Greta, poverina, cosa c'entra? Beh, basta ricordare il suo cinguettio e
considerare che la Viner, la direttrice del Guardian, giustifica la sua
"guida" con l'autorità del segretario dell'Onu, del papa, della Ue, di
alcuni scienziati di punta in materia climatica ma, soprattutto, appellandosi all'autorità di
Greta. Intorno al suo personaggio, creato in laboratorio, è stata
costruita una leggenda di saggezza e autorevolezza. Lei è
perfetta nel recitare la parte: Non
siete abbastanza maturi per dire le cose come stanno, lasciate perfino
questo fardello a noi bambini.
Misto di voce dell'innocenza, oracolo arcano di una saggezza
perduta. Ora non basta che far dire al pappagallo quello
che si vuole e il gioco è fatto.
Il trucco è semplice: richiamandosi a Greta e ai ragazzi che, in
maggioranza, senza neanche sapere il perché, marinano la scuola "per il
clima", la stretta sul dibattito sul cambiamento climatico (e le
relative implicazioni sociali ed economiche), l'intolleranza contro gli
scettici, sono legittimati dal basso, dalle giovani generazioni che
reclamano un futuro negato dall'egoismo dei "vecchi". Trucchi sempre
più complessi. Una volta bastava "l'ha detto il partito".
Era
da tempo che non si vedevano certi episodi di
intolleranza contro chi osa esprimere il dissenso nei confronti del
pensiero unico (in questo caso climatico). Segnali pericolosi, perché
questa intolleranza è istigata dall'alto, dai mezzi di comunicazione,
dalle istituzioni, dal sistema che, in teoria, il gretismo dovrebbe
contestare. Poi, però, va a Davos con tutti gli onori. E, quel che è
grave, perché segna un abissale abbassamento della soglia di
discernimento critico di molte persone, gli adepti continuano a credere.
Emblematico il caso della ragazzina svedese che non voleva
scioperare per il clima e che è stata bullizzata dai compagni e
dall'insegnante. Alla madre, la preside ha avuto la spudoratezza di
dire che era sua
figlia
ad avere torto e che doveva comportarsi come gli altri per una cosa
"positiva". Ma non erano brutti i balilla e le giovani italiane? Così
la ragazzina si è rifiutata di tornare in quella
scuola. Anche a casa nostra, i commentatori politically correct pro
Greta, hanno usato ogni insulto contro i "vecchi retrogradi senza
futuro" che osano sostenere che di fenomeno teleguidato si tratta. Era
dal 68 che non si vedeva instillato nei giovani, dai "grandi vecchi" e
burattinai vari, un sentimento di
disprezzo e di odio contro i "vecchi" che "rubano il futuro" (chi oggi
ha una certa età ricorda di aver sbeffeggiato i "matusa"). Si
vede che la gerontofobia è meritoria, disprezzare e insultare gli
anziani non lede alcun diritto (in generale vale anche per i diritti
l'adagio orwelliano adattato: ci sono diritti più diritti degli
altri). Era
dal 68 che non si vedevano anche certi isterismi adolescenziali elevati a
"coscienza ecologica". Segno che Greta funziona. Del
resto se ti convincono che tra pochi decenni vi sarà una catastrofe e
che, sepolti i vecchiacci, sarai tu ad andare arrosto, morire di sete e
di fame, come minimo odierai tutti i vecchiacci che con il loro
criminale negazionismo impediscono di fare qualcosa sino a che si è in
tempo. Indurre queste angosce, questo odio negli adolescenti non è
plagio, non è un crimine?
Con tanta autorevolezza acquisita dal gretismo, con il "movimento" giovanile messo in piedi in
suo nome dalla sera alla mattina come seguendo un pifferaio magico, non è difficile pensare che si cerchi di trarne dividendi
politici. Che servisse tirare fuori dal cilindro un coniglio per
contrastare, sui social e nelle piazze, l'ondata populista e sovranista
poteva essere facilmente previsto, che tutto quello che sa di sinistra
(compreso il verdismo politico) non faccia più presa sui giovani
(e sulla buona parte degli adulti) è un dato di fatto. Come abbiamo
visto le organizzazioni ambientaliste storiche sono diventate business
e non si abbassano ad andare in piazza. Ai legambientini si richiede
di mettersi cappellino e ramazza, e questo è l' "attivismo"
richiesto ai simpatizzanti, che non contano nulla. I veri attivisti non
sono molti perché non vogliono spartire con troppo la torta dei business.
Con la crisi dell'ondata ambientalista degli anni '70-'80 cresciuta
sull'onda del movimento antinucleare e con la progressiva
istituzionalizzazione e orientamento al business delle Ong era
cresciuto un movimento ambientalista grass root, di base,
spontaneo, in opposizione contro scempi ambientali, i
parchi fotovoltaici, discariche, inceneritori, pale eoliche, centrali a
biomasse. I primi a combatterlo sono stati gli ambientalisti
istituzionali che sono capaci di dichiarare "sostenibili"
non solo le centrali a biomasse che bruciano legna ma gli stessi
inceneritori (in quanto co-interessati ai business). Per sapere
di più vai qui e qui.
Oltre
a riempire le piazze e dimostrare che
l'attivismo non ha solo marca populista e sovranista, il movimento
gretino è servito, con perfetto tempismo a confermare l'annunciato (nel
senso di desiderato dai media e dai sondaggisti)
boom dei verdi in alcuni paesi. In effetti la grancassa
mediatica su Greta è stata martellante e abilmente subliminale. Ma non
è certo che i partiti verdi, al di là di un
utile argine momentaneo da contrapporre all'avanzata
sovranismo rispondano, così come sono, all'esigenza del capitale di
avere forze di governo affidabili. Un altro aspetto che non può
consentire al capitale di considerare i verdi quale cavallo da
sostituire alla sinistra consiste in quel tanto di anticapitalismo
residuale che li caratterizza. Che brava, invece, quella cara bambina
che colpevolizza intere nazioni, intere generazioni e non pronuncia
quelle orribili parolacce: lotta di classe, sfruttamento, capitalismo.
Greta, inoltre, è ancora più cara e giudiziosa in quanto assume in modo
acritico i dogmi della scienza. Una delle sue affermazioni tipiche è: i politici devono ascoltare gli scienziati. Ancora
un po' li sostituiscono che facciamo prima. Opzione che viene
confermata da un'altra frase simbolo della svedesina quando dice che
preferisce concentrarsi su cosa deve essere fatto anziché su cosa sia politicamente meglio fare.
Gli ebeti che l'hanno applaudita (anche al parlamento italiano) sono
stati ipnotizzati dallo sguardo freddo della bambina con sindrome
di Asperger o ritengono che la politica, la democrazia, loro stessi
siano del tutto inutili come proclama Greta esprimento idee totalmente
reazionarie.
I veri movimenti ambientalisti di
base, al contrario di Greta che è una marionetta telecomandata
dall'alto, hanno messo in discussione la neutralità della scienza, ne
hanno invocato la democratizzazione perché come essa si pone è tutto
fuorché neutrale e
spudoratamente organica al meccanismo capitalista (vedi qui).
Questo va affermato perché essa sistematicamente sottovaluta il rischio
quando il profitto è in
pericolo e lo sopravvaluta quando c'è in vista, adottando misure di
prevenzione dello stesso di ricavare alta remuneratività dai nuovi
investimenti . La scienza, attraverso meccanismi del tutto non casuali,
tutela il capitale più della salute. La nocività dei pesticidi è
ammessa solo dopo che le statistiche accumulano un ecatombe di morti di
cancro mentre si poteva presupporre da studi in vitro la tossicità di
una data molecola e si sarebbe potuto applicare il principio di
precauzione? Cosa c'è di scientifico nei valori massimi tollerabili di
veleni (frutto di trattativa politica ma poi avallati a posteriori da
qualche test scientifico? Perché la pericolosità degli inceneritori,
ancorché
accertata anche da indagini ministeriali, è poi sottovalutata anche in
sede scientifica? Perché solo per il riscaldamento climatico,
e non per l'avvelenamento della terra e dei mari e la cancerogenità
dell'aria si delineano scenari sin troppo allarmisti (che poi, in parte
si rivelano esagerati) mentre per le altre emergenze ecologiche la
scienza capitalista usa il criterio opposto della sordina? E' pensare
male ritenere che attraverso la riduzione della CO2 si finanzierà
facendo pagare lacrime e sangue ai lavoratori e contribuenti la
ristrutturazione di comparti industriali maturi a basso profitto per
promuovere nuovi settori ad alta redditività drogata dai sussidi
pubblici? Quanto
fa comodo Greta!
All'establishment capitalista serve, eccome, un progetto politico di
distrazione di massa, basato sull'ossessione per l'imminente catastrofe
climatica
ma serve anche che esso, in modo più convinto dei verdi (che
almeno in Germania hanno
più che venature sovraniste), agiti l'altro corno della politica e
dell'ideologia neoliberale: i diritti civili, intesi come libertà
senza
limiti di perseguire il proprio piacere egoistico, come disintegrazione
della famiglia e della morale. Nella sfera dei diritti civili e
dell'allargamento delle ristrette prospettive localiste (così viene
liquidata ogni istanza di radicamento) serve alla bisogna chi
esalti e favorisca, in nome della "libertà di
movimento", il nomadismo apolide nelle sua versione dei ricchi (pago le
tasse dove voglio) e dei poveri (nuovi schiavi in perenne movimento per
alimentare l'esercito industriale di riserva).
Greta
mostra al mondo il suo disappunto per una manifestazione del movimento
di estrema destra Nordiska
motståndsrörelsen. Che brava bambina.
Se, in tema di clima, si sta sviluppando una
caccia alle streghe contro i dissidenti, sull'altro
fronte (quello dei "diritti delle minoranze"), la repressione della
libertà di
espressione (diritto obsoleto a quanto pare in mezzo a tanti nuovi di
pacca) è stata già ampiamente
compromessa dalle leggi contro l'omofobia e il razzismo e
dall'imposizione dell'ideologia gender che criminalizza l'identità
maschile e il "patriarcalismo". A colpi di gay pride viene
veicolata dai media main stream l'idea che ogni perversione e
ogni orientamento sessuale siano equivalenti (moralmente indifferenti)
e che di spregevole e anormale
c'è solo l'attaccamento alla famiglia e alla morale tradizionale. I Gay
pride sono
così diventati come le processioni di un tempo: le manifestazioni
pubbliche
di una nuova religione che gode di ogni benedizione: la realtà è stata
invertita e questa è la nuova normalità che, pride dopo pride, anche i
retrogradi finiscono per accettare se non altro per assuefazione.
Il solo proferire parole come tradizione,
identità, patria è diventato riprovevole e forse domani sarà reato. E'
fantapolitica individuare nella fusione di questi due "filoni"
(l'ambientalismo totalitario giustificato dalla "catastrofe climatica"
e il totalitarismo dei "diritti delle minoranze") la chiave del
progetto prossimo venturo del capitale? La demonizzazione del
sovranismo oggi avviene anche
per il potenziale pericolo, che esso rappresenta, di suscitare
l'orripilante omofobia e il non meno spregevole e abominevole
"negazionismo climatico". Ciò la
dice lunga, così come l'orientamento politico della
candida Greta che, il primo maggio, ha partecipato a Ludvika a una
contro
manifestazione antifascista per difendere
la parità dei
diritti umani e la democrazia, contro il nazismo come ella
stessa ha
precisato sui social. Proprio una brava bambina.
Se
nella fase storica tra la caduta del muro e oggi, il capitalismo
neoliberale ha largamente liquidato gli stati nazionali, i partiti, i
sindacati, le associazioni realmente no profit, sostituiti dalla
società dello spettacolo (che ti indottrina e al tempo stesso ti fa
pagare), dalle agenzie internazionali, dalle fondazioni, dalle
Ong, tutte articolazioni dirette delle grandi banche, dei mega fondi
(alla Black Rock), delle
multinazionali, nella nuova fase che si apre - a meno di una energica
reazione
popolare - la prospettiva è quella di uno svuotamento ancor più spinto
della democrazia e della libertà di espressione, anticamera di una
società in cui la finzione dell'eguaglianza e dei diritti di
cittadinanza cadrà definitivamente e sarà sancita, anche sul piano
giuridico, la condizione di servaggio della plebe, di divisione tra
l'aristocrazia finanziaria (gli spartiati) e gli altri, gli iloti.
Sala: un bauscia (ma dalle idee chiare) che si candida a leader del pertito liberal-ambientalista
Non
sappiamo se in altri paesi il liberal-ambientalismo (con il quale si è
già cimentato Macron, con esiti catastrofici) avanzerà per mutazione
dall'intero dei verdi (aiutata da provvidenziali manine) o attraverso
nuove forze politiche. Sappiamo che
in Italia non esiste un movimento politico verde e che quindi il
problema non si pone. Se il progetto ha da farsi esso deve partire con
un
cavallo nuovo. I verdi italiani hanno sempre vivacchiato come costola
della sinistra e non hanno minimamente fruito del viatico Greta. Troppa
distanza tra un movimento, almeno in apparenza, fresco e spontaneo e un
verdismo all'italiana nato per riciclare i troppi capi e capetti dei
gruppi dell'estrema sinistra post-sessantottesca (per approfondire vedi qui).
Unico personaggio che
si staccava da questo prototipo e al qual va riconosciuta una statura
morale e politica è stato Alexander Langer. Se invece pensiamo ai
e ai Rutelli... In Italia, a fiutare l'aria che tira ci
sono astuti personaggi che sanno bene che il PD ha ripreso un po' di
fiato solo per il crollo dei grillini ma che all'appuntamento con le
regionali in Emilia-Romagna rischia di arrivare al capolinea.
Nella
Milano di Sala che vuole essere a tutti i costi gay-friendly, una
stazione della metro è "intitolata" al "movimento" LGBT
Uno
che ha ambizioni di leader politico per nulla nascoste è Sala,
personaggio di provata spregiudicatezza, capace di passare da
city-manager delle giunte di destra a esponente della sinistra rampante
del denaro, ma attenta (a differenza di Renzi e altri personaggi di pari
modesto spessore) a mettere in relazione il liberismo economico con il
liberal-libertarismo dei diritti individuali spinti e con lo pseudo
solidarismo immigrazionista. Come sovramercato, Sala ha da qualche
tempo (dopo i tracolli del PD) adottato l'eccentrico vezzo di parlare
di "giustizia sociale" (cosa che, almeno, Calenda e Renzi ci
risparmiano). Che i temi di Sala siano connessi nei fatti è ovvio in
quanto il
capitale ha interesse nella tratta dei nuovi schiavi e nel dissolvere
ogni residuo di aggregazione sociale (in modo che ogni relazione umana
sia mediata solo dal mercato). La novità di Sala è questo voler tenere
insieme programmaticamente e ideologicamente liberismo economico e
liberalismo dei "diritti", così da creare un consenso "centrista" che
vada al di
là dell'ambito piuttosto ristretto dei ricchi e dei funzionari e
lustrascarpe
dell'elite che oggi votano PD. L'entusiasmo di Sala per i gay pride è
secondo solo a quello per le Olimpiadi e si capisce allora il perché.
Il
nostro è un ardente sostenitore dei diritti (ma cosa vogliono ancora?)
della "comunità" LGBT
ecc., così come della Milano multirazziale, ma senza perdere di vista
il
pragmatismo e l'approvazione dei circoli che contano (Curia e Corriere
in primis), tanto da vedere con soddisfazione il trasferimento
all'europarlamento dell'ingombrante pasdaran Majorino. Quello che
mancava a Sala, per accreditarsi come campione di un
liberal-ambientalismo rampante, era una patente ambientalista. Non
dovrebbe essere facile dimenticare la piastra di oltre un milione di mq
(dove pascolavano le pecore prima di Expo) e le superfici (10 volte
tanto) di aree agricole e naturali cancellate dalle opere dell'Expo
(raccordi, autostrade). Il tutto in un Nord Milano che ha i record
mondiali di impermeabilizzazione del suolo (e quando piove si vede...).
Ma il nostro ha un pelo sullo stomaco da Guiness dei primati e,
approfittando del rimpasto a seguito della dipartita di Majorino, si è
preso le deleghe per la "transizione ambientale". Bisogna ammettere che
Sala ha anche coraggio oltre che pelo sullo stomaco perché, quella che
ha provocato il subbuglio in
Francia,è stata proprio la sbandierata politica di "transizione".
A
seguito di questa "svolta", però, il biglietto del tram, tanto per
incentivare
il trasporto pubblico, è salito da 1,5 a 2,0 €
. Notasi che mentre Sala ha iniziato (non lascia niente al caso) a
partecipare al G50 (il summit delle 50 città proclamatesi più
ambientaliste) dove conciona di "mobilità sostenibile", è lo
stesso Sala, furbone, per paura di perdere voti dalle
categorie più retrive e attaccate al trasporto privato, si oppone al
progetto di scoperchiamento dei navigli che porterebbe grandi vantaggi
turistici e di qualità della vita imponendo una vera rivoluzione della
mobilità che porrebbe Milano all'avanguardia e ne farebbe un esempio
nel mondo. L'astuto spiega che i navigli costano troppo e imporrebbero
sacrifici sul fronte dei servizi sociali dove rischierebbero di essere
penalizzati i beniamini della sinistra: rom e immigrati poco integrati.
Sala
di ambiente parla solo da pochi mesi, ma già si presenta come un
ambientalista convinto e si candida a capo partito
liberal-ambientalista.
Dopo l'emergere del "fenomeno Greta" il nostro - ma guarda che
combinazione - ha intensificato i
riferimenti all'ambiente dichiarando che non solo l'ambiente è
importante ma che è la battaglia per l'ambiente è "profondamente
politica". E' da queste ultime paroline bisogna partire per decifrare
il
progetto di Sala. Le questioni ambientali sono "profondamente
politiche" da quando è
nato l'ambientalismo, un secolo e mezzo fa negli Usa. Sala, che
ha
ancora poco studiato l'ambientalismo, parla di
creare un "ambientalismo 2.0".
Dovrebbe prendere ripetizioni da Carlo Monguzzi, classe 1951,
sessantottino e poi politico di lunghissimo corso (provvisto di
vitalizio parlamentare e di lussuosa buona uscita del consiglio
regionale) che, in consiglio
comunale a Milano - avanti i giovani - rappresenta il movimento dei
gretini.
Il sindaco, che si propone come alfiere del
nuovo partito,
quantomeno a livello italiano (è decisamente abile e scaltro ma
anche bauscia), non sa che di ambientalismi si è perso il conto. Grosso
modo siamo all'ambientalismo 4.0, quello che ha già - almeno nelle sue
componenti più istituzionali - ampiemente interiorizzato il discorso
neoliberale e che da anni sostiene che l'ambiente si salva consumando
certi
prodotti (di solito quelli delle multinazionali certificate dal WWF)
invece che altri, finanziando la green economy invece che le
politiche sociali. Questo ambientalismo è perfettamente alleato al
capitalismo rampante nel legittimare il land grabbing, l'espulsione
dalle proprie terre di intere tribù, gli abusi e gli omicidi, con la
scusa della salvaguardia di
specie a rischio di estinzione. Esso in partnership con le società
estrattive opera in questo modo per mettere le mani
su legname prezioso, metalli rari, diamanti ecc. Ne abbiamo parlato
ampiamente qui.
Sala, evidentemente ha in testa un
ambientalismo che da
movimento ambiguo di opposizione o da macchina da soldi (restando
quindi sostanzialmente sul
terreno economico e non incidendo sulle convinzioni della masse) si
ponga come asse portante della gestione del potere politico e
del consenso di massa al servizio
dell'aristocrazia finanziaria globale. Su questo ha la vista lunga; ha
infatti capito perfettamente che a livello europeo la sinistra è al
capolinea, per decenni ha fatto gli interessi dei padroni,
approfittando
del fatto che si era accreditata con una storia di ben altro segno e
tradendo la fiducia dei ceti
popolari. Ora non può più funzionare.
Sala
e Monguzzi: i giovani gretini (cosa non si fa per riciclarsi)
Ora la sinistra è votata solo nelle grandi
città con percentuali da
"partito di raccolta" in centro storico a Milano e ai Parioli a
Roma. Troppo poco e troppo imbarazzante se si vogliono avere i voti
della sprezzata plebe per governare (poi, quando non ci sarà più il
suffragio universale sarà un altro discorso). La prevedibile
prossima perdita dell'Emilia-Romagna che, più
ancora che la Toscana era il vero fulcro del "potere rosso", segnerà
l'inizio dell'implosione del PD. Sala ha capito che l'occasione è
irripetibile sa che, a differenza dei competitor che si azzuffano per
dividersi le
spoglie del PD (i vari Calenda e Renzi) ha dietro di sé un modello
Milano che
può rendere credibile la sua candidatura. Sa che deve tenere insieme
affarismo liberista e l'oppio libertario-libertino dei "diritti" a pro
del popolo atomizzato, precario ma, a Milano, "fighetto".
Entrambe queste tensioni sono di natura
egoistica, utilitaristica, fanno leva sulla fame di soldi e di piacere.
Ed ecco che il tutto deve essere santificato, purificato,
sublimato. Altro che il green washing con il quale si impegnano con
zelo le Ong ambientaliste. Serve ben altro, qualcosa di
"parareligioso" ma che non porti acqua al mulino dell'onda nera
tradizionalista. Ecco allora, a compensazione dello spietato
utilitarismo egoistico che caratterizza le spinte liberal- libertario-
libertine, va messa in gioco per la
suprema
moralità della causa, la salvezza del pianeta, un tema che - insieme ai
migranti - piace molto anche alla neo-chiesa bergogliana sempre meno
scandalizzata da eutanasie, uteri in affitto, diritti sodomiti.
Il ruolo politico di Bergoglio: verso una neo-chiesa o una neo-religione ambiental-sincretica?
Il movimento
gretino fornisce utili elementi con la sua focalizzazione sulla santa
causa del clima. Ma non
sufficienti. Per santificare la causa serve trasfondere l'antico
carisma della vecchia religione (demolito dalla modernità e dalla
secolarizzazione liberale) nella nuova botte del credo ecoclimatico.
Un affare per entrambi i contraenti, considerato che, da quando la
chiesa cattolica ha deciso (Concilio Vaticano II) di adeguarsi al mondo
governato dal capitalismo liberale e devoto solo alla
massimizzazione dell'utile e del piacere individuale, oltre che al
culto della
tecnoscienza, non fa che regredire (se non fosse per l'Africa in
espansione demografica) e a perdere di credibilità. Messa alle strette
con gli scandali
pedofili e omosessuali e in crisi di vocazioni la chiesa di Bergoglio è
una barca alla deriva alla quale il timoniere, si impegna con scrupolo
a infliggere picconate che aprono nuove falle di
disorientamento. Così anche Bergoglio ha iniziato un aggiornamento
ambientalista della chiesa.
Manca
solo poco più di una decade per raggiungere questa barriera[ 1,5°C di
aumento della temperatura] del riscaldamento globale. Lo
ha detto Greta? No, El papa. Bergoglio
non si vergogna di umiliare il suo ruolo (lecca le scarpe
letteralmente ai leader islamici..) e quindi non si pone problemi a
fare il ripetitore di Greta. El
papa, come Macron, come Sala, invoca la "transizione energetica
radicale", che andrebbe probabilmente sostituita a comandamenti obsoleti
(specie il VI e il IX, messi molto in discussione, se non abrogati, da Amoris laetitia).
El papa ha già manifestato ampiamente la sua intenzione di dedicare il
pontificato all'ambiente sin dall'enciclica Laudato Sì. Essa è
stata letta come un assist all'ambientalismo. In realtà essa
riprende le posizioni dei pontefici precedenti ispirandosi all'ecologia
integrale (non c'è ristabilimento dell'equilibrio ecologico senza
giustizia sociale) anche se, rispetto ai predecessori, entra
maggiormente nel merito dei fenomeni dell'inquinamento e del
riscaldamento climatico, forse in modo inopportuno, tanto da lasciare
l'impressione di legittimare in qualche passaggio le posizioni
catastrofiste. La dottrina
però è riaffermata nell'adesione dichiarata ad un antropocentrismo
responsabile.
Solo in alcuni punti l'enciclica può dare l'impressione di
distaccarsene. Così quando cita il documento dei vescovi tedeschi del
1980 (Futuro della creazione e futuro
dell'umanità) facendo proprio un
passaggio pericoloso che puzza eresia e che assegna alla natura non
umana una priorità del suo valore per sé
rispetto all'utilità per l'uomo (nella Laudato Sì si legge: si potrebbe parlare della priorità
dell’essere rispetto all’essere utile
). Non è
necessario essere teologi per capire che antropocentrismo cristiano, al
massimo, dovrebbe assegnare pari valore all'essere per sé e all'essere
per l'utilità dell'uomo. Altrimenti si scivola in un
biocentrismo non dichiarato, incompatibile con la fede cristiana e la
dottrina della creazione.
Affermare che gli esseri viventi e gli elementi della creazione
abbiano valore in sé e non solo sotto il profilo utilitaristico per
l'uomo è giusto ma ben diverso dal sostenere che il valore in sé assume
priorità
rispetto all'esigenza umana. Custodire e coltivare è il compito
assegnato da Dio all'uomo nei confronti della natura. Custodire =
rispettare l'essere in sé della creazione, coltivare = utilizzare
saggiamente della creazione senza compromettere la finalità di
custodia. Il custodire non può essere prioritario sul coltivare che
deve comunque trovare un limite quando la custodia rischia di essere
compromessa. Uno dei difetti dell'enciclica,
che possono far parlare di "appiattimento all'ambientalismo" è
l'assenza di una critica chiara alle pratiche messe in atto
dall'ambientalismo in materia di esproprio di terre, controllo forzato
delle nascite, parchizzazione della natura per scopi egoistici (vedi qui per approfondire).
L'ambientalismo non è solo buono e bello e non dirlo, oggi, è grave.
Anche se certe politiche delle Ong ambientaliste sono state più feroci
in Africa che in America
Latina, il teologo della liberazione Leonardo Boff, ghost writer o
comunque ispiratore della Laudato
Sì, in qualità di esponente dei movimenti ecologisti e dei
popoli
nativi ne è perfettamente al
corrente.
L'enciclica, semmai, critica (blandamente) l'animalismo. Si avverte a
volte l’ossessione di negare alla persona umana qualsiasi preminenza, e
si porta avanti una lotta per le altre specie che non mettiamo in atto
per difendere la pari dignità tra gli esseri umani.
El papa e
Boff conoscono bene le posizioni
eugeniste dell'animalismo e sanno bene che della giustizia sociale agli
animalisti non importa nulla. Sanno che l'animalismo è il miglior
cavallo di troia che esista sulla piazza al fine di demolire l'etica e
la morale cristiane e che il suo veleno rischia di contaminare tutto il
movimento ambientalista (vedi qui
per un approfondimento). Eppure, El papa, che tuona un giorno si e
l'altro anche contro chi si oppone all'invasione afroislamica, di
fronte a questo pericolo mortale, capace di predisporre
all'accettazione dell'infanticidio e dell'eugenetica, tace (non ha
fatto neppure nulla contro l'introduzione in Italia del quasi
matrimonio omo e della quasi eutanasia). Meglio avrebbe fatto
l'enciclica a
sottolineare come l'animale viene trasformato in un totem divinizzato e
a mettere in guardia da un animalismo che assegnando agli umani
invalidi, sub-normali, un valore inferiore all'animale sano, apre la
porta a un futuro di orrori.
Nulla si dice El papa delle relazioni tra ambiental-animalismo e i
culti
neopagani come la wicca. Perché tanta timidezza? Ovvio, per non
compromettere i rapporti delle religioni con il potente movimento
ambientalista, con l'aristocrazia finanziaria globale. A pensare bene
si direbbe: "per non compromettere gli
sforzi unitari per il bene dell'umanità e degli ecosistemi", a pensare
male per venire incontro al programma di neo-religione sincretica di
Filippo di Edimburgo (leggi massoneria).
A
voler guardare, anche l'attacco al sistema economico capitalista, nella Laudato Sì
è molto
soft, anzi non c'è. E qui si scopre il gioco di Bergoglio e dei
gesuiti, finissimo invero, come da lunga tradizione dell'ordine: farsi
fama di comunisti per sostenere meglio il capitalismo più spietato. A
"destra" molti bacchettoni ci cascano (e el jesuita se la ride della
grossa). Forse perché il furbastro invita i "movimenti sociali" e
preferisce i "centri sociali" ai devoti cattolici.
L'enciclica non morde gli sfruttatori responsabili dell'ecocidio e
della crescente concentrazione della ricchezza, in barba, anzi, proprio
a causa del ruolo di marxista-ecologista del su consigliere Boff
. Si parla di "interessi particolari", mai di
sfruttamento. Si
adotta la neo-lingua del politically correct ("gli esclusi"). Non pochi
pensano che, in ottobre, in occasione del sinodo sull'Amazzonia
si possano
produrre "strappi" più gravi rispetto alla Laudato Sì
che, comunque, tranne qualche
sbavatura, e una sostanziale timidezza nell'individuare le cause della
sofferenza ecologica e sociale, rappresenta un buon documento, molto
migliore della quotidiana, spesso sconcertante, pastorale bergogliana.
Il timore è che il rispetto e la valorizzazione della cultura e della
spiritualità dei popoli indigeni rappresenti un cavallo di troia per
introdurre forme di accettazione del neo-paganesimo cheispira i
movimenti anima-ambientalisti occidentali e di posizioni panteiste e
biocentriche.
La voce che il sinodo sia ispirato da Filippo d'Edimburgo è inquietante ma non
strampalata. L'anziano
esponente della massoneria e del WWF, infatti, nel 1986 (era in carica
quale presidente del Panda) costituì nuova
Ong: l'Alliance of Religions and
Conservation (ARC),
costituitasi a seguito di un incontro ad Assisi dei leader di
cinque delle principali fedi cui seguì, nel 1995, il coinvolgimento di
ulteriori quattro religioni. La ARC opera con il sostegno della Banca
mondiale
Immagine
emblematica: il WWF, cinica ed efficiente macchina da soldi
capitalista, si assimila, in posizione egemonica, alle religioni storiche dell'umanità.
Ci si chiede perché tanta condiscendenza da parte delle religioni.
Conclusioni
Iniziative
più o meno recenti, ma coerenti tra loro, indicano, che è tutt'altro
che
fantapolitica la prospettiva di un nuovo ambientalismo come strumento
di imposizione, attraverso armi di distrazione di massa, sofisticate
truffe ideologiche, repressione del dissenso, di una condizione
di dominio capitalistico ancora più
dura (emblematica l'imposizione del neo-cibo a base di insetti e
di
tessuti animali e vegetali prodotti in laboratorio). C'è ben di più
delle spacconate di Beppe Sala, del gran lavorio dietro le quinte
necessario per "lanciare" il fenomeno Greta, delle posizioni ambigue
di El papa. Questi sviluppi possono implicare pericoli molto gravi per
le realtà rurali per le quali, il progetto del
neo-liberal-ambientalismo,
prevede niente meno che una drastica cancellazione sulla base
dell'esigenza ecologica (motivata dal collasso climatico e
ecosistemico) del "ritorno
alla natura" di territori che hanno visto millenni di
storia di utilizzazione umana. Cancellare storia, memoria, identità è
nel programma del nuovo potere totalitario che si profila dietro
l'angolo, sempre che una resistenza consapevole, e da subito, si
opponga al
disegno delle elite.