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Politica
Lupi
ospedalizzati,
cervi condannati all'inedia
Per
l'ambientalismo la "natura" è un concetto flessibile. Solo loro, gli
ambientalisti - come gli antichi sacerdoti - sono
autorizzati all'interpretazione "autentica" dei dogmi. Da una parte, in
nome della "selezione naturale", non si interviene e si lasciano morire
di fame migliaia di cervi, dall'altra si risucchiamo milioni per
foraggiare i centri di recupero e soccorso della fauna selvatica mentre
singoli lupi vengono salvati con la respirazione bocca a bocca, portati
in cliniche veterinarie, operati (tutto a spese del contribuente).
Imporre la propria incoerenza è elemento del potere di una potente
lobby mondiale come quella ambiental-animalista. Essa in Italia vale il
2%elettoralmente ma che, qui da noi, impone la sua volontà in modo
ancor più prepotente che altrove, in forza in un sistema di governance
transnazionale post-democratica.
di Michele Corti
(12.01.20) Le
contraddizioni dell'animal-ambientalismo si fanno sempre più palesi e
rivelano che non ci sono principi solidi e trasparenti dietro le
strategie politiche e mediatiche del "potere verde". Sia che si
considerino le cose sotto il profilo ecologico che sotto quello etico è
difficile trovare coerenza in tanti atteggiamenti e
posizioni
ambientaliste che si spiegano solo in termini di convenienza
e potere. Molta comunicazione ambientalista sollecita un
sentimentalismo emotivo, il senso di pietas nei confronti dell'animale.
Poi, però, quando si tratta di difendere scelte che comportano la morte
per stenti di migliaia di animali, allora si invoca la necessità di
"lasciar fare alla natura", di lasciare operare la "selezione
naturale". Prendiamo il caso dei cervi del Parco dello Stelvio. Gli
ambientalisti, in questo caso si sono sempre opposti, inorriditi
all'idea che il "povero bambi" potesse essere oggetto di controllo
selettivo. Anche quando esso avrebbe dovuto essere attuato dai
cacciatori solo in funzione di supporto e sotto il controllo dei
guardiaparco.
Di
fatto le morie invernali hanno sostituito i piani di
controllo osteggiati dagli ambientalisti. I
tecnici si sono sempre opposti alle sollecitazioni (anche animaliste)
per portare soccorso agli ungulati in difficoltà a causa delle
condizioni alimentari precarie venutesi a creare nel 2008, in minor
misura nel 2014 e poi, sempre più frequentemente, nella primavera 2018
(per nevicate tardive). Gli ambientalisti preferiscono
che, in occasione di annate un po' meno scarse di neve, di sia una
falcidia di capi che muoiono di inedia (quindi soffrendo) piuttosto che
ammettere che nei parchi, causa il divieto di caccia, si raggiungono
densità faunistiche abnormi che non hanno nulla di "naturale" e che
solo con la carabina si possono correggere.
La
situazione dello Stelvio trova riscontri in quella del Cansiglio in
Veneto o, restando in Lombardia, nelle piccole riverse del Pian di
Spagna e del Lago del Piano. Nel Pian di Spagna (ne abbiamo parlato
pochi mesi fa, vedi qui),
a cui si riferisce la foto sotto, la riserva è stata istituita per
proteggere gli uccelli di passo ma il divieto di caccia ha fatto si che
gli ungulati non si "schiodassero" più da questi "quartieri invernali".
Non c'è più la naturale migrazione verticale, non salgono più in
montagna. Cosa c'è di naturale nel fatto che i contadini debbano
lasciarsi rubare metà del fieno senza nemmeno ricevere uno straccio di
indennizzo, che i loro animali rifiutino il foraggio troppo contaminato
dagli escrementi dei cervi? Per i contadini oltre al danno c'è la
beffa; si sentono dire dagli organi di gestione, dai "tecnici" e dai
"politici" : "non possiamo farci niente perché se decidessimo di
controllare i cervi gli animalisti insorgerebbero". Un comodo alibi. E
l'Ispra cosa pensa di queste densità zootecniche con le quali vengono
gestiti i cervi in "aree protette"?
Nel
Pian di Spagna, dove trecento cervi insistono su qualche decina di
ettari di prati e di ambienti palustri "vulnerabili" (dove non possono
non fare danno), sappiamo - almeno - che la giustificazione della non
gestione della popolazione è la "paura degli animalisti". Peccato che
non lo proclamino sui media apertis verbis e ancor più peccato che i
parchi non abbiano mai "paura" di chi dalla montagna trae il proprio
sostentamento e che contribuisce a garantire i "servizi ecosistemici"
(non certo garantiti dai burocrati del wwf e della galassia delle
organizzazioni animaliste). Per i tecnici, i burocrati, i politici
conta più la potenziale protesta di quattro animalisti di città che le
rimostranze dei contadini e degli abitanti della montagna.
Carcasse di
cervi da smaltire
Tornando al Parco dello Stelvio (ma il discorso vale anche per quello
dell'Adamello) va ribadito che è inaccettabile che organi di gestione
escudano a piori ogni intervento di alimentazione di soccorso a favore
dei cervi in nome della "natura" dopo che essi stessi hanno consentito
che le popolazioni di cervi crescessero a livelli abnormi (tanto da
determinare una vera e propria degenerazione delle popolazioni, con
riduzione di taglia e fertilità e aumentata diffusione di patologie).
Non solo ma la gestione "scientifica" dei Parchi ha comportato che, su
ampie superfici boschive, venisse annullata ogni rinnovazione forestale
naturale come conseguenza di densità eccessive. Sarebbe questa una
"gestione scientifica?".
Se si dovesse lasciar fare alla natura i cervi non dovrebbero essere
nutriti dai pochi contadini che ancora mantengano i prati coltivati per
vedere poi ad essi "regalata" una parte significativa della
potenziale produzione di fieno. Non si venga poi a dire che popolazioni
cresciute in funzione di un divieto di caccia ideologico (cosa serve
"proteggere" gli ungulati nei parchi quando sono ormai numerosi
ovunque?) sono "gestite in modo naturale". Sono gestite in modo
ideologico.
Popolazioni di cervi "naturali" sono quelle che possono migrare in
inverno verso ambienti più ospitali. Ma sono lontanissimi i tempi nei
quali i cervi si spostavano in inverno lungo le grandi valli alpine per
scendere verso i quartieri invernali. In valle Camonica i cervi dal
Tonale scendevano sulle rive del Lago di Iseo. Era preistoria.
L'antropizzazione recente della montagna, con il turismo e le reti di
infrastrutture viarie, l'espansione dei paesi dei fondovalle, ha reso
ancora più difficile per i cervi spostarsi in inverno verso zone ove
trovare qualche risorsa alimentare. C'è quindi uno squilibrio
"strutturale" che impone di mantenere basse le densità in aree come il
Parco dello Stelvio ove i quartieri invernali scarseggiano.
Questo sarebbe "naturale". Non lo si fa per la già ricordata
opposizione animal-ambientalista, per l'odio ideologico contro la
caccia e i cacciatori e, last but not least ... perché la
facilità di avvistare i "bambi" in branchi numerosi come greggi di
pecore attira il turismo e trova favorevoli gli operatori turistici.
Così il bramito del cervo diventa un "prodotto turistico" e... non
bisogna far mancare la materia prima.
Non è un gioco win win (gli
ambientalisti, i politicanti, gli interessi speculativi ci guadagnano,
gli altri perdono)
Che la
rappresentazione del parco come "natura incontaminata", "santuario
della fauna" rappresenti una costruzione ambigua e ipocrita lo
conferma il tipo di "contratto", di scambio di patto scellerato alla
base della costituzione e funzionamento dei parchi. Essi nascono
sulla base di un compromesso tra le varie espressioni
dell'ambientalismo ("scientifico", militante, affaristico) e i centri
del potere locali (in Italia segnato dal clientelismo anche al Nord).
Ai primi interessano i parchi come ambito di applicazione e diffusione
dell'ideologia ambientalista, come intercettatori e gestori di
finanziamenti per progetti di taglio ambientalista che incidono anche
al di là dei parchi e rafforzano le organizzazioni ambientaliste, come
occasione per stabilire centri di controllo della spesa in grado di
accontentare, con posizioni dirigenziali e non, incarichi di
consulenza, gettoni di presenza, la crescente schiera degli
esperti conservazionisti. Una schiera necessaria a garantire la forza
d'urto della macchina propagandistica verde, a garantire l'influenza su
Università, media, politica.
Al potere locale i parchi offrono un ambito di gestione di risorse e di
incarichi. Il vincolismo e l'appesantimento burocratico indotti dai
parchi favoriscono, a spese delle piccole attività, quelle più grandi,
più vicine alla sfera politica. Quanto ai contenuti i politici delle
azioni, dei progetti delegano le decisioni ai funzionari e ai
rappresentanti delle organizzaizioni ambientaliste. Di qui progetti pro
lupo e pro orso proposti e gestiti da parchi dove il controllo politico
è in capo ad amministratori leghisti (che, in larga misura, sono
attenti agli interessi turistici e immobiliaristici, ma lasciano spesso
in pasto all'ambientalismo parchista gli interessi deboli e diffusi del
mondo rurale). Attraverso una "accorta" perimetrazione (che non
ha giustificazioni "scientifiche") i parchi massimizzano la
potenzialità di "valorizzazione" turistico-immobiliare delle aree
contigue. Il Parco attira ai suoi confini una cementificazione
turistica che aggrava i fenomeni di sconnessione tra le aree interne ed
esterne al parco già indotta dai fenomeni di infrastrutturazione e
urbanizzazione. Cosa c'è di "naturale" nella distinzione
di status tra aree separate da un confine tracciato sulla carta e
spesso oggetto di negoziazioni, compromessi, scambi politici tra
consorterie locali?
Abbiamo visto chi sono i vincitori: le
lobby ambientaliste, il potere clientelare locale. E i perdenti? Non è
difficile individuarli: i contadini, i pastori, gli allevatori che devono sobbarcarsi
più burocrazia, che devono alimentare i cervi, gli abitanti che devono
blindare gli orti e i campicelli di patate, che
rischiano di sfasciare l'auto nell'impatto con un cervo (e di
finire all'ospedale). Una entualità che aumenta quando la fame spinge i
cervi a valle, vicino ai paesi, dentro ai paesi sino a cercare cibo nei
cassonetti dell'immondizia.
Nel 2015 lo stesso turismo (che, come
visto ha un qualche ruolo nel favorire l'abnorme proliferazione dei cervi) è
stato penalizzato. Cosa mai vista in precedenza ogni escursione a
piedi, con le ciaspole e con gli sci era stata vietata nel Parco
Nazionale dello Stelvio, settore lombardo, sino al 15 maggio. Lo aveva
stabilito un Decreto del presidente del Consorzio di gestione. Va detto
che il Parco ammettev,a obtorto collo, che la causa di questa misura
senza precedenti era legata alla "eccessiva densità"
faunistica. Ma chi, in anni di moria, gira in primavera per
il Parco deve prepararsi alla vista poco piacevole delle carcasse
putrefatte e al relativo olezzo. Per evitare ai turisti
spiacevoli spettacoli le carcasse rinvenute (se ormani non troppo
consumate da animali necrofori o putrefatte) vendono prelevate e
trasportate sino a Brescia per l'incenerimento. Ma è un "lasciare fare
alla natura"?
Se il cervo deve essere "lasciato alle
forze della natura" e quindi lasciato morire di fame non dovrebbe
pensare la natura alle carcasse, almeno quelle lontano dagli abitati?
Perché spendere energia per trasporto, elettricità quando la natura è
in grado di pensarci da sola? Se l'uomo deve intervenire sulle carcasse
non potrebbe intervenire prelevando gli animali in eccesso o portando
un po' di fieno prima che deperiscano troppo? Non è più onesto
riconoscere che la "natura selvaggia" è una farsa, che le barriere
ecologiche, l'urbanizzazione, l'irrigimentazione dei corsi d'acqua, le
captazioni, le gestioni boschive impediscono di poter parlare di
un "ambiente naturale". Quando si vaccinano gli
animali (come avviene per la rabbia silvestre spargendo bocconi
al vaccino) se ne protegge anche la salute, prendendoli in carico come
fossero animali domestici. Ma allora come si può parlare ancora di
"natura che fa il suo corso"? Una tragica farsa di cui pagano le
conseguenze gli animali e chi vive in montagna ed è l'ennesima
espressione del colonialismo ideologico e materiale della città sulla
montagna.
I comuni, dopo lo smantellamento della
polizia provinciale, a seguito della sciagurata "riforma" Del Rio,
devono accollarsi questo onere. Un compito che va a gravare sul poco
personale dei comuni di montagna e sulle casse comunali nella misura di
25 euro il quintale, che vanno aggiunti al costo del personale e del
trasporto. Il tutto moltiplicato per centinaia di volte. Pensiamo ora
alle conseguenze pratiche della scelta politica di subire l'ideologia
del "santuario della natura", dove l'empio cacciatore non deve posare i
suoi piedi profanatori, dove il cervo deve morire di stenti per la
soddisfazione ideologica ambientalista e, concretamente, perché
"proteggendo bambi" dai cattivoni al wwf arrivano tessere e donazioni e
consolida il suo potere poilitico e la sua influenza.
Oltre alle sofferenze dei cervi vediamo
quanto costa il giochino sporco in termini economici. Oltre alle auto distrutte dai cervi
calati a valle affamati, alle spese per "smaltire" le carcasse dei
cervi dovrebbe essere considerato il valore della carne che poteva
essere ottenuta contenendo la popolazione dei cervi entro limiti
tollerabili. Carne che avrebbe evitato l'acquisto di prodotto estero,
magari da allevamenti semi-intensivi, di certo meno "naturali". Sì,
perché, a dispetto di tutto il sostegno dell'opinione pubblica alle
iniziative demagogiche del WWF a "tutela della fauna", gli stessi
benpensanti - trasferitisi da Milano e Brescia in alta Valcamonica per
le festività - magari concedendosi uno strappo alle diete vegane che in
città fanno trendy - incoraggiati dall'aria frizzante della montagna,
le loro brave abbuffate di stufato di cervo, un piatto tipico peraltro
finto (i cervi sono ricomparsi da pochi decenni) non se le negano.
Cervi dei Parchi:
condannati a morte per fame in attesa di divenire carne da lupo
L'ambientalismo ha
imposto in Svizzera norme severe su chi soccorre un animale selvatico;
centinaia di franchi di multa se alimenti un cervo in difficoltà per la
neve. Sanzionando un comportamento, in condizioni di reale
eccezionalità, era frequente per i contadini alpini. Al di là del
foraggiamento invernale degli ungulati, praticato regolarmente nel
contesto della cultura venatoria germanica, il soccorso fornito agli
ungulati selvatici dai contadini era del tutto disinteressato; essi si
privavano del fieno prezioso per i loro animali per aiutare i cervi in
difficoltà. E' il comportamento naturale che, di fronte a un animale in
difficoltà, non solo muove solo l'uomo a fare qualcosa ma spinge un
animale stesso a soccorrere un suo simile o un animale di un'altra
specie. Sono comportamenti spontanei, innati, come quelli che spingono
una femmina ad adottare a allattare un cucciolo di un'altra specie per
salvarlo. Non c'entra la morale umana, è qualcosa che la precede.
Negare il soccorso all'animale in difficoltà e sofferente è più che
disumano, e' disanimale. L'uomo razionale, moderno affindandosi ai
concetti astratti, autonomizzandoli, onorandoli e adorandoli in luogo
del sacro e del divino è scaduto al di sotto della più bestiale
ferocia; è arrivato a infliggere ai suoi simili orrori mai visti . In
nome della farsa della "selezione naturale" (quanti
disastri ha fatto il darwinismo!) il cervo deve agonizzare tra gli
stenti della fame. Il WWF non contesta più, come faceva sino al
2008, i Parchi perché non foraggiano in inverno i "bambi", si è
allineato - per i cervi dei parchi - alla "dura legge della
natura". Ma perché? Perché vuole che bambi diventi carne da lupo e deve
preparare il terreno psicologico.
La direzione "scientifica" dei Parchi , in sintonia con tutto
l'ambientalismo, vede nella sovrapopolazione di ungulati uno strumento
per favorire l'insediamento di numerosi branchi di lupi. Il lupo è il
messia che deve ripristinare l'equilibrio naturale. Possibilmente
accompagnato dal corteggio di orso e lince. Ovviamente si tratta
di una mistificazione ideologica. L'automatica e perfetta regolazione
delle popolazioni erbivore da parte dei grandi predatori è un concetto
mistico. Persino a Yellowstone le cose non stanno come le raccontano
gli ambientalisti e i conservazionisti scientifici ideologizzati.
Persino a Yellowstone , che ha una superficie pari a 64 volte il Parco
dello Stelvio, (quest'ultimo, oltretutto, attraversato da strade e
circondato da insediamenti turistici), la fiaba del lupo che,
reintrodotto dall'uomo, ha ripristinato l'habitat decimando i cervi
rappresenta una narrazione propagandistica (chi volesse approfondire
può andare a vedere qui).
Cervi uccisi
dai lupi a Yellowstone
In sintesi a Yellowstone: 1) la sovrapopolazione di cervi è risultata
consegunza del divieto di caccia (prima praticata da nativi e dai
pionieri bianchi); 2) la riduzione della popolazione dei cervi è stata
determinata anche all'aumento della predazione da parte degli orsi che,
come ci ricordano storici cartoons, sono i protagonisti del parco ed
erano aumentati dopo che la direzione scientifica del parco aveva
deciso di introdurre una trota alloctona con comportamento diverso da
quella autoctona e più facilmente predabile dagli orsi; 3) la ripresa
della vegetazione compromessa dall'eccessiva presenza dei cervi
richiede anche la presenza dei castori che creano sistemi idraulici e
numerosi corsi d'acqua, così dove i castori erano scomparsi, lupo o non
lupo, la vegetazione dipendente dall'acqua non si è ripresa.
Bastano queste poche osservazioni per capire che il meccanicistico
credo che assegna al lupo il potere di ripristinare l'ambiente nelle
migliori condizioni di equilibrio è una favola. Persino a Yellowstone
gli interventi dell'uomo hanno inciso profondamente sull'equilibrio
ecologico. Pensare che senza interventi correttivi da parte umana (e
senza azzerare le influenze antropiche dentro e fuori i parchi) sia
ripristinabile un mitico equilibrio naturale tanto che si possa
"lasciar fare alla natura" è una forma di religione non di ecologia. Vi
è poi una considerazione fondamentale: a Yellowstone non ci sono
animali domestici, nei nostri parchi si. E l'idea che il lupo
regoli in modo infallibile le popolazioni di erbivori selvatici
quando può predare, almeno durante la buona stagione, quelli domestici
è un atto di fede. Non ci vuole molto a capire che una massiccia
presenza del lupo in ambienti alpini è voluta dagli ambientalisti non
tanto per "regolare" i cervi quanto per eliminare o ridurre al lumicino
la presenza degli animali domestici. Eliminare strade e impianti
sciistici non è possibile (perché il potere economico lo impedirebbe),
eliminare gli animali domestici, i pastori, i contadini è obiettivo più
a portata di mano che tende a far avvicinare il parco all'ideale del
"santuario della natura".
Per ora, però, la religione del lupo ha successo. Se aiutare il cervo è
"contronatura", aiutare il lupo è doveroso, anche in forme
parossistiche che fanno arrivare a credere che si dedichino più sforzi
per salvare la vita dei lupi rispetto a quelli dedicati a salvare vite
umane. Si devono salvare, curare, ospedalizzare i lupi perché sono un
animale in via di estinzione? Macché, è in via di esplosione. E allora?
Perché, perché è una "specie superiore", oggetto di un culto
ambientalista, perché è simbolo e strumento dell'ulteriore aumento di
controllo sullo spazio rurale da parte dei poteri urbani.
Il lupo, in forza del concetto astratto di "specie di valore superiore"
(un concetto molto sospetto e fortemente inquinato - non certo per caso
- dalle analogie con le "razze superiori" e i "popoli eletti"), vertice
della catena alimentare (una pennellata di vernice "scientifica" che
riattualizza vecchie mitologie), taumaturgico rigeneratore degli
equilibri naturali, eletto a totem e idolo da adorare, deve essere
soccorso, salvato, guarito, curato a ogni costo per affermarne
l'intoccabilità, per affermare, attraverso il lupo come transfer, il
successo dell'ideologia animal-ambientalista, per sancirne il potere.
Non importa se in Italia c'è la saturazione di lupi, se sono troppi se
sono a dir poco 5 mila, se tra poco ci supera solo la Russia sconfinata
come entità di popolazione lupina, il lupo è sacro. "Ci sono animali
più uguali degli altri" proclamava Napoleone, il maiale che si impose
come feroce dittatore nella Fattoria degli animali orwelliana. Quanto è
diventato vero. Oggi chi (umano) nega la sacralità del lupo è meno
uguale degli altri.
L'episodio del lupo salvato dalle
conseguenze di un incidente stradale qualche giorno fa è indicativo. I media lo hanno salutato con
particolare enfasi, compiacendosi per il civismo che si afferma
"anche" in Calabria (come dire: persino nella Calabria incivile ci sono
persone degne che salvano il lupo). Dalle cronache farsesche del
salvataggio del lupo, battezzato con insuperabile fantasia "Lupo",
apprendiamo che il medico curante ha assicurato il giornalista,
recatosi a sincerarsi delle condizioni del paziente, che esso (o egli?)
non solo aveva recuperato la salute ma anche.... l'autostima. Dal che
si potrebbe dedurre che gli è stata assicurata sacrosanta assistenza
psicologica oltre che medica. Sai... il trauma...
La beffa è stata la notizia arrivata
due giorni dopo dalla Calabria (accompagnata come da prammatica
da note di esecrazione, vesti stracciate e alti lai), del lupo
impiccato (dopo essere stato ucciso dal boccone). Qualcuno,
evidentemente, ha inteso - sul piano simbolico - reintegrare il lupo in
una dimensione terrena, mortale. Ritenendo inopportuno riservare a
quello che, per chi alleva, è tuttora un "nocivo", cure che a volte non
ricevono a volte i poveri umani. Il metodo è discutibile ma
l'operazione simbolica, già ampiamente sperimentata in altre regioni,
"ci sta". Ed è triste che per ricordare che, dopotutto, il lupo è (nel
bene e nel male) un animale come tutti gli altri, si debba ricorre a un
linguaggio simbolico così crudo. Estremizzazione chiama
estremizzazione. Quanto più il lupo è idealizzato, innalzato a bandiera
della "natura ripristinata", sacralizzato, quanto più si vuole imporre
l'inviolabilità del santo feticcio, quanto più, chi difende molto
concretamente le sue pecore, le sue capre, le sue vacche, è costretto a
gesti plateali, "blasfemi", di dissenso, di protesta che
deve ricorrere a una contronarrazione simbolica dissacrante, gesti che
fanno inorridire i tartufi benpensanti. Ma c'è un altro modo per
arrivare sui media per chi dissente dalla religione del lupo, per chi
contesta la lobby del lupo? Quest'ultima porta tutta la responsabilità
morale per i bocconi avvelenati, per le macabre esposizioni, essa che
non lascia spazio per il dissenso, che ridicolizza e stigmatizza con i
marchi più infamanti ogni opinione contraria è la prima nemica del
lupo. Perché i modi crudeli (bocconi, ganci ecc.) di controllo illegale
del lupo sono la conseguenza del voler imporre in Italia, unico stato
al mondo dove esistono popolazioni di lupi che impattano sulle risorse
pastorali, il principio del "lupo intoccabile". Mentre la
Svizzera, la Francia, i paesi scandinavi (per non parlare della Spagna
dove, nel Nord, la caccia al lupo è legale) applicano prelievi delle
popolazioni lupine dal 10 al 20% dello stock, in Italia, anche contro
il parere della lupologia scientifica che non può ammettere
l'imbarazzante principio dell'inviolabilità e che avrebbe preferito un
prelievo legale simbolico, il controllo legale resta pari a 0%. Di qui
la giustificazione pratica e morale per il controllo illegale che,
repetita iuvant, non c'entra nulla con il "bracconaggio" che è caccia
illegale volta alla vendita di trofei.
Per il cervo vale la "legge di natura": siete troppi, anche se la colpa
è nostra, quindi crepate di fame in omaggio all'obbedienza delle leggi
di natura". Se il cervo è sacrificato sull'altare del
concetto-di-natura, il dio lupo, che ha uno status ontologico
"superiore", sfugge alla legge di natura. Per soccorrerlo, per curarlo
si ricorre alla respirazione bocca a bocca (sì, ci sono adepti del
culto che arrivano a tanto), alle ambulanze, alle cure ospedaliere,
alla camera operatoria, alle degenze pagate dal contribuente.
I lupi soccorsi sono vittime, a
volte, di bocconi, altre di investimenti ma, a volte, anche di
circostanze naturali. E allora, insistendo, chiediamo agli
animal-ambientalisti perché per il lupo non vale la legge di natura? E'
in via di estinzione? Manco per niente, è in via di saturazione di
molti spazi rurali e sta espandendosi nelle pianure che, persino i
lupologi, ammetto non essere habitat "vocazionale". Stanno arrivando,
per fortuna, vicino alle città, per fortuna, diciamo noi, perché la
strage di pet prossima ventura e la presenza nelle periferie degli
"innocui splendidi animali" determinerà una crisi di rigetto
dell'opinione pubblica nei confronti della lupocrazia.
In questo clima di adorazione del
dio lupo (pr quanto ancora?) come meravigliarsi se spontanei adepti dei
suoi misteri si preoccupano di alimentare l'oggetto della loro
adorazione. Così, mentre guai a pasturare il cervo che muore di fame,
si "spargono sistematicamente frattaglie" per attirare la
presenza del nume.
Il soccorso istituzionalizzato (milioni di
euro per i CRAS)
Mentre i
Parchi dichiarano, ipocritamente, di non voler soccorrere gli animali
in difficoltà per "lasciare che la legge naturale abbia il suo
corso", in Italia si assiste alla proliferazione dei CRAS (Centri
per il recupero degli animali selvatici), una delle forme
istituzionalizzate della rete ambientalista finanziata dallo stato, che
assorbono milioni di euro di finanziamenti per "recuperare" (curare e
rilasciare in "natura" i soggetti soccorsi) o, se irrecuperabili,
mantenerli a spese del contribuente. Oltre a rappresentare una delle
plurime forme con le quali gli ambientalisti succhiano finanziamenti
statali, essi sono una palese contraddizione con i principi delle leggi
di natura invocate dall'ambientalismo. Di coerente c'è solo
l'abile strategia per ottenere risorse e voce in capitolo in
sempre più vasti ambiti.
Mentre i verdi non riescono in Italia a raccogliere il 2% dei consensi,
grazie ai meccanismi legislativi che li riconoscono "rappresentanti
dell'ambiente" (ovviamente autoproclamatisi) si rafforza una governance
post-democratica in cui sempre più decisioni sono assunte da organismi
non elettivi, non rappresentativi della generalità dei cittadini, delle
realtà territoriali. Il tutto mentre il potere si sposta sempre
più verso livelli sovranazionali con perdita ulteriore di capacità di
controllo e di essere rappresentati dei cittadini e
corrispondente aumento di potere delle lobby come quelle ambientaliste.
Che manna il lupo.
L'ambientalismo
messo a nudo
Intoccabile ambientalismo? Forse non più
(21.07.19) Una "transizione energetica" ed ecologica che pone seri
problemi di costi economici e sociali, pensata per penalizzare i più
poveri. Il sostegno ambientalista che va solo a soluzioni "ecologiche"
gradite al business. Nessun impegno a incalzare le istituzioni e a
scontrarsi con i grandi interessi economici su temi realmente
ecologici. C'è poi l'irritante animal-ambientalismo di stato di Costa,
esagerato e plateale, con la farsa dell'orso Papillon. Il WWF che
sfascia impunemente le spiagge (con Jovanotti). Tutto ciò sta facendo
aprire a molti gli occhi. E così si sta rompendo il tabù
dell'ambientalismo buono, puro e santo che nessuno, tranne i fautori
impavidi dell'energia nucleare e degli ogm, osava criticare. Così
qualcuno, oltre i "soliti matti", inizia ad avanzare dubbi sul WWF e
sugli scienziati dell'Ispra.
Il
capitale sostituisce la sinistra con il liberal-ambientalismo?
(13.07.19) Troppi
segnali indicano che il sistemacapitalista sta cambiando cavallo. La
sinistra è stata utile a far ingoiare austerity e ultraliberismo ma
ormai non imbroglia più nessuno. Serve un nuovo soggetto che inganni il
popolo con altre storie. La catastrofe climatica ben si presta a far
ingoiare bocconi ancora più amari alla plebe, non solo sul piano
del lavoro e dei diritti sociali ma anche del cibo (menù: insetti e
alghe). Alle manovre in corso partecipano, oltre ai burattinai, Greta,
Bergoglio e, da poco, anche il sindaco Sala autocandidato leader
del nuovo partito liberal-ambientalista
Sergio
Costa e l'orso M49: un caso politico illuminante
(13.06.19) Da due mesi
la provincia di Trento ha chiesto l'autorizzazione a catturare l'orso
M49, autore di una serie di gravi predazioni (il bestiame viene
aggredito dentro le stalle anche in vicinanza di case abitate). Il
ministro Costa, un generale dei carabinieri forestali, da sempre
organico ai Verdi, non si preoccupa neppure di rispondere in modo
formale e comunque fa sapere che "non è opportuno" catturare il
plantigrado. Ne fa un arma della sua battaglia politica contro la Lega
e l'autonomia delle regioni del Nord
Jovanotti,
montagna e mercificazione
neoliberale
(09.04.19) Messner
interviene contro il mega concerto estivo di Jovanotti/ WWF
sulle Dolomiti (Plan de Corones) e gliambientalisti si offendono.
Se lo fanno un cantante buonista ecomondialista e il WWF allora
anche un concerto pop a 2275 m diventa sostenibile e guai a chi
contesta
L'ambigua
cultura del bosco
(30.03.19) L'ideologia del bosco ha radici plurime che si richiamano a
una... selva di simboli. Essa è capace di richiamare valori che si
collocano agli antipodi: libertà e autoritarismo, peccato e innocenza,
razionalità e irrazionalismo, individualismo e statalismo.
Come tutte
le suggestioni ambigue anche il richiamo apparentemente innocente
all'amore
per il bosco è capace di suscitare un consenso manipolato.
Idolatria
boschiva: cosa c'è dietro?
(24.03.19) La
superficie forestale ha superato nel 2018 quella agricola, rappresenta
il 40% del territorio nazionale contro l'11% del 1950.
L'Italia à dunque un paese ricco di boschi (di che qualità?) e gli
ambientalisti da salotto (ma anche tanti esperti con il paraocchi)
giubilano.
Ghiacciai
alpini inquinati dai pesticidi
(17.03.19)
I risultati di un gruppo di ricerca dell'Università Bicocca, ricavati
dallo studio delle acque di fusione di sei ghiacciai alpini, mettono in
evidenza la gravità del fenomeno. e dovrebbero far riflettere chi ha
fiducia nell'ambientalismo neoliberale che fa credere che creando i
parchi e reintroducendo il lupo si possa proteggere e ricreare una
natura "incontaminata".
Ambientalismo,
neocolonialismo, capitalismo: violenza ed ecoingiustizia contro gli
ultimi
(23.02.19) La
gestione delle aree protette nei paesi ex-coloniali rappresenta
l'ambito nel quale è più evidente la continuità con il vecchio
colonialismo. In nome della tutela della natura le grandi
organizzazioni ambientalistiche gestiscono floridi business e non hanno
esitato a scacciare con l'inganno, a volte anche con la violenza,
milioni di persone dalle loro sedi ancestrali.
Il
lupo riduce la biodiversità alpina
(29.12.18)
Materiali per un manifesto pro pastoralismo, contro la diffusione del
lupo sulle Alpi.
Le
radici storiche e ideologiche del beceroanimalismo
(09.12.18) L'Italia le circostanze
storico-sociali hanno prodotto una
cultura fortemente antirurale lontana anche dalla dimensione naturale
concreta. Nella realtà contemporanea su questo sfondo si è sviluppato
un animalismo ben poco ecologico, molto ideologico che sconfina nel
culto pagano e che reitera i cliché anticontadini
Animalismo,
biocapitalismo, ecototalitarismo
(30.06.15) Proseguiamo la riflessione sul
biocapitalismo e le ideologie ambientaliste allargando la riflessione
all'animalismo che in modo più esplicito e violento nega il valore
della vita umana. Esso si presenta come un perfetto strumento per
legittimare i paradigmi del nuovo biocapitalismo in cui l'uomo diventa
una merce da fabbricare e la vita umana può essere rliminata senza
particolari scrupoli (come e peggio che nei Gulag e nei Lager)
Gli
orsi sparigliano politica e istituzioni
(01.09.14) Le
destre cavalcano l'animalismo ma rischiano di scottarsi (loro e la
sinistra) La gestione degli orsi trentini è scappata di mano. Il
conflitto sociale, ideologico, territoriale innescato dall'aver
sovraccaricato Life Ursus di valenze di ogni tipo impatta in modo
imprevedibile sulla politica
L'imbroglio
ecologico (IV e ultima parte)
(09.12.13) Nella storia di Legambiente si
rispecchia un ambientalismo di regime, apparato di controllo sociale e
di "acculturazione" funzionale alla greed
economy turbocapitalista. Con un "pensiero ecologico" debole
appiattito sulla modernità e l'ideologia scientista, tecnocratica.
Centralismo comunista accoppiato con i meccanismi delle
corporation. Ma il dissenso cresce.
L'imbroglio
ecologico (parte III)
(02.12.2013) Dalla critica al capitalismo della
prima ecologia politica alla partecipazione all'affarismo della green
economy. L'ambientalismo, nel solco del progressismo illuminista,
come supporto ideologico e cosmetico al biocapitalismo dello
sfruttamento integrale
L'imbroglio
ecologico (parte II)
(16.11.2013) La nascita dell'ambientalismo come
movimento sociale negli anni '80. I condizionamenti sulla nascita del
movimento ambientalista del travaso dell' "eccesso di militanza" dalla
"sinistra rivoluzionaria" e dell'egemonia culturale del PCI. La
divaricazione tra localismo e ambientalismo quale occasione mancata. La
necessità di andare oltre la sinistra (e la destra) per recuperare
spazi di autonomia sociale
L'imbroglio
ecologico (ambientalismo, sinistra, trasformazioni sociali nell'era del
capitalismo neoliberista)(I)
(07.11.2013) Oggi l' ambientalismo è la
proiezione della Green economy capitalista e i movimenti devono
imboccare con coraggio nuove strade, oltre la sinistra e la destra e
oltre l'ambientalismo per una nuova autonomia dei soggetti e delle
comunità popolari. L'imbroglio ecologico è finito perché il ruolo
dell'ambientalismo istituzionale è palesemente di controllo sociale.
Prima parte di un ampio contributo che ripercorre la storia dei
rapporti tra ambientalismo, sinistra, capitalismo e movimenti sociali
dai primordi del movimento ambientalista ad oggi.
Per
una gestione comunitaria delle risorse e dei problemi ambientali (IV)
(08.01.13) Attorno ai problemi, dei rischi per
la salute legati alla nocività ambientale e alla volontà di gestire in
positivo le risorse territoriali sta crescendo nel mondo un movimento
post-ambientalista.
Dalla
tecnocrazia alla scienza comunitaria (III)
(02.01.13) La tecnocrazia ha imposto un
modello di scientificizzazione della politica che svuota la democrazia.
Si è imposta anche nella forma di "ecopotere" con il pretesto della
"tutela della natura dall'uomo". La riduzione del rischio presuppone
però una strada diversa, quella di una scienza civica e
comunitaria e più ampi spazi di democrazia
Ripensare
la relazione tra la natura e la società (II)
(02.01.13) L'affermazione di una gestione
partecipata dei problemi ambientali e delle risorse è indispensabile
per fronteggiare crescenti rischi e la tendenza tecnocratica a
concentrare decisioni con pesanti implicazioni sociali nelle mani di
pochi e sulla base di incerti presupposti scientifici. Per muoversi in
questa direzione, però, è necessaria una profonda revisione di alcuni
fondamenti ideologici della modernità e della "civiltà occidentale"
e dello stesso ruolo della scienza.
Oltre
l'ambientalismo istituzionale crescono nuove reti (I)
(01.12.12) Da una ventina di anni in qua sta emergendo un
post-ecologismo "di base" non ideologico che opera nella dimensione del
monitoraggio ambientale e della stessa gestione sostenibile e
partecipata delle risorse
contatti: redazione@ruralpini.it'.
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