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Politiche
Pian
di Spagna: Un parco dei cervi a cinque stelle (a spese degli
agricoltori)
Nella riserva del Pian di Spagna, dove esistevano molte e fiorenti
aziende zootecniche, quasi 300 cervi stanno provocando gravi danni alle
aziende rimaste. Non solo a causa della perdita del raccolto di fieno
(di per sé decine di migliaia di euro di danni) ma anche per il
concreto rischio sanitario legato alla fortissima densità dei cervidi,
all'imbrattamento del foraggio, alla pericolosa prossimità quando non
presenza nelle pertinenze delle aziende. Perché non è ancora partito un
piano di controllo, pur ricorrendo tutti gli elementi per la sua
attivazione? Per "paura degli ambientalisti". E perché non c'è
trasparenza nei mancati o ridotti indenni del danni?
di Michele Corti
(02.05.19)
Il Pian di
Spagna è il risultato di alluvioni recenti e di interventi atti a
facilitare il deflusso delle acque nonchè a prevenire le conseguenze
delle alluvioni dell'Adda. Il Piano semplicemente non
esisteva prima del medievo. In epoca romana il bacino del Lario
arrivava sino a Samolaco (Summo lacu).
Il corso attale dell'Adda è frutto della rettificazione e
canalizzazione, realizzate tra il 1853 e il 1858 dal governo lombardo-veneto.
In
precedenza l'Adda sfociava in prossimità dell'attuale Ponte del Passo
(vedi qui la mappa asburgica dove è indicato il traghetto). Sino
al 1520, anno di disastrose alluvioni, l'Adda si immetteva direttamente
nel
lago di Mezzola, con la foce prossima alla sponda rocciosa retica. Dopo
il 1520 il fiume prese a dividersi in meandri che resero il Piano di
Spagna paludoso e malarico. Tanto è vero che la guarnigione spagnola
del Forte di Fuentes soffriva non poco per le febbri. La
militarizzazione del piano, impedendo ogni intervento, contribuì
all'impaludamento. Anche in
precedenza si erano comunque verificate spaventose alluvioni.
Dell'antico borgo romano e medievale di Olonio (sempre presso il
Ponte del Passo) non restano che pochi ruderi in quanto l'abitato fu
sepolto da spessi strati di depositi alluvionali. Nel 1432 la
Pieve venne trasferita a Sorico
. Gli unici resti a testimonianza della posizione di Olonio e della sua
importanza strategica, prima di recenti scavi, furono - sino ai primi
decenni del novecento - quelli dell'antico castello, caduto in rovina a
seguito dell'alluvione del 1520, ma di cui si era conservata una torre
(la Torre di Olonio). Al miglioramento delle condizioni del Piano, come
effetto della rettifica e canalizzazione dell'Adda del 1858, seguirono
diverse iniziative di bonifica.
Nel
1899,
San Luigi Guanella (da tutti, in Valchiavenna, alto Lario, bassa
Valtellina ancora affettuosamente chiamato semplicemente "Don
Guanella"), inizia la bonifica che consentì la formazione del villaggio
di Nuova Olonio, dove furono realizzate opere assistenziali e il
santuario della Madonna del lavoro. Don Guanella, con la bonifica,
eseguita con esperti lavoranti veneti e con i suoi "figli" (i
disabili), voleva offrire ai contadini alternative all'emigrazione in
America, che allora pareva minacciare di spopolare queste come altre
zone di agricoltura povera. Egli, in
anticipo sulle teorie pedagogiche moderne, vedeva nel lavoro agricolo
anche uno
strumento terapeutico per la cura della disabilità. Il Pian di Spagna
restava ancora però una delle "classiche" zone malariche d'Italia. Alle
bonifiche
guanelliane seguirono quelle di epoca fascista (1927-29) e quelle degli
anni cinquanta (su oltre un centinaio di ettari). La malaria allora
divenne un ricordo.
Riassumendo:
in epoca romana c'è solo l'acqua del lago di Como; tra la tarda
antichità e il medioevo si forma una piana che diviene oggetto di
coltivazione, tanto da rendere prospero il comune di Sorico con la
produzione agricola. Tra il 1520 e il 1858 tutta l'area si
impaluda ed è preda della malaria; l'unico sfruttamento possibile è con
il pascolo. Tra il 1858 e il 1954 il Piano viene bonificato e
sottoposto a intensa coltivazione agricola. E i cervi ? La
presenza attuale è, a parte la densità abnorme, un fatto "naturale",
che
rispecchia una realtà antica? Vero è che le basse valli alpine erano,
in tempi preistorici, oggetto dello svernamento invernale di grandi
raggruppamenti di cervi. Così in Valcamonica, dove essi migravano
stagionalmente tra il Tonale e le sponde del lago d'Iseo e così
probabilmente
avveniva anche nel Piano di Chiavenna. Nel medioevo, però, vi era una
transumanza ovina importante tra l'alta Valchiavenna e la Valbregaglia
e il Piano di Chiavenna, che fa ritenere improbabile la presenza di
cervi, sia qui che nel Pian di Spagna. Con l'intensificazione del
popolamento della montagna, che raggiunse il massimo prima della peste
nera del XIV secolo, la coltivazione dei versanti e dei maggenghi
conobbe un'estensione che non fu più eguagliata nemmeno nel XIX secolo
anche in relazione a un ottimo climatico (faceva più caldo di oggi).
Gli ungulati selvatici vennero spinti in alto. Il camoscio,
adattandosi, divenne un animale rupicolo, il cervo gradualmente
diminuì, sino a scomparire tra XVII e XVIII secolo. Ben diversa la
situazione in alta Valtellina dove, forse, non è mai scomparso.
Il mondo cambia, anzi si ribalta
Con
gli
anni sessanta
il mondo cambia: nelle città il ceto medio-alto, dimenticate presto le
ristrettezze alimentari della guerra (che non avevano
risparmiato neppure
fasce relativamente benestanti), inizia a ragionare in termini
ambientalisti e le
paludi che avevano rappresentato, sino al giorno prima, cause di tanta
miseria umana diventano "aree naturalistiche pregiate". Nel 1971
l'Italia firma la
convenzione di Ramsar per la
tutela dell'avifauna migratoria e si impegna a conservare gli habitat
propizi.
La convenzione veniva ratificata nel 1976 e, come conseguenza, vengono
istituite alcune aree protette, tra cui la Riserva del Pian di Spagna e
del lago di Novate
Mezzola, individuata quala sitio di importanza internazionale per la
sosta degli uccelli di passo, al crocevia delle principali rotte
migratorie e in
considerazione della localizzazione strategica a ridosso dei punti di
valico delle Alpi. Scopo pricipale della Riserva, istituita nel 1981,
era, e rimane, la conservazione di un ambiente idoneo alla sosta e alla
nidificazione dell'avifauna migratoria. Per assicurare questa finalità
essa ha il compito di tutelare e mantenere le caratteristiche naturali
e paesaggistiche dell'area umida, un compito che viene svolto
"disciplinando" le attività antropiche. Va subito precisato che
la Riserva è anomala rispetto alle altre aree protette che ne
condividono la tipologia, in quanto decisamente più ampia, tanto da
assumere i connotati di un "piccolo parco".
Si
riscontra una anomalia: la Riserva è troppo grande per essere una vera
riserva e troppo piccola per essere considerata Parco. La
pianificazione
dovrebbe limitare la riserva alla Poncetta, alla foce dell’Adda, a
poche aree
nelle quali neanche il visitatore possa entrare (come in una vera
riserva),
mentre l’attuale perimetro potrebbe essere ampiamente allargato, purché
sottoposto alle normative dei Parchi, incentivando le attività
turistiche ed i
progetti che potrebbero ottenere finanziamenti (1).
La Riserva del Pian di Spagna si
stende su due
provincie (Como, con il 59% dell'area) e Sondrio, su tre comunità
montane e su cinque comuni, Gera, Sorico (che fa la parte del leone con
il 42%) Verceia, Novate Mezzola e Dubino. Per
quanto importante la superficie di massimo rispetto, di valore
naturalistico (fascia R1), è molto limitata (la si osserva nella carta
sotto, indicata in verde). Gran parte della superficie della riserva è agricola.
Mappa: M.Corti su dati
vettoriali della cartografia regionale
Esclusi
gli specchi d'acqua e l'alveo
fluviale del
Mera, la superficie è di 1.000 ha, di cui la gran parte a prato
stabile,
con complessivi 693 ha (compresi quelli con presenza arborea). I
"boschi",
prendendo per buona la definizione ufficiale (che attribuisce
quesa categoria a quattro piante), rappresentano solo 61 ha, i
seminativi 37 (quasi tutti a mais, per quanto molto diminuito). La
vegetazione palustre 13 ha. Questi dati sono essenziali per capire il
problema del danno arrecato dai cervi alle attività zootecniche della
Riserva. Per avere un'idea realistica di questa "area incontaminata" e
dimenticare di essere a una Yellowston in miniatura, è bene anche
ricordare che nel perimetro della Riserva vi sono ben tre ex discariche
di scorie tossiche (cromo esabalente) della ex Falk di Novate Mezzola, l'impianto di Telespazio, elettrodotti, il depuratore di Nuova Olonio, campeggi, una linea ferroviaria.
In anni recenti la Riserva è diventata anche ZPS (zona di
protezione speciale) ai fini della tutela dell'avifauna e ZSC (sito di
interesse comunitario) per via della presenza di diversi habitat
prioritari riconducibili alle aree umide
(codici 3150, 6410, 6510, 91E0). Il tutto nel contesto della Rete
Natura 2000. Tutte queste "qualifiche" portano alla Riserva importanti
risorse (il Piano Natura 2000 2010-2020 della Riserva prevede azioni
per un milione di euro). Poi, però, per gli indennizzi dei danni della fauna all'agricoltura non ci sono soldi.
Già nel 2014 gli agricoltori protestavanbo con forza. I cervi erano 180
Le aziende agricole "intrappolate" in una
Riserva con rigorosi vincoli
In
un'area
protetta che è in larghissima misura agricola, le attività
agro-zootecniche che, come abbiamo visto, sono state possibili - a
partire dalla metà dell'Ottocento - grazie a un duro lavoro di
bonifica, si sono trovate "intrappolate" in un contesto fortemente
vincolistico che limita le utilizzazioni del suolo alle modalità
tradizionali (il che potrebbe anche risultare
comprensibile), ma che impedisce anche ogni nuova edificazione.
Il processo di concentrazione delle aziende zootecniche, imposto dalle
condizioni di mercato e dalla stessa politica agricola europea, ha
comportato una forte contrazione del numero di aziende zootecniche, qui
- almeno sino a pochi anni fa - tutte ad indirizzo da latte. Da 50
aziende nel 2010, con 1100 capi, oggi siamo scesi a 4-5 aziende
con sede nella riserva più una quindicina di aziende piccole e medie
che utilizzano i prati per la produzione del foraggio ma hanno sede
fuori dalla riserva, in comune di Dubino. Vi sono poi diversi
coltivatori con piccole estensioni di terreno senza animali. Dentro la
riserva oggi vi
sono
stalle per solo 700 capi da latte e un centinaio da carne mentre, nel
2001 vi erano 1700 capi da latte e 600 da carne (2). L'esigenza di
costruire nuove stalle ha portato a dei contenziosi e la proibizione
minaccia il
futuro delle aziende dove, almeno in alcuni casi, non mancano le
giovani leve. Tra i vincoli e i disagi imposti dalla riserva va citato
il restringimento del calibro delle strade campesti in carico alla
Riserva (peraltro in pessimo strado) a soli 2,0 m.
Non
va dimenticato, ad uso di chi vive solo di "valori
naturalistici", che il Pian di Spagna ha grandi tradizioni
zootecniche che risalgono al periodo tra le due guerre mondiali. L'area
era,
insieme alla Valsassina, la più zootecnicamente avanzata della montagna
comasca nella selezione del bestiame da latte e una vera fonte di
torelli di razza bruna, che trovavano collocazione in ambito regionale.
La
tradizione allevatoriale risale però a tempi remoti, precedenti le
bonifiche del Piano. Qui, a dispetto della superficie livellata e della
modesta quota altimetrica, vi sono radici montanare, c'è una forte
tradizione d'alpeggio che è continuata sino ad oggi. Prima del
risanamento delle paludi, con la
canalizzazione dell'Adda del 1858, qui scendevano a svernare in inverno
con i loro armenti,
come molti secoli prima, i montanari della val San Giacomo (alta valle
Spluga o alta Valchiavenna che dir si voglia). Il Gioia, all'inizio del
XIX secolo, osservava:
In
alcune comuni, come nella valle S.Giacomo, il cui raccolto [di cereali per l'alimentazione
umana] non basta per
due mesi all’anno, quasi tutto il popolo esce dal paese, e ad
imitazione
d’Abramo e di Lot cacciando avanti il bestiame, va errando per le
comuni vicine, e gran parte ne viene sul territorio Lombardo (2).
Per
“territorio
lombardo” si devono intendere le zone dell’alto lago di Como
attualmente in provincia di Como e di Lecco, ovvero il Pian di Spagna e
il Piano di Colico. La Valchiavenna, infatti era allora un
territorio ex-Grigione e la sua unione alla Lombardia fu sancita solo
nel 1814 con il Congresso di Vienna. Vale
la pena osservare che, mentre oggi l'alpeggio
assume i contorni di una "salita" di allevatori del piano
essa, storicamente,
rappresentava una discesa, una "transumanza inversa": dall’alta valle
al piano, come indica la stretta affinità
linguistica (il "dialetto del brì", con forti connotati lombardo-alpini
(3) tra le comunità dell’alta valle (Madesimo, in particolare), e
quelle di alcuni centri dei suddetti piani (4). Prima delle bonifiche, la sosta
in piano era relativamente breve e le scorte di fieno prodotte in montagna, per quanto
limitate, si consumavano
sul posto. Dopo le
bonifiche è stato possibile aumentare grandemente la potenzialità
foraggera: da pascoli umidi a buoni prati permanenti, poco soggetti a
siccità per via dell'alto livello della falda, in grado di fornire
quattro tagli di fieno all'anno. Così , gradualmente, il
baricentro
dell'attività delle famiglie si è spostato al piano e in montagna si
prese a salire solo per i tre mesi estivi. Il legame con l'alta valle è
però ancora molto stretto, anche per il tipo di proprietà (condominio
indiviso) degli alpeggi. Anche chi non ha più bestiame conserva la
baita sui pascoli degli Andossi e di Montespluga e la utilizza come
residenza secondaria estiva.
Foto Carlo Borlenghi, si
ringrazia per la concessione
Il cervo nella riserva oggi
rappresenta un danno all'ambiente
La
riserva del Pian di
Spagna è finalizzata alla salvaguardia dell'avifauna migratoria, la
protezione dei cervi non solo non ha quindi nulla a che fare con questa
finalità ma, al contrario, è in aperto contrasto con essa. I
cervi utilizzano, specie in alcune stagioni, il canneto
(fragmiteto e megacariceto) per riposare e, quando i carici sono in
stadio vegetativo precoce, anche per l'alimentazione. Ne deriva un cospicuo
effetto di sentieramento, calpestameno e spargimento di deiezioni in
un'area di massima tutela (R1),
dove è proibito il pascolo di qualsiasi specie animale sia per la
presenza del terreno allagato o impregnato di acqua che dei nidi. Il
fatto che il cervo sia selvatico (ma nelle condizioni della Riserva del
pian di Spagna ciò è opinabile, configurandosi più una forma di
semi-allevamento), non toglie che la sua presenza, sempre più
ingombrante disturbi l'avifauna nidificante e provochi degli impatti. Fondamentale per la
Riserva dovrebbe essere la tutela degli habitat di svernamento
e riproduzione del Tarabuso (Botaurus
stellaris) e della Moretta tabaccata (Aythya
nyroca), oltre che di altre specie di uccelli che trovano nei
canneti un luogo adatto alla nidificazione.
Difficile sostenere che i cervi non disturbino l'avifauna
Provocando
danni significativi all'attività zootecnica, non solo per perdita di
foraggio ma - come vedremo oltre - per trasmissione orizzontale di
patologie che danneggiano la produzione e la riproduzione e
compromettendone quindi la sostenibilità economica, l'abnorme presenza
di cervi potrebbe anche danneggiare i valori ambientali della riserva a
seguito di una riduzione/cessazione delle attività agrozootecniche. Va
infatti precisato che, tra gli habitat prioritari del SIC/ZPS, inseriti
nell’Allegato I della Direttiva 92/43/CEE, vi sono: 6410 = Praterie con
Molinia su terreni calcarei, torbosi o argilloso-limosi (Molinion caerulae) e 6510: Praterie
magre da fieno a bassa altitudine (Alopecurus
pratensis-Sanguisorba officinalis).
|
Re di quaglie
Crex
crex
Ordine
Gruiformes
Famiglia
rallidae
|
Africa
meridionale. Eurasia. Vulnerabile a livello globale
|
Specie
oggi poco conosciuta, eppure strettamente dipendente da un ambiente
costruito dall’uomo, quello dei prati-pascoli da cui si ricava il fieno
per il bestiame |
Nelle
praterie da fieno, regolarmente sfalciate e concimate, trova il suo
habitat il Re di quaglie (Crex crex),
esponente dell'avifauna alpina, in grave declino come la Coturnice, la
Pernice bianca, il Francolino di Monte (abbiamo recentemente parlato di
quesi uccelli qui
su Ruralpini).
Il Re di quaglie frequenta i fondovalle e i prati regolarmente
utilizzati dei versanti. Con l'abbandono della fascia intermedia della
montagna e l'avanzata del bosco il suo habitat si è fortemente
ristretto. La demagogia ambientalista evita di fare riferimento alle
condizioni della tipica avifauna alpina perché essa soffre per la
riduzione delle attività pastorali. La sua situazione contraddice il fondamentalismo
ambientalista che imputa al "disturbo antropico" la causa di ogni male,
che vede nella rinaturalizzazione, nel rewinding la soluzione per i
problemi planetari, previa estensione a buona parte del globo delle
aree protette dove ripristinare la mitica "natura incontaminata" e scacciare gli esseri umani (considerati in numero eccessivo).
Tutto
ciò non ha nulla a che fare con l'ecologia, come dimostra
l'opposizione feroce opposta dal WWF al piano di controllo del cervo
nel Parco dello Stelvio, anche di fronte all'evidenza della grave
degenerazione della popolazione e al venir meno del rinnovamento
naturale dei boschi. I verdi orrebbero, ancora oggi, limitare il
prelievo venatorio degli ungulati alpini quando cervi e camosci sono in
aumento esponenziale. Il cervo ha conquistato il versante orobico
valtellinese e, sulla sponda retica, produce danni enormi ai vigneti,
il
camoscio in Valtellina scende nella fascia dei boschi e forma branchi
di grosse dimensioni.
Foto Carlo Borlenghi, si ringrazia per la
concessione
La
tipica avifauna alpina, invece, si sta
estinguendo sulle Alpi lombarde e gli ambientalisti non fanno nulla in concreto per
chiudere la caccia. Perché tutto ciò? Perché il WWF vive di demagogia
ed è una formidabile macchina da soldi su scala mondiale. Bambi, ormai
irrimediabilmente confuso da generazioni con quello di Walt Disney (ma
vale anche per l'orso Yoghi), strappa le lacrime, colpisce l'emotività,
fa scattare le firme degli appelli alle istituzioni, fa aprire il
protafoglio. Il pubblico degli ambientalisti da salotto, da
Greta, non sa neanche cos'è la Pernice bianca, il Re di quaglie. Gli
uccelli sono troppo diversi da noi mammiferi per mandarci segnali
etologici tali da suscitare istinti parentali o generica empatia. Siamo
programmati per commuoverci davanti agli occhioni di Bambi. Ed è giusto
così. Ma la gestione delle aree protette (come del territorio aperto
alla caccia) dovrebbe tenere conto di altre considerazioni.
La distorta e superficiale cultura naturalistica dovrebbe essere corretta e disincentivata, invece
viene incoraggiata dalle istituzioni che finiscono per compiere scelte
(più spesso per restare inerti) per "paura degli ambientalisti". Vale
per i politici, i tecnici e
gli amministratori della Riserva e degli Enti che dovrebbero
intervenire.
Chiariamo poi che gli "ambientalisti", a livello locale, hanno una
presenza insignificante se confrontata a quella delle città
e che i rappresentanti sono persone miti. La "paura"
riguarda perciò non una componente sociale reale, ma l'anatema lanciato
dalle organizzazioni a livello regionale e nazionale senza precisa
cognizione delle specifiche realtà. Per partito preso, per demagogia.
Come può questo giustificare
la mancata adozione, sino ad oggi, di un piano di controllo del cervo?
Tecnici
e politici (non importa se i secondi delegano a occhi chiusi ai
primi) ne portano tutta la responsabilità.
Una crescita
dei cervi incompatibile
Oggi
si stimano "oltre 200 cervi". Gli allevatori ne hanno contati
275,
ma sono in arrivo i nuovi cerbiatti che nascono a maggio. La crescita
della "colonia" di cervi della Riserva è stata impressionante. Dieci
anni fa erano 10-15. Erano capi che scendevano dalle montagne
circostanti in tempo di caccia. In epoche in cui la fauna selvatica era
in declino, o in faticosa ripresa (i cervidi sulle Alpi lombarde sono
tornati spontaneamente a differenza dell'Appennino e delle Alpi
occidentali), chiudere alla caccia tutte le aree protette e farne aree
di rifugio e irradiamento poteva essere sensato. Da decenni, ormai, non
è più così e il divieto di caccia generalizzato nelle aree protette ha
portato alla proliferazione dei cinghiali e di altre specie,
determinando squilibri e impatti inaccettabili. Vale così anche per i
cervo
quando si rinuncia a gestirlo. Gradualmente i cervi del Pian di
Spagna hanno iniziato a non risalire più ai quartieri estivi.
Qui, nel Pian di Spagna, c'è tutto: l'acqua sempre presente (molto
apprezzata dal cervo), il
ricaccio dei prati (coltivati) a marzo. La dieta dei cervi della
riserva è basata largamente sull'erba di prato stabile. Del resto
questo è perfettamente confacente con le esigenze di una specie di
grande ruminante dal comportamento alimentare molto simile a quello dei
bovini che, in
primavera e in estate, consuma normalmente oltre il 70% di erba.
Per
sfamarsi i cervi consumano circa il 10% della produzione dei prati (ma
c'è anche l'effetto del calpestamento e dell'imbrattamento). Il danno,
però, non si distribuisce uniformemente nel territorio della Riserva.
Buona parte del carico animale insiste sui settori di Nord-Ovest
(Poncetta) per due evidenti motivi: qui (vedi la mappa sopra) sono
concentrate le aree a vegetazione palustre e l'accesso all'acqua e qui
i cervi sono "confinati" dalla recinzione temporanea elettrificata, in
fregio alla "direttissima" tra la rotonda di Nuova Olonio e il Ponte
del Passo. Vero che i cervi continuano ad attraversare la strada
(ponendo seri problemi di sicurezza per gli automobilisti), ma è anche
vero che il "muro" riesce comunque a limitarne la presenza a Sud della
strada. La zona della sponda del Lago di Mezzola, per via della
presenza degli uccelli e del valore naturalistico, è anche la più
sorvegliata (anche da telecamere collocate sul
Sasso di Dascio). Di conseguenza il grosso del carico si
concentra su 100-150 ha (1 cervo/ha). Anche se si tiene conto di tutta
la superficie a prati, a canneti e a "bosco" (804 ha), la densità dei
cervi risulterebbe di 34 cervi/100 ha.
Semi-allevamento
Il
cervo è
animale oggetto di allevamento zootecnico, anche intensivo (tanto da
essere alimentato con silomais come i bovini) in varie parti del mondo
ed è quindi considerato semi-domestico, se non domestico tout court.
Del resto esso, nella preistoria, è stato forse oggetto di tentativi di
domesticazione, poi abbandonati in quanto capre e pecore erano molto
più convenienti. Carri trainati da cervi sono frequenti in varie
mitologie e, anche nella realtà, non sono mancati personaggi
eccentrici che viaggiavano su carrozze trainate da cervi. Il cervo è
una di quelle specie che ci consentono di comprendere che la
domesticità o la selvaticità non sono caratteri intrinseci e immutabili.
La
densità biologica massima per i cervi è considerata pari a 10 capi
per 100/ha (0,1 cervi/ha) ma quelle che vanno osservate ai fini
gestionali sono le DAF (densità agroforestali) che risultano sempre più basse
di quelle biologiche. Queste ultime indicano la densità massima
compatibile con la salute e il benessere della popolazione in un
ambiente naturale mentre le DAF indicano le densità massime per evitare
che il danno agroforestale diventi insostenibile, nel caso di un bosco che
venga impedita la rinnovazione naturale. Nel Pian di Spagna i cervi
sono mantenuti a spese delle aziende zootecniche, ovvero di una
sistematica perdita di prodotto agricolo del valore di diverse decine di
migliaia di euro. Non siamo di fronte a un "danno", che è qualcosa di
difficilmente prevedibile, ma a una sistematica sottrazione di prodotto
agricolo che consente di mantenere un branco di cervi in condizioni di
semi-allevamento. Una
situazione che appare palesemente lesiva dei diritti di proprietà e
della libertà di impresa e che, nel contesto di una Riserva, mette a
carico degli amministratori evidenti responsabilità per le omissioni
che l'hanno determinata.
Un
semi-allevamento a fini naturalistici? No perché la densità non è
naturale e perché essa provoca danno e disturbo alla nidificazione
dell'avifauna che la Riserva dovrebbe prioritariamente tutelare. Un
semi-allevamento che differisce da un allevamento vero e proprio solo
perché chi alimenta il cervo non ne può utilizzare il prodotto (la
carne) e perché i cervi della Riserva non sono registrati nel registro
della fauna selvatica allevata e, ovviamente, non portano la marca
auricolare dell'anagrafe zootecnica. E allora?
Allora
si deve concludere che la presenza dei cervi nella Riserva ha finalità
estetiche, ornamentali, promozionali. Estranee o comunque marginali
e incongrue rispetto alle finalità istituzionali. Come dimostra
l'attenzione
per la cerva albina Biancaneve (sopra) divenuta una vera
attrazione. Solo che in quel tipo di Parchi (privati) alla
Zoo-safari, per ammirare e
fotografare gli animali "selvatici" si paga il biglietto e con
questo il proprietario o conduttore copre le spese di gestione. Nella
Riserva del
Pian di Spagna lo spettacolo lo pagano gli allevatori. Qualcuno
potrebbe pensare che, dopo tutto, la Riserva indennizzerà per i danni
subiti dalle aziende agricole. Purtroppo ciò avviene in misura
minima. Innanzitutto,
nella storia della Riserva, i risarcimenti per i danni provocati dalla
fauna sono stati liquidati a fase alterne, con una lunga interruzione
nel passaggio delle ultime gestioni (passaggi di presidenti e
direttori). Non pochi proprietari dei fondi oggi rinunciano a perdere
tempo con le
richieste di risarcimento, chi lo fa si è visto corrispondere importi
ridotti rispetto a quelli emersi in sede di valutazione danni e che
escludono a priori il danno al prato stabile che è quello più
rilevante.
I danni sono riconosciuti per gli erbai (mais,
loiessa, triticale) e per il mais da granella o le patate, ma non per il prato stabile
che rappresenta la stragrande maggioranza dei danni. Motivo? Sulla carta la difficoltà
di stima, dovuta ai fattori di variabilità della produttività e
dell'asportazione. Che ci sia variabilità è ovvio: ci sono zone meno
interessate alla presenza dei cervi, ma che nei casi peggiori ci sia un
danno significativo è altrettanto incontestabile. Chiaro che è più
facile stimare il danno di un campicello di mais o di un erbaio
vernino. In questi casi se i cervi entrano (in autunno quando altre
risorse vengono meno la fame spinge a forzare le recinzioni, anche se i
fili sono elettrificati, e a far man bassa). Le osservazioni sul
conflitto intorno alla presenza dei cervi confermano quanto noto più in
generale:
Le
principali cause del
conflitto sembrerebbero attribuibili soprattutto
alla scarsa trasparenza nelle procedure di risarcimento/indennizzo dei
danni, all’eccessiva soggettività nella loro valutazione, alla scarsa
applicazione di
misure di prevenzione e alla scarsa efficienza delle misure di
controllo della
fauna selvatica.(5)
La
Riserva, in definitiva, non riconosce i danni al prato stabile
semplicemente perché dovrebbe corrispondere troppi soldi. Sarebbe
interessante sapere, però, quanto è stato corrisposto dalle origini
della riserva ad oggi a professionisti e consulenti. Ma alla fine non è
quest'ultimo il vero scopo di queste "istituzioni ambientali"? Il
bello è che i miglioramenti ambientali sostanziali li realizzano gli
agricoltori quando - con tutti i limiti del caso, ovvero rispettando
criteri dstagionali e di rotazione - praticano il taglio
dei cariceti, con vantaggio degli stessi uccelli, che non necessitano
solo di un canneto fitto, ma anche con finalità di
prevenzione dell'interramento delle superfici umide e qiondi del
graduale restringimento
dell'area dei canneti (e degli stessi specchi d'acqua). Curiosi
personaggi questi naturalisti che deprecano il "disturbo antropico"
(come se loro fossero puri spiriti), quel "disturbo" che impedisce
l'evoluzione naturale,
con il ritorno alla copertura boschiva, l'interramento delle paludi,
salvo poi dichiarare preziosi per la biodiversità e quindi da tutelare
gli habitat che, senza l'esercizio dell'agricoltura, scomparirebbero.
Non solo perdita di foraggio
Al
di là
dei danni che non vengono indennizzati (ma che potrebberlo esserlo), le
aziende del Pian di Spagna subiscono anche altre conseguenze. La
Riserva fornisce in comodato d'uso gratuito i paletti di
plastica, il filo elettrico e le batterie ma le ore di lavoro per
stendere le recinzioni (chilometri) chi le paga? E chi paga le
ore necessarie per tagliare, ogni quindici giorni, l'erba per impedire
che, a contatto con l'acqua di rugiada, il filo più basso scarichi
la batteria? Per non contare la difficoltà di manovra con i mezzi
agricoli nell'immettersi nella "direttissima". Non è finita: per poter
produrre formaggi dop, o con il marchio della montagna, la latteria
sociale Valtellina, alla quale viene conferito il latte della zona,
richiede agli allevatori l'utilizzo del 60% del foraggio locale nella
razione delle lattifere. Questo per quanto riguarda la filiera
zootecnica. Gli agricoltori poi parlano di patate seminate
troppo presto per evitare la devastazione da parte dei cervi
, di fieno "rubato" direttamente in azienda, di
spighe di mais appese alle lobbie "pasturate" dai cervi, di balle di
fienosilo ("fasciato") lacerate, di una sfacciata invadenza dei cervi
che, da generazioni ormai, vivono nella piena intoccabilità della
Riserva.
Il foraggio imbrattato dalle feci, abbondantemente rilasciate sui
prati, risulta poi poco gradito al bestiame ma, soprattutto, pone forti
preoccupazioni sulla biosicurezza del suo consumo.
Forse, il danno più grave
provocato dai cervi alle aziende zootecniche del Pian di Spagna, è proprio quello
legato alle conseguenze di patologie trasmesse attraverso il foraggio,
contaminato con gli escrementi dei cervidi, ma, probabilmente, anche attraverso
altre vie più dirette, legate alla presenza dei cervi sin all'interno
delle pertinenze delle aziende. Diversi allevatori, interrogati in
proposito, denunciano la presenza di un tasso anomalo di abortività e,
almeno in un caso, è stata accertata un'elevata positività nella mandria a Neospora
caninum (i controlli atti a verificare la presenza del dna del
protozoo
nel sangue delle bovine sono stati effettuati da un'azienda, di propria
iniziativa e a proprie spese).
Vero è che la
trasmissione potrebbe risultare verticale (da vacca a vitella) ma è
accertato che gli erbivori si
infettano per ingestione degli oociti del parassita al pascolo o
ingerendo alimenti contaminati (6). Considerato che le
popolazioni italiane
di cervi rappresentano un serbatoio con elevate positività (7) e che la
situazione del Pian di Spagna presenta al massimo le condizioni per il
contagio orizzontale, verrebbefo da considerare
fondate le preoccupazioni degli allevatori e da ritenere che sarebbe
opportuno disporre da parte dell'ATS (di propria iniziativa o
sollecitata a ciò da parte della Riserva), l'adozione di misure di
biosicurezza.
Mi pare di poter
condividere la
preoccupazione degli allevatori anche rispetto ad altre
patologie oltre alla Neospora. Innanzitutto per la tubercolosi, per la quale è possibile la
trasmissione
oro-fecale da cervo a bovino, e per la quale ci sono indicazioni di
positività nella popolazione delle nostre montagne, ma anche per
la paratubercolosi (agente Mycobaterium avium subs.
paratuberculosis), per la quale si riscontrano alta
positività nelle popolazioni di cervi, e che viene trasmessa da feci
infette che contaminano acqua, alimenti, ambiente con il fattore alta densità dei raggruppamenti che
tende ad aggravare i rischi.
Non è trascurabile
neppure il rischio di verminosi dal momento che è stata accertata la
trasmissione da cervi a
bovini per via di larve nel pascolo (o sul foraggio) di nematodi
resistenti agli antielmintici.
Il controllo secondo la normativa vigente
La normativa vigente
(L.R. 26 del 1993, più volte modificata, prevede all'art.42 (ex 19)
comma 2., che:
La Regione e la provincia
di Sondrio per il relativo territorio, per la migliore gestione del
patrimonio zootecnico, per la tutela del suolo, per motivi sanitari,
per la selezione biologica, per la tutela del patrimonio
storico-artistico, per la tutela delle produzioni zoo - agro-forestali
ed ittiche, provvedono al controllo delle specie di fauna selvatica o
inselvatichita anche nelle zone vietate alla caccia.
Fatto salvo il
principio che, ai fini dell'ottenimento dell'autorizzazione del Piano
di controllo numerico da parte dell'ISPRA, è necessario
dimostrare che le azione di prevenzione o deterrenza (metodi ecologici) non siano
risultate efficaci a risolvere i problemi determinati dagli
squilibri:
La Regione e la
provincia di Sondrio per il relativo territorio, per comprovate ragioni
di protezione dei fondi coltivati e degli allevamenti, possono
autorizzare, su proposta delle organizzazioni professionali e agricole
maggiormente rappresentative a livello regionale, tramite le loro
strutture provinciali, piani di abbattimento delle forme domestiche di
specie selvatiche e delle forme inselvatichite di specie domestiche
attuati dalle guardie venatorie dipendenti dalle province stesse con la
collaborazione dei proprietari o conduttori dei fondi sui quali si
attuano i piani medesimi e da operatori espressamente autorizzati dagli
stessi enti, selezionati attraverso specifici corsi di preparazione
alla gestione faunistica (comma
5).
E qui vengono le dolenti
note perché: 1) le provincie hanno poche guardie, 2) i sele-controllori
(i cacciatori esperti
"selezionati"),
sono stati messi in stand-by a seguito delle iniziative ambientaliste
(ricorso contro leggi di altre regioni) che hanno provocato una
pronuncia
in merito della Corte costituzionale che tenderebbe a sancire
l'incostituzionalità dell'impiego dei sele-controllori.
Inutile sottolineare l'irresponsabilità di chi, per puro furore
ideologico anticaccia, mette - con l'appoggio della magistratura - i bastoni tra le ruote alle, di per sé non
facili, iniziative di contenimento della proliferazione della fauna
problematica e nociva. Ma questo è l'ambientalismo con il quale abbiamo
a che fare: un ambientalismo che auspica l'ulteriore abbandono del
territorio, da riconsegnare alla "natura selvaggia".
In presenza di un Piano di controllo autorizzato, per il quale vi sono tutti i presupposti di autorizzazione (i censimenti sono già stati eseguiti e non è difficile aggiornarli), si otterrebbe, anche con abbattimenti limitati, una migliore
dispersione dei cervi all'interno come all'esterno della Riserva. Le azioni ripetute
di controllo selettivo su un ridotto numero di capi indurrebbero il
branco a suddividersi, a migrare all'esterno della Riserva, a
riprendere lo spostamento stagionale verso i quartieri estivi. Se
l'iniziativa non parte dalla Riserva o dalle Provincie, sono le stesse
OOPPAA che possono, come recita il comma di legge citato, proporre un Piano di
controllo. Protestare genericamente e scrivere lettere, invece, non
serve a nulla. Bisogna metterci la faccia, mettere gli enti competenti
di fronte a una precisa sollecitazione che, oltretutto, di fronte alla
lobby ambientalista, da loro la possibilità di scaricare sulla parte
agricola la responsabilità dell'iniziativa.
(1) continua
Note
(1) Riserva
naturale Pian di Spagna e lago di Mezzola (province di Como e
Sondrio). Valutazione ambientale strategica del piano di gestione
riserva naturale Pian di Spagna e lago di Mezzola - Relazione di
scoping, p. 67.
(2)
Piano
di Gestione del SIC IT2040042 Riserva Pian di Spagna e Lago di Novate
Mezzola 2010-20120, p. 95
(3) M. Gioia, Discussione
economica sul dipartimento del Lario, Lugano, Ruggia, 1837 (ed. or. Milano, 1804), p.43
(4) Si
tratta di varianti linguistiche lombarde con elementi di transizione al
retoromancio affini ai dialetti più settentrionali della Lombardia
elvetica
quali quelle delle vallate più settentrionali del Canton Ticino (alta
val di Blenio).
(5) S. Scuffi, Nü'n
custümáva: vocabolario dialettale di Samolaco : note sul dialetto
del "brí", scene di vita, detti tipici, sentenze, proverbi,
Sondrio, IDEEV.
(6) F. Riga, S.
Toso, M. Genghini, L. Carnevali, L, Il
problema dei danni da ungulati alle colture agroforestali, «I
georgofili», (2009):1000-1017.
(7) S. De Craeye,
N. Speybroeckb, D. Ajzenbergd, M.L. Dardé, F. Collinet, P.
Tavernier, S. Van Gucht, P. Dorny, K. Dierick, Toxoplasma gondii and Neospora caninum
in wildlife: Common parasites in Belgian foxes and
Cervidae?, in «Vet Parasitol.», 178 (2011): 64‒69.
(8) G. Rocchigiani,
S. Nardoni, C. D’Ascenzi, S. Nicoloso, F. Picciolli, R.A.
Papini, F. Mancianti, Seroprevalence
of Toxoplasma gondii and
Neospora caninum in red deer from Central Italy, in «Annals of
Agricultural and Environmental Medicine», 23, 4 (2016), 699-701.
(9) C.
Chintoan-Uta, E.R. Morgan, P.J.Skuce, G.C. Cole, Wild deer as potential vectors of
anthelmintic-resistant abomasal nematodes between cattle and sheep farms,
in «Proc. R. Soc. B», 281 (2014):2013-2985; M.C Cerutti, C.V. Citterio , C. Bazzocchi, S. Epis, S.
D'Amelio. N. Ferrari et al., Genetic
variability of Haemonchus contortus (Nematoda: Trichostrongyloidea) in alpine ruminant host species,
in «J. Helminthol», 84 (2010):276-283,
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