In
attesa di quella commemorazione che lui si merita e che il Covid (e la
sua gestione) gli hanno sinora negato
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Tino
Ziliani
e l'Associazione
pastori lombardi (in
memoria di un pastore)
di Michele
Corti
(10.11.20) Tino
Ziliani è mancato
improvvisamente, all'età di 67 anni, il 24 febbraio di quest'anno.
Eravamo all'inizio della "prima ondata" del contagio e le notizie
allarmistiche (e contradditorie) circa lo svolgimento delle cerimonie
funebri hanno tenuto lontano molti amici. Non pochi pastori avrebbero
voluto venire a dargli un ultimo saluto, dal Trentino, dal Veneto, dal
Piemonte ma i media riferivano che ai funerali potevano partecipare
solo i parenti stretti. Non era così, non precisamente così
(anche se poi, specie a Bergamo, ai funerali sono state sostituite
veloci benedizioni in serie di file di bare).
Sentiti i
pastori più vicini al Tino, si è concordato di attendere tempi migliori
e di organizzare una commemorazione come lui merita e come gli amici, i
tosatori, i pastori si aspettano. Ma i tempi migliori
slittano, si allontanano invece che avvicinarsi e viviamo
nell'incertezza su quello che avverrà nei prossimi mesi. Febbraio è
vicino e il rischio che salti la possibilità di una commemorazione nel
giorno dell'anniversario della morte è molto concreto.
Quest'anno è
saltato anche il Festival
del pastoralismo di Bergamo (anche se abbiamo potuto
organizzare la Transumanza
dei bergamini da Bergamo a Gorgonzola, vedi
qui) che poteva essere l'occasione per ricordarlo (visto che
è stato grazie al suo contributo che il Festival è nato). Il Festival, se ad aprile la
seconda ondata si sarà esaurita o, comunque, sarà possibile organizzare
manifestazioni e sagre, ha intenzione di organizzare, con il comune di
Spirano (località a 15 km a Sud di Bergamo), un evento tutto dedicato ai
pastori e alle pecore. Un evento con dimostrazioni di tosatura e di
lavoro dei cani pastore in memoria di Tino Ziliani. Anche questo
appuntamento, però, non è certo.
Così, in questa attesa, mi pare
giusto anticipare qualche
notizia biografica, qualche ricordo del Tino. Una volta
raccolte le testimonianze indispensabili a
ricostruire la sua figura (ora non ci si può muovere per le
interviste "in presenza"), mi riprometto di presentare una vera e
propria biografia.
Le note che seguono si basano sui ricordi personali e con delle
interviste telefoniche con il fratello Mario e con Claudio Filisetti,
quest'ultimo per undici anni a fianco di Tino, nella squadra
itinerante di tosatori professionisti e, opggi, continuatore della sua
attività.
Necessariamente
è un racconto molto sbilanciato, dal momento che ho conosciuto
Tino solo nel 1999, un racconto che si intreccia con la cronistoria
dell'Associazione
pastori lombardi (di qui il titolo) che ho seguito dall'inizio.
Senza Tino il
mondo dei pastori sarebbe rimasto, anche per me, un fatto folkloristico.
Senza Tino non ci sarebbe stato il Festival del pastoralismo e tante
iniziative. La Lombardia non sarebbe stata inserita nel riconoscimento
Unesco per la transumanza. E si potrebbe continuare.
Tino era capace
di
coinvolgere. Molto disponibile e generoso spingeva anche gli altri
(quelli recettivi, ovviamente) a operare in modo disinteressato.
Persone così lasciano tanti amici e non credo che l'impegno che essi dividevano con lui andrà disperso.
Claudio
Filisetti durante le prime edizioni del Festival del pastoralismo.
Siamo sugli spalti delle mura di Bergamo. Di poche parole, a
differenza
di Tino,
ma come lui sempre disponibile.
Danilo Agostini, un
pastore sempre pronto a dare una mano a Tino.
Sotto Daniele Savoldelli, altro pastore tra quelli maggiormente
amici diTino (da un fotogramma del film Fuori dal gregge,
al volante Claudio)
Una famiglia di pastori transumanti
Era nato
il 29 luglio 1952 in
una famiglia di pastori di Pian camuno. Pastori
transumanti erano gli avi, pastore il nonno e il papà Battista, classe
1901. La mamma, Margherita
Laffranchini, classe 1913 proveniva, invece, da una famiglia di
carbonai (un altro mestiere che implicava mesi di solitudine in
montagna a preparare i poiàt,
spesso nutrendosi di latte di capra).
Pastore è il
fratello
Mario, di tre anni maggiore, pastori i cugini Giacinto e Francesco,
pastori i cognati che hanno sposato le sorelle Alma, Marilena e Lina. Uno dei
cognati si chiama Mario Ziliani, come il fratello, un altro è Domenico
Imberti, di Parre (paese di pastori per eccellenza). I figli dei
cognati proseguono l'attività paterna.
Nel
1971,
raggiunti i
settant'anni papà Battista si ritirava . I figli, che avevano imparato
il mestiere decidono di vendere le pecore mettere a frutto in Svizzera
le conoscenze acquisite. E' Tino, il più giovane a recarsi per primo in
Svizzera
reclutato da un amico. Mario segue di lì a poco il fratello e, per
qualche anno, lavorano insieme. Bisogna premettere che il pascolo
vagante con i greggi ovini in Svizzera si pratica in inverno (da
marzo ai primi di novembre non è consentito).
Tino da
giovane: un Cleant Eastwood camuno?
Per
capire la biografia di Tino Ziliani è necessario fare qualche
riferimento
alla transumanza bergamasco-camuna
in Svizzera.
Esperienza che Tino ha vissuto per quindi anni e che ha contribuito in
modo determinante a confermare la sua identità di pastore,
legato a una ben precisa tradizione.
Transumanti in Svizzera
(approfondimento)
Essa, per
alcuni aspetti, ha
ricalcato
sino a pochi anni fa quella
tradizionale, una transumanza molto impegnativa per il pastore fatta di
tanta solitudine e di tanto freddo: una vera prova atta a dimostrare di
essere "veri pastori". La transumanza, il pascolo vagante per meglio
dire, sono consentiti in Svizzera solo dai primo di novembre a ai primi
di marzo. Oltre alle autorizzazioni veterinarie servono anche quelle
dei proprietari dei terreni e si deve seguire rigorosamente un percorso
prefissato. Le norme attuali sul benessere impongono a un pastore di
non tenere più di 400 pecore e di disporre di almeno due cani. In caso
di gelo eccezionale la transumanza può essere interrotta. Le
pecore si alimentano dell'erba
rimasta sotto la neve, ci si accampa nei boschi con
temperature parecchio sotto lo zero, utilizzando rami, pelli
di pecora e il tabarro per coprirsi, a volte un po' di paglia (se
disponibile) per farsi una
"tana", un telo quando piove; si prepara la polenta con il tripè, sul
fuoco. Nonostante i cambiamenti climatici il clima nel Mittenland
svizzero in inverno resta rigido.
Il pastore
Emilio Morandi dorme nella paglia
Sino a qualche
anno fa non si usavano camper, nessuno era
motorizzato.
I pastori che praticano la transumanza invernale sull'altopiano
svizzero non sono solo bergamaschi; ci sono anche ticinesi, portoghesi
ma anche svizzeri che hanno "fatto la scuola" con i
bergamaschi.
Oggi,
in
generale, i pastori transumanti sono ben accolti dalla popolazione. Un
tempo non era così. Il fascino dei pastori erano legato alle
suggestioni letterarie e pittoriche romantiche che hanno influenzato
per generazioni le classi elevate (al più, tramite qualche lettura scolastica
quelle medie). Meno o nulla i contadini.
La seguente
citazioni ottocentesche dimostrano come si venne a
formare un vero e proprio cliché romantico del pastore bergamasco. Che, allora, entrava in Szizzera con i propri animali per l'alpeggio estivo.
I pastori, quasi tutti delle
valli
bergamasche Seriana e Brembana sono spesso dei tipi curiosi :
portamento fiero, faccie tranquille, marcate, brune, barbe incolte, e
capelli lunghi, neri cadenti inanellati sulle spalle. Sulla testa
portano alteramente il bruno cappello puntuto alla Calabrese, e
attorno al corpo avvolgono negligentemente un mantello bruno o bianco
di lana. Sono di una razza audacissima ma onesta, di poche parole
tranquilla; spesso assai bella. Vivono sui monti nella più grande
semplicità e sobrietà; un pò di polenta con formaggio costituisce
di solito il loro unico nutrimento, e i più giovani dormono di notte
all'aria libera presso il loro gregge, talora cercando ricovero sotto
le roccie. Di tanto in tanto alcuni scendono al piano nei villaggi
per provvedere farina e sale... W.
Kaden, I bagni di St.
Moritz : la stazione climatica per eccellenza
nella Alta Engadina, Top. Tanner, Samaden, 1887, p. 17.
I pastori bergamaschi vivono nel
modo più frugale. Mattina e sera si accontentano di polenta cotta in
acqua e di mais, poi un po 'di formaggio e di ricotta; non c'è ombra di
pane o burro tra di loro e bevono solo acqua e siero di latte. Per
tutto il giorno e metà della notte, nelle giornate più avverse, si
prendono cura delle loro pecore e le prestano le cure più assidue e
puntuali; ma sono come i loro greggi, il loro carattere è rude e
selvaggio; il loro umore taciturno; non si sentono mai tra loro i canti
così noti agli altri pastori. Devono combattere il gelo, la pioggia, la
neve, le valanghe, gli smottamenti e contro i predatori. F.
von Tschudi, Lectures
agricoles dédiées à la jeunesse suisse,
Lausanne, Chantrens, 1865, pp. 375
L'etnografo
Arnold Niederer) si
esprima nei seguenti termini a proposito dei pastori
bergamaschi: […] questi
bergamaschi non erano pastori assunti
per la transumanza, ma gli stessi proprietari e allevatori di
greggi quanto mai orgogliosi della loro condizione. A.
Niederer, Economia
e forme tradizionali di vita nelle Alpi,
in P. Guichonnet, Storia
e civiltà delle Alpi. Il destino umano,
Jaca Book, Milano, 1987 pp. 9-105 (p. 15).
Albert de
Meuron ha dedicato diversi dipinti a olio al tema dei pastori
bergamaschi (anni '60 dell'Ottocento)(sopra e sotto). Le sue immagini e
le descrizioni letterarie si sono probabilmente inflenzate
reciprocamente.
A metà
Ottocento il numero di capi ovini bergamaschi che entrava in Svizzera
per l'alpeggio era pari a 30-40 mila capi. Agli inizi del Novecento
tutto è cambiato. Già prima della grande guerra, attraverso misure
sanitarie e di altro genere, l'afflusso dei greggi bergamamaschi venne
bloccato. I pastori, forti della loro esperienza e ritenuti i migliori pastori,
vennero però assunti per portare in transumanza greggi svizzeri.
Non
più vincolato dal raggio di transumanza a piedi dalle valli, l'impiego dei
pastori bergamasco-camuni si è esteso dai Grigioni ad altri cantoni,
interessandone diversi, sia di lingua tedesca che francese.
Ai pastori
bergamaschi sono stati anche dedicati alcuni libri: a Emilio Morandi di
Fiumenero, alta val Seriana, che per molti anni ha fatto il
pastore nel Giura e prima nel Vaud e nei Grigioni (A-M
Prodon, Emilio le moutonnier du Noirmond, Morges, Editions Cabédita,
1990, I ed 1988); a Luigi Cominelli, di Parre (M. Imsand - ph-, B.
Galland, Luigi le berger,
Lausanne, Ed 24 Heurs, 1990). Quest'ultimo volume ha avuto più
edizioni e le foto del libro sono state utilizzate per delle mostre (in
Svizzera e in Italia).
sopra: un'immagine del libro Luigi le berger.
Sotto Luigi Cominelli
Libri e mostre
testimoniano di un interesse indubbio per la figura, suggestiva,
fascinosa, del pastore
transumante ma valgono moltissimo le semplici, scarne parole che, nel
1995,
il giornale locale della val Bregaglia (Grigioni meridionali) dedicava
a Giacomo
Bergamini, un pastore di Ardesio in alta val Seriana, in occasione dell'attribuzione al pastore di un
riconoscimento (un orologio e un diploma della Società svizzera di economia
alpestre). Bergamini da
trent'anni (proseguità ancora per cinque
sino alla pensione), conduceva in estate le greggi delle corporazioni
di proprietari ovini valligiani. Così si esprtesse l'articolista:
La fama che la
tradizione ci
[tra]manda di questi validi custodi di pecore bergamaschi è ineccepibile.
Giacomo
Bergamini
All'aura di
romanticismo che accompagnava i pastori bergamaschi, faceva da
contrappunto - sino a qualche
decennio fa - la dura
diffidenza del contadino (di tutte le latitudini) per il nomade. Nei
piccoli villaggi il pastore poteva essere cacciato dagli empori di
paese. I pastori bergamaschi (ma anche i ticinesi) venivano etichettati
come cingali
(zingari). Va però precisato che lo stesso epiteto era rivolto ai pastori
anche in
Lombardia e che i pastori diprezzavano profondamente i contadini.
Declinata la cultura rurale, poi anche quella
industriale, il mito del
pastore transumante è ridiventato popolare in chiave di eroe ecologico.
Di un personaggio "in sintonia con la natura". Una chiave un po'
distorta perché è la sintonia con una cultura, antica ma capace di
evolversi, che caratterizza il pastore. Dentro questa culttra c'è la
sintonia con gli animali, il mondo vegetale, i fenomeni atmosferici, da
conoscere in modo intimo, per poter sopravvivere. Del revival del mito
pastorale
in Svizzera (e altrove) è segno il film Hiver Nomad (lungometraggio "dal
vero") di Manuel von Stürler ,
Svizzera, 2012, 82'.
Il protagonista del film,
Pascal, è svizzero ma ha imparato il mestiere, come egli stesso
dichiara, dai bergamaschi. Basta vedre come carica l'asino.
Tino
aveva imparato a condurre le pecore facendo il pastore con il padre e
il fratello maggiore Mario. Nel
1971 si era recato per la prima volta in Svizzera dove è
rimasto ad esercitare la transumanza invernale sino al 1987. Per
diversi anni i fratelli Ziliani hanno lavorato ancora insieme. In
estate si spostavano sulle Alpi, dove Mario accudiva le vacche da latte
(che dovevano essere anche munte). Tino seguiva le pecore da carne ma
dava
comunque una mano al fratello a mungere. Durante l'inverno
(novembre-marzo) portavano in
transumanza un gregge di agnelli da carne nel cantone di Zurigo. Si
tratta di una transumanza ben diversa da quella tradizionale, che è
esercitata con greggi di fattrici. Il pastore è solo, con i cani, gli asini, le pecore.
Ai pastori, gli
agnelli erano affidati
da una grande società, con sede nei pressi
dell'aereoporto di Zurigo-Kloten, che gestisce l'import di carne (in Svizzera
limitato a contingenti); alla fine
della transumanza i capi sono destinati al macello.
Da aree intensamente urbanizzate dell'area metropolitana di Zurigo
(dove vengono pascolati i sedimi aurortuali) ci si spostava verso
aree più agricole (dove comunque le aree a pascolo erano limitate e
inframezzate da aree da evitare). Era una lenta transumanza (10 km al giorno) che si
dirigeva a Nord, per
percorrere la valle del Reno e poi tornare a Zurigo. I
fratelli
Ziliani nella loro attività di pastori in Svizzera, oltre a molte
tecniche della transumanza bergamasco-camuna hanno anche mantenuto
a lungo anche l'equipaggiamento personale del pastore realizzato con
ruvido pannolana dal
"sarto dei pastori", Rino Pasini di Gandino.
Oltre al
tabarro, al
giaccone, al gilet anche i calzoni da loro utilizzati erano di ruvida
lana bergamasca.
Elementi irrinunciabili di una cultura che conferiva identità, che
confermava, pur in contesti diversi da quelli tradizionali, il rimanere
nel solco di una tradizione percepita come importante. Queste
transumanze solitarie nei mesi invernali hanno rappresentato per Tino
una sorta di prova iniziatica.
Come il pastore Barbarossa del racconto Le serpents d'etoiles
dello scrittore Jean Giono che, dopo quindici anni di transumanza
(esattamente come Tino in Svizzera), specchiandosi nell'acqua della
bacinella usata per lavarsi, non si riconosce più
: da ragazzo
sono diventato uomo, da uomo sono diventato pastore.
Ed
essere pastore è qualcosa che va oltre l'essere "semplicemente" uomo.
Considerato quello che il pastore deve saper affrontare. Considerato
che un pastore, conoscendo le difficoltà di un ambiente duro, a volte
ostile, sapendo
come aggirarle riesce a sopravvivere in situazioni dove non solo il
cittadino di oggi (cresciuto sotto una protettiva campana di
vetro con
ogni comfort) ma anche il contadino di ieri, sarebbero morti in pochi
giorni. Non è solo l'ambiente fisico ad essere ostile. Il pastore deve
affrontare anche le tante norme che limitano l'attività del pastore,
l'ostilità, i pregiudizi, proteggendosi con una dura scorza ma anche
attrezzandosi ad affrontare con grande flessibilità ogni
situazione.
Tino in
Svizzera ha imparato il mestiere di tosatore. Al
macello. L'alto valore della lana in Svizzera dove, a
differenza dell'Italia e dei paesi della CE, erano stati mantenuti i dazi di
importazione, faceva si che venisse tosata anche quella degli agnelli
destinati ad essere sacrificati.
Competizioni di tosatura a
Bristol in Inghilterra
In Svizzera,
Tino si
era sposato con Teresa, una ragazza che abitava nella zona
dell'aeroporto di Zurigo
frequentata dal nostro pastore. Alla nascita della figlia Larissa, nel
1987, è tornato a casa con la famiglia,
stabilendosi
definitivamente a Pian camuno, e si è dedicato alla professione di
tosatore.
Lui ha abbandonato la transumanza, lei il lavoro e l'ambiente di
origine anche se, con la moglie, Tino ha continuato a parlare tedesco e
ha mantenuto anche alcuni elementi di mentalità e abitudini più
tedesche che italiane (non è così difficile per un pastore
bergamasco-camuno).
Mario ha
continuato a fare il pastore in
Svizzera: la transumanza in inverno e l'alpeggio d'estate con le vacche,
brevi periodi a casa. I fratelli abitavano piani
diversi della stessa grande casa moderna fuori paese (con annessi prati
e piccoli ricoveri per tenere capre e pecore).
Da tosatore
Tino è stato, per
qualche stagione, in Inghilterra, dove ha
partecipato alle competizioni di tosatura a Bristol (dove i campioni
riescono a tosare una pecora in meno di un minuto). Qualche volta è
tornato in Svizzera a tosare i greggi affidati al fratello.
Tosatore di livello
internazionale ha partecipato anche a delle competizioni
internazionali in Austria.
Tino, al centro in piedi,
aziona il contapecore
Grazie
alle
conoscenze acquisite all'estero (ma non ha mai preso un aereo per paura
del volo), Tino riuscì a
mettere insieme una squadra internazionale composta da tosatori
professionisti: sardi,
francesi, spagnoli, neozelandesi. Alcuni dei membri della squadra di
tosatura si spostavano da un paese all'altroe da un emisfero all'altro
sfruttando la differenza delle stagioni di tosa. Quando non era
impegnato con la sua squadra a tosare i grandi greggi dei pastori
transumanti, Tino si prestava anche a tosare dei piccoli greggi anche
se il lavoro con la squadra lo teneva impegnato buona parte dell'anno,
spostandosi tra le diverse regioni del Nord Italia e nelle due
stagioni. L'attività di tosatura dei nostri greggi transumanti,
infatti, a differenza di altre realtà pastorali, è distribuita su due
campagne di tosa: quella autunnale e quella primaverile. Da tempo il
pastore di pecore bergamasche (e affini) ha rinunciato a eseguire una
sola tosa perché, anche se il costo dell'operazione supera largamente
il valore della lana (sempre che si riesca a venderla), il saltare una
tosa va troppo a detrimento del benessere della pecora e si può anche
ripercuotere negativamente sulla produttività del gregge (agnelli
svezzati per fattrice all'anno).
Nel tempo Tino ha formato anche degli
allievi "locali", come Claudio che, lasciata la fabbrica, che non gli
piaceva, è diventato pastore e, da pastore, incoraggiato da Tino, è
diventato tosatore rimanendo a fianco del "maestro" per undici anni,
sempre
disponibile, anche al di fuori del lavoro di tosatura, a tutte quelle iniziative, spesso di puro volontariato, che
Tino
metteva in piedi o a cui partecipava.
Grazie a una
buona organizzazione,
la squadra riusciva a tosare in un giorno (o due) tutti i capi di
greggi
anche di grandi dimensioni fornendo un servizio prezioso ai pastori a
costi contenuti. Il ritmo di tosa di Tino era di 250-300 pecore al
giorno, quello dei tosatori "ordinari" di 150-180. Per essere un capo
in un'attività dove conta la pratica non puoi non essere anche il più
bravo.
Fiero della
sua identità di pastore (che non ha mai "dismesso") lo era
anche di quella professionale, più "moderna" (per via delle tosatrici
elettriche e della sua internazionalità) di tosatore. Lo si vedeva da
come esibiva con orgoglio i cimeli delle gare di tosatura all'estero.
Non
considerava, però, le due attività come separate. I tosatori, del
resto, nascono pastori.
Un "pallino" per la cultura del
pastore transumante
Tino era
profondamente consapevole che il savoire
faire pastorale non consistesse solo in qualcosa di
acquisibile meccanicamente, sia pure mediante le modalità dell'imparar
osservando e imparar facendo, ma presupponesse (quantomeno risultasse facilitato) dall'essere partecipi di
una
cultura (mentalità, tradizioni, codice di valori), una cultura che si discosta, non
da poco, da quella "sedentaria" e che da senso all'agire del pastore. Un
tutto che si trasmetteva in modo organico da generazione in
generazione e presupponeva, come del resto per altre attività del
passato, una sorta di endogamia professionale. Così, pur compiacendosi
della presenza di nuove leve provenienti da ambienti estranei al mondo
dei pastori, Tino continuava a marcare, con un puntiglio che, a volte poteva
parere eccessivo e discriminatorio, i "veri pastori" (con tre
generazioni pastorali alle spalle) dagli altri. Per lui non contava
neppure un "pedigree" di allevatore di montagna. La pecora è una cosa, la vacca, la
capra un'altra.
Ciò non impediva un atteggiamento profondamente empatico di Tino con
gli animali in generale. Ha
anche allevato per diversi anni delle capre, quelle che i "veri
pastori"
tendono a disprezzate (è, però, più un disprezzo esibito, per via di
una specie di senso
di colpa nei confronti del loro "vero amore", la pecora, che tenono di
"tradire" se solo si abbandonano a qualche apprezzamento per la
capra).
L'atteggiamento di Tino nei confronti degli animali si
esprimeva nel suo biasimo senza attenuanti per qualsiasi forma di maltrattamento (vedi
quella cruenta del mulesing
praticato in Australia sulle pecore
merinos) e, più di ogni presa di posizione e commento contava
il fatto che le sue pecore non le uccideva. Ho preso in carico alla
sua morte le pecore di Tino mi ha riferito Mario hanno 16-17
anni.
Quando Tino
tendeva a collocare nella categoria dei "non veri pastori" quelli senza
una storia famigliare alle spalle non faceva ovviamente
questione di genealogia fine a sé stessa ma sottolineava il valore di
una cultura
radicata nell'imprinting famigliare. Chi ritiene che le tecniche si
apprendano leggendo i libri o seguendo dei corsi considera tutto ciò
ridicolo. E si sbaglia. Il pastore che diventa tale per scelta
personale, in forza dell'attrazione per gli
aspetti romantici o "ecologici" dell'attività o, anche, della
"passione" per gli animali (motivazioni forti ma legate a situazioni
personali che possono evolversi nella traiettoria di vita delle
persone), di fronte alle difficoltà o agli
allettamenti economici (vedi "pascoli d'oro") forse non è capace di
tenere la "barra dritta" come un pastore che proviene da una
cultura dell'onore pastorale, del valore dell'essere pastore.
Tino non
era insensibile alle storie (sono vere) di ragazzi che sono riusciti a
farsi un gregge partendo da un agnellino (magari regalato da un
pastore). Il suo era realismo, una sana antropologia; sapeva che ciò
che ha radici profonde resiste alle avversità, ai cambiamenti. Che la
dimensione individuale, la scelta, la passione, non sono tutto e che
conta (o almeno contava) anche una dimensione che va oltre gli
individui, vuoi una comunità di generazioni, vuoi una comunità di
pratica. Nel venir meno della trasmissione inter-generazionale (la
maggior parte dei pastori sono ancora di famiglia di pastori,
però), assume importanza la comunità di pratica. Una comunità che, in
forme nuove, i pastori cercano di mantenere. Una comunità di pratica è
una comunità di cultura.
Da molti punti di vista pertanto, il Tino, con il suo
"pallino" per la cultura pastorale, è stato un antesignano. Oggi, più di ieri,
anche nel contesto più ampio delle attività agricole
e di
allevamento, gli aspetti culturali, segnatamente
l'identificazione con una cultura, con dei valori, un gruppo
sociale di riferimento cui ci si stima di appartenere,
spiegano, spesso più dei dati economici, perché un sistema "si tenga" o
vada in crisi, perché i giovani restino, se ne vadano,
ritornino. Basta guardarsi intorno. Ci sono tanti giovani che
cercano si di ricavare un reddito dalla loro "passione" per porla su
solide basi. L'economia al servizio della passione. Al contrario di
quanto insegna la società di mercato: la passione al servizio dei
soldi.
Sono "arcaici" i giovani che la pensano così? Arcaici o meno (per come
coltivano le relazioni paiono più aperti degli "economicisti") senza di
loro, senza le motivazioni culturali, l'orgoglio di appartenere a un
gruppo, a una cultura, a una tradizione non c'è futuro per
l'agricoltura di montagna (e, se va avanti così anche per quella di
pianura). Del resto non era per "sentirsi emancipati", per
aderire a nuovi valori che i contadini di qualche decennio fa
acquistavano la trattrice di potenza del tutto sproporzionata alle loro
esigenze agricole? La usavano per sfoggiarla con i vicini ma, fatti i
conti, era antieconomica e accelerava la crisi della piccola
azienda.
Roberto
Togni, scomparso nel 2015
Credo che, tra i
fattori che hanno portato Tino a operare con grande impegno a favore
del
riconoscimento del valore della cultura pastorale, si debbano includere,
oltre alla storia personale e famigliare, anche le sue esperienze
all'estero, attraverso le quali ha potuto verificare come, in
altri paesi, le attività e le culture pastorali vengano tenute in ben
più alta considerazione che in Italia. Hanno però contato anche i
contatti con personaggi del
mondo accademico come Roberto Togni.
Togni, nell'ambito delle sue attività
in ambito museografico e museologico, si è occupato anche di etnografia
agricola e, in particolare, pastorale. Nel 1991 aveva costituito il
Musalp,
gruppo internazionale di lavoro tra musei, museografi,
museologi, studiosi e... personalità emblematiche e "profetiche". Come Jean
Blanc di Digne, Francia, pastore contadino divenuto consulente del
Ministero francese dell'ambiente per la creazione di nuove parchi e
riserve (ve lo immaginate in Italia dove questi ruoli li ricoprono solo
verdi da tavolino?). Tra le personalità emblematiche del Musalp vi era anche Mario
Ziliani, il fratello di Tino, che aveva
partecipato all'incontro nel settembre 1991 ("Sulle tracce
della civiltà alpina") all'Ospizio del passo del Lucomagno in
Svizzera.
Mario,
all'alpe del Lucomagno, svolgeva la fase estiva del suo
lavoro, operando qui, però, da "malgaro" e non da pastore di ovini.
Presente a un momento conviviale del seminario, Mario fu poi invitato a
una sessione in cui si sarebbe parlato di musei e di pastori in
Romania. Qui Mario intervenne commentando le diapositive relative
all'attività pastorale in Romania (ancora fortemente legata a modalità
tradizionali). Da quell'incontro con Mario Ziliani nacque l'idea di un viaggio in Romania sui
luoghi dei pastori e della transumanza, viaggio che ebbe
effettivamente luogo nel 1992 con la
partecipazione di Mario (che, però, a un certo punto dovette interromperlo per iniziare la sua transumanza a Zurigo). Nel
1997, Togni pubblicò un opuscolo sull'attività di Musalp dedicandolo a
Jean Blanc, Otto Winzenried (un contadino - artista - filosofo che per 25
anni ha vissuto in val Poschiavo, a Viano, esclusivamente dei frutti
del suo lavoro agricolo), e a Mario Ziliani: Tre personalità che in modo
diversamente autorevole ed esemplare hanno vissuto, e tuttora
testimoniano, esperienze di vita sulle alpi, realizzando una saggezza e
una professionalità da autodidatti di livello e di intensità eccezionali.
Il
rapporto tra
Mario Ziliani e Togni ha portato anche alla conoscenza reciproca tra il
professore valtellinese e Tino. Una conoscenza non senza conseguenze
perché, attraverso l'interesse del professore veniva confermato il
valore di quella cultura del pastore transumante alla quale Tino
attribuiva così importanza.
Attraverso l'attività di
capo-tosatore, Tino era diventato un punto di riferimento per molti pastori. Convinto della
necessità che i pastori dovessero in qualche modo relazionarsi con le
istituzioni e diffondere un'immagine pubblica positiva della loro
attività (in forza del suo valore di patrimonio culturale e dei servizi
ambientali resi), Tino, nel 2000,
fondò l'Associazione
pastori
camuni che divenne poi, nel 2005, Associazione
pastori lombardi e della quale è stato
presidente sino alla morte.
Un aiuto al
Tino, nel far partire
l'Associazione, lo demmo io e il camuno (ma residente a Salò) dott.
Angelo Bonù, tecnico
dell'Associazione provinciale
allevatori di Brescia per la sezione ovicaprini, un vero appassionato
di
zootecnia e cultura camuna cui si devono le prime iniziative per la conservazione della capra
bionda dell'Adamello e il riconoscimento di diversi formaggi camuni (fatulì, motelì, stael).
Di fresco
costituita, l'Associazione organizzò un piccolo festival del
pastoralismo camuno: Belati
in piazza a Edolo (in nuce c'erano già quelle formule che
poi saranno
sviluppate con l'esperienza di Terre d'Alpe a Cuneo, nel 2013 e poi a
Bergamo, dal 2014 in poi).
Fiato ai baghèt. Il gruppo
dei Samadura Belati in piazza, li ritroveremo
a Bergamo nel 2014 alla prima edizioen del Festival del pastoralismo
Belati
in piazza,
però, non ebbe repliche (si vede che i tempi
non erano ancora maturi o che in valle non vi era un interesse
abbastanza forte per questo aspetto fondamentale della storia e
dell'identità locale). L'evento
riuniva i temi della transumanza ovina, della lana,
delle preparazioni a base di carne ovina (bergna, cuz,
salsiccia di
castrato di Breno), con quelli della rivalutazione della capra bionda
dell'Adamello (che, peraltro, era la capra dei pastori transumanti
camuni che l'hanno diffusa anche fuori della valle).
Nel 2001,
l'associazione di Tino Ziliani, con i proventi di
dimostrazioni di tosatura effettuate in occasione di vari eventi in
valle e in provincia di Brescia, avviò una prova
pilota di
lavorazione della lana dei pastori,
producendo - con le pezze di tessuto ottenuto - dei capi di
abbigliamento
pastorale tradizionale.
Un progetto del tutto "autofinanziato", "autosostenibile" che la dice
lunga sulla distanza
siderale tra lo spirito dell'Associazione pastori camuni e quello
di tante organizzazioni che utilizzano progetti fumosi per
finanziarsi.
Le dimostrazioni di tosatura erano organizzate dal Tino che,
oltre a prendere i contatti con le amministrazioni e i soggetti privati
(per esempio l'Archeopark di Ausilio Priuli), si occupava dell'arrivo
delle pecore e naturalmente... di tosare.
Preliminarmente
a questa esperienza, con l'aiuto di Tino, avevo eseguito (con un
tesista)
uno
studio sulle caratteristiche qualitative della lana bergamasca che
aveva fornito risultati incoraggianti e che contribuì a sviluppare le
successive iniziative di valorizzazione della lana
bergamasca. A detta dei pastori essa era divenuta più fine
di un tempo e si voleva verificarlo, con i numeri. In effetti, rispetto
a dati risalenti al 1978, avevamo
trovato come la produzione quantitativa, in soli venti anni, fosse scesa da
4,1 a 2,5 kg di lana sucida/pecora/anno mentre la finezza era
notevolmente migliorata: da 43,3 μm (millesimi di
millimetro) a 35,6 μm.
Inoltre si era molto ridotta la quota di "giarra" (peli grossolami che
non prendono la tintura) (Corti M., Perissinotto A., 2001,
Caratteristiche
quanti-qualitative della lana di pecore di razza
Bergamasca. Atti 36° Simp. Int.di Zootecnia Prodotti di origine
animale: qualità e valorizzazione del territorio, Ancona
27 Aprile
2001, pp. 63-68).
Ai fini della
lavorazione della lana si rivelò preziosa la collaborazione della
filiera laniera della val Gandino. Tino conosceva molto bene Silvano
Pasini, il titolare del Lanificio
Ariete (scomparso il 29 ottobre scorso). Presso
l'impianto di Gandino veniva lavata tutta la lana dei pastori e Tino,
oltre a tosare, si preoccupava anche, almeno per una parte dei pastori, di fare da trait d'union con
Pasini. Così Silvano Pasini si
prestò gratuitamente a lavare quattro quintali di lana sucida tenendola
separata (pur essendo una piccola quantità per il
grande impianto di lavaggio "tipo Leviathan"). Con grande
disponibilità, il lanificio Gusmini di Cene (dove, negli anni '90 era
stato prodotti l'ultimo pannolana bergamasco) aveva poi provveduto, a
prezzo politico (e superando alcune difficoltà tecniche) a
filare, tessere, tingere e operare il
finissaggio. La sartoria Taglio
Avion di Bonetti (Sovere) aveva poi
provveduto a confezionare i capi. Il tessuto venne realizzato
a "mezza saglia", come da tradizione del lanificio
bergamasco,
e tinto in nero e in marrone; in parte fu invece lasciato naturale (ecru).
Un omaggio alla tradizione dell'abbigliamento dei pastori che, sino
all'Ottocento utilizzavano capi (in particolare i tabarri) marroni, bianchi e verdi (per poi
uniformarsi al nero solo a fine secolo).
Con
alcune pezze di tessuto più pesante (800 g/mq) vennero confezionati
alcuni
tabarri (gabà)
e altri indispensabili componenti del “corredo del pastore”: la
giacca col carniere (dove riporre gli agnelli appena nati) e i
calzoni. Questa produzione è stata riservata ad alcuni pastori come Mario Ziliani che
praticavano il nomadismo durante l’inverno.
Con le pezze
di tessuto di peso più ridotto (600 g/q)
sono stati invece confezionati ì gilét
(crozèt),
e altre giacche destinate, nelle nostre intenzioni, non solo ai pastori
ma anche a chi per
l’uso all’aperto.
La “linea” era stata proposta con il marchio Pastori camuni
regolarmente depositato presso la Camera di Commercio di Milano. Con il tessuto
“naturale” furono realizzati, a titolo dimostrativo, alcuni
accessori che possono essere confezionati in ambito casalingo:
semplici gilét,
cappelli, borse. Tino era molto orgoglioso del
risultato.
Un pezzo importante di cultura
materiale dei pastori era stato "rinfrescato". Molti pastori
gli furono riconoscenti, consapevoli che gli articoli di abbigliamento
realizzati con la lana fine (oggi, paradossalmente, molto più
disponibile a bassi prezzi) si prestano meno bene all'uso pastorale (la
lana fine tiene più caldo, ma questo può essere un difetto per chi
lavora all'aperto, si inzuppa più facilmente, quindi protegge meno
dall'acqua, è meno resistente e subisce prima l'usura).
Al
primo Festival del pastoralismo (Astino, Bergamo, 2014), Tino
alle prese con la polenta. Indossa uno dei gilet di pannolana
bergamasco che l'Associazione pastori camuni aveva fatto produrre a
partire dalla lana dei pastori. Si vede bene il logo ormai storico:
"Pastori camuni", poi passato ai "Pastori lombardi" e al "Festival del
pastoralismo".
Tra le tante attività di
Tino, va segnalato il suo impegno nel rilanciare la mostra ovina di
Rovato. Per alcuni anni l'Associazione pastori lombardi organizzò, in
occasione della mostra ovicaprima di Rovato, dei convegni, cui seguiva
anche l'assemblea dell'Associazione e una cena dei pastori. Fu
un'occasione per tentare di dare un carattere più strutturato all'Associazione
stessa e, persino, di stringere contatti con degli embrioni di
aggregazioni simili che stavano tentando di costituirsi anche in Veneto
e in Piemonte. Nel 2010 a Rovato erano presenti Emilio Pastore per il
Veneto e Marzia Verona per il Piemonte. Oggi il primo di dedica alla
viticoltura, la seconda all'allevamento stanziale di capre in Val
d'Aosta, indice della difficoltà per il pastoralismo transumante di
trovare rappresentati organici. Da registrare al convegno di
Rovato del 2010 anche la presenza dell'emiliano Dino Mazzini
che, sull'Appennino, aveva perso tutte le pecore (mantenute nei
recinti) per ripetuti attacchi dei lupi. Mazzini, a Rovato, anticipò il
grido di dolore degli allevatori di fronte a un problema che, da
allora, è divenuto sempre più drammatico.
Le
velleità di organizzazione
inter-regionale dei pastori sfumarono ma anche i tentativi di
strutturare la "Pastori lombardi" non ebbero molto seguito. L'azione
dell'Associazione continuò a identificarsi con l'iniziativa personale
del suo presidente, sostenuto attivamente da una cerchia di pastori a
lui legati da rapporti di parentela o amicizia personale. Vi era poi un
buon numero di pastori che appoggiavano e approvavano le iniziative di
Tino, senza però contribuire in forma attiva. Una minoranza poi
dissentiva per vari e forse opposti motivi: alcuni ritenevano che il
pastore debba continuare nella tradizionale tattica di restare "sotto
traccia", aggirare gli ostacoli (normativi, burocratici, economici),
altri, alcuni "neo-pastori" contestavano, pur riconoscendogli impegno
generoso e disinteressato, che Tino si occupasse troppo di aspetti
culturali mentre sarebbe stato opportuno impegnarsi in azioni
economiche concrete, sollecitando sostegni pubblici per la
valorizzazione della carne. Tenere insieme le diverse anime del pur
ristretto mondo dei pastori non era facile. Tino è riuscito a farlo
nella misura possibile nei limiti oggettivi di un'associazione che si
identificava troppo con il suo presidente. Ogni tentativo di
strutturarla
maggiormente, specie se essa avesse assunto un
connotato
economico, avrebbe comportato delle lacerazioni insanabili, oltre a
scontrarsi con lo spirito antiburocratico e individualista dei pastori.
Tutto ciò, però, comporta, per i pastori, il pagare lo scotto della
delega ad altri
attori o
quello dell'assenza in quelle sedi in cui si prendono decisioni che
li interessano (e dove sono presenti molti altri portatori di altri
interessi o
sedicenti tali).
Alla mostra di Rovato
In realtà, nei confronti delle
istituzioni, l'Associazione pastori lombardi ha sviluppato alcune forme
di interlocuzione importanti. Al convegno di Rovato era presente il
dott. Alberto Lugoboni, dirigente della struttura Sviluppo della
montagna e dell'utilizzo sostenibile dei terreni agricoli. Ne
sono derivate delle iniziative quali l'apertura di "tavoli" con gli
enti che più di altri condizionano, con le loro regole, l'attività dei
pastori: i parchi fluviali. La monocoltura maidicola se, da una parte,
consente ai pastori di utilizzare le stoppie da ottobre in poi, ad
aprile, con le semine in contemporanea, trasforma buona parte della
pianura in un terreno off limits. Al pastore non resta che spostarsi
sulle aste dei fiumi, in attesa della monticazione. Il Parco del Serio è
stato quello che per primo ha manifestato delle aperture nei confronti
dei pastori. Disponibilità a ridefinire regole per il pascolo, il
transito, lo stazionamento è stata espressa, attraverso più incontri
con i pastori anche dal Parco Adda Sud.
In
tema di parchi va segnalato
il progetto, svolto tra il 2010 e il 2013 nell'ambito del PLIS colline
di Brescia, un progetto di pastorizia in contesto urbano, finalizzato a
interventi di ripristino e manutenzione di superfici erbacee (nella
foto aerea sono cerchiate in rosso le aree interessate al pascolo
nell'ambito del monte Maddalena e dei colli Campiani. Merita ricordare
l'impegno del dott. Benedetto Rebecchi, dirigente del comune con
responsabilità del Parco e della dott.ssa Anna Mazzoleni. L'aspetto
interessante è che l'intervento ha previsto l'intervento controllato di
greggi (o parti di greggi) transumanti che transitano
regolarmente in zona durante il loro cammino di risalita verso la val
Trompia
(e oltre). Al progetto l'Associazione
pastori lombardi ha partecipato in modo attivo quale
interlocutore del comune di Brescia.
Pecore in azione sul Monte
Maddalena
A latere del progetto, il 23
marzo 2010, presso Lo
Scultore - Civica trattoria bresciana (in via Carlo
Cattaneo 24, in pieno centro storico di Brescia) venne
organizzato un "menù del castrato bresciano", presenti il pastori Ivan
Sandrini, Michele e Danilo Agostini (questi ultimi anche in qualità di
macellatori). L'idea era quella di presentare il castrato
bergamasco-camuno-bresciano (la flessibilità di denominazione è
d'obbligo) quale carne ottenuta al pascolo a km zero.
A Brescia, però, un'ampia area
a Sud-Ovest della città, il
tristemente noto "sito Caffaro", è interdetta alle attività di
coltivazione e al pascolo per l'inquinamento da Pcb ("parente" delle
diossina). Anche l'asta del Mella, corridoio ancora ai nostri giorni
per 3-4 mila pecore transumanti, rientra in parte nell'area off-limits.
Negli anni, però, vi sono stati casi di pastori multati per essere
passati per l'area vietata. Situazioni che certo non si accordano con
la promozione di un prodotto, la carne ovina da allevamento transumante
che viene, giustamente, presentata come "da erba", grass-fed se
volessero usare il solito inglesismo. Così il comune di
Brescia e l'Associazione pastori lombardi hanno lavorato a un
protocollo che impegna i pastori a seguire percorsi alternativi e, il
comune, ad agevolare il transito dei greggi lungo le direttrici
concordate. Il protocollo è stato sottoscritto da Tino e dall'assessore
all'ambiente Gianluigi Fondra il 12 dicembre 2015 (sotto).
La cerimonia si svolse a
palazzo Martinengo nel contesto del convegno organizzato per
presentare i risultati del progetto di utilizzo del pascolo ovino per
la manutenzione delle aree del Parco delle colline di Brescia.
Come in altre circostanze, l'Associazione pastori camuni, alla quale si
è affiancato dal 2014 il Festival del pastoralismo di Bergamo (sui cui
avremo modo di tornate tra poco), non hanno mai ceduto al folklorismo
fine a sé stesso. Anche se la spettacolarizzazione è la leva emotiva
per ottenere l'attenzione su contenuti cognitivi.
Il passaggio di un drappello di
pecore (in numero un po' troppo simbolico in realtà) avvenuto nello
stesso giorno, aveva si un connotato "natalizio", evocando lontani
natali in cui le strade cittadine (avveniva anche a Milano)
erano percorse da "zampognari" coperti da pelli di pecora, ma
coincideva con iniziative concrete, volte ad assicurare la continuità
della transumanza a Brescia, e sulle quali si intendeva attirare
l'attenzione della cittadinanza.
Restando in ambito bresciano,
alla prima dimostrazione delle potenzialità gastromiche della carne di
pecora bergamasca, ne seguì una seconda, il 9 aprile 2011, alla
Trattoria La Madia di Brione (Franciacorta) dello chef-patron Michele
Valotti. Parteciparono, tra gli altri, il gastronomo Riccardo Lagorio,
Carlos McAdden (blog Made in Brescia). Venne anche la Rai (Sergio Carrara).
Castrato alla piastra
(cena alla Madia). La succulenza si avverte già in fotografia
Tino, Danilo Agostini
(autore e fornitore della carne), Claudio Filisetti
alla cena del castrato alla Madia
Tino durante
l'intervento alla "cena del castrato" alla Madia . Qui indulge nel
ricorso alla mimica un po' istrionesca con la quale era uso
accompagnare i suoi discorsi
Le iniziative gastronomiche
bresciane dell'Associazione pastori lombardi ebbero come corrispettibo
bergamasco una memorabile "Cena del castrato", organizzata
qualche giorno prima di quella franciacortina, il 17 marzo 2011, presso
il ristorante Collina di Almenno San Bartolomeo (chef-patron Mario
Cornali). Alla cena collaborò anche, per la scelta dei vini, Daniele
Visconti della Trattoria Visconti di Ambivere. A differenza della cena
della Madia (aperta al pubblico), quella al Collina era limitata alla
stampa e ai pastori e ad addetti ai lavori. C'erano Elio Ghisalberti
(rubrica gastronomica dell'Eco) e Alberto Lupini (direttore de L'Italia
a Tavola) ma anche Alberto Lugoboni (il già incontrato dirigente della
regione). Per i pastori, oltre a Tino, gli immancabili Danilo Agostini,
Claudio Filisetti e Daniele Savoldelli.
Le iniziative gastronomiche per
la valorizzazione della carne ovina bergamasca della primavera 2011
ebbero seguito con la settimana del castrato, organizzata da Slow Food
nel novembre successivo.
Da allora all'Osteria GiGianca
di Bergamo, ma anche agli altri locali sinora citati come sede del
primo lancio della primavera nel 2011, questa carne è, in
alcuni menu stagionali, sempre presente. negli anni si sono
affiancati anche altri locali: Guelfo Nigher di Riva di Solto (Bg), al
Resù di Lozzio e al Sapì di Esine (Valcamonica). L'elenco non è
peraltro completo.
Oltre alle
iniziative assunte
direttamente, l'Associazione ha svolto un ruolo importante mettendo in
contatto fotografi e registi interessati a documentare il mondo del
pastoralismo transumante lombardo. Cristina Meneguzzo, Michela
Barzanò e Emanuela Cucca con "Fuori dal gregge" (Italia, 2012, 42')
hanno realizzato un film-inchiesta che ha consentito ai pastori di
raccontarsi e non di essere raccontati da punti di vista, se non
arbitrari, quantomeno soggettivi. Tra la primavera 2010 e quella
successiva, le autrici hanno seguito una quindicina di pastori nei loro
spostamenti invernali e in alpeggio.
Non solo c'è stata una fase
preliminare di contatti con i pastori (fase nella quale Tino ha svolto,
come in altri casi il ruolo di mediatore) ma, nel
procedere al montaggio del film si è osservata una procedura
partecipata con il coinvolgimento dei pastori. Alcuni di loro
si sono prestati a visionare il materiale e hanno indicato quegli
aspetti che non ritenevano opportuno inserire.
Tino, con Cristina Meneguzzo
durante la proiezione a Parre
Non è facile per un
pastore osservare tutte quelle regole pensate per ben altre condizioni
e non è difficile trovarsi "fuori regola". Non è neppure facile, se non
si conoscono le situazioni, capire che certe pratiche sono eseguite per
il benessere dell'animale e non per farlo soffrire. Il film era stato
realizzato per un bando del Registro delle eredità immateriali della
Lombardia (REIL) e i materiali prodotti sono stati acquisiti
dall'Archivio di etnografia e storia sociale (AESS - Lombardia). In
questo modo la transumanza è stata inserita nel patrimonio immateriale.
In questo contesto Tino Ziliani è stato identificato come il referente
di questa realtà facilitando, attravertso i contatti instauratisi con
la direzione generale della cultura della regione (dott.ssa Agostina
Lavagnino) che hanno consentito l'inserimento della Lombardia tra le
regioni interessate al riconoscimento Unesco della transumanza quale
patrimonio immateriale dell'umanità (2019).
Nel settembre 2013 la Wool
week, a cura del Woomark (quello che una volta era il marchio
internazionale pura lana vergine) è stata organizzata a Milano. Gli
organizzatori si sono rivolti a Tino che ha fatto arrivare una trentina
di pecore dalla Brianza e ha curato i vari aspetti del loro
stazionamento (veterinario ecc.) tra il Duomo e la
Rinascente. Peccato che gli animalisti hanno impedito la dimostrazione
di tosatura. Nella loro ignoranza non sanno che la tosa è praticata per
il benessere dell'animale e che la lana, a differenza dei peli ordinari
dei mammiferi che, periodicamente (muta), o gradualmente, si rinnovano,
continua a crescere.
Le pecore alla Rinascente di
Milano
Tino era disponibile a dare dimostrazione di tosatura ovunque si
organizzasse qualcosa sul tema della lana. Sotto (a sn) è impegnato a
tosare a Malonno, nella sua Valcamonica, in occasione di una festa
della lana organizzata nel settembre 2015 a Malonno dall'associazione Coda di lana che
organizza anche la raccolta della lana sucida dai piccoli allevatori
ovini locali, si occupa di smistarla e di mandarla a lavare (attività
purtroppo interrotta con la chiusura del Lanificio Ariete di Gandino
nel 2018. A dx Tino con le fondatrici di Coda di lana
all'alpe Rosello di sopra insieme al pastore Giacomo Lombardi con la
moglie.
Sono innumerevoli le
riunioni in tema di lana e dei suoi problemi alle quali Tino ha
partecipato. La sua presenza era sempre sollecitata perché era lui che
aveva il polso della situazione da parte dell'offerta, almeno per
quanto riguarda i pastori transumanti (lombardi ma non solo). Era lui
la persona di riferimento (di lana ne ha maneggiata a montagne in vita
sua), per capire a quali condizioni è possibile ottenere una lana di
qualità (relativamente all'incidenza delle impurità: residui vegetali,
sabbia, terra, sterco) ecc.
La cena del 14 dicembre 2016 a
Gandino (Tino è al centro del tavolo in fondo)
Così alla prima riunione informale degli "addetti ai lavori" della
filiera lana di Gandino, riunita per una cena a base di capra con
peperoni e polenta (ricetta di Nereto -Teramo - adattata, e non poteva
essere diversamente nel borgo che per primo nella bergamasca
ha conosciuto la coltivazione del mais). Di quella riunione (ne
suguirono altre più formali che portarono al lancio del marchio Lana
Valgandino), Tino era stato avvisato all'ultimo momento (mea culpa), ma
- sapendo che era un'occasione importante - aveva preso la macchina ed
era venuto. Una circostanza che ben si accorda con quanto riferito dal
fratello Mario: quando
lo chiamavano per qualcosa che riteneva importante piantava l' tutto e
partiva, magari stava falciando il prato, lasciava lì la falciatrice
nel prato per tre giorni.
La cena di Gandino appena ricordata era una cena "post- festival",
seguiva cioè l'edizione 2016, la terza, del Festival del pastoralismo
di Bergamo. Il Festival non sarebbe decollato senza il sostegno
dell'Associazione pastori lombardi. L'apporto di Tino,
Danilo Agostini, Daniele Savoldelli, Claudio Filisetti fu
essenziale.
Non solo perché Danilo portò le
sue pecore ma anche perché i pastori sostennero diverse spese
(trasporti, fornitura di carne di pecora e altri alimenti). Grazie a
loro furono risolti i problemi di spostamento del gregge in città (era
la prima volta) e venne allestita una memorabile "merenda con i
pastori".
Tino gira la polenta, Claudio
prepara la bergna (fresca). In piedi Gabriele Rinaldi dell'Orto
botanico. Il fotografo è Marco Mazoleni, al suo fianco Silvia Tropea,
allora presidente degli Amici dell'Orto botanico, l'associazione che si
era presa l'onere di organizzare il Festival (l'associazione Festival
del pastoralismo si formò subito dopo)
Grazie a loro furono risolti i
problemi di spostamento del gregge in
città (era la prima volta) e venne allestita una memorabile "merenda
con i pastori". Dal 2016, superato il collaudo, il gregge che da vita
alla mini transumanza delle mura e dei colli di Bergamo è quello di
Marco Cominelli, pastore di Parre, "titolare" delle aree di pascolo
urbane (sotto in secondo piano, in primo Clausio, il braccio destro di
Tino... che - di solito sorridente - pare qui invece uscito da un dipinto dei
pastori ottocenteschi).
Tino e i "suoi" pastori hanno
partecipato anche nel 2015, sia per accompagnare il gregge che per
allestire il buffet (non più "al campo" perché nel frattempo il campo
era stato sottoposto a coltivazione) (sotto). Anche alle edizioni
successivi l'apporto e la presenza di Tino non è mai venuta meno. Tino
e i suoi amici erano soddisfatti che il Festival avesse iniziato a
marciare da solo. Si sono sempre accontentati di ringraziamenti e di
vedere un piccolo logo suli manifesti. Erano soddisfatti che il
Festival, riprendendo anche nel logo, il "marchio" dei Pastori lombardi
(già camuni) perseguisse il programma di riconoscimento del valore
culturale (ma amche ambientale e gastronomico) del pastoralismo
transumante. Tino faceva finta di brontolare un po' quando vedeva che
le vacche e le capre avevano ampio spazio nel Festival. Capiva che
tutto l'allevamento estensivo, di montagna rappresenta un settore
debole, alle prese con la burocrazia, le speculazioni ... i grandi
predatori.
In anni
recenti si era giustamente preoccupato, senza dimenticare la regolazione
del
pascolo e del transito dei greggi nei parchi, la destinazione della
lana (specie dopo la chiusura dell'impianto del Lanificio Ariete di
Gandino), dei grandi predatori. Su questo tema, oltre ad
intervenire senza peli sulla lingua e senza timori reverenziali di
urtare la "sensibilità ambientalista" dell'establishment
a numerosi
convegni, presentazioni di film (vedi "compagno orso") a livello locale
e regionale, teneva contatti con altri paesi (conoscendo diverse
lingue) e si era recato anche a un incontro a Innsbruck. Va ricordato
che Tino si teneva aggiornato sui temi dell'attività pastorale in
Europa attraverso riviste che si faceva spedire dall'estero. Il suo
interesse per la dimensione locale non escludeva affatto una visione
più ampia della realtà.
Preoccupato
dei problemi pratici dei pastori, non certo per sollecitare favori per sé o per i
suoi amici, teneva assidui
con
personalità politiche. Rimaneva però
fortemente interessato, coerente con la sua storia personale, al valore
culturale della
pastoralismo transumante di cui non mancava mai di marcare il
carattere distintivo. E' stato per il suo interessamento che la
Lombardia è stata inserita nel riconoscimento Unesco per la
transumanza.
Grazie
all'attività di affiancamento sul campo e di
fraterno incoraggiamento, Tino ha trasmesso la sua competenza di
tosatore a dei giovani (o ex giovani) che ne stanno continuando
l'attività. Primo tra tutti Claudio Filisetti. Ci
auguriamo che anche la sua attività di portavoce della categoria
sappia trovare, seppure in forme diverse (Tino era un personaggio unico), continuatori. L'attività di
tosatore portava Tino anche in Piemonte, Emilia,
Trentino, Veneto, Friuli. In tutto il Nord Italia era conosciuto e
stimato, non solo per la sua professionalità ma anche per le doti
umane di disponibilità, generosità, di serietà (alla quale accompagnava però affabilità e ironia).