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cultura ruralpina in valle Imagna



Giugno: tra intenso lavoro campestre

e riti agrari


Nel mese di giugno, non possono essere dimenticati almeno tre eventi ricorrenti e particolari, assai sentiti e vissuti nel calendario rituale dei contadini: due di essi celebravano i poteri magici della notte, solitamente frequentata dagli spiriti che si volevano propiziare. Queste notti  cadono nel periodo del solstizio d'estate


di Antonio Carminati




Abbiamo introdotto il tema con questo articolo sulla festa di San Giovanni Barrista come festa del solstizio che riprende antichissimi riti e credenze
 
http://www.ruralpini.it/San_Giovanni_come_festa_del_solstizio.html



(16.06.19) Giugno è sempre stato un mese carico di lavoro all’aria aperta, nei prati a fare il fieno o con le vacche in alpeggio, almeno per coloro che non erano partiti in emigrazione, anch’essi impegnati nelle campagne, nelle foreste o sui cantieri d’Oltralpe o d’Oltremare. Una vita assai movimentata, la loro, caratterizzata da un forte coinvolgimento personale in attività varie, per la compresenza di elementi concreti e astratti, materiali e spirituali, di fede e di lavoro. Nell’antica civiltà rurale la vita concreta delle persone era come avvolta da una ulteriore dimensione sovrannaturale, nella quale i singoli individui si sentivano partecipi e coinvolti, ma anche condizionati, almeno in parte, nel loro operato, da forze provenienti dall’Aldilà. Riti propiziatori, usanze e credenze popolari, assai diffuse nel contesto rurale, scandivano il tempo delle stagioni, durante tutto l’anno, e, per il mese di giugno, non possono essere dimenticate almeno tre eventi ricorrenti e particolari, assai sentiti e vissuti nel calendario dei contadini: due di essi celebravano i poteri magici della notte, solitamente frequentata dagli spiriti che si volevano propiziare, rendendo anch’essi, almeno in alcune circostanze, ben disposti a sostenere l’umanità e gli sforzi da essa compiuti per il progresso sociale.



La notte di San Giovanni Battista (24 giugno) era avvolta da un influsso benefico. In questa occasione i giovani principalmente, ma con essi qualche adulto, e i fanciulli più coraggiosi, prima di andare a dormire, i mitìa dal de fò la camìsa,(mettevano all'esterno la camiscia), per indossarla la mattina seguente, con devozione, ancora bagnàda co la rosàda de San Gioàn Batésta (ancora bagnada con la gugiada di San Giovanni Battista) . Si riteneva, infatti, che il Santo avrebbe protetto i suoi devoti da i peàde de ìpere e bisù (morsi delle vipere e delle bisce). Suggestionato dall'evento, nella convinzione di godere dei buoni auspici divini, come sotto protezione, il contadino si rapportava con più determinazione nel quotidiano confronto con i lavori nei prati e pascoli e affrontava con coraggio i pericoli derivanti dalla fienagione: anche i rettili, striscianti a seguito della biblica condanna, non avrebbero più provocato eccessiva paura. La rugiada di quella notte era utile per guarire diverse malattie. Alcune donne si lavavano il volto sfregando le mani nell’erba ancora bagnata, convinte che quell’acquariccia preservasse la bellezza
.




Allo stesso modo l’erba sarebbe stata particolarmente salutare anche per il bestiame. Nella tradizione cristiana la rugiada rappresenta le lacrime di Salomè: la leggenda narra che Salomè pentita per la morte di Giovanni Battista, coprì la testa del santo di baci e lacrime ma dalla bocca del Battista uscì un vento fortissimo che la spinse in aria, dove restò a vagare per l’eternità.



Cinque giorni dopo, la sera che antecedeva la festa di San Pietro e Paolo (29 giugno), invece, i ragazzi, prima di coricarsi, ì mitìa dal de fò, sö la lòbia, ü fiàsc ‘mpienìt (collocavano all'esterno, sul loggiato, un fiascoi pieno) per metà de aqua e contenente un albume d'uovo. Al risveglio era talmente forte la curiosità del fanciullo nel constatare che, durante la misteriosa notte, s'ìa fàcc sö (si era creata) la barca, al punto da coinvolgere per il resto della giornata la sua sensibilità intorno ad alcune rievocazioni fantastiche della nonna sulle vicende dei Santi festeggiati, con particolare attenzione alle numerose leggende di Pietro, il pescatore. Si gareggiava, per ottenere la barca migliore. La barca de San Piéro (di San Pietro): l’albume assume nel fiasco la forma immaginifica di una barca a più vele e, a seconda della loro forma, i contadini prevedevano le condizioni del tempo: vento e sole con le vele aperte, pioggia e burrasca se le vele appaiono chiuse. Quando, poi, si forma addirittura la sagoma di un grande veliero, significa che l’annata agraria sarà proficua. Ottimo auspicio per un buon raccolto.





Proverbiale, infine, è sempre stato anche il temibile temporàl de San Piéro (temporale di San Pietro). Il racconto della nonna Elvira affondava le sue radici nella Bibbia e, nella sua semplicità, mi spiegava come mai il periodo di fine giugno fosse imperversato da improvvisi violenti temporali. Mi raccontava che, trovandosi la mamma di San Pietro all'inferno, ol Signùr aveva concesso al Santo de teràla fò dóma öna ölta a l'àn, per portàla sö en Paradìs (tirarla fuori una volta all'anno per portarla su in Paradiso). Ecco perchè il 29 giugno San Pietro si reca ogni anno in quel luogo di supplizio, per portà la so màre en paradìs: ma, en dol pasà sö, chèle ótre fömègn le gà se tàca adòs, perchè dà lùr le örès 'ndà en paradìs. (per portare sua madre in paradiso, ma dove passa, le altre donne gli si attaccano, perché vovevano anche loro andare in paradiso). Non potendo esaudire questo loro desiderio, la mamma di San Pietro e glià sghörlés dó (le ha fatte cadere giù), rigettandole, piangenti e disperate, nel loro abisso di dannazione. Il pianto di tutte queste, languenti nell'anelito della liberazione è, nel racconto popolare, all'origine delle violenti perturbazioni temporalesche che imperversano sul villaggio nel giorno della festa dei due Santi, sino a pochi anni fa festa nazionale, ora soppressa. Ol temporàl de San Piéro (il temporale di San Pietro) era temuto da quei bergamini e allevatori di monte, sensài e caalàncc (mediatori e cavallanti), che si ritrovavano tutti gli anni, presso la chiesa della parrocchia estiva della Culmine di San Pietro (1), dove si facevano i contratti di compravendita degli stracchini per la stagione dell’alpeggio e si stabilivano le modalità per il loro trasporto a valle, soprattutto nelle casère della Valsassina.



Pendevo dalla bocca della nonna, quando raccontava queste storie e leggende, nelle quali ella aveva sempre creduto, sin da bambina, e che pure io cercavo di mettere in pratica. Con la fantasia m’immedesimavo nelle vicende narrate, che rielaboravo inconsapevolmente e vivevo in modo personale, non senza preoccupazioni e anche con un po’ di paura. Bene e male, paradiso e inferno, guerra e pace, mondo naturale e realtà sovrannaturale, concezioni opposte si confrontavano in continuazione.
Ma poi, per fortuna, c’era il prato, sotto una bella giornata di sole, dove si scaricavano tutte le paure e ritornava il coraggio di vivere e di fare, la forza di correre e di fermarsi, magari davanti a öna spitùnga(una altalena), che nel frattempo la zia l’ìa tacàt sö a la pianta de sarìse (aveva fissato a un cigliegio) Ora mi sento come allora, cullato dai miei tanti pensieri dondolanti su quell’altalena nel prato aperto che si affaccia sul Resegone…


Note


(1) La chiesa di San Pietro alla Colmine fu edificata nel XVI sec. dove esisteva un antica rocca; 1649 divenne parrocchia. Per secoli funzionò da parrocchia stagionale, in quanto il titolare scendeva in pianura con i bergamini e risaliva a maggio. E' stata soppressa nel 1973 e aggregata alla parrocchia di Maggio in Valsassina.


Serie cultura ruralpina (in valle Imagna)

a cura di Antonio Carminati



Il fienile come granaio (in montagna)

(08.06.19) Nella civiltà agropastorale alpina il fieno assume unaforte centralità. Dalla sua raccolta dipende la possibilità di mantenere più o meno animali durante l'inverno, animali da vendere oda utilizzare per il latte, animali produttori del prezioso letame. Dal fieno quindi dipendeva la ricchezza (o la minor povertà, per meglio dire) della famiglia contadina

Tempo di preparazione all'alpeggio
(18.05.19) A Corna Imagna, come in tante realtà delle prealpi, l'alpeggio è praticato spostandosi su maggenghi siti a diverse quote, sino a raggiungere i 1.000 m. Si reata, però, sempre a  moderata distanza dal villaggio. Così il contadino saliva  e scendeva ogni dai pascoli e la sua attività principale continuava ad essere la fienagione. Per le bestie, ma anche per gli uomini, era comunque un periodo atteso.

Maggio: natura fiorita e culto popolare 
(10.05.19) Quando la fede popolare umanizzava e santificava la natura in fiore, i campi, il territorio. Nel mese di maggio, oltre al culto mariano, erano importanti le preghiere e i riti di benedizione delle case, dei campi, dei raccolti ancora incerti. Lo spazio abitato, che andava ben oltre quello "urbanizzato", era presidiato da contrade e cascine e marcato da numerose presenze del sacro, prime tra tutte le  santelle per le quali transitavano le processioni delle rogazioni a marcare lo spazio simbolico della comunità da difendere dal disordine e dalla negatività leggi tutto

Quando la vacca deve partorire. Quand che la aca la gh'à de fà
(05.05.29) Per la famiglia contadina tradizionale, ma anche per il piccolo allevatore di montagna di oggi, l'attesa del parto della vacca è piena di trepidazione. Si spera che nasca una femmina ma si temono le complicazioni del parto. Ancor oggi tutto quello che ruota intorno alla riproduzione bovina nelle piccole stalle è oggetto di pratiche di solidarietà orizzontale che tengono insieme la comunità degli allevatori locali.

Hanno ucciso la montagna (la fine della grande famiglia del nonno) 

(15.04.19) Nel racconto autobiografico di Antonio Carminati la "grande trasformazione" degli anni '60. L'entrata nella modernità, vista per di più come limitativa e negativa, attaverso l'esperienza di un bambino che vive il passaggio dalla vita patriarcale di contrada a quella della famiglia nucleare e dell'appartamento "stile città", una distanza di un km o poco più in linea d'aria che segna il passaggio traumatico tra due mondi.

Architettura identitaria. I tetti in piöde, bandiere di identità valdimagnina

(06.04.19) In valle Imagna  L'arte delle coperture, della posa delle piöde ha raggiunto particolare perfezione tanto da assumere i connotati di un emblema identitario. Non sono poche, però, le difficoltà nel conservare e far rivivere questo patrimonio di valori culturali (saperi, abilità) ed estetici. Un tema per un utile dibattito con il coinvolgimento delle comunità locali e non solo degli addetti ai lavori.

Pecà fò mars  Il rito della definitiva cacciata della cattiva stagione
(31.03.19) Dopo il carnevale, ancora una volta, per cacciare la brutta stagione, soprattutto la sua pazza coda di marzo, occorre produrre altro rumore, diffondere suoni anche strani nell’aria, insomma fare chiasso e… tanto baccano.  La funzione è sempre stata duplice: da un lato allontanare gli spiriti del male, dall’altro richiamare ad alta voce la bella stagione, facilitando così il risveglio della natura

Omaggio ai boscaioli emigranti (eroi del bosco, martiri del lavoro)
(25.03.19) Una vita di sacrifici durissimi, di frugalità, di duro lavoro quella dei boscaioli bergamaschi che emigravano abbandonando le loro valli e le loro famiglia a marzo per recarsi in Svizzera e in Francia. Doveroso ricordarla.

La gestione del letame nell'economia agropastorale montana

(20.03.19) Lo spargimento del letame nei prati e campi di montagna, utilizzatonaturale. Almeno così era nel passato.  quale fertilizzante, è forse una delle attività maggiormente faticose, ma anche più importanti, sul piano della conclusione di un ciclo.

La stalla e gli altri manufatti dell’edilizia tradizionale

(03.03.19) Una stalla, un prato, un pascolo, una vacca, quando sono in grado di accogliere relazioni generative con la popolazione locale, e quindi di esprimere i caratteri di una visione, rappresentano dei valori, più che dei beni o delle merci. Francesco, Ugo e tanti molti agiscono come tante api operaie, ossia contribuiscono in modo determinante a sostenere l’ossatura e il futuro del “sistema montagna” delle Orobie, presidiando il territorio e difendendo l’insieme delle sue caratteristiche naturali e antropiche.

La distillazione della grappa (una tradizione di libertà)
(23.02.19) Oggi molti possono permettersi di acquistare la grappa (e il mercato ne offre per tutti i gusti) ma distillare in casa frutta o vinacce gratifica con quel senso di indipendenza, di libertà e, diciamo pure, di sfida. La sfida a uno stato che per non perdere le accise sostiene di vietare la distillazione casalinga per "tutelare la salute", disconoscendo un sapere contadino secolare (l'alambicco si diffonde dal Cinquecento).

La caccia alla volpe (e al lupo) nella realtà contadina
(15.02.19) Nel periodo più freddo e nevoso dell’anno, quando cioè gli uomini avevano tempo a disposizione, öna ölta (una volta) i cacciatori più sfegatati, ma anche i contadini meno provetti all’uso dell’archibugio, i vàa a vulp (andavano [a caccia] di volpi).


L'economia delle uova nella società contadina
(05.02.19) Loaröi e loaröle(venditori e venditrici di uova) erano protagonisti di una economia integrativa per il sostentamento del gruppo familiare, sia sotto il profilo alimentare, che per quanto concerne l’introito di qualche pur modesta somma di denaro...


In morte di un complesso rurale di pregio
(22.01.19)
La triste parabola di una contrada a oltre 900 m di quota in valle Imagna. Un tempo abitata tutto l'anno, poi alpeggio, oggi consiste solo di prati e di fabbricati in rovina. Quelli ristrutturati trasformati a "uso vacanza". 



La méssa dol rüt
(08.01.19) La méssa dol rüt  (la concimaia) era l'elemento chiave di un paesaggio ordinato che nutriva animali e persone senza inquinare e sprecare risorse


Il Natale dei contadini. Un rito che non scompare: la macellazione del maiale (cupaciù)
(23.12.18) Riti che rivivono, pieni di significato. Ancora oggi la macellazione del suino è occasione per aiutarsi tra giovani allevatori.  Quella che sembrava una pratica da amarcord da vecchie foto in bianco e nero possiamo documentarla come un fatto attuale e in ripresa. La sequenza della macellazione con qualche immagine di insaccatura. 



contatti:redazione@ruralpini.it

 

 

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