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Orsi e lupi

I nodi vengono al pettine:

lupi sparati anche in Veneto


Quando lo stato,
lasciandosi legare le mani dalle lobby, abdica alla difesa di interessi prioritari, il popolo, in base al diritto naturale, ha il diritto-dovere all'autodifesa. Nelle circostanze attuali, in alcune situazioni italiane, sparare ai lupi è legittima difesa, una forma di resistenza sociale di fronte a istituzioni - europee e statali - che non hanno il coraggio di gestire una popolazione lupina in continua espansione. Il tutto per assecondare ideologiee piani di rewilding (rinaturalizzazione selvaggia), promossi da oscuri interessi di élite globaliste. Gli allevatori e i montanari hanno diritto a tutelare i territori di montagna, il loro modo di vivere, le attività tradizionali, i loro valori e la loro identità e a non essere espropriati, contro ogni principio del diritto, dalle subdole lobby "naturaliste"


di Michele Corti

(29.09.18) Lo sporco gioco delle lobby "naturaliste" è palese. Esse rappresentano lo strumento e l'articolazione dei poteri forti global-progressisti, che utilizzano i grimaldelli buonisti dell'immigrazione di massa (l' "accoglienza") e del rewilding per operare la sostituzione etnica  (con i "migranti" africani) delle aree urbane e il depopolamento delle montagne e delle aree interne. Concentrare una umanità meticcia nelle metropoli significa controllarla meglio, renderla totalmente dipendente dagli apparati tecnologici gestiti da poche centrali. Un saggio di questa capacità di controllo è stato offerto dal blocco dei bancomat vaticani durante il golpe che ha determinato le dimissioni di Benedetto XVI e la sua sostituzione con una figura gradita ai poteri global-progressisti mondiali. Ma la montagna spopolata significa anche, come ripetiamo da tempo, mettere le risorse del monte, in primis la sempre più preziosa e rara (l'acqua dolce non inquinata), nelle mani della speculazione finanziaria (che sa come far fruttare la "wilderness" con i crediti di carbonio, i future sui diritti sull'acqua, i Pes - payments for ecosystem services).

Sostituzione etnica e rewilding puntano allo sradicamento delle comunità umane, a un'umanità amorfa, senza memoria, senza legami, totalmente dipendente dagli apparati di controllo dell'ipercapitalismo terminale globale. Sono ormai in molti a ritenere che questo stadio di umanità degradata, segnata dalla polarizzazione tra un pugno di super-ricchi e super-potenti e il resto dell'umanità costituito da iloti (la grande maggioranza della popolazione dell'antica Sparta in condizione di schiavitù) non rappresenti altro che il prodromo della realtà postumana, quella in cui l'uomo, ormai inutile per il profitto - attraverso una "nuova creazione" tecnologica - sarà soppiantato da umanoidi, ibridi, cyborg, perfettamente programmabili in funzione delle esigenze del capitale. Il buonismo, nasconde quindi un programma demoniaco.

Una minaccia oscura ma percepita (giustamente) come mortale. Il lupismo è un tassello del nuovo totalitarismo

Le nostre popolazioni di montagna, meno "addomesticate" delle masse urbane, intuiscono che la promozione della proliferazione dei lupi, l'impedimento di qualsiasi forma di difesa dai loro attacchi, la trasformazione del lupo in un sacro totem intoccabile, rappresentano qualcosa che sovverte, da capo a fondo, i presupposti su cui si basa la civiltà stessa dell'uomo "abitatore" dei territori, una minaccia che trascende la dimensione faunistica, la sostenibilità dell'allevamento, qualcosa che nasconde finalità oscure e terribili minacce. Minacce a 360°, minacce antropologiche, che si annunciano molto chiaramente quando la vita umana viene apertamente considerata dagli animalisti meno importanre di quella dei lupi.

Qualunque sia l'interpretazione che le popolazioni di montagna danno della politica di reitroduzione del lupo, esse rifiutano la sua imposizione autoritaria, senza possibilità di obiezioni, come prassi e come medtodo. Avvertono istintivamente che, dietro la facciata consunta della democrazia liberale, c'è un nuovo e peggiore totalitariasmo, una bio-politica autoritaria che sovverte nel profondo la vita delle persone e della biosfera "giocando a Dio", manipolando il genoma, attentando alla fertilità umana e promuovendo il controllo della riproduzione, negando la stessa realtà del genere come biologicanente determinata (il "gender"), facendo cadere la stessa distinzione tra uomo e animale (transpecismo) con la conseguenza che l'uomo - non più importante di un animale - è degradato a oggetto, cosa, merce.

Il lupismo è un tassello che si incastra in questa bio-politica, in questo totalitarismo, tanto più nefasto quanto più si presenta come una realtà post-politica, che non può essere messa in discussione, una realtà che si autoimpone nella prassi in forza di automatismi di economia e saperi esperti (e di maschere buoniste).  Non è solo la fine della democrazia, della finzione della "sovranità popolare" è la fine della politica sostituita dall'economia, dalla tecnologia da una "morale universale" non contestabile dei "diritti dell'individuo" e dei "diritti degli animali". Ma contro il totalitarismo post-liberale si può reagire; contro il potere opaco, avvolgente, tentacolare, viscido dei "centri",  le periferie, il popolo possono ribellarsi.

L'opposizione alla reintroduzione del lupo è una reazione populista, democratica al nuovo totalitarismo

In Veneto le valli non sono spopolate come a Cuneo; la densità degli allevamenti delle malghe fa si che, anche se fossero efficaci, le misure proposte come panacee dai lupisti, non farebbero che spostare il problema sul gregge vicino, sulla mandria vicina. E anche se tutti adottassero cani e recinti, i lupi, attratti dall'abbondanza delle facili prede, troverebbero facilmente le soluzioni per aggirare le parziali difese adottate. Non vi è allevatore che non si renda conto che, in assenza di forme di difesa attive, l'efficacia delle difese passive sarà sempre modesta, frustrando operatori che, ai danni della predazione devono aggiungere gli oneri dell'approntamento delle difese. Ne deriva sfiducia, senso di ingiustizia.

Il lupo sparato in Lessinia rinvenuto il 25.09.2018. Il primo o, quantomeno, il primo oggetto di prelievo illegale recuperato sull'altipiano. Nelle altre regioni dove il lupo si è insediato, anche in Piemonte, i pastori e gli allevatori da tempo usano vari mezzi per ridurre il numero dei lupi e, se possibile, degli stessi branchi

In Veneto i nodi vengono al pettine  (e le bugie sono smascherate)

Nella montagna veneta, dove l'attività zootecnica è ancora largamente praticata, dove non esiste quell'abbandono della montagna che - secondo i lupologi - è la causa della crescente presenza del canide selvatico, il conflitto con il lupismo è deflagrato in forme acute già da diversi anni, in seguito al "miracoloso" formarsi del branco "della Lessinia", che data probabilmente al 2008.Nessuno in Lessinia crede a un romantico incontro tra un maschio "slavo" e una femmina "piemontese" . La Lessinia era stata individuata dai lupisti quale testa di ponte per diffondere il lupo verso il Trentino e le altre provincie venete. In seguito i branchi sono aumentati come funghi tra Trentino e Veneto e si è fatto credere che tutti rappresentassero "gemmazioni" del branco della Lessinia. Verosimile, invece, che alla "crescita naturale" si siamo aggiunti degli opportuni lanci di rinforzo. Fatto sta che con il progetto Wolf Alp la montagna veneta si è riempita di lupi.

Se non c'è abbandono, e i lupi aumentano vertiginosamente, significa una sola cosa: che qualcuno li vuole introdurre a tutti i costi, indipendentemente dalla realtà locale. I lupisti contano poi sul fatto che, dove la montagna non è abbandonata, ci penserà la pressione predatoria (in assenza di qualsiasi azione efficace di contenimento dell'aumento numerico dei lupi), a promuovere l'abbandono forzato dei pascoli ma anche delle contrade più isolate. Mettono in conto che le popolazioni reagiranno e inizieranno a praticare un controllo "fai da te" del lupo ma contano su una forte crescita naturale grazie all'abbondanza di prede domestiche e selvatiche. Sono gli allevatori che devono alimentare la crescita del lupo e mettersi il cappio al collo. Per fortuna gli allevatori veneti non intendono suicidarsi e hanno iniziato a reagire.

L'espendersi del problema nella montagna vicentina e bellunese ha fatto uscire il caso della Lessinia dalla dimensione locale investendo pesantemente la politica regionale. Non per una sua particolare sensibilità (fin che era la sola Lessinia...) ma perché a reagire è il corpo sociale, comunità dove gli allevatori sono componente importante, dove si teme per il turismo, dove - dal commerciante al sindaco - si avverte il problema come proprio e come importante, tanto da attivarsi politicamente. In questo senso l'espansione del lupo nella montagna veneta e sutirolese è stata da noi definita una "vittoria di Pirro"; ha suscitato reazioni tali da determinare anche in altre regioni e a livello nazionale una riconsiderazione del problema e forse il riposizionamento delle forze politiche. Così la Regione Veneto si è unita alla Toscana e al Trentino-Alto Adige costituendo un fronte di regioni non più disposte ad accettare l'immobilismo romano, la genuflessione al e l'adorazione del lupo d'oro (d'oro nel senso dell'idolo biblico ma anche dei progetti milionati a raffica - ormai più di venti in Italia - che alimentano la lupologia e il lupismo con i soldi del contribuente).



 L'assessore Pan, commentando il ritrovamento qualche giorno fa di una carcassa di un lupo ucciso a colpi di fucile, ha evitato le solite frasi ipocrite di rito e ha attribuito senza incertezza alla politica di Roma la responsabilità di un fatto che è  conseguenza dell'esasperazione degli allevatori. Essi  da anni devono assistere, senza poter intervenire, a stragi di animali a volte nelle immediate vicinanze delle loro stalle e delle loro abitazioni e si sentono presi in giro quando si propone l'uso di reti alte 1,45 m che salta anche un cane.

La rabbia degli allevatori è tanto più forte quanto più essi sanno che è dal 2015 che il Piano lupo, un primo timido tentativo di affermare la necessità - sia pure solo teorica - di gestire la specie, è bloccato dall'opposizione della lobby animal-ambientalista. La lobby,  agitando la bandiera del "povero lupo" ottiene anche sensibili vantaggi economici, è riuscita a far fare dietro-front a parecchie regioni italiane che pure si erano dichiarate favorevoli al piano. Va ricordato che in altri paesi UE (Francia in primis) il prelievo legale dei lupi, anche in presenza dell'assurdo status di super protezione di cui il canide continua a godere, supera il 10% della popolazione. Il Piano lupo preveva un tetto del 5% ma calcolato su una popolazione stimata (in modo "cautelativo") di soli 1200 lupi, un dato assurdo se si considera che anche gli esperti lupologi ammettono che la popolazione attuale si avvicina (ma forse ha già ampiamente superate) le 3000 unità. Non solo, ma erano tanti e tali i casi in cui si sarebbe dovuto negare l'autorizzazione al singolo prelievo (sempre proveniente da Roma) che, alla fine, di lupi non se ne sarebbe sparato legalmente forse nemmeno uno. Ma la lobby incassa finanziamenti grazie al mantenimento dell'intoccabilità del lupo a prescindere, che sbandiera come un primato italiano. Specula sull'ideologia del lupo e non può permettersi di vedere intaccato il tabù, sia pure teoricamente. Così il Piano lupo scritto da Boitani, il lupologo maximo e approvato dal governo (a suo tempo in carica) è stato bloccato.



I grillini si sono fatti paladini intransigenti del lupo per nascondere i tradimenti di Taranto e della val Susa

Oggi, con un generale della Forestale (Costa) a fare il ministro dell'ambiente, le speranze di smuovere il Piano lupo dalle sabbie dove si è incagliato sono pari a zero. Il M5S ha fatto della difesa aprioristica e ideologica del lupo una sua bandiera. Una bandiera che oggi deve sventolare con vigore, a fronte dei clamorosi voltafaccia in materia di TAV e acciaierie di Taranto. Per mantenere consensi ambientalisti il M5S deve dimostrare di non cedere sul lupo.  Un calcolo politico che si basa sulla facile considerazione che i grillini in montagna non possono perdere i voti che non hanno. Mentre tra gli stuoli urbani di ambientalisti da salotto possono recuperare facilmente i consensi persi sulle ben più rilevanti questioni ambientali.

I cantieri della Tav, per la gioia della mafia e del Pd piemontese, non fermeranno, la devastazione della valle Susa e lo sperpero di denaro pubblico per forare le montagne (con la scusa dei treni merci che devono viaggiare a 200 all'ora) sarà compiuta. Ma i lupi sono salvi (salvo qualche perverso "bracconiere"). Non parliamo di Taranto, fabbrica della morte chimica che gli stessi grillini proclamavano non poteva essere "mitigata". I grillini si lavano la coscienza sporca ecologista con il "sacro lupo". La commedia  del lupo intoccabile e  degli interessi politici che vi stanno dietro è completata con la demonizzazione dei "bracconieri", esseri perversi che osano impiombare (o avvelenare) sì splendidi animali.  Splendidi, ovviamente, solo per i giornalisti dalle frasi fatte, per chi li guarda in televisione nei caramellosi quanto inflazionati documentari  naturalistici o, magari, attraverso un binocolo tenendo peraltro nella fondina la pistola d'ordinanza. Per gli allevatori sono bestie che, se lasciate fare, uccidono un numero impressionante di animali, spesso senza neanche "assaggiarle". Che impongono notti in bianco e ansie (e giornate perse ion burocrazia per ottenere qualche risarcimento sempre parziale). Come possono essere "splendide"? 



Non esiste il bracconaggio. Ma la rabbia e la volontà di resistenza sociale

Allora diciamo forte che in Italia non esiste il "bracconaggio" (che presuppone un traffico di trofei, pellicce ecc.), esistono allevatori esasperati che devono ricorrere ai pallettoni e al veleno per non chiudere. Se i pasri di famiglia si sottopongono al rischio una seria condanna penale non lo fanno per "sfida" o, tantomeno, per divertimento o sadismo, lo fanno oltre che per difendere la propria attività, le condizioni di vita della propria famiglia, anche perché consapevoli che è profondamente ingiusto che leggi sbagliate consentano l'esproprio di aziende private e di interi territori.  Le norme di protezione del lupo, risalenti a mezzo secolo fa quando il lupo era realmente in pericolo, sono socialmente inique, sono lasciate in vita grazie alla strategia vischiosa delle lobby, grazie alla difficoltà di rivedere i trattati internazionali - sia pure vecchi di mezzo secolo - grazie ai meccanismi dell'Unione Europea, rapida nell'adottare provvedimenti a favore di banche e lobby (costantemente presenti a Bruxelles), lentissima a dipanare le catene di norme che penalizzano il popolo. 



La legalità può essere contraria alla giustizia. E questo è il caso della (mancata) gestione del lupo. La difesa di interessi prioritari è illecitamente postposta all'obiettivo della moltiplicazione dei lupi (dal momento che è ormai ridicolo parlare di "rischio di estinzione"). Sfidiamo i lupisti a dimostrare che in costituzione e nei trattati europei la proliferazione del lupo rappresenti un valore pubblico superiore all'interesse socio-economico di intere categorie e territori, un valore superiore a quello della stessa sicurezza delle persone che hanno ormai paura a frequantare i boschi e che non si sentono sicure neppure nei pressi delle abitazioni considerato che i lupi non hanno difficoltà a sbranare i cani da guardia sotto le case. Se la difesa del lupo viene fatta prevalere a interessi costituzionalmente tutelati significa che la lobby è capace di imporre una legalità distorta.

Difendersi è quindi legittimo, specie di fronte al fatto che le istituzioni abdicano per opportunismo politico, quindi per motivi abietti, al primo loro dovere: difendere la vita, la proprietà, la vitalità economico-sociale dei territori, di TUTTI i territori dello stato, anche di quelli che i verdi proclamano destinati al rewilding (con quale diritto poi una lobby vuole scacciare da territori dove sono insediate da secoli e secoli le comunità locali).  Sparare ai lupi non è legale ma è giusto, risponde ai criteri del diritto naturale, in assenza di azioni efficaci dello stato per difendere gli interessi minacciati. Chiamasi supplenza dello stato colpevolmente assente (ma nello scaricabarile delle responsabilità questo venir meno dei doveri dello stato, non subisce nessuna sanzione penale pur rappresentando un  fatto criminale).

La bandiera del lupo, la bandiera del rewilding è stata ed è agitata senza pudore contro le popolazioni montane e gli allevatori. E allora come meravigliarsi se essa diventa una contro-bandiera, la bandiera della montagna, del mondo rurale che non vuole subire l'ennesimo processo di colonialismo, di prepotenza, di oppressione della storia?  In ogni caso i trecento lupi che ogni anno vengono "prelevati illegalmente" (senza che la popolazione complessiva si riduca, anzi si espande numericamente e geograficamente) sono da mettere in conto alla lobby ambiental-animalista, che continua a fare le barricate contro ogni proposta di gestione e di prelievo legali.

Peggio dei bracconieri (inesistenti) ci sono gli animal-ambientalisti che, non solo impediscono che siano contenute le predazioni cruente (quando al lupo si poteva sparare i suoi attacchi erano molto meno spavaldi e implicavano meno vittime), ma che sono anche responsabili delle sofferenze dei lupi che apparentemente amano, presi nei lacci e avvelenati (morti molto più dolorose di quella causate dal tanto esecrato piombo). Sparare implica rischi, spargere di esche avvelenate il territorio no. Ma se dovesse scatenarsi la "caccia agli sparatori" sull'onda del "giustizialismo verde" saranno i lupi avvelenati ad aumentare. In un modo o nell'altro  i nodi politici della politica del lupo in Italia (e in Europa) stanno venendo al pettine.  Sta alla Lega, non esente essa stessa da ambiguità ed opportunismi (vedasi le posizioni di Zaia e dei lombardi ben diverse da quelle della Lega in Veneto e in Toscana), al partito  che raccoglie il voto della montagna  in forme spesso plebiscitarie,  contrastare la demagogia verde dei grillini.



 




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