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COMUNICATO. RIPARTE LA CAMPAGNA DI AZIONARIATO POPOLARE A SOSTEGNO ALLO STORICO RIBELLE (EX-BITTO STORICO)
Dopo il cambio di statuto per divenire Società Benefit, secondo la nuova legge in vigore dal 1 gennaio 2016, la Società Valli del Bitto riapre
la campagna di azionariato popolare. Società benefit è quella che non
mira solo al proprio utile ma a vantaggi per la società, il territorio,
l'ambiente.La Società Valli del Bitto punta solo alla sostenibilità
economica e non al lucro. Senza di essa non potrebbe conseguire i
propri scopi che sono in primo luogo garantire - attraverso la
valorizzazione economica - la sopravvivenza del formaggio "storico
ribelle" (ex-bitto storico) con tutto il suo sistema di produzione in
alpeggio che rappresenta un monumento di cultura e di biodiversità. Lo
"storico ribelle" è Presidio Slow Food, il presidio che - a detta di
Slow Food - incarna forse al meglio il principi del cibo "buono -
pulito - giusto". Tutti possono partecipare a questa Società che
incarna l'ideale dell'agricoltura etica sostenuta dalla comunità che, a
sua volta, sostiene il territorio. Sottoscrizione minima 150€ ( massimA
20 mila €). Ai soci viene riconosciuto un "dividendo etico" in natura pari al 2% del capitale sottoscritto. Per sapere come associarsi:
TEL. 334 332 53 66
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che gusto... industriale
(23.11.16) Uno
stile industriale di marketing del fasullo per promuovere un
agroalimentare industrializzato, banalizzato, omologato. Sperperando i
soldi di chi paga le tasse. Ma non basta. Dopo aver espropriato
il bitto storico del nome "bitto" la promozione "ufficiale", continua a
mimetizzare il bitto "legale" ovvero quello "Nuovo omologato" con
lo "Storico ribelle" (il vero bitto che si fa come secoli fa).
Ribellarsi
è giusto e paga (17.11.16)
Lo storico ribelle, liberatosi del nome "bitto" che ormai procurava
solo grane (ed esponeva alla minaccia permanente di denuncia per "lesa
dop") va meglio di prima. Chi ragiona restando nelle coordinate della
vecchia politica pensava che fosse un salto nel buio. Invece i
sostenitori aumentano e lo storico ribelle sbarca in nuovi prestigiosi
templi del gusto.
Varrone
e Biandino cuore di ferro e formaggi (28.08.16)
28.08.16 Nei giorni cruciali in cui l'ex bitto storico cambia nome
approfondiamo alcuni aspetti sinora poco messi a fuoco della storia e
della geografia di questo mito caseario
È ormai bittexit
e fa paura ai nemici del bitto storico (17.07.16)
I nemici del bitto storico
non potranno più utilizzarlo come "traino" di una dop
massificata . Non sarà più possibile giocare sull'equivoco di
due produzioni "simili".
E con la fuga del vero bitto dalla dopsi
profila una figuraccia di grandi proporzioni
per la Valtellina
(13.06.16)
Commercianti si spacciano per l'ex bitto storico
Se si danneggiano i ribelli del bitto si può usare del
tutto impropriamente la denominazione "Bitto storico" e
illegittimanente quella "Bitto".
La storia di una degustazione organizzata in
Umbria da un'incolpevole Ais con il "bitto storico" ...
senza che vi fosse l'ormai ex bitto storico presidio Slow food
(29.04.16)
Assemblea a difesa delbitto storico il 7 maggio a Gerola
Lo Storico formaggio prodotto sugli alpeggi delle
Orobie, da secolo noto come formaggio del Bitto non può essere più
chiamato con il proprio nome. Dopo vent'anni le lobby
politico-burocratico-industriali sono riuscite ad espropriare i
produttori storici. Ma la società civile sta preparando la
mobilitazione
(14.04.16) Il
formaggio Storico dei ribelli del bitto da Peck
Lo Storico formaggio prodotto sugli alpeggi delle
Orobie è in vendita da Peck . Quello dell' estate
2015) a 92€ al kg, quello del 2009 a 26€ all'etto. Il bitto dop
dei mangimi e dei fermenti , prodotto senza latte di capra, a
volte in condizioni semi-industriali, continua a calare di prezzo
Bitto storico:
rivoluzione permanente (2.10.15)
A Cheese ques'anno il tema era il formaggio dei pascoli e, complice
anche l'indignzione per il tentativo di imporre il formaggio senza
latte, il bitto storico non poteva che essere al centro dell'attenzione
in quanto "campione" della resistenza casearia. Ma l'attenzione è stata
anche per la sua "rivoluzione dei prezzi"
(08.09.15) Nuovi
documenti storici incoronano il formaggio Vallis Biti (bitto
storico)
Cirillo Ruffoni ci ha segnalato nuovi documenti storici che consacrano
già nel Cinquecento il formaggio delle Valli del Bitto. Già
allora riconoscibile rispetto ai formaggi prodotti in altre
zone, tanto da costituire per loro anche un termine di paragone.
Scusate se è poco
(02.09.15) Bitto
storico: un autunno di decisioni e novità
La stagione d'alpeggio 2015 si sta chiudendo con un bilancio molto
negativo in termini di quantità prodotta, causa della
siccità di luglio. Sul fronte dei rapporti con le istituzioni
l'accordo siglatonel novembre 2014 si sta rivelando un bluff.
Stimoli per i "ribelli del bitto" per rilanciare con forza
l'originalità delle loro esperienza facendo leva
sui suoi punti di forza
(23.08.15)
Siccità sugli alpeggi. Colpiti i pascoli più sostenibili
La grave siccità che ha colpito gli alpeggi a luglio non è
rimasta senza conseguenze. Ma chi soffre di più per il calo di
produzione di latte è chi non usa i mangimi, ovvero chi rispetta il
pascolo e l'ambiente. Così solo i "puristi" si sono fatti sentire
(22.08.15) Bitto
storico rivoluzionario
Attraverso la creatività commerciale contadina i ribelli del bitto sono
riusciti a imporre per il proprio prodotto un prezzo etico. Esso
consente un equilibrio economico compensando gli elevatissimi
costi di una produzione che va contro gli schemi della società
industriale e consumistica (che si sono imposti anche
nella produzione agroalimentare)
Articoli per argomenti
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Lo
storico ribelle che porta benefit alla società e all'ambiente
di
Michele Corti*
*
cda Società
Valli del Bitto spa benefit
(23.11.16) Dal
29 novembre la Società Valli del
Bitto
(meglio nota come "ribelli del bitto") è B-corp. Una
formula che impegna le società a promuovere vantaggi (in inglese
"benefit") per la società, la comunità locale,
l'ambiente. Riducendo gli impatti negativi per le persone e
l'ambiente e determinando impatti positivi. Il 4 dicembre la Società
Valli del bitto si è riunita in assemblea straordinaria per
modificare lo statuto (e il nome) in modo da essere società benefit
anche ai sensi della normativa italiana, introdotta con la legge di
stabilità il 1° gennaio 2016. L'assemblea ha anche deliberato in
merito ad altri punti: la riduzione del capitale sociale e del valore
nominale delle azioni (in conseguenze delle perdite di gestione) e la
proposta di trasferimento della sede legale a Morbegno. Di seguito un
ampio e trasparente resoconto dell'assemblea straordinaria del 18
dicembre, della situazione della Società Valli del Bitto, di cos'è,
cosa fa, qual'è stata la sua storia in questi anni movimentati.
Società
benefit è sempre una qualificazione riduttiva, ma aiuta a far capire
che c'è una missione
La
Società
Valli del Bitto è un soggetto anomalo, come anche in questa sede
cerchiamo di spiegare. È qualcosa di totalmente diverso dalla
società privata alla ricerca del profitto. Essa è una specie di
nuova istituzione o di nuovo movimento di opinione e sociale e, in
ogni caso, è improntata alla massima trasparenza, una "casa di
vetro". Lo è per principio ma anche perché pensiamo che chi
intende sostenerci desideri capire sino in fondo cosa sostiene (anche
perché troppi che si presentano come "senza scopo di lucro"
dediti alle più nobile cause poi, come spesso si scopre, sono
interessati più di ogni altra cosa, alle loro tasche).
Partiamo
allora dalla novità. Dalla B. Che sta per "benefit".
La legge che istituisce le società benefit è stata pubblicata
sulla G.U. n.302 del 30- 12-2015 – S.O. n.70 - Commi 376-384.
Ma già esisteva la certificazione internazionale (volontaria e
privata) di B corp è rilasciata da B Lab, un ente no profit che
sottopone le aziende a un assessment approfondito di impatto con
verifiche periodiche. La Società Valli del Bitto è diventata B-corp
(ottenendo la certificazione internazionale) dal 29 novembre. Le
B-corp si inseriscono tra le società profit ma non sono enti no
profit. Le B-corp in ogni caso rappresentano qualcosa di molto
innovativo, all'avanguardia. Pur non essendo no profit vanno oltre
l’obiettivo del profitto e innovano per massimizzare il loro
impatto positivo verso i dipendenti, le comunità in cui operano e
l'ambiente. Le B-corp rappresentano vanno oltre
la concezione atomistica di impresa e costituiscono una comunità di
imprese che cercano anche di operare in sinergia tra loro. Si tratta
di una comunità in rapida crescita a livello globale ma anche in
Italia.
Una
forma in
dedica particolare. Donata dalla Società B.corp Mondora
(informatica) ad un dipendente in occasione dell'assunzione. Un
benefit al dipendente e allo "storico ribelle"
La
Società
Valli del Bitto ha ritenuto questa nuova connotazione giuridica
confacente alla propria attività in quanto le consente di
differenziarsi dalle società profit. Nel farlo ha riscosso
l'apprezzamento del senatore Mauro del Barba, primo firmatario della
legge che ha introdotto le società benefit nell'ordinamento italiano.
Del Barba, impossibilitato a partecipare all'assemblea straordinaria
della Società Valli del Bitto (c'era l'assemblea del pd post-referendum
a Roma) ha inviato un caloroso messaggio in cui loda la scelta
coraggiosa e d'avanguardia della Società. Quella stessa Società
che in Valtellina le "alte sfere" qualificano con disprezzo come
"trogloditi".
Essa,
in realtà, è un
soggetto no profit che non persegue il profitto (i soci sapevano che,
oltre a non guadagnare, c'era il rischio - poi concretizzatisi - di
perderci). Nell'ordinamento societario attuale essa non potrebbe
svolgere la propria attività principale con la veste no profit. Non
è facile spiegare che, stagionando e commercializzando il
formaggio,
si "co-producono" tanti valori, valori positivi che vanno
ben oltre il formaggio, quello inteso come mera merce e mero
alimento. Il fatto è che qui si parla non di un formaggio qualsiasi,
ma dello "storico ribelle" (l'ex bitto storico), un
formaggio che ha alle spalle una storia unica che ne ha fatto
qualcosa che va anche oltre il "bene simbolico", il "bene
culturale", assumendo i connotati del "bene
politico/civico/etico/morale". Non vogliamo dire che un formaggio cambia il
mondo ma che faccia discutere, riflettere, sognare, litigare tante
persone (in Valtellina e non solo), quello lo possiamo affermare
tranquillamente.
Le
finalità di carattere sociale e territoriale rese ora esplicite (con
la soc. benefit)
Nello
statuto (vedi, in fondo, Allegato 1.) sono ora contenute le
precise finalità sociali della Valli del Bitto. Finalità che, per
la verità, hanno sempre presieduto alla sua attività, ma che
ora sono oggetto di impegno formale e che ne fanno qualcosa di molto
più di una società benefit (qualificazione che comunque la
differenzia dalle società puramente commerciali). Un segnale
chiaro verso la società locale. Per anni le lobby, i poterini forti
provinciali hanno insinuato (e qualche volta detto anche apertamente)
che la Società Valli del Bitto era costituita da approfittatori che,
dietro la bandiera della difesa della tradizione puntavano a una
speculazione privata. Purtroppo anche tante brave persone oneste in
Valtellina si erano convinte di questo, anche perché,
nell'immaginario collettivo spa evoca grandi imprese, società
capitalistiche. Chi è un minimo famigliare con il diritto societario
(come i personaggi delle lobby), sa invece benissimo che spa è
garanzia di trasparenza. I bilanci, le cariche sociali sono
pubblici. Basta una visura online attraverso il sito della Camera di
commercio. Chissà come mai a scrutare per primo, appena la
documentazione è disponibile online, è qualcuno la Latteria sociale
Valtellina. A parte la trasparenza (e il rispetto di precise
norme e adempimenti non previsti per altri tipi di società) la forma
della società per azioni offre un vantaggio che per noi è stato
molto importante: poter far entrare con facilità nuovi soci, con
relativo versamento dell'equivalente del valore delle azioni . Fu,
invece, un errore aggiungere quel "trading" che suona male,
richiama un "trafficare", si addice di più società
commerciali cinesi fiorite come funghi negli ultimi anni dilagando
dalla Chinatown milanese alla Brianza. Quel "trading" era
agli antipodi dello spirito e del concreto operare della Società
Valli del Bitto. Con l'assemblea straordinaria del 18 dicembre ce ne
siamo liberati.
Agli stand delle manifestazioni fieristiche l'opera è prestata per lo più da volontari
In
realtà la Valli del Bitto è un caso unico, almeno in Italia:
qualcosa tra l'impresa sociale, la cooperativa di comunità, un
soggetto che mette in pratica nel senso più pieno concetti come
co-produzione e agricoltura sostenuta dalla comunità ma al tempo
stesso a sostegno della comunità. Il cambio di statuto della Società
Valli del Bitto ha rappresentato un'occasione per spiegare la realtà
unica di questa società che opera in un campo di avanguardia a
cavallo tra la produzione alimentare, quella di servizi culturali e
territoriali e di esperienze innovative. Queste ultime possono
ricadere a vantaggio di altre realtà che ne vorranno seguire
l'esempio lungimirante. La Valli del Bitto è qualcosa che riassume
in sé la fondazione privata, l'istituzione pubblica, la cooperativa,
l'associazione culturale e, forse, anche il movimento sociale.
Esagerazioni? Forse. Se siete scettici vi invitiamo però ad
approfondire cos'è questa strana Società e a leggere tutto.
Intanto
scoprirete che essa è basata su principi di trasparenza non comuni, ma
anche di democrazia e partecipazione, connotati che si sono
rafforzati quanto più, negli ultimi tempi, ha dovuto
misurarsi con scelte molto impegnative. Il consiglio di
amministrazione si riunisce di frequenza e opera anche con gruppi di
lavoro (che saranno aperti anche ai soci). Alle assemblee partecipa
sempre un numero consistente di soci e, nell'ultima non pochi hanno
preso la parola anche per esprimere opinioni diverse da quelle del
consiglio di amministrazione. Ci teniamo a presentare la Società
com'è realmente perché essa vive grazie al sostegno dei numerosi
soci (oltre un centinaio). E, dal momento che è suo interesse,
specie in questa fase cruciale, acquisirne di nuovi (portatori di
capitali, anche piccolissimi, ma anche di idee e di lavoro
volontario) non ci conviene certo "barare" ma spiegare, con
tutta onestà e franchezza, chi siamo, cosa facciamo e perché
chiediamo il sostegno di chi condivide i nostri obiettivi, i nostri
ideali al tempo stesso utopistici e pragmatici e il nostro modo
concreto di operare. Il nostro stile, insomma. Quello che abbiamo
fatto, con la forza limitata di un gruppo di privati che avevano
contro tutte le istituzioni e le paraistituzioni, lo si vede venendo
al Centro del bitto. La cantina (foto) sotto è ben più di un luogo
produttivo, è un museo, un tempio, un santuario (dove le dediche
ricordano gli ex voto). Non c'è alcuna intenzione irriverente in
questa assimilazione ad un luogo sacro.
Gualtiero Marchesi al "santuario del bitto"
Pensiamo che anche il
rispetto del lavoro, della natura, degli animali, dei pascoli, delle
fatiche di tante generazioni passate, del bello, partecipi di una
dimensione sacrale. Ciò non implica alcuna nuova religione
"neopagana" ma è del tutto coerente con l' incitamento ad
un maggiore impegno per la salvaguardia del creato, al rispetto per
tutte le creature animate da un "soffio vitale" del
magistero cattolico recente.
Realizzato e cresciuto intorno all'idea
di valorizzare una storia importante il "santuario del bitto"
racconta una storia viva e in divenire e si è progressivamente
arricchito di cimeli. Questa storia, la storia del bitto, non
meritava celle climatizzate, quegli ambienti dove - per comprensibili
motivi di economia - lo spazio per muoversi è limitato al minimo,
saturi di tubazioni, serpentine, ventole, prese d'aria che . Quegli
ambienti dove la storia, il bello, tutto quello che è naturale
sono sacrificati dall'economia ma anche banditi dall'idolatria
tecnologica (che si vergogna del bello, che si impone - anche al di
là della necessità economica - come cultura, come dichiarazione di
appartenenza ad una cultura a un regime egemone). Chi visita la
nostra "cantina" coglie, anche solo a pelle, anche se non
conosce come sono le altre strutture di stagionatura dei formaggi,
il valore di quello che è stato realizzato. Non sono pochi coloro
che vengono, anche dall'estero, apposta a Gerola per visitare questa
che definire "cantina" o "casera" è molto
riduttivo. Solo l'amministrazione comunale non si accorge di questo.
C'è però anche un registro dei visitatori, semmai volessero
degnarsi di consultarlo.
Attività
Cosa
fa la Società Valli del Bitto?
-
vendita
di altri
formaggi dei produttori (latteria, caprini), dei formaggi “principi
delle Orobie”,
vino (rigorosamente valtellinese) e altri prodotti (farine,
cereali) privilegiando quelli locali, dei presidei, dei "territori del
cibo", dei soci (come la birra friulana di Zago);
-
partecipazione a eventi (fiere
specializzate, ma anche manifestazioni non commerciali, convegni, corsi di formazione), attività culturali
presso la sede e altrove
Innovazione
e resistenza, cambiamento e valorizzazione della storia
I
ribelli del bitto sono considerati - come certifica Slow Food una
punta avanzata, almeno in Italia, della resistenza casearia e
contadina. Ma cos'è questa resistenza? Qualcosa di romantico? di
fanatico? Macché, è la condizione di sopravvivenza dell'agricoltura
per non essere (completamente) inglobata nella dimensione e nella
logica industriale. Dice Terry Mardsen (2007), che con van der Ploeg
rappresenta quanto di più autorevole esprima la sociologia
rurale europea e mondiale (rural
studies
per gli anglofoni).
It's
necessary to create a radical rupture with the agri- industrial
processes. Agriculture must in a variety of ways, attempt to find new
political, social and ecological platforms and spaces to distinguish
itself from the conventional modernization processes that intend to
continue to devaluate its base.
Se non è chiaro cosa significhi "devaluate its base"
è sufficiente riflettere sul latte a 30 cent e sul formaggio a 3-4 €
a togliere ogni dubbio. I ribelli del bitto danno un maledetto
fastidio a tanti (nelle imprese agroindustriali, nelle istituzioni
della politica, nelle agenzie parapubbliche, nelle burocrazie e nelle
accademie) perché dimostrano che retrogradi sono i "modernisti",
gli industrialisti. La resistenza contadina - incarnata dai ribelli
del bitto - non è una forma di reazione, un'opposizione
esclusivamente “difensiva” alla modernizzazione agricola. Non ci
combattono certo perché siamo perdenti (ci lascerebbero morire da
soli).
Non
intendiamo propriamente questo per "resistenza". Si resiste
anche con l'innovazione, sfruttando le contraddizioni del sistema,
gli spazi lasciati aperti
La
resistenza contadina diventa una forma di produzione e di azione
locale, basata sull’innovazione e la cooperazione, la capacità di
sviluppare nuove potenzialità, anche in forma di progetto
imprenditoriale. Se è vero che la Società Valli del Bittoopera
al di fuori dello spirito del profitto, integrando l'aspetto
culturale, sociale, ecologico nella propria attività economica è anche
vero il contrario: essa opera sul piano sociale, economico e "politico"
sulla base di un sano spirito di responsabilità imprenditoriale. La
scissione tra i due piani fa si che la società attuale sia affetta da
una forma di schizofrenia: da una parte chi opera applicando
all'economia la logica della speculazione finanziaria esasperata
(favorita dalle moderne tecnologie), dall'altra chi opera nel mondo
della cultura, dell'ambiente lo fa con scarsa responsabilità economica.
Tanto c'è dietro un pantalone che paga, che foraggia lo spreco
alimentato dall'oppressione fiscale. La ricomposizione tra
l'economia da una parte e l'etica (e l'estetica) dall'altra presuppone
responsabilità. Nel suo piccolo la Società Valli del Bitto pratica questi principi che possono consentire un futuro sostenibile. Non
facili da digerire per gli "opposti estremismi" (di fatto due facce
della stessa medaglia) della speculazione feroce e dello spreco
irresponsabile.
È stato interesse dell'establishment, ovvero delle
le organizzazioni del regime agroindustriale dominante (regime,
meglio chiarire, non in senso politico-moralistico ma
sociologico) presentare i “ribelli del bitto” quali rissosi e
retrogradi. Le cose non stavano e non stanno così. Infatti
i ribelli sono sempre in piedi, e hanno conseguito risultati concreti
fortemente significativi, con grande scorno degli "altri", i
conformisti che
difendono interessi costituiti (egoistici ed autoreferenziali), che
fingono di difendere
i contadini (che, grazie a loro, sono scomparsi o se la passano male).
Quelli che non "digeriscono" i ribelli del bitto per convenienza
personale e di casta hanno assunto il ruolo di terminal
subalterni del
sistema globale del cibo, dell'agricoltura sottomessa alle
multinazionali e alla tecnoscienza. Coerentemente continuano a
combatterci.
Paradigmi
a confronto
Lungi
dal rappresentare una "bega valtellinese", una faccenda locale o, peggio, personale,
caratteriale, la ribellione del bitto è la punta dell'iceberg dello
scontro tra paradigmi agroalimentari. Ci si potrebbe chiedere, però, perché proprio in Valtellina lo scontro è così duro
e "paradigmatico"?
1)
perché la tradizione del bitto era troppo
grande, radicata, incarnata in dinastie di casari, in una comunità di
pratica sedimentata in secoli (all'insegna dell'eccellenza) per
arrendersi facilmente alla logica banalizzatrice, livellatrice,
omologante della modernizzazione casearia;
2) perché la Valtellina è l'esempio della
"montagna da bere" del Mulino bianco in versione idillio
alpestre... di plastica.
Vediamo
di approfondire questo aspetto. La Valtellina ha puntato molto su un
distretto
agroalimentare (significativamente è stata scelto questo format a
quello, previsto dalla legge, di "distretto rurale")
imprintato storicamente sul modello della bresaola da cosce congelate
di zebù
sudamericano (sin dai lontani anni Settanta). Fiutato il
business, ha replicato il format con i pizzoccheri secchi industriali alla farina
di grano
saraceno (20-25%) di semolati
di grano duro canadese (e con un po' di crusca di saraceno - di
valore nutritivo e dietetico nullo - tanto per dare colore e aspetto
"rustico"). Ha proseguito con le confetture tipiche di
piccoli frutti importati, i funghi importati. Quanto al formaggio la
produzione di punta (casera dop) è realizzata con la coagulazione in
continuo (entra il latte dall'alto in una "coagulatrice verticale) ed esce la cagliata in basso, in
continuo). I vari "tipici" (quelli no dop) che hanno
cannibalizzato le denominazioni locali (matüsc, scimudin, Piatta, magnüca) sono prodotti con gli stessi
fermenti selezionati... e hanno lo stesso (non) sapore. Insomma
Valtellina che gusto... industriale, un gusto frutto di manipolazione
tecnologica, con aggiunta di un po' di immagine di montagne
immacolate, di icone di donne in costume, secchi di legno ecc.
Figuriamoci
se vengono ben visti dei rompiscatole che pretendono di rappresentare
il prodotto, tradizionale, ancorato al territorio ecc. ecc. Ecco la
radice del conflitto. Gli
altri li vorrebbero incenerire perché rompono le uova nel paniere,
rappresentano un termine di paragone scandaloso, intollerabile,
imbarazzante.
L'industria, con le sue manipolazioni e l'assemblaggio di materie
prime globali a basso costo e sottoprodotti, fa credere di essere
l'erede della tradizione, "interpretata" al meglio. Un "meglio" (molto
relativo) ovvero quello concesso dalla modernità, dalla
globalizzazione, dalla concorrenza spietata di un mercato del food che,
come un sistema di vasi comunicanti, in mano a poche multinazionali,
abbraccia il pianeta. I
rompicoglioni vengono però a dire che la tradizione sono loro, che si
può
ancora produrre in un certo modo, ecc. Che, nell'era di internet, si
può fare economia - magari più sostenibile - anche su scale più
piccole. Osano anche chiarire che la produzione alimentare industriale
è realizzata a prezzo di danni ambientali, distruzione di biodiversità,
saperi, economie locali, ecc. Eversivi.
Tab.
1 - I paradigmi agroalimentari che si disputano il campo. Schema
generale
Modernizzazione
agricola
(produttivismo)
|
Sviluppo
rurale sostenibile
|
● L'attività
agricola è ristretta a imprese modellate sui principi dei settori
industriale e commerciale;
● L'impresa agricola diventa un
atomo avulso da relazioni territoriali (comunità,
ecosistema, storia, cultura);
● Le pratiche agricole sono
standardizzate e omologate;
● Le risorse della diversità
biologica e culturale sono sostituite da input materiali
e immateriali esterni;
● L'impresa è integrata in filiere
agroindustriali e nell'impero globale del cibo e isolata dal
tessuto territoriale |
● L'attività
agricola è esercitata in forme di co-produzione che
coinvolgono sistemi locali di aziende e consumatori ;
● Le
pratiche agricole sono differenziate sulla base di specifici
adattamenti eco-culturali;
● Si recuperano risorse
materiali, culturali locali anche al di fuori del mercato
(razze, saperi, pratiche, relazioni;
● L'attività agricola è
integrata in reti che collegano i produttori tra loro e alla
realtà locale |
info@formaggiobitto.com info@formaggiobitto.com info@formaggiobitto.com 334 332 53 66 (presidente)
Va
chiarito che non c'è solo un'opposizione sorda tra i due paradigmi. Non c'è mai un mondo dove o è tutto bianco o è tutto nero.
In realtà il regime dominante lascia spazio per delle nicchie. Il
punto è se queste nicchie possono svilupparsi e contribuire una sintesi che porti a
un nuovo regime o se esse sono condannate a restare delle "riserve
indiane". Una specie di "parco giochi" per i discoli.
Nel caso dei ribelli del bitto la soluzione della
"riserva indiana" non funziona. E se la resistenza continua
il regime, almeno localmente, dovrà subire dei cambiamenti
dall'interno, mano a mano che, l'esempio dei ribelli verrà
seguito da altre esperienze. L'accanimento nei confronti dello
storico ribelle (le sanzioni amministrative, l'azione
sistematica di discredito, le pressioni - che continuano - sui produttori per staccarli dal gruppo dei ribelli) si spiegano
con i rischi di “contagio” e delegittimazione dell'establishment
(economico-burocratico-sindacale-tecnocratico). Sono gli interessi
costituiti, privilegiati, che sfruttano posizioni di rendita che si
oppongono, come sempre, al cambiamento. Il contagio dei ribelli del
bitto rappresenta il rischio di cambiamento. Nel caso dello
storico ribelle la contraddizione (acuita nel contesto montano) tra
il modello della modernizzazione agricola agroindustriale e quello
dello sviluppo rurale neocontadino è apertamente conflittuale.
L'asprezza del conflitto ha fatto emergere negli attori
l'autoriflessività sulla loro vicenda. Li ha resi consapevoli. E questo è un aspetto che conferisce ai ribelli una grande forza.
Tab. 2 - I paradigmi agroalimentari che si disputano il campo. Schema
specifico
bitto dop
|
storico ribelle
|
● Estensione
della produzione a tutta la provincia di Sondrio indipendentemente
dalle tradizioni produttive locali
● Utilizzo di alimenti
concentrati aggiuntivi dell'alimentazione al pascolo
come
conseguenza dell'introduzione della brown swiss e della frisona;
●
Mancata valorizzazione del latte caprino (è tollerata l'aggiunta
sino al 10%)
● Utilizzo fermenti starter selezionati;
●
Allentamento vincoli lavorazione sul posto |
● Limitazione
all'area storica di produzione
● Vincolo
all'utilizzo del latte
di capra della popolazione autoctona “orobica”
(e
incoraggiamento razza bovina bruna originale );
● Vincolo alla
valorizzazione della biodiversità microbiologica casearia
(microbiota ambientale) ovvero divieto fermenti selezionati;
●
Vincolo alla lavorazione del latte sul posto, immediatamente dopo la
mungitura (per
favorire utilizzo uniforme del pascolo e
turnazione);
● Divieto utilizzo
concentrati |
La
forza dell'eccellenza (organolettica, ma anche etica)
Se
la ribellione non è stata soffocata è perché essa è stata ed è
portatrice di valori, idee, speranze, alle quali molti assegnano un
valore e per le quali non pochi sono disposti a un sostegno (ognuno
per quello che può dare). Essa ha potuto contare sul sostegno, senza
vincoli e condizioni, di Slow food che ha individuato nello
“storico” l'incarnazione dei principi del cibo “buono, pulito e
giusto”. Garante il grande amico del bitto ribelle: Piero Sardo che non ci stancheremo mai di ringraziare e di stimare.
Slow Food,
sia ben chiaro, non appoggia i ribelli solo perché sono un simbolo
romantico ma perché è consapevole del valore rappresentato dallo
"storico ribelle". In uno studio della Fondazione Slow Food per la biodiversità l'ex bitto storico si collocava come il miglior presidio montano europeo.
Il
bitto ribelle ha anche ha potuto contare su soci finanziatori,
giornalisti, chef, ristoratori, consumatori: una vera rete di
solidarietà. Sono stati al contempo i suoi connotati innovativi e la
sua sua capacità di partecipare a reti e a stabilire alleanze
(emblematica la gravitazione su Bergamo) che ne hanno evitato
l'isolamento e l'accerchiamento di cui sarebbe sicuramente stato
vittima se avesse fatto l'errore di restare chiuso in Valtellina. Il
mondo non finisce a Colico e la montagna ha capito che diventa più
forte se, invece di gravitare sui centri politici-burocratici - come
imposto dalla modernità - torna a dialogare con le genti (affini, ani, più affini) dello
stesso massiccio, oltre i crinali, oltre i confini amministrativi e
politici.
Inserendosi in reti lunghe, e
aprendosi a realtà con apertura internazionale, i ribelli del bitto
hanno saputo sfuggire anche i rischi del “localismo difensivo”,
ponendosi come un esempio avanzato nel movimento internazionale del
cibo locale. Hanno insomma saputo spiazzare chi ne voleva la resa. Marameo.
Le
innovazioni
La Società Valli del
Bitto in questi anni è stata una fucina di innovazione. Innovazione
dal basso, costruita con passione, fatica.
-
innovazione sociale (co-produzione
ovvero partecipazione di soggetti non agricoli privati ad un progetto
agroalimentare)
-
retro-innovazione
-
reti rurali (i network)
-
creatività commerciale
-
innovazione istituzionale (una nuova forma di impresa, per
ora società benefit, in futuro speriamo qualcosa di più consono)
Una
delle ultime forme della vecchia serie "Bitto Valli del Bitto"
attualmente ancora nella cantina del Centro del Bitto (il cosiddetto
Santuario). La storia nella storia.
Co-produzione
Cosa
significa? Slow-food ha divulgato il modello del consum-attore,
ovvero del consumatore che si fa attivo, che si interessa al processo
di produzione del cibo sostenendo "a monte" il produttore e
non solo "a valle" con l'acquisto anonimo. Ma il concetto
di co-produzione (che non si applica solo all'agricoltura) apre, più
in generale, la possibilità di legare insieme la produzione di
valore pubblico e di valore privato, di cibo e valori sociali,
ambientali, comunitari ecc. Apre la possibilità di collegare i
fruitori/consumatori ai provider di servizi e di prodotti, attivando
nuove opportunità di funzionamento del sistema di creazione e di
distribuzione di valore, superando i colli di bottiglia della
"dittatura del mercato", la sua fin troppo elevata
efficienza in certi ambiti, la sua incapacità in altri. Quando
vediamo le terre abbandonate, le braccia conserte, i servizi sociali
che chiudono perché "costano troppo", i giovani che
emigrano, la gente che si annoia, mentre altri lavorano
freneticamente 14 ore al giorno capiamo che il tanto decantato
mercato non funziona sempre. Il modello della Società Valli del
Bitto che, come ricordato, confonde economia, commercio, iniziativa politica e
culturale, che rispolvera i valori delle primitive coop, del
mutualismo, non è un vezzo stravagante ma deriva dalla
consapevolezza che non si salvano produzioni di eccellenza, (virtuose
sotto ogni riguardo), non si salva la montagna dell'uomo , la
montagna abitata, sede di vita e di lavoro (e non quella di leisure e di wilderness) se ci si affida al mercato e alle istituzioni. Entrambi, oggi,
fallimentari.
Nel caso della Società Valli del Bitto la
co-produzione va oltre il modello di cooperazione tra produttori e
consumatori o tra attori pubblici (che sono fieramente ostili) e
privati o tra soggetti no profit e imprese. Infatti è più
appropriato utilizzare il riferimento alla CSA americana, traducendo
ASC, ovvero agricoltura sostenuta dalla comunità. Nel caso della
Società Valli del Bitto, infatti si va ben oltre
il modello del gruppo di acquisto (GAS), dell'abbonamento spesa,
dell' "adozione" di animali o piante fruttifere, ma si
sperimenta un ideale di co-produzione in una forma molto impegnativa,
avanzata e coraggiosa che comporta il rischio, l'onere della gestione
di attività di produzione e commercializzazione agroalimentare.
Attraverso l'azionariato popolare (è sufficiente sottoscrivere
150€ per divenire soci) si partecipa ai rischi e si
contribuisce alla sostenibilità economica di lungo periodo della
comunità dei produttori. Quest'ultima, è in parte interna alla
Società Valli del Bitto (5 produttori hanno sottoscritto 20 mila €
di azioni) tanto che non si viene a realizzare un sostegno
esclusivamente "esterno" ma si combinano co-produttori e
produttori dentro la stessa impresa (che definiremmo "sociale"
se non fosse che in Italia le imprese sociali operano solo
nell'ambito dell'assistenza).
La
retro-innovazione
Cos'è
questa strana cosa che, per gli ottusi produttivisti, potrebbe sembrare
un ossimoro? Essa rappresenta la forma specifica di innovazione in un
contesto di resistenza rurale, ma la troviamo diffusa anche nel campo
industriale, per esempio riproponendo oggetti di consumo caduti in
disuso associati a nuove tecnologie. Un mix di nuove tecnologie e
memoria. Una retro-innovazione è lo sviluppo di conoscenza e
competenza, che combina elementi e pratiche dal passato con il
presente e configura questi elementi per nuovi e futuri propositi
e si basa fondamentalmente sulla conoscenza contestuale
(Stuiver, 2006). La retro-innovazione valorizza la specificità
culturale-storica-ecologica rappresentando uno strumento potente di
differenziazione dai prodotti standard. Un modo, in soldoni, per
"chiamarsi" fuori dallo stritolamento del mercato globale. Lo "storico
ribelle"
rappresenta un campione di retro-innovazione, un caso da manuale. La
retro-innovazione dello “storico” ha
riguardato:
-
il
ripristino delle pratiche pastorali
e delle strutture casearie tradizionali che sarebbero state condannate a
restare testimonianze archeologiche in assenza della "copertura"
fornita da un prodotto prestigioso, da una Società battagliera, dalla
garanzia politica di Slow Food;;
-
la valorizzazione dei saperi
contestuali, ovvero il "saper fare" del casaro e del pastore nel contesto di
una "comunità di pratica" (di cui è partecipe chi stagiona e che vende
il formaggio con i suoi feed-back nei confronti del casaro);
-
la valorizzazione delle risorse
naturali (il "culto dell'erba"), la biodiversità culturale (le razze
autoctone, ovvero non "migliorate" a misura della modernizzazione
agroindustriale cui interessa solo la quantità);
-
la
stagionatura in condizioni di microclima non controllato
artificialmente (una pratica onerosa che si giustifica solo se le forme
che arrivano in cantina sono "retro-innovate", di elevata qualità
all'origine e se ad esse vengono applicate cure attente, competenti,
assidue, time-consuming)
Va
posta attenzione sul fatto che tutto ciò sarebbe bello ma non
sostenibile se non ci fosse la trasformazione in valore economico
attraverso elevati livelli di qualità e prezzo, forme di
commercializzazione creative, una narrazione adeguata, la
certificazione di “virtuosità ecologica, etica, sociale (presidio,
B-corp). L'innovazione commerciale, di cui parleremo tra un attimo, è
il complemento necessario della retro-innovazione, qualcosa di
strettamente integrato ad essa. Non va dimenticato.
La
creatività commerciale
Non sono
poche le innovazioni sperimentate dal bitto ribelle in ambito commerciale e promozionale.
-
la personalizzazione del prodotto come
mezzo di vendita anticipata e di differenziazione dalle produzioni "di massa";
-
le formule del “formaggio da
meditazione” e le “degustazioni verticali” come
reinvenzione del formaggio quale consumo di prestigio ma anche come educazione del gusto;
-
le aste (nazionali e internazionali) che hanno proiettato il bitto ribelle nell'olimpo gourmand mondiale;
-
il formaggio "millesimato", d'annata, da celebrazione di
anniversari ed eventi importanti.
L'
ex bitto storico ha sperimentato, applicandole al formaggio,
formule di valorizzazione già adottate nel caso dei vini
pregiati (non si pretende di inventare tutto ex nihilo). Ha dovuto
anche inventare delle soluzioni originali da
momento che il formaggio non ha il vantaggio di un “vestito”
(bottiglia e etichette applicate) come il vino. Non tutte queste
soluzioni avranno successo e potranno essere esportate, ma qualcuna
ha già stimolato altre produzioni e tentare strade simili. Poco, o
tanto, il bitto ribelle ha fornito esempi e stimoli al mondo del
formaggio artigianale, del formaggio di montagna. I ringraziamenti
sono arrivati, però, solo da produttori amici, da operatori illuminati
del settore
(non mancano, per fortuna e pensiamo a Signorelli, a Guffanti solo per
limitarsi ad alcuni). Nessun riconoscimento, invece, dalle istituzioni
(se si eccettuano i
paroloni, poi dimostratisi vuoti e falsi, spesi in occasione
dell'accordo-bidone del 2014, e
qualche dichiarazione - in questo caso più sincera - dall'assessore
regionale Fava). In ogni caso ai pochi riconoscimenti verbali (più
che controbilanciati da tante denigrazioni e accuse) non è
corrisposto da parte del sistema pubblico alcun aiuto. Se solo si pensa
a quanti soldi conceda la
regione, a titolo di progetti finalizzati a dubbie innovazioni (spesso
erogati, in realtà, per garantire il normale funzionamento delle
macchine
dell'Ersaf, dell'Università, dei Consorzi, delle industrie) e,
dall'altro lato, allo
zero assoluto ricevuto dai ribelli del bitto, c'è di che riflettere.
I ribelli, poco o tanto, hanno finanziato con le loro tasche l'
innovazione, contribuendo a produrre un bene
pubblico, qualcosa non brevettabile. Gli altri intascano. Amen. Ma un sistema così non va bene.
Le
forme migliori, selezionate dalla Società Valli del bitto,
possono
essere acquistate da privati, ristoratori, associazioni e
personalizzate. Esse vengono affinate nella casèra di Gerola
alta, ormai, come abbiamo già visto, divenuta meta di pellegrinaggio.
Le forme in dedica,
raggiunta la stagionatura desiderata, o in occasione di una
ricorrenza importante, si ritirano la propria forma in dedica. Quando
il
casaro nota che
la forma inizia a manifestare segni di "decadenza", viene avvisato il
titolare e si decide il da farsi (ritiro o apertura). La forma viene pagata anticipatamente (un enorme sollievo
finanziario per un'attività di lunga stagionatura) e ogni anno si
paga un contributo per la conservazione. Tutte le
forme
sono
“consultabili” sul sito http://www.formaggiobitto.com/it/la-casera/forme-in-dedica
Bitto
storico d'artista. Forme personalizzate, decorate, irregolari,
ribelli. Un universo semantico agli antipodi della formula
della pelure seriale con le raffigurazioni stereotipate, oleografiche
da idillio alpestre (il Mulino bianco caseario)
Forma
di Bitto Valli del Bitto (denominazione precedente a Bitto storico)
del 2004 battuta all'asta a Milano in occasione dell'Expo 2015
Lo
"storico ribelle" è innovativo anche sul fronte delle reti. Sia sul
piano locale (orobico e lombardo) che internazionale. Rappresenta
il presidio di punta di Slow Food ed ha contribuito attivamente a far nascere i "Principi delle Orobie" e i "Territori del cibo".
La
riduzione del capitale
Come
annunciato
nell'assemblea
ordinaria di maggio, l'art 2446 del c.c. impone alle spa di ridurre il
capitale sociale e il valore nominale delle azioni, in proporzione
alle perdite subite, qualora superino di un terzo il capitale versato.
Così il valore nominale è sceso da 150 a 75 €.
Il dott. Martinalli, consulente commercialista e socio, ha ricordato
che la perdita, per quanto importante, è di gran lunga inferiore a
quelle delle azioni delle potenti banche locali (Credito valtellinese e
Banca
popolare). Le loro azioni erano considerate l'investimento sicuro, da
"cassettisti", per chi voleva
investire nel TFR. Oggi non valgono quasi nulla. È stato comunque
annunciato che sono entrati nuovi soci che hanno versato 24 mila €
(con la prospettiva di aumentare la loro partecipazione nel 2017 e
dell'entrata di ulteriori nuovi soci con i quali sono già stati avviati
contatti). Come è possibile che, pur avendo subito perdite, la Società Valli del Bitto
attiri nuovi sostenitori (parola più appropriata che soci
finanziatori). Perché le viene dato atto, anche nell'ambiente
imprenditoriale locale, che è comunque riuscita a salvare il formaggio
che aveva "adottato". Attraverso
la travagliata storia del bitto Valli del Bitto, poi bitto storico ora
storico ribelle ciò che, dalle parti di Morbegno e dintorni
identificano con il "vero bitto", è sfuggito all'omologazione. Si è
salvata una tradizione preziosa e si è
costituito un modello e una speranza per tante esperienze che
guardano ai "ribelli del bitto" per poter avviare, a loro
volta, forme di agricoltura etica, di agricoltura che sostiene
il territorio e promuove valori positivi sociali ed ecologici. Che
un'operazione del genere conferisca prestigio a un territorio
(spendibile anche in termini turistici e, più in generale, economici)
non sono pochi a capirlo.
I soci
della Valle del Bitto, da parte loro, che hanno compreso sin dall'inizio che non
entravano in una Società mirante al profitto ma a qualcosa che non
ha ancora definizione giuridica ma è comunque agli antipodi dalla
ricerca del lucro. Così all'assemblea straordinaria del 4 dicembre, hanno approvato la riduzione del capitale,
contrari solo Daniele Acquistapace (fratello dell'ex sindaco e
dell'attuale sindaca) e Attilio Manni, amico dello stesso.
Pranzo
sociale dopo l'ultima assemblea straordinaria del 4 dicembre
Una
Società che guarda avanti e che merita il sostegno della società
civile
Va anche detto che, sia
pure a
prezzo di un grande apporto di volontariato da parte di
amministratori e soci (altro elemento che fa della Società Valli del
Bitto qualcosa di totalmente diverso da un'impresa profit), il
bilancio 2016 sarà, sia pure di poco, in attivo. Estinti i vecchi
mutui il peso degli oneri finanziari è destinato a contrarsi di
molto. Dal punto di vista commerciale si è riusciti a continuare ad
aumentare i prezzi di vendita (anche negli anni peggiori della crisi)
aumentando gli acquisti dai produttori. Ulteriori prospettive di
ampiamento del fatturato, già arrivato a 400 mila €, si basano
sull'ampliamento della commercializzazione della produzione invernale
dei soci produttori e degli altri conferenti lo "storico
ribelle" ma - in prospettiva - anche di altri produttori che si
conformano ai principi etici e qualitativi della Società. Un grosso
impulso all'attività dovrebbe arrivare dall'apertura di un punto
vendita (in una struttura di un socio) nel cuore della vecchia
Morbegno... sul torrente Bitto. Va comunque chiarito che, anche a
fronte di ulteriori aumenti del fatturato, la Società per poter
continuare ad operare secondo i principi e gli obiettivi sociali
fissati nel nuovo statuto (ma giù nel dna dalla fondazione)
dovrà poter contare sul volontariato e sull'apporto di nuovi soci
finanziatori. Perché? Perché non avendo alcun sostegno dalle
istituzioni e producendo valori pubblici, più e meglio dei soggetti
che dei contributi pubblici fruiscono, essa deve poter compensare
quelle spese (personale, affitti, ecc.) che andrebbero imputate alle
attività sociali (iniziative culturali, promozione del territorio).
Alla Società Valli del Bitto va il merito delle attività
"pubbliche" che essa gestisce direttamente con il proprio
personale (che dedica molto tempo all'informazione, alla
divulgazione, attraverso spiegazioni, visita alla cantina-museo, che
partecipa a tanti eventi non commerciali per illustrare l'esperienza
dei "ribelli del bitto"). Va dato anche il merito dei benefici ambientali e
culturali (difesa razze autoctone, biodiversità dei pascoli,
mantenimento di strutture e pratiche "ancestrali") che i
produttori dello "storico ribelle" generano sugli
alpeggi per il solo fatto di produrre "storico ribelle".
Ma lo "storico ribelle" si produce solo perché la Società
Valli del Bitto lo ritira ad un elevato prezzo etico, sostenendo poi
costi enormi per stagionarlo al meglio e promuoverlo. Così riesce a venderlo a
prezzi elevatissimi ma compensano a fatica i costi. Costi
che, è bene ripeterlo, sono legati ad un modo virtuoso di produrre, uno modo
che crea valori "pubblici" concretamente dimostrabili ma non
compensati dal "sostegno pubblico" (garantito, invece, a
chi questi valori non solo non produce ma, spesso, erode e
compromette).
Sostenere lo "storico ribelle" ha questo
significato. Consentire alla Società Valli del Bitto di non cedere
ai compromessi, di non piegarsi alle logiche politiche e industriali,
consentirle di continuare a produrre "benefit" per la
società, il territorio, la comunità locale, l'ambiente.
Perdite
per le quali non c'è nulla da vergognarsi (si devono vergognare le
istituzioni)
Le perdite
della
Società Valli
del Bitto sono derivate: 1) dagli interessi passivi conseguenti ai
mutui accesi per poter sostenere le spese di lavori di completamento
del Centro del Bitto che è di proprietà del Comune di Gerola; 2)
dall'insuccesso della gestione dell'Albergo Valli del Bitto
(struttura di proprietà comunale che si trova di fronte al Centro
del Bitto). La Società intendeva rilanciare questa struttura per
promuovere il turismo a Gerola nell'intento generoso, ma un po'
velleitario di contribuire allo sviluppo locale. La Società,
infatti, si è da sempre posta quale "impresa di comunità"
o "agenzia di promozione del territorio".
Non potendo i
soci
dedicarsi come
sperato alla gestione dell'albergo si generò un passivo di 50 mila
€. Ma il grosso delle perdite deriva dall'impegno assunto con il
Comune di Gerola attraverso una convenzione sull'utilizzo del Centro
del Bitto. Il Centro del Bitto è struttura di proprietà del Comune
dove hanno sede la Casera gestita dalla Società Valli del Bitto (su
due livelli, uno interrato per la cantina di stagionatura, l'altro a
livello del piano stradale per la vendita e la cucina). Tutta
l'operazione è stata condotta quando era sindaco Fabio Acquistapace
(in carica dal 2003 al 2013), fratello dell'attuale sindaca Rosalba
Acquistapace anche se, per ovvi motivi, la convenzione venne firmata
dal vice-sindaco, Roberto Fallati. La convenzione,
sottoscritta nel
2005, impegnava la Soc. Valli del Bitto ad eseguire opere di
competenza del proprietario dell'immobile (il comune) senza
rivendicare alcun titolo sulla proprietà ed implicava l'esborso di
200.000 € per la realizzazione di impianti tecnologici. La società,
dovendo realizzare investimenti produttivi (l'acquisto del formaggio,
particolarmente oneroso per un prodotto a lunga stagionatura,
l'acquisto di vari beni strumentali quali automezzi, bilance,
pulitrici, arredamento), non poté far altro, per onorare la
convenzione, che attingere al credito bancario. Una zappa sui piedi. Una pesante zavorra.
Invece che riconoscenza dal Comune di Gerola (o meglio dal sindaco
Fabio Acquistapace e poi dalla sindaca sorella del medesimo) si è
ricevuto in cambio quello che andremo presto ad illustrare.
Va
tenuto
presente che
gli
interessi passivi erano ai tempi pesanti e che hanno comportato oneri
di 15-20 mila euro all'anno sui bilanci (sino ad oggi, perché -
fortunatamente - i vecchi mutui sono stati estinti restituendo tutto
il debito). Il comune, in cambio, si impegnava a realizzare i lavori
(...con i soldi della Società) e a... sbrigare le pratiche. Un
accordo molto squilibrato. Ovviamente il comune cedeva l'uso dei
locali. Ma la società ha pagato i canoni di affitto anticipati e i
pesanti interessi. Perché la
Società a
quei tempi
sottoscrisse una convenzione così onerosa a chiaro vantaggio del
Comune e a suo svantaggio? Semplice, perché era nata, con grande
(forse eccessivo) entusiasmo, per promuovere il territorio e non per
lucro e voleva aiutare il comune (che allora non disponeva delle
risorse
attuali legate ai proventi delle centraline idroelettriche). Va anche
sottolineato che il sindaco era azionista e che, nel
consiglio di amministrazione della Società, sedevano il fratello del
sindaco, Daniele Acquistapace e l'amico Attilio Manni che,
nell'insieme, avevano sottoscritto azioni per 50 mila €. Il fatto
che il sindaco fosse personalmente impegnato nella società
rappresentava (ingenuamente) per gli amministratori della
Società, una garanzia. Paradossalmente il conflitto di interessi
ci fu ma a danni della società stessa, e non certo del comune.
Quando
Fabio
Acquistapace (foto sopra) era
ancora sindaco, eravamo nel 2011, approfittando della non
facile situazione della società, tentò di silurare il
presidente Ciapparelli, fondatore della Società e garanzia vivente
della fedeltà agli ideali che essa incarnava. La Società non
navigava in buone acque, non solo per la vicenda dell'albergo e
gli oneri finanziari derivanti dalla Convenzione con il Comune, ma
anche perché si erano anche pagati degli scotti legati alla
particolare attività della casera, che era sostanzialmente nuova.
Aggiungasi anche la circostanza che - per tenere fede agli obiettivi
sociali ed etici - si voleva in ogni caso riconoscere ai produttori
un prezzo di ritiro elevato. Su richiesta di Fabio Acquistapace
(azionista), Daniele Acquistapace (consigliere), Attilio Manni
(consigliere) venne convocata una riunione straordinaria preliminare
all'assemblea presso il ristorante La brace,
in località Forcola. Era
il 21 aprile 2011. Fabio Acquistapace tentò di silurare il presidente
ma la maggioranza dei consiglieri respinsero con sdegno la
proposta che significava l'alzare bandiera bianca e vendersi alle
lobby
provinciali. Era il giovedì santo e qualcuno ricordò con sdegno i
"trenta denari".
Di seguito il
resoconto della
riunione:
Prende la parola il presidente
Ciapparelli che
segnala che la riunione è stata convocata urgentemente in
quanto richiesta per gravi motivi sul futuro della società da parte
del sindaco di Gerola, l’azionista Acquistapace Fabio.
L'azionista Acquistapace Fabio contesta l’operato del
presidente, a suo avviso penalizzante per il futuro della società.
Sostanzialmente contesta una gestione personale che non informa il
consiglio di amministrazione. Il presidente viene accusato di
inaffidabilità, e bilancio preventivo alla mano, di gestione
economica sbagliata. Propone quindi la sfiducia del presidente con la
nomina del consigliere Manni in sua sostituzione. Indica un
cambiamento di rotta a 360 gradi (sic) nei rapporti società e
istituzioni così sintetizzato: rientro nel Ctcb da parte del
Consorzio bitto storico e conseguente adesione al Multiconsorzio
[oggi Distretto agroalimentare]. Questa posizione, per sua dichiarazione, garantirebbe i
fondi necessari promessi dalle istituzioni per pagare e promuovere il
centro del bitto storico. Il consigliere Acquistapace Daniele
[fratello di Fabio] rincara le accuse contestando la gestione del
presidente Ciapparelli. (omissis).
Era
palese che dietro la volontà dell'Acquistapace, tendente a prendere
in mano il controllo della Società, ci fosse la pressione dei centri
di potere valtellinesi che volevano farla finita con il "bitto
ribelle". Esso contestava la dop ma anche un certo "sistema"
e la politica agroalimentare (e non solo) provinciale, tutta squilibrata a
vantaggio dell'agroindustria (a sua volta legata alle ipertrofiche
banche valtellinesi e alla altrettanto ipertrofica catena Iperal
della grande distribuzione). Ovviamente a svantaggio dei piccoli produttori
artigianali.
Il punto è che nel
mondo agricolo e della
trasformazione alimentare valtellinese i "piccoli" erano
tenuti in riga dalla Coldiretti (vera "cinghia di trasmissione")
e dalla Camera di commercio (ma si possono aggiungere la Latteria di
Delebio, l'Associazione allevatori e certi funzionari pubblici dei
vari enti). Solo la Società Valli del Bitto si poneva (e si pone
impavidamente) fuori dagli schemi perché anomala e perché tagliata
fuori dai sostegni pubblici. Essa rappresentava un imbarazzante
controcanto per l'establishment, che sa bene quant,i nel mondo
dell'impresa (artigianale, commerciale, agricola), sono completamente
d'accordo con quello che i ribelli del bitto proclamano apertis
verbis ma che essi non osano manifestare per
le solite "paure" ("mi
tolgono il fido", "non mi danno il contributo", "non
mi assumono il figlio", "mi mandano la finanza-
Asl/Ats-Ispettore del lavoro").
Che le iniziative
dell'Acquistapace fossero concordate con i "poteri forti"
lo dimostrava l'incontro della fine dicembre 2009 alla Casera di
Gerola. Dopo le multe per "lesa dop" (20 mila €, poi ridotti a 5 mila grazie a
un ricorso), comminate dall'ufficio
repressione frodi del Ministero dell'agricoltura, venne proposto un
"aiuto" (che si rivelò subito non disinteressato). Il
sindaco di Gerola caldeggiava l'apertura di una trattativa con la
Camera di Commercio e venne combinato un incontro con Emanuele
Bertolini, presidente (ancora oggi) della Camera stessa. Bertolini è
un industriale meccanico (l'azienda non naviga in buone acque) di
Talamona dove risiede anche Rosalba Acquistapace, sorella dell'allora
sindaco e sindaco in carica di Gerola, nonché titolare di un'azienda
di confezioni sartoriali, sempre a Talamona. Esponente della
Confartigianato provinciale, la Acquistapace è ovviamente in
famigliarità con il presidente della Camera.
A Gerola il
Bertolini (foto sopra) fece balenare la possibilità di un' “iniezione” di
consistenti finanziamenti al Centro del Bitto (si parlava di 350 mila
euro) in cambio di un controllo di fatto sulla gestione da parte
della Camera stessa che, ovviamente, non occupandosi
istituzionalmente di produzione, commercio e formaggio l'avrebbe
“passata” al Ctcb (il Consorzio del bitto istituzionale) e, di fatto - alla Latteria sociale Valtellina.
Non ottenendo l'assenso alla svendita di tutti gli ideali per i quali
era stata fondata la Società, maturarono i
tentativi di silurare il presidente Ciapparelli, accompagnati da una mai cessata strategia di
denigrazione verso il medesimo, dipinto come
intrattabile, inaffidabile, smanioso di protagonismo. Questa
strategia è stata parzialmente sospesa solo in coincidenza
dell'accordo-farsa del 2014. L'accordo, in modo più
subdolo, intendeva pervenire al controllo della Casera... in
cambio di un pugno di mosche. E così è saltato. All'inizi
del 2016 il cda della Società Valli del Bitto, su consiglio
dell'assessore regionale Fava, decide di cambiare nome al formaggio
bitto storico. Se lo tengano coloro che ne hanno usurpata la storia
fondando una dop su un falso storico.
Nell'assemblea ordinaria convocata per il 22 maggio di quest'anno
vengono portate
all'attenzione dei soci le serie problematiche vissute dalla Società,
il mancato accordo con le istituzioni e la prospettiva di dover
ridurre il capitale in relazione alle perdite subite (il codice
civile) impone questo adempimento alle spa qualora le perdite superino di
un terzo il capitale sottoscritto dai soci.
All'assemblea
appaiono i "corvi": dopo anni di assenza, Fabio
Acquistapace, Attilio Manni e Daniele Acquistapace sono presenti.
L'ex sindaco ha tentato, ancora una volta, di mettere in discussione
Ciapparelli "sei un distruttore, sei bravo a fare comunicazione
ma ci vogliono altre persone per guidare la società". Ha però
negato di averlo voluto sfiduciare già nel 2011 (peccato che ci
siano diversi testimoni pronti a smentirlo e il verbale della
riunione).
Il sindaco di Gerola
I soci, che sanno perfettamente - come emerge peraltro dai
bilanci depositati - che la perdita è dovuta solo al mancato aiuto
delle istituzioni (per chiara scelta politica ostile) e agli
interessi passivi derivati dall'incredibile convenzione con il
comune, non hanno battuto ciglio e hanno approvato il bilancio con il
solo voto contrario dello stesso Fabio Acquistapace e l'astensione
delle sue “spalle”: il fratello Daniele e Attilio Manni. Con
fine
buon gusto l'ex sindaco ha in quella sede (dove ha di fatto
monopolizzato la discussione con atteggiamento da "padrone di Gerola")
rinfacciato anche, a Ciapparelli e alla Società,
di "non volere andare d'accordo con il comune". Un
consigliere ha avuto allora buon gioco a ricordare che a gennaio
(sempre del 2016), dopo un incontro tra la Società e l'amministrazione
comunale, era stata
redatta da parte della Società (come da accordi) una bozza di intesa
per porre i rapporti su una base chiara e costruttiva.
Nella
lettera (riportata in allegato), sono avanzate proposte per una
sincera collaborazione e si è cercato di operare la massima apertura
al comune e alla popolazione (leggere per credere). Successivamente è
stata letta all'assemblea anche la risposta del comune (guidato dalla
sorella di Acquistapace) in cui si sostiene: 1) che la Società Valli
del
Bitto
è
una società privata e che il comune non può sostenerla; 2) che il
comune ha fatto di tutto per sostenere il Bitto; 3) che gli aiuti
possono venire solo da istituzioni superiori ma a patto di un
“rinnovamento” della Società da leggersi: “Voi destituite il
presidente e mettete al suo posto Fabio Acquistapace (o uno a lui
vicino) e le istituzioni vi aiuteranno” (vedi allegata lettera
della sindaca di Gerola che chiude
le porte in faccia a qualsiasi collaborazione). Facile osservare che
la Società Valli del Bitto non rappresenta "un privato
qualsiasi" ma un soggetto che ha aiutato il comune, che porta il
nome di Gerola in Europa e nel mondo (basta vedere quanti articoli e
documentari sono stati prodotti), che è legato ad esso da una convenzione e
da un contratto d'affitto. Il comune, che ha
grosse risorse, avrebbe molte possibilità per dare un sostegno, se
solo vi fosse la volontà politica. D'altra parte il comune di
Gerola, in cambio di abbonamenti gratuiti e della
manutenzione dei paraslavine (quindi, alla fine in modo apparente) sostiene con un contributo la Fupes, la
società degli impianti sciistici.
A giugno 2016 una delegazione
della Società, che ha avuto un colloquio con la sindaca, si è sentito
rispondere che da parte sua non vi è nessuna intenzione neppure di
portare una proposta di aiuto alla Società in Giunta... finché c'è
Ciapparelli. Ma è legittimo che un pubblico amministratore
condizioni i rapporti con un soggetto privato alla presenza o meno di
un certo personaggio alla guida dello stesso, specie quando la
"dissidenza" interna è rappresentata da due fratelli
dell'amministratore stesso?
Trasferimento o
no della sede
sociale?
Uno dei temi
che
sembravano meno
importanti all'assemblea straordinaria della Società Valli del Bitto
del 18 dicembre è stato quello più dibattuto. Perché riguarda la
"missione", l'identità della Società. Il fatto che la
sede sociale sia presso quella operativa (la casera, il centro del
Bitto) di Gerola, piuttosto che presso lo studio del commercialista
di Morbegno che importanza pratica ha? Nessuna. Eppure ha una grande
valenza simbolica. E in una società anomala come la Valli del Bitto
contano più i simboli che le cifre del bilancio. La Valli del Bitto
era nata a Gerola nel 2004 per un grande progetto da realizzare con
il Comune e gli altri attori locali: lanciare, attraverso quello che
era ancora il Bitto delle Valli del Bitto,
il turismo gastronomico,
culturale e naturalistico in Valgerola. Ha fatto parte di questa
strategia l'assunzione della gestione dell'albergo Valli del Bitto
che ha comportato una perdita di 50 mila €. Poi, lo abbiamo visto nei
paragrafi precedenti, si è ben visto come il Comune di Gerola (o meglio
gli
Acquistapace, che guidano il comune da tredici anni) hanno ringraziato
la Società. Una Società, costituita da privati (che vengono per lo più
dalla
Brianza), che hanno investito (rischiando) i loro soldi a Gerola.
Gerola è stata
promozionata su Striscia la notizia, su Melaverde, sul più seguito
canale televisivo tedesco e sulla rete pubblica svedese, in Svizzera
e, attraverso Slow Food (che ha prodotto vari filmati e materiali), in
tutto il mondo. Di seguito propongo due fotogrammi passati sulla tv
tedesca (2DF, il secondo canale pubblico che è quello con più
ascolti).
Quello
sopra (dal documentario della 2DF) è il Centro del Bitto. Al piano terra si entra nel negozio
della Società Valli del Bitto. Al secondo piano ci sono gli uffici
del comune, al primo l'Ecomuseo (che dipende dal comune). La Tv
tedesca ha regalato a Gerola un grosso spot. Ma ancora di più Davide
Rampello, autore di Paesi e Paesaggi, la rubrica di
Striscia la notizia "in positivo". Il servizio, realizzato
per l'ex bitto storico ha decantato il paese di Gerola. Ebbene, sapete cosa ha detto la sindaca di Gerola quando
nel gennaio di quest'anno siamo andati a trattare (per poi partorire
la bozza di intesa di cui all' Allegato 3)? Ha detto che tutte queste
trasmissioni "non portano nessun vantaggio", che Gerola è
conosciuta per gli impianti di Pescegallo (che peraltro "aiuta" in modo molto relativo) e che, in ogni caso, non
solo il bitto storico (si chiamava ancora così) non porta nulla a
Gerola ma la Società Valli del Bitto "fa concorrenza ai ristoranti del
paese". Va chiarito che la Società offre, insieme alla
degustazione dello "storico ribelle", un servizio di cucina
limitato a polenta taragna o pizzoccheri. Aperitivi nelle festività
e stop. A chi vuole andare al ristorante si forniscono le
informazioni del caso. Ai nostri inviti ad apporre all'entrata del
paese un cartello tipo "paese del bitto" l'amministrazione
ha sempre fatto spallucce.
Valuti il lettore se è normale che si
comporti così un comune che si trova ad avere sul proprio territorio
la sede di un prodotto che Slow Food considera il suo presidio di
punta, incarnazione dei principi di Slow Food di "buono, pulito
e giusto". Il perché di questo comportamento assurdo l'abbiamo
spiegato. Vogliono fare le scarpe al presidente-fondatore-garante
della Società per fare del Centro del Bitto una vetrina delle illusioni (gestita da
qualcuno vicino alle due ultime amministrazioni),
dell'agroalimentare industriale valtellinese. Una succursale della
Latteria di Delebio.
Quando Patrizio Del Nero (foto sopra) l'ex sindaco di Albaredo (il paese
dell'altro ramo della valle del Bitto) ruppe nel 2006 con Slow Food e
con la Società Valli del Bitto venne aperto un nuovo
caseificio Alpi del Bitto (la vecchia letteria sociale,
appena, ristrutturata restò inutilizzata) gestito dalla Latteria di
Delebio (la più grande e industriale della Valtellina che ha tentato
di fagocitare tutte le altre). Successe allora un'altra cosa che,
purtroppo, si sta ripetendo a Gerola: dopo l'uscita del sindaco i
caricatori dei due alpeggi di proprietà del comune di Albaredo non
parteciparono più all'Associazione Valli del Bitto (l'associazione
dei produttori ribelli, prima di chiamarsi Consorzio salvaguardia
bitto storico). E a Gerola cosa succede? In un alpeggio del comune
(Pescegallo lago) già da diversi anni si produce bitto dop (quello
"legale", ovvero con i mangimi e i fermenti). Ciò,
nonostante che il comune, nel capitolato di affitto degli alpeggi,
indichi chiaramente che il rilevatario deve produrre secondo i metodi
storici (ovvero senza mangimi e fermenti). Quest'anno il caricatore
di Pescegallo Foppe, sempre di proprietà del comune, si è staccato
dai ribelli. Non è finita: lo storico alpeggio di Trona soliva,
quello dei 30 calecc' ancora utilizzati, caricato dalla famiglia
Manni, è andato all'asta ed è stato aggiudicato da un imprenditore
che, dove caricava in precedenza, usava mangimi e fermenti. Il comune
di Gerola come si comporterà? Di fatto su 11 conferenti dello
"storico ribelle" a Gerola ne rimangono solo tre, due su
alpeggi privati.
Triste
pensare che a Trona soliva, alpeggio caricato per decenni dalla
famiglia Manni, custode delle tradizioni degli-alpeggiatori casari di
Gerola, si faccia un bitto banalizzato. A Trona soliva, e allo studio
del suo sistema di pascolamento, è stata dedicata una tesi di master in
archeologia dell'Università di Zurigo dal titolo molto significativo:
L'ultima alpicoltura multifunzionale tradizionale
L'ultima.
L'ultima delle Alpi (ma una delle ultime in Europa e nel mondo). Il
lavoro, che connette l'etnografia all'archeologia, traccia una
comparazione tra le strutture pastorali della valle del Bitto, legate
al formaggio grasso d'alpe e al sistema dei calecc',
e altre strutture pastorali primordiali nelle alpe e in altri sistemi
montuosi europei e del mondo. Qui, in questo angolo di Orobie le
vestigia di antichi sistemi pastorali sono vive e si traducono in un
complesso di strutture. I calecc' - di cui sono stati individuate tre distinte tipologie - sono la più caratteristica, ma non l'unica ed è l'insieme che
fa preziosa la testimonianza. Ci sono beni patrimonio Unesco di certo
meno significativi e una candidatura sarebbe doverosa (finché c'è
qualcosa da salvare) anche se, a dirla tutta, la valorizzazione del
patrimonio dovrebbe contemplare la mitigazione dell'impatto degli
elettrodotti e di certe deturpazioni imposte dalle ottuse norme
burocratiche pseudoigieniche (e da tecnici che non sapevano a quale
cose preziose mettevano mano). Molto si è perso negli ultimi anni, dopo
secoli (e millenni).
Yolanda
Alther, l'autrice della tesi, ha documentato con scrupolo le strutture
di Trona ma anche le modalità di gestione pastorale. Viene da
commuoversi (ma anche da arrabbiarsi) quando mostra certi utensili in
legno usati dai Manni (ma per fortuna non solo da loro) e li confronta
con altri arcaici delle Orobie valtellinesi e con reperti neolitici del
museo di Zurigo (notando la somiglianza). Da arrabbiarsi perché questo
patrimonio dell'umanità è stato (almeno in parte) tenuto vivo grazie al
bitto ribelle, quello che, anche il Comune di Gerola - in sintonia con
le istituzioni provinciali - cerca in tutti i modi di distruggere.
Distruggere, ribadiamo, perché qualora la Società Valli del Bitto,
ispirata da principi etici (che in Italia sono merce rara) venisse
"normalizzata", come auspica la signora Acquistapace quando fa
riferimento al "rinnovamento della casera", non rimarrebbe più nulla
dell'esperienza dei ribelli del bitto, se non la solita facciata, il
solito presepe nel quale i magliari dell'agroindustria valtellinese
sono esperti. A loro interessa controllare, controllare il flusso dei
finanziamenti pubblici, gli incarichi, le nomine. Gli impudenti
outsider, che si credono dei Davide capaci di sfidare Golia, devono
essere neutralizzati. Se neutralizzandoli si sterilizza quel patrimonio
di saperi, cultura legato alla storia del bitto tanto meglio. Così si
potranno raccontare le storielle che fanno comodo al marketing senza
tema di venir smentiti da una storia ormai archiviata e sepolta.
Nessuno verrà più a infastidire con queste fanfaluche. Viene da
chiedersi se, negli amministratori pubblici, e nell'insieme delle
cerchie istituzionali, sia più forte l'arroganza o l'ignoranza. Ma
forse è inutile. Alla loro arroganza, e alla loro ignoranza, bisogna
resistere. Punto.
Tradito
dai comuni del cuore delle Valli del
Bitto lo "storico ribelle" non intende lasciarsi
distruggere dalle manovre politico-economiche. Se c'è rimasto ancora
qualcosa della tradizione autentica del bitto di un tempo è solo ed
esclusivamente per merito della Società Valli del Bitto che combatte la sua
ostinata battaglia, Davide contro Golia. Ma va detto che la produzione
del
bitto era realizzata in passato su un'ampia area della Valbrembana
bergamasca, della val Varrone lecchese, delle valli Lesina, Bitto,
Tartano (in parte anche nelle valli Madre, Cervia, Ambria, Livrio).
I Manni vogliamo ricordarli così (foto Ruralpini)
Chi
aderisce al metodo
storico in tutta quest'area può aspirare a divenire fornitore di
"storico ribelle". E considerando che il mondo non finisce
a Pedesina (il piccolo comune a valle di Gerola che, tra l'altro, è
amico dello "storico ribelle") pareva giusto (e continua ad
esserlo) dare un segnale in questo senso, ovvero che il "territorio"
dello "storico ribelle" non coincide solo con la Valgerola né,
tantomeno, con
Gerola alta. Chi pretende una primogenitura ma non fa nulla per
difenderla non la merita. Infatti l'amministrazione di Gerola alla
difesa del vero bitto preferendo il cerchiobottismo, preferisce giocare
di
conserva con le istituzioni provinciali (da vent'anni nemiche del vero
bitto), pur di eliminare i fastidiosi "dissidenti" guidati da
Ciapparelli (leggersi la lettera della sindaca, l'Allegato 4) .
Mosè Manni (foto
Yolanda Alther). Con la rinuncia da parte della famiglia Manni a
caricare l'alpe Trona soliva, il 2016 è stata l'ultima stagione,
finisce un epoca. La speranza che la catena secolare di generazioni di "maestri casari" continui con i giovani. Qualcuno
c'è. La Società Valli del Bitto stringendo i denti non mollerà la sua
missione e li sosterrà. Se ci saranno persone di buona volontà a
sostenere la Società l'impresa sarà possibile.
Logico
quindi spostare il "centro simbolico" altrove, nella
fattispecie a Morbegno, dove - indipendentemente dalla fissazione
definitiva della sede sociale - aprirà un punto vendita, e che, in ogni
caso - per
restare alla storia - è al centro dell'area dove gli antichi
casari-allevatori di Gerola si sono insediati (sin dalla fine
dell'Ottocento). Quando il piano dell'Adda è stato bonificato gli
intraprendenti caricatori-casari di Gerola hanno acquistato terreni
nel fondovalle espandendo le loro mandrie grazie alla produzione
foraggera dei vasti prati (oggi ridotti di molto grazie alla
proliferazione degli "scatoloni", i capannoni (molti vuoti o occupati
da cinesi). Pur svernando, e trasferendo nel tempo
anche la residenza in fondovalle (da Piantedo a Talamona), hanno
continuato a caricare gli alpeggi nelle valli del Bitto.
A diversi, soci,
però, questo spostamento a valle della sede sociale è parso una
rinuncia ai propositi di rilancio delle montagna e in contraddizione
con l'immagine eroica di produzione "in altura". Tenendo
conto che queste argomentazioni esprimono un sentimento sincero, e apprezzando la loro partecipazione appassionata al dibattito,
la proposta di trasferimento della sede sociale è stata
(temporaneamente) ritirata. Il segnale, però, rivolto ai Gerolesi è
chiaro: se sono seriamente convinti che la
presenza dello "storico ribelle" danneggi il paese
continuino ad appoggiare l'attuale amministrazione (o chi ne porterà
avanti la linea). La Società Valli del Bitto ne trarrà le
conseguenze.
Quanto al rapporto con le associazioni di Gerola
vale lo stesso principio. L'amministrazione ci ha chiuso la porta in
faccia ma, sulla base delle nostre finalità statutarie, formalizzate
con la trasformazione in benefit, la Società Valli del Bitto
continuerà a proporre forme di collaborazione relativamente a quelle
iniziative culturali che fanno parte della sua attività. Va però
anche su questo punto chiarito che non è Gerola il riferimento
territoriale esclusivo dello "storico ribelle" che intende
il dialogo con il territorio allargato tutte le amministrazioni, pro
loco, ecomusei, associazioni culturali dell'area orobica nelle tra
provincie di Sondrio, Bergamo e Lecco.
Allegato 1
Nuovo statuto Società
Valli del Bitto spa benefit (approvato all'unanimità
dall'assemblea straordinaria del 18 dicembre 2016)
Oggetto
In qualità di società benefit,
la
società
intende:
- operare a vantaggio del territorio
attraverso
la promozione - nell'ambito delle proprie attività e della propria
comunicazione - delle risorse di storia, cultura, tradizioni,
biodiversità, turismo e ambiente;
- contribuire alla
sostenibilità
economica a
lungo termine e al benessere del contesto agricolo locale
valtellinese e orobico attraverso la comunicazione al pubblico del
senso e del valore delle attività agricole di montagna orientate in
senso etico ed ecologico nonché attraverso lo stimolo, il sostegno e
la propria partecipazione a reti d'impresa e altre forme di
reti e di cooperazione, contribuendo - mediante le proprie attività
- alla divulgazione e alla disseminazione di esperienze di
innovazione commerciale e di forme sociali innovative di
co-produzione;
- operare a favore delle
comunità
locali
attraverso iniziative in grado di sviluppare la coscienza del valore
del patrimonio locale, nonché promuovendo la diffusione di valori
sociali di coesione, collaborazione tra categorie, spirito di
apertura all’innovazione nel rispetto delle identità locali;
-
svolgere attività di informazione e di
educazione alimentare nonché organizzare presso le sedi da essa
gestite o presso spazi pubblici e privati e in occasione di eventi
pubblici e privati iniziative culturali, formative e di
intrattenimento rivolte ai soci, ai dipendenti, ai clienti, ai
fornitori, ai turisti, ai residenti sui temi della cultura rurale e
pastorale, dell'alpeggio, delle tradizioni, delle razze autoctone,
degli ecosistemi pascolivi ed alpini.
L’azione
della società si esplicherà attraverso le seguenti attività:
-
la
distribuzione, la produzione, la gestione, l’organizzazione di
strutture di vendita e commercializzazione di prodotti alimentari,
favorendo i prodotti dell'area valtellinese ed orobica ottenuti
mediante metodi artigianali rispettosi dell'ambiente, del pascolo,
delle tradizioni produttive locali, del benessere animale, della
biodiversità e, con specifico riferimento, al formaggio storico degli
alpeggi delle Orobie occidentale e ai suoi derivati e ai prodotti
realizzati presso le proprie aziende dai produttori del suddetto
formaggio;
-
la gestione di attività alberghiere e di
somministrazione di alimenti e bevande;
-
l’organizzazione di attività di vendita e promozione,
anche mediante la partecipazione a reti di impresa e altre forme di
aggregazione, delle produzioni alimentari tipiche del territorio in
occasione di manifestazioni ed eventi pubblici e privati e anche in
forma permanente presso strutture appartenenti al settore della
ristorazione e alberghiero, compresi gli agriturismi, rifugi alpini.
(omissis)
Allegato
2
Estratto registro cespiti ammortizzabili Società Valli del
Bitto dove sono indicate le spese (Fornitori: Cidieffe costruzioni
srl e Geom. Fattarina Diego) per lavori su proprietà di terzi,
ovvero del Comune di Gerola che addossò alla Società parte dei
costi della realizzazione del Centro del Bitto. Si vede anche
l'incidenza degli interessi sul mutuo acceso per coprire queste spese
Allegato
3 - Bozza di proposta di
Protocollo
d'intesa finalizzata a promuovere la collaborazione tra la
Società Valli del Bitto Trading spa e il Comune di Gerola inoltrata
al Comune di Gerola come concordato in sede di riunione congiunta al
fine di “sbloccare” la situazione di empasse nei rapporti tra i
due soggetti (febbraio 2016)
Tra
la Società Valli del Bitto Trading spa con sede in
Gerola alta, via Nazionale 31, CF rappresentata dal presidente del
consiglio di amministrazione in carica Sig. Paolo Ciapparelli che
agisce su mandato del cda e il Comune di Gerola alta, ente giuridico
con sede in Gerola alta Via Pietro de Mazzi, n.11 rappresentato
dal sindaco in carica Sig.ra Rosalba Acquistapace che agisce ….
sulla base della delibera …..
Premesso
che
-
La Società Valli del Bitto
Trading spa (di seguito indicata come "Società") è stata costituita in
data …. 2003 ai fini della valorizzazione del formaggio storico
prodotto sugli alpeggi delle valli del Bitto quale elemento
fondamentale del patrimonio della Valgerola e con finalità di
promozione territoriale;
-
il Comune di Gerola, ai fini
della presente scrittura, opera secondo le proprie competenze in
materia di promozione socioeconomica e di complessiva valorizzazione
del territorio e del suo patrimonio;
-
dalla data di costituzione la
Società opera in conformità alle proprie finalità operando la
commercializzazione del prodotto stagionato presso la casera del
"Centro del bitto" conferito dai produttori che si impegnano a
rispettare il metodo storico di produzione aderenti al "Consorzio
salvaguardia bitto storico";
-
la Società utilizza per la
propria attività un immobile di proprietà del Comune di Gerola alta a
fronte di un canone di affitto;
-
i rapporti della Società con il Comune di Gerola sono
regolati, oltre che dal contratto di locazione anche da una
convenzione;
Preso
atto che i rapporti di collaborazione tra le parti , a causa di
incomprensioni reciproche, non si sono sviluppati in modo coerente
con le comuni finalità perseguite-
Si
concorda di promuovere , nel rispetto delle proprie
autonome sfere di attività , una più stretta e positiva
collaborazione attraverso un Protocollo di intesa che definisca
opportuni impegni reciproci come di seguito identificati:
La
Società si impegna:
-
a inserire nei programmi proposti
ai visitatori del Centro del bitto storico attività didattiche e
laboratori da svolgere presso la stalla-didattica oltre a fornire
assistenza in campo caseario alla società agricola gerente;
-
a partecipare attivamente alle
attività dell'Ecomuseo sul piano progettuale e realizzativo
valorizzando la struttura del Centro del bitto quale parte integrante
dello stesso;
-
a promuovere nell'ambito delle
proprie attività l'immagine di Gerola e le iniziative turistiche e
culturali del Comune, dell'Ecomuseo e delle associazioni presenti nel
comune anche attraverso la partecipazione ad eventi in ambito
nazionale ed internazionale;
-
a inserire un
rappresentante del Comune nel Cda
-
a intestare a ciascun residente
di Gerola alta che ne farà richiesta una azione della Società;
-
a commercializzare per intero,
attraverso i propri canali, la produzione casearia della futura
stalla-didattica nonché quella d'alpeggio caricato con la mandria
di bovine OB e dal gregge di capre di Valgerola ricoverata nel periodo
invernale presso la stalla-didattica stessa;
-
a fornire il proprio contributo di competenze per la
realizzazione e la gestione della stalla didattica nelle forme che
verranno concordate con il Comune.
L'
amministrazione comunale si impegna
-
a sviluppare il progetto “Stalla
didattica” in partenariato con la Società valli del Bitto e con il
Consorzio attraverso la stipula di apposite convenzioni affidando la
gestione tecnico-amministrativa ad una Società agricola a rl costituita
da una compagine di imprenditori agricoli locali;
-
a rivedere i criteri di gestione
dell'Ecomuseo nel senso di una più ampia partecipazione dei soggetti
economici, culturali,
-
far applicare senza deroghe e in
forma integrale, il metodo storico di produzione del formaggio
delle valli del bitto negli alpeggi di proprietà;
-
ad acquisire mediante cessione
onerosa gli impianti tecnologici della casera a suo tempo
oggetto di investimento da parte della Società Valli del Bitto;
-
a contribuire alle spese di
gestione del Centro del Bitto in ragione delle finalità di carattere
pubblico delle attività in esso intraprese;
-
a promuovere attraverso le proprie iniziative e le
proprie attività di comunicazione l'immagine e il valore patrimoniale
del formaggio storico delle valli del Bitto
Le
parti si impegnano congiuntamente
-
a sviluppare anche con il coinvolgimento delle
associazioni presenti sul territorio, la programmazione e il
coordinamento delle iniziative e gli eventi pubblici a carattere
promozionale, didattico, educativo finalizzati alla valorizzazione e
tutela del territorio e del suo patrimonio.
Allegato
4 Risposta del Comune di
Gerola (aprile 2016)
COMUNE
DI GEROLA ALTA
Provincia
di Sondrio
Via Pietro De Mazzi, 11 - 23010
Gerola Alta
(So)
Spett. Valle del Bitto Trading S.p.A.
Via Nazionale 2 3 0
1 0 - G e r o l a Alta
È
per noi importante precisare come le cause che hanno originato
l'attuale distanza tra amministrazione comunale e società Valli del
Bitto siano legate ai risultati operativi deludenti e le opportunità
di dare visibilità al territorio che si sono perse a causa della
quasi totale mancanza di collaborazione tra la Casera e gli altri
soggetti impegnati sul territorio (associazioni, operatori, enti).
Dunque una divergenza di opinioni netta circa i ruoli ed i metodi
della gestione e non "incomprensioni".
Sottolineiamo
inoltre come la tutela del mondo legato al formaggio bitto sia da
sempre stata prerogativa dell'amministrazione comunale di Gerola e
che gli sforzi sostenuti dalla stessa per agevolare la nascita del
consorzio di tutela, del centro del bitto e delle numerose iniziative
pratiche (come la sistemazione delle numerose baite sugli alpeggi)
volte ad agevolare il lavoro degli alpeggiatori, ne siano espressione
e conferma.
Riconosciamo
come l'attuale gestione abbia fornito un contributo importante alla
tutela del prodotto, grazie anche al contributo offerto da soggetti
importantissimi (come slow food) che ne hanno sposato e promosso la
causa a livello globale, conquistando un'attenzione mediatica
altrimenti inarrivabile. C o n t e m p o r a n e a m e n te
sottolineiamo un distacco sempre maggiore tra la casera ed il
territorio di cui fa parte che nel t e m po ha vanificato lo spirito
di promozione e valorizzazione che si erano preposti e che quindi non
ci consente di poter promuovere nuove iniziative con gli stessi
soggetti che hanno portato all'attuale situazione di stallo sia a
livello provinciale che locale.
Data
la natura privata della società Valli del Bitto, un'eventuale
iniziativa di sostegno da parte dell' amministrazione pubblica deve
essere inserita in un contesto più ampio di tutela dei territori e
dei prodotti a connotazione provinciale e non a livello comunale o
mandamentale.
Per
questa ragione, a fronte di una proposta di rinnovamento della
Casera, il comune si impegnerà nuovamente a ricostruire un percorso
di dialogo con le istituzioni provinciali che consenta alla Casera di
tornare ad essere coinvolta in progetti di sostegno all'agricoltura
che da un lato contribuiscano economicamente al mantenimento delle
produzioni "storiche" come quella del Bitto e dall'altro
tutelino il disciplinare e le caratteristiche dello stesso.
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COMMENTO: perfetto contorto politichese per chiudere la porta in
faccia. "Rinnovamento della casera" leggasi: "vogliamo la testa di
Ciapparelli e comandare noi". Pensare poi , dopo 22 anni dall'inizio
della guerra del bitto, che possa conciliarsi la produzione "storica"
con il disciplinare della dop, significa che il sindaco è schierato con
le istituzioni, contro la storia del bitto, contro la storia della sua
comunità e della valle.
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