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(09.09.13)
L'emergenza cinghiali è ovunque (per colpa di una politica
irresponsabile)
Questa estate i
cinghiali sono apparsi sulle spiagge, hanno provveduto
alla "vendemmia" anticipata nei colli Euganei, sono diventati un
focolaio di TBC in provincia di Macerata. Ma la politica fa finta che
il problema non esistaIl fenomeno dei danni dai cinghiali ha assunto
una
dimensione sociale allarmante. Non è più solo l'agricoltura ad essere
colpita ma la vivibilità dei centri abitati rurali, il turismo, la
sicurezza delle persone a fronte dei rischi di aggressioni e
trasmissione di malattie
(07.05.13)
Valseriana: alpeggi devastati dai cinghiali
Giancarlo Moioli, 36
anni di servizio in Comunità Montana Valle Seriana, accusa: "Mai
prima d'ora visti danni da cinghiali così gravi ai nostri pascoli".
"Cacciano i maschi ma sono le femmine a partorire" e conclude amaro:
"Si muoveranno solo quando una scrofa attaccherà il figlio di un
onorevole"
(30.04.13)
A Como nasce un comitato Basta cinghiali
Il controllo del
cinghiale in provincia di Como è ridicolo. Solo il 9% dei prelievi sono
frutto di attività di controllo e solo 18 cacciatori sono attivati come
selecontrollori in una provincia in cui il carniere di cinghiali supera
i 2.200 capi. Evidentemente la politica ascolta solo la voce più
organizzata dei cacciatori
(10.01.13)Anche
in Trentino i cinghiali sono un flagello per l'agricoltura
Non bastano gli
abbattimenti delle guardie e nemmeno quelle dei cacciatori-"selettori".
Servono mezzi diversi da quelli venatori e la volontà politica di
eradicazione.
(29.12.11)
Cinghiali: a che punto siamo? Alcune provincie consentono ai
contadini-cacciatori di abbatterli
A ottobre la provincia
di Asti con una delibera ha consentito ai contadini (con licenza
di caccia) di cacciare liberamente il cinghiale nell'ambito dei
fondi in conduzione. Sono anche autorizzati a macellare il capo
abbattuto e ad utilizzarlo per autoconsumo. La Coldiretti, che ha
sollecitato il provvedimento, ne chiede l'estesione alla Lombardia.
Dove, però, qualche provincia era arrivata già prima ad attuare il
provvedimento. Resta il limite del possesso della licenza di caccia,
poi c'è la possibilità di utilizzare i trappolaggi...
(11.10.10)
L'assedio dei cinghiali
Tutta
la fascia prealpina lombarda è sotto assedio da parte dei cinghiali.
La provincia di Como ha
deciso
l'abbattimento di 1500 capi. Si raggiungerà l'obiettivo? Intanto
altre provincie non si muovono ancora con altrettanta decisione. Il
cinghiale è un vero e proprio animale nocivo e non può essere
gestito mediante la normale pratica venatoria. Lo dicono la gravità dei
danni ai prati, ai pascoli, ai vigneti, ai campi di mais, alle
recinzioni, gli incidenti stradali, il rischio di diffusione di
malattie, i pericoli per l'incolumità delle persone (un ferito a
Sondrio e uno a Como questa estate).
(15.07.09) La riforma
della 157/92 è occasione per ripensare la fauna selvatica come
risorsa per integrare il reddito agricolo e sostenere lo spazio rurale
Nell'ambito della
discussione sulla riforma della caccia ) le associazioni
venatorie FIDC, ANLC, ENALCACCIA, ANUU, CONFAVI) nella loro
'posizione congiunta' del 9 luglio sul testo unificato delle proposte
di modifica alla legge 157/92 hanno riconosciuto
che la fauna selvatica è una risorsa che deve servire a integrare il
reddito agricolo. Un buon punto di partenza che speriamo si
traduca in norme chiare e innovative. Invece gli ambientalistii si
attardano su posizioni retrograde e demagogiche parlando di 'barbarie'
a fronte di adeguamenti della legge che tengono conto dell'evoluzione
della realtà agrosilvopastorale. Posizioni miopi perché
i cacciatori sono i primi a volere un'agricoltura sostenibile
e una realtà rurale vitale.
|
fauna selvatica
Cinghiali,
caprioli,
lupi... e altri animali. L'appennino piacentino sotto assedio
di Marco del Lest
(28.07.17) Anche nel corso dell’autunno scorso si è ripetuta
l’aratura dei
pascoli... e quest'anno c'è da temere la stessa cosa. Non si tratta di
una inconsueta pratica agronomica, ma di un
pericoloso “fenomeno naturale” che, inesorabilmente, si ripete sui
pochi
pascoli e prati stabili rimasti sul nostro Appennino. L’aratura
del cotico erboso è causata dai numerosi branchi di cinghiali che
grufolando dissotterrano i bulbi del crocus, delle orchidee e di altre
piante evidentemente molto apprezzate da questi suidi. Se questo
fenomeno non si verificasse in un territorio storicamente antropizzato
e modellato dall’uomo, non sarebbe neppure degno di nota, farebbe parte
dei normali processi evolutivi degli ecosistemi naturali.
Pascoli di monte Crocilia (Ferriere) in
primo piano si vede il
pascolo arato dai cinghiali
Pascoli di monte Crocilia (Ferriere)
particolare del sottile cotico
erboso rivoltato dai cinghiali
Ma il nostro territorio
è il frutto delle profonde trasformazioni
antropiche fatte dalle generazioni che ci hanno preceduto, ed i pascoli
di crinale rappresentano la testimonianza di una economia
silvo-pastorale che ha consentito ai nostri antenati di
insediarsi e permanere nelle terre alte svolgendo nei secoli un
importante presidio di prevenzione e limitazione del dissesto
idrogeologico. Questa funzione è quella che ha contribuito
allo sviluppo di una florida economia agricola e successivamente
industriale, nelle aree di pianura sottostanti. Il cotico erboso
dei nostri pascoli si è insediato in seguito al disboscamento di ampie
superfici forestali avvenuto presumibilmente a partire dal
1300, con lo scopo di creare pascoli permanenti, e radure a scopo
venatorio. In origine e fino agli inizi del 1900 l’allevamento
era prevalentemente ovino, con una ridotta presenza di bovini. Nella
economia rurale i bovini rappresentavano prevalentemente la forza
lavoro (buoi o manzi) , la carne bovina era un lusso e per la
produzione lattiero-casearia bastavano pochi capi per comunità.
L’allevamento della pecora era più semplice, si ottenevano ugualmente
prodotti lattiero caseari, carne e soprattutto lana, che era l’unico
filato facilmente disponibile in montagna.
Nel resoconto
dettagliato fatto nel 1805 dal Capitano Antonio Boccia sulla economia
rurale dell’ Appennino Piacentino (Viaggio ai Monti di Piacenza) viene
espressa questa considerazione sulla produzione dei formaggi di
pecora ...“Le sommità però degli Appennini, che sono
erbose, nutrono parecchie mandre di bestiami ed in particolare di
pecore che vengono condotte dal piano e dalle colline e vi stanno i
pastori come pure quei dell’Oltrepò, sino al terminar d’agosto.
Gli indigeni poi, a’ quali si affidano dagli abitanti della collina e
della pianura molte migliaia di pecore, convenendo fra di loro un certo
quantitativo di formaggio per ogni pecora, si fermano sino al terminar
di settembre. Da queste mandre ancora proviene il tanto rinomato
formaggio della Bettola, che prende il nome dal mercato, ove
si porta a vendere, indi si spande per tutto lo Stato ed anche verso
l’estero. Per quanto riguarda la produzione di lane e filati trae
queste considerazioni: ...” Ma chi il crederebbe? Il commercio maggiore
di Piacenza è dovuto alle sozze, bensì, ma laboriose donne di sei o
sette ville di questa valle (valle della Nura) e di quella dell’Aveto,
che vanno a stabilirsi a Piacenza, ove filano il bombace al molinello,
col quale si tesse quella infinità di fustanio e valesso (tessuti che
allora venivano confezionati con lana e cotone abbinati) che si spaccia
per tutta l’Italia occidentale....
Anche l’attività venatoria era
una considerevole fonte di integrazione alla povera dieta alimentare
dei nostri antenati e le aree pascolive aperte e le radure
rappresentavano zone ottimali per la caccia, dove si
riproducevano in abbondanza lepri ed avifauna, le quali venivano
prevalentemente cacciate con l’impiego di trappole. Il cinghiale
in montagna era meno presente di oggi ed aveva dimensioni molto
contenute, e molto rari erano anche i caprioli ed il daino era ancora
sconosciuto.
Una analisi superficiale delle attuali condizioni
ambientali, potrebbe indurci a considerare migliorato l’ambiente
attuale, dato che cinghiali, caprioli, daini e qualche cervo popolano
stabilmente i nostri crinali ed anche il lupo è tornato ad essere una
presenza stabile su queste terre... Ma c’è ancora l’uomo, con i
suoi
insediamenti, la sua economia e le sue esigenze.... ed un fragile
territorio da difendere, dove non possiamo più permetterci il “lusso”
del dissesto idrogeologico. Perché considero un “lusso” il dissesto
idrogeologico e cosa c’entra questo con il ritorno dei selvatici?
Ritengo che il dissesto idrogeologico sia una delle sconsiderate
conseguenze di una abbondanza che ci ha illuso che potevamo vivere
distaccandoci dall’ambiente, abbandonando le elementari, costanti e
capillari (e faticose) pratiche agro-ingenieristiche che assicuravano
la stabilità dei versanti. Il distacco dalla terra ci ha illuso che
potevamo sostituirci a madre natura, arrivando a decidere quali animali
potevamo introdurre nell’ambiente per il puro divertimento venatorio,
assolutamente estraneo alle esigenze alimentari.... ed ora siamo un po’
nei guai...
La presenza di un elevato numero di cinghiali nelle terre
alte, come accennato sopra, sta seriamente compromettendo i
pascoli che in conseguenza della “aratura”, non solo subiscono fenomeni
di erosione e di dissesto, ma le specie erbacee pascolive vengono
sostituite da essenze arbustive che insediandosi nelle aperture del
cotico erboso invadono il pascolo trasformandolo rapidamente in
arbusteto, facilmente attaccabile dagli incendi.
Pascolo di monte Crocilia (Ferriere) la parte e
evidenziata dall’ovale
è in avanzato stato di colonizzazione da specie arbustive e di fatto
sottratta alla disponibilità di pascolo per i bovini
Oppure si verifica l’espansione eccessiva delle felci, che
rappresentano una seria minaccia alla bio diversità del territorio ed
un possibile rischio per la salute umana (studi scientifici hanno
dimostrato il potenziale cancerogeno di questa
pianta), nonché una eccezionale esca per l’innesco di incendi. (Per chi
volesse approfondire sul potenziale cancerogeno della felce si rimanda
a queste considerazioni: http://www.ruralpini.it/Felce_aquilina.html)
La sostituzione dei pascoli di crinale con aree cespugliate determina
un impatto negativo anche sulla già depressa economia turistica del
territorio appenninico. E’ noto che i territori montani ben curati, con
ampie radure e vaste aree panoramiche, hanno una valenza
turistica maggiore rispetto ad aree coperte da roveti ed arbusteti o
totalmente boscate, le quali sono sicuramente più vicine alla
condizione di integrità naturale rispetto al pascolo antropizzato, ma
come detto , esercitano uno scarsissimo richiamo turistico ed
escursionistico; A tale proposito ci basti osservare la notevole
presenza di escursionisti nelle aree di crinale rispetto
all’inconsistente presenza di visitatori nelle nostre zone collinari
lasciate all’abbandono e ad un conseguente aspetto piuttosto desolato.
un semplice test comparativo...
Paesaggio collinare del monte Barbieri
(Bettola) con frana sullo sfondo e
incolti invasi da vitalba in primo piano...
Monte Bric della Forca (Ferriere) con pascolo
caricato con bovine
....quale dei due paesaggi ha maggiore valenza
turistico/paesaggistica?...
L’introduzione di animali senza la dovuta ponderazione sta causando
notevoli danni anche al patrimonio forestale, i germogli dei giovani
polloni di faggio, quercia e carpino sono molto graditi da caprioli,
daini e cervi, il cui pascolo può seriamente compromettere la
rinnovazione delle piante dopo il taglio colturale del bosco.
Osservando un bosco di faggio o quercia, tagliato recentemente, notiamo
ceppaie con pochi polloni stentati, deformati del morso degli animali o
totalmente assenti e dove la rinnovazione è rappresentata unicamente
dal Frassino e dalla Robinia. Se non vi saranno interventi di
contenimento dei selvatici, in poco tempo i nostri boschi di essenze
quercine, faggio e carpino si trasformeranno in cedui di frassino e
robinia con la conseguente perdita di bio diversità e di valore
economico degli stessi.
Giovani polloni di quercia cimati dal morso dei
caprioli. Si è notatano
le foglie rinsecchite che denotano la morte dei polloni
Si potrebbe obiettare a queste considerazioni affermando che non
compete più all’uomo occuparsi di equilibrare la presenza dei
selvatici, perché sulle nostre montagne è tornato il lupo e
quindi sarà questo carnivoro effettuare la selezione naturale.
Anche in questo caso non è tutto così semplice... Il lupo predilige
alimentarsi di cinghiali, come ha dimostrato l’esame delle fatte
di lupo repertate sul territorio provinciale, e si “occupa” molto meno
dei caprioli. Inoltre non disdegna variare la propria dieta con animali
d’allevamento, come manzi, capre, pecore, puledri ed anche cani (con il
ritorno del lupo il randagismo nelle aree forestali e nella zona dei
crinali è praticamente scomparso).
La predazione di animali
d’allevamento, anche se ora è abbastanza contenuta, contribuisce a
mettere ancora più in crisi la già misera zootecnia della montagna
appenninica e nonostante tutte le elucubrazioni fatte sulle cause dell’
abbandono della montagna, è un dato di fatto che i nostri paesi
hanno cominciato a morire quando abbiamo chiuso le stalle...
Senza zootecnia di montagna niente agricoltura sostenibile, quindi
nessuna cura del territorio, di conseguenza calo della attrattiva
turistica e la conseguente perdita di quest’ultima possibilità di
sviluppo rurale. Inoltre non occorre essere etologi per sapere
che il lupo è un carnivoro ed e l’unico “grande predatore” presente sul
nostro territorio (per ora..) e gli uomini sono bistecche che
camminano.... Fino ad ora non abbiamo ancora avuto attacchi cruenti
all’uomo, ma si stanno monitorando comportamenti abbastanza inquietanti
dovuti all’avvicinamento alle persone ed alle infrastrutture da parte
di esemplari di lupo c.d. “confidenti” che non mostrano alcun timore
nei confronti dell’uomo.
La convinzione che il lupo non attacca l’uomo
è quanto meno da rivedere, per il semplice fatto che a parte i
casi di bracconaggio, è proprio il lupo che si sta convincendo che
l’uomo “non lo attacca più” e ne trae le logiche conseguenze
comportamentali. Proviamo solo ad immaginare quale allarmismo
potrebbe generare l’aggressione da lupo ad un escursionista nel pieno
della stagione turistica.. ne abbiamo già avuto l’anticipo con le
recenti aggressioni di orsi in Trentino, con conseguenti disdette di
prenotazioni alberghiere e associazioni di commercianti infuriate con
“Mamma Provincia” accusata di avere introdotto l’orso
avventatamente...(erano gli stessi albergatori che fino al
giorno precedente decantavano nei loro depliant le bellezze di un
territorio incontaminato dove ancora vivono gli orsi...ma questa è
un’altra storia..)
Sarebbe la fine di qualsiasi discorso relativo al
rilancio turistico basato sulla bellezza del territorio, sulle valli
incontaminate, sulla purezza dell’aria e dell’acqua, sulla
sentieristica ben tenuta e segnalata, sulle abbondati raccolte di
funghi, sugli itinerari storici, sui percorsi per mountain bike, sugli
itinerari per ciaspolate o sci escursionismo ecc ecc ecc... Forse è il
caso di iniziare una riflessione sulle conseguenze della totale
assenza di una seria gestione del territorio, sulle campagne di tutela
degli animali basate sull’egoismo emotivo ed urbano-centrico che si
straccia le vesti in difesa di “bambi”, dei cuccioli di lupo, di
volpe e di tutti gli animaletti del bosco perché sono tanto belli
da vedere... e quando vado in montagna con il mio fuoristrada voglio
incontrarli come ho visto in televisione... perché oggi è politicamente
corretto essere animalisti,... ma guai a chi osa aprire una puzzolente
stalla a meno di 1500 m dalla mia casetta in montagna.... è anti
igenico...e dopo tutto non ho mai visto in televisione bambi fare la
cacca...
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