ECCO
IL PRIMO CESTINO DI CASTAGNE FRESCHE DI STAGIONE: UNA STORIA SECOLARE
CHE CONTINUA…
L'albero del
pane, come era chiamato dai nostri vecchi, ha costituito l'alimento
insostituibile per una lunga serie di generazioni di popolazioni
montanare. Ogni anno le prime castagne scaldano il cuore. Cibo per il
corpo ma anche per l'amima perché ci riconnettano a una vita di lavoro
e fatica ma anche di valori solidi, di fiducia nel futuro, di spirito
di continuità tra le generazioni. Piantare un albero di castagne era un
investimento nel futuro perché è una pianta longeva, anche se chiede
cure assidue e per portare in tavola i frutti del castagno si richiede
tanto impegno: prima. durante e dopo la raccolta
di Antonio
Carminati
(13.10.19)
Tra poco assaggerò le prime tètole
(castagne bollite) della nuova stagione. La probabile radice del
vocabolo è rintracciabile nel verbo tetà,
succhiare: rende bene l’azione di colui che, messa in bocca la castagna
bollita, dapprima la spacca con i denti, quindi ne risucchia la gustosa
polpa per cibarsene. Anticamente si chiamavano anche frescüde
e venivano cotte sotto la cenere del focolare. Mirella è andata
nell’orto a staccare alcune foglie di alloro dalla grossa pianta ai
margini del giardino: saranno anch’esse messe a bollire nell’acqua,
assieme alle castagne, per estrarre le sue essenze aromatiche e
valorizzare tutto il sapore del frutto mangereccio del castagno. Ne ha
raccolto un cestino, ieri pomeriggio, nella selva castanile delle Patèrne,
dove si era recata per accudire il gregge al pascolo di pecore massesi
di Francesco. Sono davvero le prime, quelle ostàne (agostane),
le più attese per il palato, desideroso di rigenerare antichi sapori.
Il
cestino di castagne
D’ora
in avanti arriveranno a maturazione tutte le altre varietà,
raggiungendo l’apice il mese di ottobre, con i ricci dorati, aperti e
ridenti, ormai disposti a liberare il loro prezioso contenuto. Le
grosse piante della selva castanile, molte delle quali ultracentenarie
(possono raggiungere anche oltre cinquecento anni), si presenteranno
finalmente rigogliose, vestite a festa, come matrone del castagneto e
del pascolo sottostante. Ora, però, si fanno attendere e le prime
castagne sono proprio capricciose, rimangano nascoste nei loro rés (ricci),
non giunti completamente a maturazione, anzi in parte ancora verdi: per
estrarle, se non si vuole rimanere feriti dai pungiglioni affilati dei
ricci, besógna fàle fò (occorre
diricciarle, fà fò i rés),
ossia, scarponi ai piedi, calpestare l’involucro ancora resistente,
sino a forzare la completa apertura. Occorre attendere ancora
all’incirca due settimane per vedere le castagne crodà
(cascare da sé) come si deve, in grande quantità, così da riempire
sacchi colmi, destinati alla vendita, oppure ad alimentare le provviste
domestiche.
Castagne
pronte per la cottura
Le
piante di castagno costituivano una preziosa risorsa per l’economia
familiare e molte volte nelle perizie di stima, redatte in vista di
divisioni ereditarie o di atti di compravendita, venivano individuate e
quantificate in relazione al numero e al valore di ciascuna di esse. In
talune circostanze si costituivano persino diritti di servitù o di
usufrutto sulle singole piante, assegnando a un beneficiario la potestà
di raccogliere i loro frutti. Soprattutto in questo periodo, dopo
l’equinozio d’autunno, le famiglie seguivano con attenzione
l’evoluzione di ogni singolo castagno, calcolando così il tempo
propizio per la raccolta dei frutti e, dopo una giornata ventosa o di
pioggia, era d’uopo una visita sotto i preziosi “alberi del pane” (così
già i Longobardi chiamavano i castagni, per il frequente ricorso alla
farina di castagne essiccate, soprattutto nei periodi di carestia), per
raccogliere le castagne fresche appena cadute.
Castagne
In
vista del fine settimana, poi, con una lunga pertica, onde evitare che
estranei, come i villeggianti e gli escursionisti della domenica,
anticipassero furtivamente la raccolta, besognàa pertegàle
dó, ossia battacchiarle, forzando la caduta di quei ricci già
aperti che iè drì a crodà(stanno
per cadere da sole). Economie antiche, essenziali e irrinunciabili.
Paure e rivincite. La scorta di castègne pèste,
bianche o sèche (castagne essiccate al sole o sui graticci di secadùr,
quindi sgusciate a colpi di mazzaranga, quassù chiamata sbadògia)
rispondeva al bisogno alimentare della famiglia contadina durante
l’inverno e la primavera. Una volta essiccate, distese al sole sull’èra
(aia) o sulla lòbia
(loggiato) e tenute movimentate, anziché pestarle, per privarle del gös
(guscio), alcuni le raccoglievano in un sacco di canapa e le battevano
su un ceppo ricoperto di stracci. Le donne anziane e i bambini le
avrebbero poi ripulite anche de la zèia o
pelesìna (la
peluria). La böla de castègne,
la pula di castagne, ossia i frammenti dei gusci che rimasti nel sacco
o per terra, si bruciavano sul camino. Una parte delle pelàde
(castagne bianche già sbucciate) veniva portata al mulino per la
macina, ricavando farina, con la quale realizzare ol pà de castègne
(castagnaccio).
La
"pestatura" delle castagne con la sbadògia, per liberarle dal guscio
Öna
bràca de pelàde dét en de la scödèla dol làcc (una manciata di
castagne peste nella scodella di latte) la mattina avrebbe costituito
un’ottima colazione, come pure en de la menèstra la
sira (dentro la minestra la sera), ma era anche la merenda
ricercata dagli scolari, mentre öna gaiòfa de
castègne (una tasca dei pantaloni piena di castagne) poteva
temporaneamente ingannare la fame dei lavoratori nel bosco. Pelàde
e biligòcc
(grosse castagne, simili a marroni, essiccati e affumicati) erano
destinati a essere conservati per l’inverno, mentre tètole e
böröle (castagne lesse e caldarroste) si consumavano nel
periodo del raccolto. Qualcuno le conservava raccolte nei ricci, per
utilizzarle fresche nei primi mesi della cattiva stagione. Ol
Tata (l’anziano capofamiglia), all’inizio di ottobre, con le böröle
distese sul tavolo della cucina, spillava dalla grossa tina la prima
scodella di peciòrla (vino
novello con bassa gradazione), che passava di bocca in bocca tra i
commensali, mentre ciascuno esprimeva il proprio giudizio. Anzi, appena
rovesciate dalla padèla de böröle
(padella delle caldarroste) sul piano del robusto tavolaccio, versava
sopra i gusci ancora scottanti e le castagne un po’ abbruciacchiate una
spruzzatina di vino novello. Per gli anziani le castagne, soprattutto böröle
e pelàde
(o peladèi),
sono un po’ come la polenta, antichi alimenti assai diffusi e
ricercati, alla base della dieta contadina. Sedimenti straordinari di
cultura. Ol Cèsco (diminutivo
di Francesco), mio padre,
fin quando la salute lo ha sostenuto nei vari lavori dell’allevamento e
del bosco, tanto alla stalla dei Calf quanto
in quella di Calsinù,
aveva realizzato un impianto fisso, semplice ma efficace, per la
cottura delle caldarroste: quasi tutti i giorni raccoglieva la dose per
sé e i familiari e, mentre sorvegliava le vacche al pascolo, le
preparava sul fuoco. Un rito che si rinnovava tutti gli anni, tra
settembre e ottobre.
La
battitura delle castagne con il sacco di iuta
Come
le castagne, soprattutto nel passato, sono state una preziosa
componente dell’alimentazione alpina, così i castagni e gli ambiti
rurali ad essi connessi hanno caratterizzato il paesaggio di valli e
versanti, modellando persino il volto dei luoghi. Diversi toponimi
locali traggono origine da questa tradizione: via Castagneta (a Selino
Alto), via dei Castagni (sia a Corna che a Locatello),… Nel villaggio
di Corna i castagneti erano assai diffusi ed equamente distribuiti,
normalmente in pendio, tra i seicento e i novecento metri di
altitudine, come si vede osservando la carta tematica sull’utilizzo del
suolo nel periodo austro-ungarico (prima metà dell’Ottocento). Non
c’era famiglia che non avesse il proprio castagneto, senza il quale
sarebbe stato più difficile sopravvivere in montagna. I gruppi
parentali più forti e strutturati possedevano anche il secadùr,
l’impianto per l’esiccazione delle castagne, realizzato spesso en d’ü
stalì (in una piccola stalla), oppure, in molti altri casi, sul
solaio dell’abitazione principale, facendo sì che il fumo del camino si
disperdesse nel sottotetto, dopo avere otturato la parte terminale
della canna fumaria del focolare domestico. I castagneti si dividevano
allora in tre classi, che sulla carta tematica di seguito riportata
sono individuati da tre colori: verde scuro (prima classe, i migliori e
più produttivi, con una rendita di Lire 2,52 austriache), verde chiaro
(seconda classe, i mediocri, con una rendita di L. 1,64 austriache),
giallo (terza classe, i meno importanti, con una rendita di L. 1,06
austriache). I castagneti migliori, quelli più in vista di prima
classe, risultano distribuiti in prossimità delle principali contrade
abitate: Canito, Corna Alta, Feniletti, Siva, Roncaglia, Cà Gavaggio,
Cilipiano e Malisetti. Complessivamente la superficie coltivata a
castagneto occupava allora ben 142 mappali (sui complessivi 1612 di
tutto il territorio), per un totale di 421.05 pertiche censuarie (sulle
complessive 4.369,42 del villaggio). Un notevole impatto sulla
geografia socio-economica del villaggio. Castagni sparsi, anche
monumentali, si registravano un po’ dovunque.
Cartografia
storica del Comune di Corna Imagna con l'indicazione dei castagneti.
Uso del suolo nei primi decenni dell'Ottocento
Nelle
vallate prealpine delle Orobie, antiche cerniere tra la montagna e la
pianura e terre di mezzo, sino a tutta la prima metà del Novecento
convivevano la piccola proprietà contadina e i consistenti possedimenti
di alcune famiglie, poche per la verità, che avevano fatto fortuna nei
commerci o nell’esercizio di professioni e attività letterarie; questi
ultimi, di norma, erano frazionati, lavorati e assegnati a mezzadria;
pure diversi castagneti subivano questo regime di partizione e le
castagne si dividevano secche solo negli anni di una discreta raccolta.
La quota dominicale era la metà, sempre. Le opere del primo impianto e
dell'innesto rimanevano a carico del proprietario, mentre la tenuta e
la manutenzione dell’impianto spettavano al mezzadro. La legna ottenuta
dalla scapezzatura dei rami, a causa della neve o del vento, doveva
servire innanzitutto per fare essiccare le castagne, cui provvedeva il
mezzadro; la parte rimanente andava poi a beneficio dei focolari
domestici, tanto del padrone quanto del mezzadro, sempre in parti
uguali. Le piante cadenti o morte, invece, spettavano in forma
esclusiva al padrone. Il mezzadro doveva tenere tagliate le nuove
piantine miserelle e sparute che crescono ogni anno vicino al tronco
principale, raccogliere le castagne, essiccarle, pulirle e portare in
casa del padrone la sua metà.
La
vagliatura delle castagne peste
Dalla
lettura di alcune descrizioni del territorio per il primo Ottocento (mi
riferisco, ad esempio, alle perizie del tecnico agrimensore Gio.
Domenico Locatelli di Corna), emerge già allora una situazione di
parziale abbandono delle colture castanicole, pur rivestendo ancora una
notevole importanza nell’economia generale delle famiglie contadine.
Con l’introduzione estensiva delle coltivazioni del mais prima, delle
patate successivamente, gli impianti di castanicoltura tradizionali
perdono progressivamente il primato che possedevano un tempo, almeno
sino al sedicesimo secolo, dacché anche i modelli alimentari si
adeguarono presto alle nuove colture. “I prodotti
principali di questo Territorio [cfr.: Corna Imagna] son
Grano Turco e non frumento, uva, castagne, poche noci, fieni, legna da
carbone per uso de' focolari - scrive all’inizio del
diciannovesimo secolo l’agrimensore Gio. Domenico Locatelli - I
Castagneti di questo territorio sono tutti in monte. Sono esposti in
generale a venti turbinosi che ne scapezzano i rami, e spesso atterrano
gli arbori ancora. Oltre gli altri infortunj, i così detti venti marini
e le Nebbie dominano talmente sopra i Castagneti, che quand’anche il
frutto sia prossimo alla maturazione svanisce per intiero; di modo che
è affatto comune l’espressione: che le castagne bene spesso sfuggono
anche sotto dalla Pertica. Poca parte del fondo dei Castagneti è
suscettibile della relativa coltivazione. La massima parte per esser in
terreno di cattiva indole, o poco felice l’esposizione, si vede in
pratica che invecchiano presto e danno uno scarso frutto, ed il più
degli anni niente affatto. I Castani in vicinanza dell’abitato sono i
migliori, gli altri sono a peggior condizione per tutti i rapporti, non
essendo nemmeno inestati; dando prodotto di lor natura un anno sì e
l’altro no. Sono i Castagneti in pendio naturale, il sotto fondo non dà
che magro pascolo, o musco, massime per quelli in distanza dal
Caseggiato. Le piante di fusto grandioso e ben ramificato sono poche in
confronto delle scapezzate, e vetuste o cadenti, di mediocre o piccolo
fusto e stentato. Per ogni misura agraria in complesso di Castagneto
più o meno popolato, gli arbori si ritengono dalli tre alli due,
tutt'al più. In generale sono composti i Castagneti d'alberi d'età
decrepita e cadenti, per non essere niente affatto in uso la loro
sostituzione”.
Il
castagnaccio
L’agrimensore
rileva il fatto che non si piantavano più castagneti completi, né
venivano sostituiti quelli caduti o seccati, ma i contadini si
limitavano a custodire nel miglior modo possibile solamente quelli
piantati, anche molti secoli prima, dai loro antenati. Però prestavano
particolare cura a quelli che nascevano naturalmente dal suolo,
mediante la concimazione e la potatura: la prima si effettuava tutti
gli anni, zappando la terra e distribuendo il letame attorno alle
radici dei castagni, mentre la seconda solamente ogni triennio.
L’agrimensore ci informa anche che le castagne, verdi o secche, si
misuravano a some, avvertendo anche che occorrevano nove staia rasi per
fare una soma; tre some abbondanti di castagne verdi facevano una soma
di secche peste. Considerando il contesto montano e l’inesistenza di
strade carrabili, il trasporto dei sacchi di castagne avveniva a dorso
di muli, oppure sulle spalle delle persone, tenendo presente che una
bestia da soma poteva portare tuttalpiù dodici pesi, mentre un uomo
robusto la metà. Nei castagneti di prima classe si ottenevano sino
cinque staia di castagne nelle annate ordinarie, mentre solo due e
mezzo in quelli di terza classe. Per quanto concerne, invece,
l’utilizzo del legname di castagno, assai resistente all’umidità, se il
tronco era sano poteva essere impiegato come legno d’opera,
nell’edilizia o nell’arredamento delle case contadine, come ad esempio
per realizzare solai, orditure di tetti, serramenti esterni. Squadre di
rasghì
(“segatori” specializzati) provvedevano a ridurre il grosso tronco in
assi o un travi. I rami migliori, invece, si utilizzavano per pali da
siepi, oppure per realizzare solide staccionate. Anche nel passato non
era in uso la compravendita del legno di castagno da brösà
(bruciare) e ad uso dei focolari domestici, dato che tale essenza arde
malamente, con un fuoco di pochissima attività.
La
preparazione di pali di castagno nella selva castanile della Sèla, a
Nord di Ricudì,
Le
castagne hanno accompagnato nei secoli il lavoro contadino sulla
montagna prealpina e, ancora oggi, come da tempo immemorabile, le
imponenti “matrone” della selva incominciano a tingersi di rosso,
giallo e arancione per annunciare il periodo, ormai imminente, della
raccolta del “pane dei poveri”. Un vero spettacolo della natura, per
grandi e piccini. Sono i colori e i frutti dell’autunno ad accompagnare
i bambini a scuola, all’inizio di un nuovo anno di studi, e chissà se,
durante una gita nel bosco, sotto i maestosi castagni di Francàp,
non vorranno anch’essi costruire con le loro mani öna colàna de
castègne (una collana fatta con le castagne), proprio come
facevano i bambini di un tempo…
La
costruzione di una borsetta di castagne. Brinzio, 2018
La
dieta alpina ora in un libro (13.05.18)La
dieta salutare che rinasce nel campo e sul pascolo, occasione di
rinascita agricola per la salute del corpo e delle comunità.