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Pecora sbranata dall'orso la scorsa estate

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Figura 1. Particolare di affresco del XV sec. (Morozzo, Cn) raffigurante cani da guardia delle greggi; si noti la conformazione dei due soggetti ritratti, con orecchie piccole (per non essere afferrate dal lupo) e larga e possente mascella. Si noti il collare irto di aculei di ferro ("ant sgozzamento"). Uno dei pastori è armato di lancia (per difesa dai predatori, ma anche dai briganti).

 

Figura 2. Una scena frequente: il gregge attraversa una strada di comunicazione. Spesso I greggi attraversano anche i paesi. Ci si chiede come sia possibile proporre "cani anti orso" come i Laika siberiani pronti ad uccidere uomini e cani per difendere il padrone e le sue proprietà

 

Figura 3. Un cagnetto da pastore. Sono animali che sanno farsi rispettare dalle pecore ma non certo in grado di fronteggiare i predatori, ma il loro servizio è insostituibile.

 

 La relazione tecnica dell'esperto del Parco (che dovrebbe costituire la base per l'attuazione delle misure di "compensazione" per i danni alla pastorizia derivanti della presenza di un orso) offende i  pastori (29.03.09)

 

Impossibile la convivenza con l'orso

 

In Val Seriana non sono le "cattive pratiche pastorali" ma le condizioni oggettive che rendono insostenibili i danni dell'orso

 

Il Parco delle Orobie bergamasche, in data 24 marzo, ha trasmesso  alla Coldiretti di Bergamo e ai rappresentanti dei produttori apistici e dei pastori una relazione tecnica sulle "Azioni per la mitigazionne dei conflitti tra i grandi predatori ed attività antropiche nel Parco delle Orobie bergamasche": Tale relazione "preliminare", stesa dal Dr. Meriggi dell'Università di Pavia, al quale il Parco si è rivolto per il "supporto scientifico" dovrebbe definire lo "stato dell'arte" su cui impostare le misure di "convivenza" con orsi e lupi nelle Orobie.  Intanto c'è da dire che tutte queste iniziative su "orsi e lupi" nelle Orobie bergamasche appaiono un po' ridicole dal momento che di orso ce n'è uno: JJ5, figlio di un'orsa "balorda" importata dalla Slovenia (e ora in cattività in Trentino) e fratello di due altri orsi "problematici" sparati in Svizzera e Baviera perché pericolosi. Di lupi non si vedono tracce da due anni.

Ma torniamo alla relazione. Essa non è tanto "preliminare" quanto generica e non entra nel merito delle problematiche specifiche dei sistemi pastorali locali. Si riportano  considerazioni sulla prevenzione dei danni da predazione valide in generale per la realtà italiana nel suo insieme. Si fanno dei riferimenti all'Abruzzo, alle "sperimentazioni" di reti anti-lupo in Toscana e in Emilia (ma quelle più significative sono nelle vallate piemontesi meridionali dove il problema è certamente più grave!). L'autore dimostra di conoscere bene la realtà dell'allevamento "vacca-vitello" dell'appennino settentrionale (che, guarda caso interessa l'area montuosa tra Piacenza e Pavia), ma poco la pastorizia transumante lombarda. Egli sostiene che, "fuori dall'Abruzzo", il bestiame "non viene sorvegliato e, se sorvegliato non viene utilizzato un numero di cani da guardia adeguato". Ma ai nostri pastori cani da guardiania non servono e non possono serivre; al contrario hanno bisogno di cani da "guida". I feroci molossi da guardiania nell'Italia settentrionale si sono estinti da secoli. Per capire come erano fatti dobbiamo ricorrere alle fonti artistiche come l'affresco sotto riportato, della fine del XV secolo, che ritrae una scena pastorale delle valli del cuneense (Figura 1.)

 

Al pastore transumante un cane feroce porta solo inconvenienti; egli ha bisogno di animali agili e intelligenti, essenziali per attraversare strade e ponti, (Figura 2.) per evitare che le pecore non si sbandino, non entrino nei campi seminati che vengono costeggiati. Per di più i nostri pastori stazionano presso aree sub-urbane dove ci sono terreni incolti dove cani feroci, sfuggiti accidentalmente al controllo dei pastori, potrebbero essere molto pericolosi per la sicurezza delle persone. I cani da guida dei pastori sono cagnetti di taglia media o persino medio-piccola che, senza posa, corrono su e giù lungo la colonna delle pecore in movimento e rispondono prontamente ai comandi (fischi e gesti) del pastore (Figura 3.). I cani da guardia devono avere caratteristiche completamente diverse.

 

Ma non è finita. L'esperto si spinge a sostenere che "solo in Abruzzo" esisterebbe un sistema di sorveglianza continuativa del gregge e una professionalità pastorale adeguata. Ha scritto, infatti.

 

"La perdita delle pratiche di corretto sfruttamento dei pascoli e la mancanza di figure professionali come quella del pastore, ovvero di colui che accompagna, governa, vigila, ed accudisce gli anmali durante il pascolo, ha prodotto modalità di pascolamento poco razionali, [...]  determinando un maggior rischio di predazione. Ne deriva che nella maggior parte dei casi gli animali vengono avviati al pascolo, dove rimangono incustoditi anche per alcuni giorni e, pertanto, sono in balia della loro capacità di sopravvivenza e di adattamento. In questi casi rimangono esposti maggiormente ad eventuali attacchi di predatori".

 

Sono parole che i pastori transumanti lombardi non possono accettare; essi non solo sono dei professionisti, ma hanno un secolare tradizione e cultura alle spalle. In questa cultura la perdita di un animale è considerata motivo di vergogna, altro che "abbandonare I greggi incustoditi".

Si capisce bene dove l'esperto vuole andare a parare: se vi sono forti danni è colpa di un sistema non adeguato, di un "rilassamento" della vigilanza contro i predatori.

Il fatto è che nelle valli Orobiche e, segnatamente, nell'alta Val Seriana, dove JJ5 si è "installato", non vi sono le condizioni oggettive della convivenza tra orsi e greggi.

I greggi transumanti sono numerosi (1000-1500 capi) e, oltre tutto, la pecora Bergamasca è di grossa taglia (90 kg). Non è possibile tenere per più giorni in "stazzi" protetti un simile gregge perché ciò comporterebbe un forte degrado del suolo. Le pendenze sono sempre accentuale, il terreno pietroso, il suolo superficiale.

I motivi che impediscono lo stazionamento del gregge per più notti rendono comunque ardua la realizzazione di recinzioni robuste che richiedono l'approfondimento dei pali di sostegno nel terreno (o si vuole deturpare la montagna con muretti in cemento in cui affogare le palificazioni?).

Non è neppure possibile "nelle giornate di nebbia" tenere il gregge chiuso in ricoveri per il semplice motivo che  non esistono. I pascoli affittati ai pastori sono a stento provvisti di baite o baitelli per il ricovero degli uomini, figuriamoci se si possono tenere chiuse le pecore da qualche parte .

Non c'è che una soluzione: la presenza di più pastori durante la notte a difesa del gregge. Oggi i pastori restano con il gregge sino a che fa buio, stendono una rete elettrica (in grado di contenere le pecore ma non certo di impedire l'intrusione dei predatori) e tornano al mattino. La "vigilanza" con continua presenza notturna presso il gregge sarebbe tanto più necessaria nelle notti di pioggia, di neve, di nebbia. Ma è accettabile e socialmente equa una soluzione del genere? I pastori di notte all'aperto sotto l'acqua con il timore delle visite dell'orso e lor signori, che "auspicano" il ripopolamento delle Orobie con i "grandi predatori", a casa comodi in un letto caldo? A che tempi siamo tornati? Al feudalesimo?

 

I pastori, a questo punto, rifiutano di partecipare ad ulteriori "tavoli" con interlocutori che dimostrano di non conoscere la loro realtà e di non rispettare il loro lavoro e la loro professionalità e chiedono che, a tutela di tutti gli interessi in causa, intervenga la Regione Lombardia (alla quale verrebbe voglia di chiedere di pronuciarsi su tutte quelle spese di centinaia di migliaia di euro messe in cantiere da Parco e Provincia, - per un unico e solo esemplare di orso - in tempi di risparmi della pubblica amministrazione e di Comunità Montane con le casse vuote).

 

In ogni caso i pastori vogliono far sapere che, mentre qualcuno "gioca" con la wilderness, c'è in gioco un'attività economica che tutti, a parole, riconoscono positiva per il mantenimento della biodiversità degli ambienti montani. C'è in gioco la sopravvivenza di un 'attività che, in forme simili a quelle attuali, ha centinaia di anni di storia, una cultura sedimentata (i pastori hanno - o almeno avevano - persino una loro lingua, il gaì).

 

Chiedono alle istituzioni di riconoscere con onestà che in Val Seriana non c'è spazio per l'orso e per i pastori e che si abbia quantomeno il coraggio politico di dire che i pastori se ne devono andare, devono smettere, lasciare le montagne a disposizione del Signor orso per la gioia dei suoi fan cittadini, in omaggio al nuovo idolo della wilderness (che con l'ecologia vera non c'entra nulla).

 

pagine visitate dal 21.11.08

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