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I
risultati tengono conto solo di un numero limitato di
pubblicazioni e di componenti nutrizionali
Uno
studio britannico, prontamente ripreso dai media, solleva
un polverone contro il consumo di alimenti bio.
di
Michele Corti
Uno studio sulla letteratura scientifica, commissionato dalla
Food standard agency britannica alla London School of Hygiene and Tropical Medicine, arriva
alla conclusione che non vi è alcun vantaggio per la salute dal consumo di
alimenti biologici. Rilanciata dalle agenzie e dai media la grancassa è suonata
come 'smettere di buttare via i soldi rincorrendo l'illusione del bio'.
Franco Battaglia (noto per le posizioni
negazioniste in materia di effetto serra), su 'Il Giornale' del 31 luglio
'traduce' così le conclusioni dello studio londinese: "Care mamme,
non lasciatevi ingannare. Vorrebbero convincervi che i cibi biologici sono
garanzia di migliore qualità e più salutari per i vostri figli. Ma non è
vero". 'La Stampa' ha titolato "ll biologico? Fa bene solo a chi lo produce.
Ricerca inglese fa a pezzi il mito del cibo sano"
(e significativamente questo articolo è comparso nella
rassegna stampa dell'EFSA, l'ente europeo per la sicurezza
alimentare con sede a Parma) . Toni non molto diversi su 'La Repubblica' e il resto della stampa.
Per chi sostiene che il bio è un bluff, che la chimica (e le biotecnologie)
sono sane e 'correggono' una natura cattiva che lasciata a sè stessa
produce pesticidi naturali peggiori di quelli di sintesi è stata una vera e
propria revanche. E il coro (dei soliti noti) si è fatto sentire.
Evidentemente da fastidio ai potentati mondiali dell'agrochimica
e degli OGM (e, giù giù, a tutta la filiera di chi costruisce carriere e
guadagni sulla comoda scia del sistema agrochimico dominante) che il consumo di
prodotti bio aumenti nonostante la crisi. Da fastidio il fatto che
l'agricoltura biologica, per la sua sola presenza, rappresenti un ostacolo -
non da poco - sul cammino della diffusione planetaria degli OGM. Che le agenzie
statali e sovranazionali che si occupino di alimentazione (FDA americana, EFSA
europea ecc.) abbiano un occhio benevolo per gli OGM e non troppo favorevole al
bio è noto e pacifico. Per fortuna l'accademia e altri centri di ricerca
pubblica rappresentano (almeno spesso) un terreno con spazi di indipendenza.
Peccato che la non piccola produzione scientifica proveniente dai centri
di ricerca (universitari e non) in tema di qualità dei prodotti bio sia stata
sottoposta ad una drastica decimazione da parte dei cervelli della London School of
Hygiene and Tropical Medicine che, evidentemente, si ritengono tanto bravi da
scartare in quanto 'di qualità insufficiente' pubblicazioni apparse sulle più
autorevoli riviste scientifiche internazionali. E qui qualche riflessione di
sociologia della scienza si imporrebbe.... O le riviste considerate 'serie'
producono studi 'poco seri' o chi si arroga un ruolo metagiudicante utilizza
criteri discutibili. In ogni caso la credibilità (già scossa)
dell'autorevolezza del sistema scientifico ne viene sminuita.
Per entrare nel merito dello studio della FSA ho voluto verificare cosa dice il rapporto
su un tema che mi sta a cuore: la qualità del latte bio. Come è noto
i dibattiti sulle proprietà salutistiche del latte si incentrano da una
parte sulle proprietà biologiche delle componenti proteico/peptidiche minori,
dall'altra sulla composizione dei grassi e, in particolare, sul rapporto tra
grassi saturi e polinsaturi, tra n-3 (omega-3) e n-6 (omega-6)
nonchè sulla presenza di acido alfa-linolenico e di CLA (acido linolenico
coniugato). Lo studio commissionato dall'agenzia britannica prende in
considerazione solo 2-3 studi (giudicati 'seri') e arriva alla conclusione che
non c'è nessuna differenza tra il latte bio e quello convenzionale. Conoscendo
la letteratura sull'argomento queste conclusioni appaiono abbastanza
sconcertanti. Diversi studi arrivano, infatti, alle conclusioni opposte. Uno,
in particolare, merita di essere citato perché si riferisce al Regno Unito: Ellis, K. A.; Innocent, G.; Grove-White, D.; Cripps, P.; McLean, W. G.; Howard, C. V.; Mihm, M
Comparing the fatty acid composition of organic and conventional milk, Journal of
Dairy Science [Vol. 89 (6), pp. 1938-1950, 2006]. Vale la pena notare: 1) che lo studio è stato effettuato
per la durata di un anno intero su un buon numero di aziende; 2) che la
rivista che lo ha pubbloicato è forse la più autorevole in assoluto in campo
lattiero. Cosa concludeva questo studio anch'esso british? "Organic milk had a higher proportion of PUFA to
monounsaturated fatty acids and of n-3 FA than conventional milk, and contained
a consistently lower n-6:n-3 FA ratio (which is considered beneficial) compared
with conventional milk" [Il
latte biologico ha presentato un rapporto tra acidi grassi poliinsaturi (PUFA)
e nonoinsaturi più elevato e un rapporto più basso n-6:n-3 (considerato
benefico) rispetto al latte convenzionale]. In un altro studio british effettuato nel SE del Galles
e nel NE dell'Inghilterra (Butler, G.; Stergiadis, S.; Eyre, M.; Leifert, C., Effect
of production system, geographic location and sampling date on milk quality
parameters, Aspects of Applied Biology, 80, pp.193-197, 2006) si concludeva che: "Levels
of nutritionally desirable mono- and poly-unsaturated fatty acids (vaccenic
acid, CLA, alpha-linolenic acid) and a range of fat soluble
antioxidants/vitamins (alpha-tocopherol, carotenoids) were found to be
significantly higher (60% and 20% respectively) in organic
milk" [Nel latte biologico
sono stati riscontrati livelli più elevati di acidi grassi favorevoli mono e
poliinsaturi (acido vaccenico, CLA, alfa-linolenico) (+60%) e di alcune
vitamine liposolubili/fattori antiossidanti (+20%)].
Aggiungiamo qualche altro dato dalla letteratura scientifica. Il
Danimarca nel latte bio sono stati riscontrativalori più elevati di
alfa-tocoferolo e acido alfa-linolenico (Slots, T.; Sorensen, J.; Nielsen, J. H. in: Milchwissenschaft , 63,(4), pp.352-355, 2008). In
Germania Molkentin, J.; Giesemann, A [Analytical
and Bioanalytical Chemistry, 388 (1), pp. 297-305, 2007] hanno osservato che, attraverso l'analisi
degli acidi grassi, è possibile distinguere un latte bio da uno convenzionale
tanto sono nette alcune differenze di composizione: "Fatty acid
analysis enabled organic and conventional milk to be completely distinguished, because
of the higher alpha-linolenic acid (C18:3omega3) and eicosapentaenoic acid
(C20:5omega3) content of the former. Organic milk
fat contained at least 0.56% C18:3omega3 whereas the maximum in conventional
milk was 0.53%". [l'analisi degli acidi grassi consente di distinguere in
modo preciso il latte bio da quello convenzionale dal momento che il primo
presenta un contenuto più elevato di acido alfa-linoleico (C18:3omega3) e di
acido eicosapentanoico (C20:5omega3). Il latte bio contiene almeno lo
0,56% di C18:3omega3, mentre quello convenzionale al massimo raggiunge lo 0,53%].
In un
altro studio tedesco, eseguito in Turingia, [Anacker. G.., Lebensmittelindustrie und
Milchwirtschaft, 128 (17), pp. 20-25, 2007] si conclude che: "Compared
with milk from conventional farms, organic milk had
significantly higher contents of polyenoic fatty acids (PUFA; particularly
linolenic and linoleic acids) and significantly lower contents of palmitoleic
acid". [In confronto con il latte proveniente da allevamenti
convenzionali quello bio presentava contenuti più elevati di acidi grassi
polienoici (PUFA, in particolare linolenico e linoleico) ].
Anche in Svizzera è stato riscontrato che "organic milk had
significantly higher contents of polyunsaturated FA (PUFA) , conjugated
linonenic acid (CLA) (+14.9%; P0.001), n-3
FA" [il latte bio presentava contenuti di acidi grassi
poliinsaturi più elevati (+5.5%;P0.001), così come di CLA (+14.9%; P0.001) e di n-3) ] [Collomb, M.; Bisig, W.; Butikofer, U.; Sieber, R.; Bregy, M.; Etter, L.,Collomb, M.; Bisig, W.; Butikofer, U.; Sieber, R.; Bregy, M.; Etter, L., International Dairy Journal, 18 ( 10/11), pp. 976-982, 2008].
Precisamo che questi non sono gli unici lavori che affermano la
superiorità del latte bio (almeno dal punto di vista del profilo acidico).
Sulle banche dati si trovano altri lavori riferiti anche ad altri paesi.
Qui vorremmo solo citare ancora solo uno studio molto significativo,
realizzato in Olanda e pubblicato sulla rivista British Journal of Nutrition [vol.
97, (4), pp. 735-743, 2007],
rivista autorevole sul piano internazionale, ancorché britannica. Il
lavoro (di Rist L , Mueller A , Barthel C, Snijders B , Jansen M, , Simoez-Wust AP, Huber M , Kummeling I, von Mandach U , Steinhart H, Thijs C.) non
riguarda il latte di mucca ma quello di donna e si intitola :Influence of organic diet on the amount of conjugated linoleic acids in breast milk of lactating women in the Netherlands [Influenza
di una dieta a base di alimenti bio - latticini e carni - sulla concentrazione
di CLA nel latte di donne allattanti in Olanda]. Esso prova
che con una dieta a base di cibo biologico il latte materno è più ricco di CLA
con una differenza che è altamente significativa dal punto di vista statistico
anche dopo aver tenuto conto di tutti i fattori (gruppo di madri, età,
educazione, utilizzo di integratori, stagione).
A questo punto, però, è necessario andare al nocciolo della
questione. La superiorità salutistica del latte bio (ma considerazioni simili
valgono per la carne) non è dovuta a qualcosa di 'arcano' ma alla maggiore
facilità con la quale le mucche si alimentano al pascolo e comunque di foraggi
'naturali'. La 'ricetta magica' del bio consiste nell'aver messo un tetto alla
quantità di mangimi e alcuni vincoli sulle materie prime che nei
mangimi possono entrare. Per il resto il merito è in gran parte...
dell'erba. Il latte di ruminanti che si alimentano da erbivori è sano, quello
di mucche trasformate in macchine da latte semi-onnivore (ma sono state anche
... cannibali prima della vacca pazza!) è meno sano, decisamente meno sano. E'
certo che durante il periodo invernale le differenze tra bio e
convenzionale diminuiscono, è certo anche che - purtroppo è il caso
dell'Italia - laddove anche negli allevamenti bio il pascolo è poco o nulla
praticato, la superiorità del latte bio è meno evidente. Ma i risultati provenienti da paesi dove anche gli
allevamenti convenzionali utilizzano il pascolo conferma che quelle 'regoline'
che presiedono alla formulazione della razione alimentare della mucca bio fanno
comunque una grande differenza.
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