(29.01.10) Vi sono ancora realtà dove la simbiosi con gli animali
è componente fondamentale del legame con la montagna
e dello stesso senso del vivere.
La simbiosi con gli animali aiuto fondamentale per 'resistere
in quota' (oggi come ieri)
Alla frazione Bugliaga di Trasquera, a m. 1400 m in mezzo alla
neve una storia come altre (non molte per la verità).
Un modo di vivere che pareva un residuo del passato
ma che oggi acquista nuovi significati.
A
Bugliaga, piccola frazione del comune di Trasquera (Val
Divedro, VCO) a 1350 m slm, si arriva con una strada
che attraversa un ponte molto ardito a scavalco di un profondo
vallone. E' uno dei tanti 'ponti del diavolo' che si
trovano sulle Alpi, costruito, però, non in un lontano
medioevo ma nel 1880. La strada è mantenuta sgombra
dalla neve ma lo scorso anno, in conseguenza delle 'eccezionali'
nevicate è stata chiusa a lungo (una sbarra viene abbassata
quando il transito è impossibile o pericoloso). Anche
in questi giorni bisogna fare attenzione al ghiaccio
nel tratto che, superato il ponte, risale con forte
pendenza il versante roccioso del vallone. A Bugliaga
risedono ufficialmente 16 abitanti ma in inverno sono
anche di meno. E' l'ultimo abitato prima del confine
svizzero. La strada termina con un piazzale in prossimità
del 'centro' (Foto 1) dove si trova l'oratorio della
Visitazione della Vergine risalente al 1665. Il 'centro'
però è adesso disabitato. Dal piazzale una stradina
innevata, ma percorribile dai mezzi agricoli, porta
verso le case abitate. Dopo 150 m la strada si interrompe
e partono due sentieri scavati nella neve (corrispondenti
a nuclei famigliari presenti). Proseguendo diritto
a piedi per altri 200 m si arriva all'Azienda Agricola
Letizia Filosi, siamo a 1400 m (Foto 2).
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A
sinistra - Foto 1 - Bugliaga m 1350, è una
piccola frazione del comune di Trasquera in Val Divedro
(VCO), ultimo abitato prima del confine svizzero. Al
centro il piccolo campanile dell'oratorio della Visitazione della Vergine a S. Elisabetta, costruito nel 1665
(gennaio 2010 come le altre foto, tutte di M.Corti,
tranne quando diversamente indicato).
A
destra - Foto 2 - L'azienda
agricola v di Letizia Filosi
(a sinistra la nuova stalla con ampio fienile,
a destra l'abitazione). Nell'azienda si
allevano 50 capre tra Vallesane, Sempione
e Alpine comuni
Come
quasi tutte quelle del comune l'azienda è intestata
a una donna. Un fatto che riflette un ruolo effettivo
delle donne nella gestione e non mere convenienze amministrative.
Un tempo vi era l'emigrazione stagionale; poi per la
manodopera maschile si aprirono anche possibilità di
lavoro in zona grazie alla presenza di diversi bacini
idroelettrici (anche il marito di Letizia, che collabora
attivamente nella gestione dell'allevamento ha lavorato
presso le dighe Enel). Anche oggi gli uomini e i giovani
(compresi i figli della coppia) hanno occupazioni al
di fuori dell'agricoltura.
Nel
territorio del comune vi sono diversi piccoli alpeggi,
sopra i 2000 m. Non sempre di facile accesso (alcuni
sono raggiungibili solo a piedi e i quadrupedi svolgono
ancora un ruolo indispensabile come nel caso dell'azienda
Filosi che - per i collegamenti con l'Alpe Pianezzoni
a 2141 m - necessita del servizio degli asini (Foto
3). Gli alpeggi di Trasquera hanno pascoli
con giacitura favorevole e questo, unito al fatto che
sono di proprietà privata, ha contribuito a mantenere
un forte legame con le attività di allevamento (il pascolo
è comunale ed utilizzato a titolo gratuito dagli alpeggiatori).
Sono ancora attivamente utilizzati (per sfalcio e pascolo)
anche diversi 'mezzi alpeggi' (maggenghi) qui come ovunque
di proprietà privata. A Trasquera le 'migrazioni stagionali
verticali' conservano buona parte dell'importanza che
avevano in passato quali cardini e scansione della vita
locale e la stagione tra 'mezzo alpeggio' e 'alpeggio'
è lunga (vedi sotto la Foto 3 di trasferimento dicembrino
in paese di una piccola mandria bovina dai soprastanti
maggenghi).
Un
insieme di circostanze che ha fatto si che, sia pure
in forma 'accessoria', l'attività zootecnica abbia
mantenuto una sua consistenza. Paradossalmente le dimensnioni
'famigliari' degli allevamenti di Trasquera li mettono
al riparo dalle difficoltà delle aziende 'professionali'
che altrove hanno vista fortemente ampliata la dimensione
degli allevamenti e si devono oggi confrontare
con il forte calo di redditività del latte conferito
all'industria di trasfromazione. A Trasquera le produzioni
casearie si basano sull'autoconsumo e la vendita diretta,
modalità 'arcaiche' ma oggi fortemente rivalutate e
destinate a rappresentare il futuro di una parte
importante dell'agricoltura di montagna (e non solo).
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A
sinistra: Foto 3 - gli
asini dell'azienda Filosi, indispensabili per il collegamento
con gli alpeggi. Sono soggetti robusti in grado su terreno
non impervio di portare una soma di un quintale di peso.
Nella foto si stanno godendo il sole nel pomeriggio
di gennaio (con loro un puledro lasciato in 'affido'
dall'estate scorsa e ancora 'parcheggiato' in azienda).
A
destra: Foto 4 - dicembre
2008: una piccola mandria scende a Trasquera da un maggengo
a 1.400 m (Foto Lucia Rotondi)
Le
difficoltà sono semmai di ordine burocratico. Solo la
signora Mariangela Bonardi, cognata di Letizia, tra
gli allevatori di capre di Trasquera è riuscita ad ottenere
la notifica sanitaria, che autorizza la vendita del
formaggio anche presso i rivenditori e i ristoratori
della provincia e delle provincie limitrofe. Gli altri
allevatori sono in attesa di poter utilizzare il Caseificio
comunale che è stato completato nel 2009 (previa realizzazione
di ulteriori interventi - rispetto al progetto
originale - richiesti dall'autorità sanitaria).
Oltre alla realizzazione del Caseificio non mancano
a Trasquera anche altre iniziative finalizzate a valorizzare
gli allevamenti caprini e i loro prodotti anche dal
punto di vista culturale e turistico (vedi Foto 5 e
6).
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Foto
5 e 6 - a Trasquera le capre hanno un posto significativo
nella vita locale. Da alcuni anni si svolge alla fine
di ottobre la rassegna caprina 'Al sun di
sunèi' che rappresenta un evento importante per la comunità
locale che conta diverse famiglie di allevatori di capre.
lVa
segnalato che l'allevamento caprino, oltre a contribuire
a mantenere in vita alpeggi, maggenghi e prati (tutti
i piccoli allevamenti presenti producono da sè il fieno
necessario come scorta invernale), a fornire apprezzati
prodotti: formaggio misto d'alpe, tomette, ricotta.
assume a Trasquera anche un'altra rilevante funzione.
Poche località contribuiscono come a Trasquera al mantenimento
dei ceppi autoctoni caprini alpini a rischio di estinzione.
Oltre alla 'Sempione' (Foto 8) una capra dal lungo pelo
uniformemente bianco, si alleva anche la Vallesana dal
caratteristico mantello bicolore (Foto 8); una presenza
spiegata con il confine con il Vallese, il cantone
svizzero da cui questa capra deriva il nome. Vi è poi la
pregevole Alpina comune, espressione più autentica delle
radici antiche dell'allevamento caprino sulle Alpi.
A
sinistra (Foto 7) capre 'Sempione' a pelo lungo uniformemente
bianco (azienda Letizia Filosi).
A
destra (Foto 8), sempre nella stalla di Letizia Filosi,
un bel gruppo di Vallesane a collo nero (ve ne sono
anche a collo rosso). In aggiunta a questi tipi negli
allevamenti di Trasquera è presente anche la capra Alpina
comune. Trasquera è quindi un piccolo paese che da un
grande contributo alla biodiversità mantenendo diversi
tipi di capre alpine a rischio di estinzione.
L'azienda
Filosi alleva tutte e tre questi tipi di capre fornendo
da sola un bel contributo al loro mantenimento. Proprio
in questi giorni si stanno verificano i parti che consentiranno
di fornire nuove leve a queste popolazioni di ridotta
dimensione. Nel cuore dell'inverno le nascite dei capretti,
concentrate in poche settimane, rappresentano
un momento di duro lavoro per gli allevatori. 'In questi
giorni non abbiamo orari per i pasti, siamo legati al
ritmo dei parti' mi dicevano Letizia e il marito. Ma
è momento di esplosione di vita, di una vitalità che
chi accudisce con amore i propri animali ha la possibilità
di 'assorbire', di godere legittimamente, per contagio.
Altro che pet teraphy! (Foto 9 e 10).
Un
impegno quello delle cure ai capretti che, insieme,
a quelle ordinarie del gregge (ovvero 'regolare'
gli animali: pulendo la stalla, rifacendo il letto di
foglie, allontanando il letame, somministrando il fieno
in mangiatoia e facendo bere con il secchio ogni capra).
E' un impegno che riempie e scandisce le giornate
invernali ma da anche senso ad una presenza in un luogo
che non è un pezzo di mondo qualsiasi, un non-luogo intercambiabile,
ma proprio 'quella' montagna, quel 'posto' dove la giornata
è fatta di impegni diversi a seconda della stagione
(qui in modo diverso che altrove). Qui il 'luogo'
è dato da una ricca topografia fatta di riferimenti
materiali e mentali che non comprende solo una casa,
una stalla, un pezzo di terra ma tutta una montagna
da 1400 a 2100 m con i prati, i boschi, i pascoli di
mezza quota, quelli di alta quota, le zone di pascolo
autunnali delle capre, i sentieri e le mulattiere. Tanti
elementi 'ancorano' la vita delle persone e la realtà
delle 'aziende' a questo pezzo di mondo (chiamiamolo
così perché 'territorio' è iperinflazionato). Se si
resta qui non è possibile vivere, allevare in altro
modo; c'è una corrispondenza biunivoca, necessaria.
Non arrivano le 'camionate' di mangime. Non può venire
l'autocisterna a portare via il latte (o anche il liquame
come si vorrebbe attuare con i folli impianti consorziali
di 'gestione liquami' e 'abbattimento nitrati'). Non
sei 'ancorato' al prezzo del latte in Romania e in Nuova
Zelanda, dei cereali sugli stock markets piuttosto
che alla trama dei pascoli, dei prati, delle risorse
che sono tutt'uno con la montagna, che non sono trasferibili
altrove. Solidità verso liquidità.
Molte
realtà agricole e zootecniche si sono 'disancorate'
dal legame con la montagna. Se scendi a valle conta
più la localizzazione vicino ad una strada di grande
comunicazione dove, per l'appunto, arrivano i 'bilici'
di mangime e le rotoballe di fieno raccolto a centinaia
di km di distanza. La delocalizzazione è arrivata anche
nelle valli. Le stesse stalle, diventano 'non luoghi':
prefabbricate, tutte tristemente uguali, grigie come
il calcestruzzo. La vita scorre in anonime sale
di mungitura, in caseifici asettici 'tipo' (per avere
un bollino CE che, di solito, non serve). Forse
sono 'funzionali' (non è sempre vero) ma ci si sente
in un luogo 'proprio'?
Le realtà
che si sono lanciate verso la specializzazione, la grande
dimensione, l'adozione di moduli intensivi non sono
fragili solo perché esposte alla congiuntura economica
(che può mettere in crisi in pochi anni quanto costruito
sul lavoro di generazioni); sono fragili anche perché
il senso della propria attività si è spesso ridotto
a a mere valutazioni economiche (o meglio,
economicistiche).
L'orgoglio
dell'allevatore che 'accudisce' gli animali che ha in
custodia, del casaro fiero dei riconoscimenti al proprio
prodotto artigianale, dell'alpigiano fiero dei propri
pascoli e prati 'net', lasciano il posto
a meccanismi che finiscono per considerare animali,
pascoli, prati come puro strumento di guadagno
nell'immediato, da sfruttare al massimo senza preoccuparsi
di 'amministrare' come il saggio padre di famiglia le
risorse avute i custodia. Ma una vita che si esaurisce
nel presente, che non tiene conto di lasciare una buona
eredità e produrre armonia con quanto ci circonda finisce
per avere un senso e motivazioni limitate e 'volatili',
non poggia su quei solidi supporti morali e valoriali
che sostenevano esistenze ben più dure.
Questo
senso di 'accudimento', di 'responsabilità' di sintonia
ad essere tutt'uno con un 'pezzo di mondo' fornisce
senso e gratificazione, mentre il ridurre tutto all'economia
provoca vuoti e ansie che vanno colmate con surrogati.
Quest'ultimi (non gratuiti peraltro) colmano solo
apparentemente e temporaneamente il vuoto e placano
solo momentaneamente le ansie.
L'economia,
però, non è necessariamente in conflitto con l'accudimento
della montagna e delle sue risorse (considerate le ombre
che si allungano su i sistemi di sfruttamento intensivo,
che trapiantano in montagna i metodi delle Grandi Pianure).
Va detto che l'economia dell'accudimento della montagna
della saggia stewardship deve essere seriamente
presa in considerazione dalle strutture di potere perché,
in definitiva, 'costa' alla società meno di strutture
apparentemente razionali, quantitative. Il modo di stare
in montagna vivendo di montagna è infinitamente più
sostenibile (basta pensare ai beni e ai servizi autoprodotti
e alla ridotta dipendenza energetica).
I
miglioramenti materiali sono indispensabili (anche se
i finanziamenti regionali spesso coprono solo una parte
minore degli investimenti e l''imprenditore agricolo'
si trova a sostenere oneri non sempre necessari dal
punto di vista tecnico ed economico). Conta di
più, però, l'alleggerimento di adempimenti burocratici
e l'allentamento di vincoli nonché la disponibilità
di riferimenti amministrativi accessibili, chiari e
certi, di supporti, consulenze disinteressate a 360°.
La rivincita della capra e dei formaggi caprini la dice
lunga sul valore che pratiche e sistemi produttivi
'marginali' possono tornare ad assumere. Le condizioni
di economicità cambiano in fretta e si ribaltano ma
è importante non disperdere sull'onda di considerazioni
economiche passeggere (almeno in una prospettiva storica)
quelle risorse che l'uomo montanaro ha accumulato
in secoli e millenni di vita sull'alpe. Noi vediamo
alcuni sintomi di processi che segnano più di una inversione
di tendenza, lungimiranza vuole che si presti ascolto
a questi segnali.
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Foto
9 (a sinistra): nel cuore dell'inverno la quiete
delle stalle è rotta dalla vivace presenza dei capretti,
dai loro flebili belati, dai loro salti e pirolette.
E' una esplosione di vitalità che contrasta con l'aspetto della
montagna invernale fuori dal microcosmo della stalla,
con il silenzio e la vegetazione apparentemente
'morta' sotto la coltre di neve. Per la maggior
parte dei maschietti la Pasqua segnerà la fine
di una breve esistenza; per le femminucce, invece, con
la primavera ci sarà la scoperta del mondo, della montagna
dei pascoli fioriti, e a pochi mesi di vita si arrampicheranno
un po' incerte fin sulle rocce.
Foto
10 (a destra): un caprettino Vallesano nato da
due ore in piedi vicino alla mamma; è ancora bagnato
con il pelo a ricciolini in evidenza che lascia ben
sperare nello sviluppo di un mantello fluente (carattere
molto ricercato nella capra Vallesana).
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