La
Latteria prima del recupero
La
Latteria oggi
I
locali per la conservazione del formaggio
L'aula
didattica
La
Latteria non rinasce "solo" come Museo di
sé stessa o come Centro Culturale, o come sede di attività
didattiche. Rinasce in tutti questi modi, ma per lavorare
il latte, per riaggregare un tessuto che si era disperso.
Per fornire un punto di riferimento per i piccoli produttori
non in grado di dotarsi di un caseificio aziendale,
per unire piccoli produttori e consumatori (co)/(auto)-produttori
a loro volta e ricostituire forme di scambio di conoscenze,
di beni d'uso, di tempo, di passione e intelligenza.
Il che è come dire per ricreare un tessuto di nuova
ruralità e riconnettere gli abitanti di Strigno tra
loro e con il loro territorio. Il latte come percorso
all'indietro - per riconnettersi in modo non nostalgico
alla memoria collettiva e come percorso che può far
individuare itinerari per fuoriuscire da un presente
carico di rischi (i cibi e l'aria contaminata, le tante
piccole azioni quotidiane di un consumo insostenibile
che mina gli equilibri ecologici e climatici e consuma
i legami sociali).
Perché sostenere gli artigiani del latte?
Perché aiuti a sostenere le
aziende locali del contadino d’alpe
Perché preservi il legame con un cibo autentico e la sua
storia
Perché incoraggi le
biodiversità
Perché rinforzi l’equilibrio
desiderato e necessario della montagna
Le nostre malghe sono la
risposta alla domanda di cibo
buono e sano, di benessere,
di tempo libero.
Le nostre malghe ci
interrogano sulla qualità della nostra vita.
Adottando questi ecosistemi
ci aiuterai a salvare la Tradizione.
( Dal calendario 2007 Libera Associazione
Malghesi e Pastori del Lagorai )
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Il Ritorno degli Artigiani del Latte
Ha
riaperto il
17 maggio la Antica Latteria Sociale di Strigno nella Valsugana
trentina
di
Laura Zanetti
Dismessa da qualche decennio
dopo un utilizzo secolare come caseificio turnario tra i numerosi piccoli contadini del luogo, dall’indiscusso valore
solidaristico , è stata recuperata
con un restauro conservativo grazie alle provvidenze del progetto Leader
Gal Valsugana e all’impegno della Libera Associazione Malghesi e
Pastori del Lagorai, un movimento inedito costituitosi a Telve di Valsugana
e il cui impegno merita un antefatto.
Nell’ottobre del 2000 un
piccolo gruppo di malghesi e di figure che a vario titolo avevano a cuore il
destino del Lagorai pastorale, liberi da qualsiasi vincolo con le
organizzazioni burocratiche e da schemi ideologici, si associano scegliendo la
formula dell’ autofinanziamento. Consapevoli di avere dalla loro parte un elemento
forte e semplice, una terra cioè dove più che altrove si era storicizzata la
civiltà di malga e dove la vicenda del latte non era affatto una avventura
fuori dal tempo, decidono di tutelare, in modo operativo, le piccole produzioni
a latte crudo lavorato in malga, dandosi un metodo scientifico di lavoro. Dopo
un periodo di coscientizzazione sul ruolo del contadino d’alpe, durato due
anni, si collegano con la Facoltà di Economia dell’ Universita’ degli Studi
di Trento, e studiano sotto la guida dell’economista Pietro Nervi,
un disciplinare di produzione a delimitazione geografica rifiutando da subito
la Dop, perché la stessa, ideata negli anni ‘90 come strumento di
valorizzazione territoriale, paradossalmente non solo non tutela i piccoli
produttori, ma legandosi alla zootecnia intensiva, penalizza fortemente la
qualità, favorendo la deriva verso l’omologazione del prodotto.
Scelgono quindi di lavorare
con coerenza, consci della diversità che esiste tra azienda sul territorio e
azienda del territorio, tra prodotto tipico, legato alla Dop e il loro prodotto
locale che privilegia in tutto la filiera di produzione, la materia prima
locale, rappresentata da pascoli straordinariamente ricchi di essenze
spontanee, l’acqua di sorgente del Lagorai, particolarmente fredda, il solo
latte di bovine così alimentate e, non ultimo, quei sistemi artigianali di
caseificazione e stagionatura in malga, tramandati da secoli dai casari
valsuganotti. Disciplinano la libertà per ogni malghese, di poter applicare la
propria ricetta personale di caseificazione, così che formaggio e burro -
Originali Malghe del Lagorai- portino con se tutta la loro storia da malga a
malga, offrendo al consumatore attento, che sempre più rivendica qualità e
innoquità, la possibilità di conoscere il processo produttivo di un cibo a
ciclo corto, avvicinandolo, nel contempo, agli aspetti più profondi della
natura umana, visibili nei rapporti tra persone e territorio.
Nessuna zona in Trentino come il Lagorai conserva l’omogeneità di un
sistema di malga tradizionale che non porta con se solo 25 anni di storia, come
certi prodotti agro-alimentari della
Provincia, bensì una storia economica e culturale millenaria, prodotta non da
frustrati mungitori ma da artigiani ancora capaci di riscattarsi dal
subalterno, conservando intatta la propria alterità lavorativa e le
biodiversità delle montagne del Lagorai, garantendo, nel contempo, un
meritevole valore aggiunto per i loro prodotti, in virtù di quelle
caratteristiche qualitative intese non solo nella loro accezione anglosassone,
strettamente connessa a severe norme igienico-sanitarie, ma anche nella loro
accezione latina - qualitas -, che sta per buono. E il cibo buono -, in un
mondo ormai di disabili sensoriali, può compiere una azione rieducativa
sorprendente dentro le cinque finestre sul mondo che sono i cinque sensi
Un modello zootecnico
quindi, quello delle malghe a ridosso della media Valsugana trentina, in
perfetta sintonia con la necessità di progredire, conservando produzioni rurali
sostenibili nei tre mesi di alpeggio estivo, ma la cui sopravvivenza è
fortemente minata dal modello zootecnico di fondovalle di chiaro stampo
industriale.
I piccoli produttori di
paese, proprietari di animali particolarmente adatti al pascolamento in quota e
costretti, nei rimanenti mesi dell’anno, a vendere il loro latte al grosso
caseificio di valle, non possono certo competere con gli impresari delle grandi
stalle, privilegiati da quegli apparati burocratici facenti capo alla provincia
trentina ( Concast- Trentingrana- Latte Trento) che, tradendo il valore
fondante della cooperazione trentina, hanno riproposto le medesime dinamiche
che regolano le strategie economiche casearie della pianura padana, antitetiche
alla cultura tradizionale di montagna.
Nel
panorama trentino infatti , è bene saperlo, molte delle produzioni che
si fregiano della qualifica "di malga", sono ottenute nei caseifici
industriali comprensoriali , trasportando il latte a decine di km di distanza e alimentando sempre più la standardizzazione del
prodotto caseario trentino.
Le politiche agricole della provincia autonoma di Trento,
anziché introdurre concrete e tangibili forme di integrazioni di reddito, a
riconoscimento anche dell’attività di salvaguardia ambientale e del paesaggio
del contadino d’alpe, hanno via via forzato l’introduzione di strumenti e
logiche operative utilizzate in pianura, decretando la morte delle piccole
aziende zootecniche, sostituendo le vacche di razza autoctona spiccatamente
vocate all’allevamento estensivo con razze ad alta produzione lattea, inadatte
agli alti pascoli, alimentate con mangimi, insilati e fieno importato, con il
conseguente disvalore dei prati permanenti di fondovalle trasformati in aree
industriali, dei maggenghi sostituiti da serre in plastica per fragolaie
intensive, amplificando in tal modo il decadimento estetico e cromatico del
paesaggio che va a incidere sempre più pesantemente sulla qualità della vita
degli abitanti del luogo e sull’offerta turistica.
“Ora, l’abolizione delle quote
latte e la possibilità di utilizzare per la fabbricazione dei formaggi sino al
10% di caseinati a basso costo “ spiega Michele Corti, Docente presso il
Dipartimento Protezione dei Sistemi Agroalimentare, Urbano e delle Biodiversità
presso l’Università degli Studi di Milano,” porteranno
ad una ulteriore crisi gli allevamenti della fascia media e alla concentrazione
di megastalle. Molte meglio andranno le cose per le piccole aziende di montagna
che già ora stanno collaudando le possibilità della filiera corta e non si
faranno cogliere impreparate. In questo contesto è la politica che deve
recuperare gradi di libertà, emancipandosi dalla autoreferenzialità delle
"agenzie" che tutelano interessi consolidati. Per
conferire credibilità alle politiche di "filiera corta"
basterebbe che gli ospedali, le mense scolastiche avviassero, con il
supporto delle amministrazioni locali, progetti di "km 0", nel senso
però dell'artigianalità, dell'osservanza di pratiche che comportino la
valorizzazione di saperi tradizionali, della biodiversità, il rispetto
dell'ambiente e del benessere animale, la salubrità dei prodotti,
il non uso di OGM.”
Con la rinascita quindi della Antica Latteria Sociale di
Strigno, nata dall’idea coraggiosa del compianto sindaco di Strigno Silvio
Tomaselli, che intravedeva nella riabilitazione del caseificio di paese, il proseguo naturale e
vitale, dopo il periodo estivo in alpeggio, della economia pastorale di valle,
si concretizzano anni di intenso e lungimirante lavoro culturale svolto dalla
Libera Associazione Malghesii e pastori
del lagorai.
L’immobile,
sito nel cuore della fascia pedemontana della media Valsugana trentina, nel
centro storico dell’abitato Tomaselli di Strigno, avrà al suo
interno il luogo per la lavorazione artigianale del latte e la stagionatura del
formaggio e al piano rialzato la sede dove la Libera Associazione Malghesi e
Pastori del Lagorai, svilupperà percorsi didattici di arte casearia
tradizionale, progetti di valorizzazione della lana del Lagorai, recuperando
tecniche tradizionali in forma innovativa e creativa, la raccolta di
documentazione storica e etnografica, l’ organizzazione di convegni sulle
tematiche pastorali alpine. Ma il dato più interessante sta proprio nel
recupero dell’anima originaria di questo piccolo gioiello di economia rurale
perfettamente funzionante tramite le energie alternative: -il casèlo -di
una valle, dove mai è venuta meno la vocazione pastorale, ritornerà ad essere
una esperienza di riferimento sociale importantissimo perchè i veri produttori
d’identità alimentari, emarginati da decenni, possano riconsegnare agli abitanti del luogo e
ai consumatori consapevoli “ quella ricchezza di gusti e aromi” sottolinea
Fausto Gusmeroli, ricercatore presso la Fondazione Fojanini di Sondrio “,
che solo la frammentazione produttiva e uno stretto legame con il territorio possono garantire.”
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