|
|
(01.02.10) Di fronte al peso crescente degli apparati burocratici
e tecnoburocratici ci si chiede quanta parte delle scelte
politiche (esplicite o implicite) finisca per essere
sottratto al controllo democratico
Troppe scelte decisive per la gestione del territorio e il futuro
della montagna sono lasciate ai 'meccanismi burocratici'
Dalla gestione del bosco, alle politiche faunistiche (passando
per le norme igienico-sanitarie che pongono le condizioni
per l'esercizio delle attività di trasformazione dei
prodotti agricoli), l'applicazione di regole apparentemente
'tecniche' comporta ripercussioni pesanti sul mantenimento
della vita rurale in montagna. C'è da credere che la
si voglia desertificata,
per avere la mano libera per un suo sfruttamento idrico
ed energetico
La
prima fase dell'assoggettamento della montagna al potere
di regolazione degli apparati burocratici delle lontane
città e pianure
ebbe inizio alla fine del XVIII secolo e conobbe successivamente
una forte affermazione nei due secoli successivi. In
precedenza il controllo dei poteri esterni si esprimenva
prevalentemente con l'amministrazione della giustizia
penale e con i prelievi fiscali. La gestione del territorio
e delle risorse locali era lasciata in larga misura
all'autogoverno locale. Nell' '800 nacquero i corpi
forestali e furono varate leggi vincolistiche in materia
di 'difesa del suolo' che incisero profondamente sulla
gestione del territorio.
Nel
frattempo i comuni da espressioni della 'sovranità
locale' divennero organi periferici dello stato e, anche
in tempi recenti - al di là del ripristino delle 'autonomie
locali' - hanno continuato a mantenere una duplice natura
(funzione esponenziale 'dal basso' della popolazione,
articolazione della macchina statale 'dall'alto') .
Nel
corso del secolo scorso la macchina amministrativa è
divenuta sempre più complessa in relazione alla crescente
complessità della società, alla diversificazione dei
bisogni e dei problemi. Il ruolo dei 'tecnici' della
macchina amministrativa si è fatto pertanto sempre più
incisivo. Da ruolo di affiancamento dei rappresentanti
eletti quello dei funzionari e dirigenti si è fatto
più articolato ed incisivo. Come osserva Mariano Allocco
(Ex sudore populi. Appunti politici dalle Terre Alte
del Piemonte, Agami, Cuneo, 2009):
Anche
qui [nelle valli] , con l'aumento della burocrazia si
può identificare all'interno delle attività di governo
una ben chiara sfera tecnica distinta da quella politica,
si tratta di una élite che si muove in modo ccoordinato
e professionalmente molto evoluto e che possiede effettivamente
le conoscenze per far funzionale la macchina amministrativa.
Una élite che dipende sempre meno dalla volonta
politica del personale politico in carica eletto.
Va
tenuto presente che alla crescente specializzazione
e professionalizzazione della burocrazia (peraltro
attenta a procurarsi garanzie e sicurezza per le
proprie cariche, progressioni di carriera, autonomia),
ha fatto riscontro una crescente instabiltà e volatilità
di un ceto politico derivata dai meccanismi della
personalizzazione della politica, dalla perdita di peso
dei tradizionali riferimenti politici.
Il
'governo invisibile' dei consulenti e l'espansione dell'ambito
tecnoburocratico
Le
frequenti 'alternanze' portano ad assumere responsabilità
amministrative a personale spesso 'nuovo'; un fatto
che da una parte evita la rigidità del passato,
ma dall'altra non fa che accrescere il peso degli
apparati burocratici e di quelli 'occulti' che, come
indica Allocco, trovano il mezzo di instaurare
delle cinghie di trasmissione con la stessa burocrazia
e con le figure dei 'consulenti' e dei professionisti
esterni; questi ultimi sempre più importanti
e influenti mano a mano che le risorse delle amministrazioni
derivano sempre meno da trasferimenti garantiti e conta
l'accesso a fondi legati a bandi e progetti. Di fronte
a queste esigenze di progettazione le amministrazioni
locali non sono in grado di mobilitare le 'risorse umane'
in organico. A parte il freno sulle assunzioni pesa
la rigidità delle funzioni e mansioni con le quali la
burocrazia si autotutela e la crescita di un carico
burocratico derivante dalla complessità dei rapporti
tra i vari livelli dell'amministarzione e dalla proliferazione
delle sfere di regolazione delle attività sociali.
Dal
punto di vista politico, ovvero dei rapporti di potere
tra le Terre alte e i centri del potere economico e
politico, non è senza importanza il fatto che i consulenti -
anche se vincolati formalmentei alla committenza locale -
esprimano orientamenti
(culturali e politici) più vicini alle sfere di potere
superiori (provincia, regione e ancora più su). Per
poter assicurarsi altre committenze (e per sperare di
ottenere una valutazione positiva dei progetti) contano
i contatti con i livelli burocratici e politici delle
sfere di governo superiori, quelle che emanano i bandi
e giudicano i progetti. Si aggiunga la provenienza di
parte dei consulenti dagli apparati pubblici e parapubblici
e si avrà come risultato inevitabile che l'orientamento
della progettazione sarà più 'allineato' sui
desiderata (più o meno espliciti) dei centri politici,
economici e amministrativi esterni alla montagna che
sulle reali esigenze locali.
Vecchie
e nuove forme di regolazione oppressiva: il paradigna
dei dogmi boschivi
ll
peso crescente delle burocrazie e delle tecnoburocrazie
vanifica ogni volontà di deregulation, semplificazione,
sburocratizzazione. Un passo avanti e due indietro:
si semplifica qualcosa ma si complica terribilmente
da un altra. Il guaio è che, lasciate a sè stessi,
questi apparati tendono ad auterpetuarsi, ad autogarantirsi,
ad espandere il loro potere discrezionale. Ne deriva
una forte attitudine conservatrice. Riprendendo ancora
le osservazioni di Allocco: 'Burocrazia e cambiamento
sono agli antipodi, sono incompatibili e quando nella
catena di comando prevale questo anello siamo in una
condizione di stallo'.
Una
conseguenza del conservatorismo e del desiderio di autotutelarsi
è data dall'irrigidimento progressivo che le regole
subiscono nel recepimento e nell'applicazione da parte
dei livelli di governo 'inferiori'. Il potere
tecnoburocratico si esprime nella facoltà che gli viene
concessa di massimizzare le proprie garanzie e nel minimizzare
le responsabilità e non c'è cosa migliore per ottenere
questo
che attenersi alla prescrizione più rigida. Tanto
l'onere è scaricato sull' 'utenza'.
Un elemento che
incide significativamentea causa della sempre maggiore complessità
del quadro politico-amministrativo caratterizzato da numerosi
livelli (istituzioni europee, governo centrale,
governo regionale, provincia, comunità montana, comune,
più le diverse amministrazioni 'specialistiche' in materia
di sanità, ambiente, autorità di bacino ecc.).
Prescrizioni obsolete vengono mantenute per semplice
inerzia ('nel dubbio è meglio vietare' e mantenere vecchi
divieti). I vecchi vincoli
rimangono anche quando non hanno più una giustificazione
e se ne aggiungono di nuovi.
Pochi
campi illustrano il conservatorismo e il dogmatismo
tecnoburocratico meglio di quello relativo alle normative
forestali. L'impianto ideologico è ancora quello della
fine del XIX secolo o dei primi decenni del secolo scorso
quando il disboscamento era arrivato al culmine. La
particolare forza della tecnoburocrazia forestale (anche
con il ridimensionamento del ruolo del Corpo Forestale
dello Stato in conseguanza della nascita delle Regioni)
ha fatto si che in questo settore i 'laici', i politici,
la gente abbiano potuto avere ben poca voce in capitolo.
La politica forestale è appannaggio dei 'chierici'.
In pochi settori le normative sono così numerose e così
rapidamente modificate, ma senza che l'impianto di fondo
sia modificato. Vale ovviamente in questo settore come
in altri la considerazione della forte limitazione del potere
legislativo regionale, pesantemente condizionato dalle
'leggi quadro' dello stato centrale. Da due secoli a questa parte la politica
forestale è finalizzata a 'tutelare il bosco' e non
c'è verso di far intendere che la vita della montagna
implica la necessita di difendersi dal bosco. Per utilizzare
ancora le parole di Allocco:
Questo
paesaggio [dei campi, dei prati, dei terrazzamenti,
dei maggenghi, degli alpeggi, dei sentieri, dei piccoli
nuclei di baite sparse] anno dopo anno sta scomparendo,
è il lavoro dell'uomo in periodo storico, millenni di
persenza umana, che viene inghiottito dal verde che
avanza assieme alla sua popolazione di selvatici, reintrodotti
o autoctoni che siano. Il bosco è vorace, inarrestabile,
potente e prepotente e non inghiotte solo il territori,
ma anche la memoria che quei luoghi custodivano. Le
nuove generazioni alpine non conoscono quasi più la
geografia dei luoghi che vivono, non sanno individuare
i confini tra le varie proprietà antiche per le quali
le famiglie hanno magari disputato per anni.
E'
la damnatio memoriae dei vinti, conclude Allocco;
imposta, come fa ogni conquistatore, dal bosco, dal 'monoteismo
verde' e cancellata la memoria racchiusa nella toponomastica
le comunità perderanno ogni collegamento con le generazioni
che le hanno precedute. E' forse proprio questa
radicale 'pulizia etnica' che si vuole perseguire. La
normativa forestale nella sua ottusità (e apparente mancanza
di presa d'atto di una realtà che è l'opposto di
quella di un secolo fa) è forse solo lo strumento inconsapevole
di scelte politiche ben precise.
Nella
loro rigidità i tecnoburocrati forestali difendono un'identità
professionale e un potere corporativo che percepiscono
come indissolubilmente legato al 'non si tocca l'albero
senza nostro permesso', 'meno si tocca l'albero meglio
è'. In questa loro autoaffermazione corporativa gli estensori
e gli applicatori di norme e regolamenti arrivano al
grottesco. Il meccanismo perverso inventato dai forestali
è una definizione 'legale' di bosco che nulla a a che
fare con criteri ecologici. Laddove il terreno risulta
occupato per più del 20% da alberi e arbusti (anche
solo cespugli) ecco che si è in presenza di 'bosco'.
Solo entro 5 anni dalla cessata coltivazione è possibile
intervenire per tagliare alberelli e cespugli, passato
questo limite occorrono autorizzazioni particolari,
'compensazioni'. Come dire 'lasciate che il bosco avanzi'.
Solo marginalmente questo 'garantismo verde' è stato
ammorbidito, ma la sostanza rimane anche perché la sovrapposizione
di leggi, regolamenti, prescrizioni di massima e le difficoltà interpretative
favoriscono, alla fine, sempre la rigidità della norma. Laddove
è stata concessa ai livelli inferiori (Comunità
Montane) di attuare l'applicazione flessibile di indirizzi
forestali nulla è cambiato perché i tecnici, i professionisti
esterni (forestali, ingenieri), che spesso non conoscono
il territorio, hanno redatto i piani applicando uniformemente le solite prescrizioni e
criteri tecnici generali,
senza che la parte elettiva cogliesse la valenza
politica della facoltà concessagli ed esprimesse indirizzi
basati sulle specifiche esigenze della realtà locale.
Tra
regole forestali, pareri dei geologi, requisiti igienico-sanitari,
concessioni edilizie ...
L'ottusità
burocratica è arrivata a sanzionare aziende industriali
che avevano osato tagliare le piante (radi pioppi e
robinie) su loro terreni dismessi. Non
parliamo degli anacronistici divieti di pascolo in bosco
che suonano tanto più oppressivi quanto più il 'bosco'
che viene difeso è quello definito come sopra.
E' perpetuato
di fatto (salvo qualche deroga qua e là in qualche regione
e localmente nei piani di indirizzo fotrestale di qualche
comunità montana) il divieto assoluto di pascolo con le capre
in bosco e si continua a chiedere che, anche su terreni di proprietà,
le pecore in bosco siano sorvegliate da un pastore ogni
50 capi (ma lo sanno quando costa la manodopera?). Ovviamente
ci sono differenze da regione a regione, ma l'impostazione
prevalente p sempre quella.
Quando
l'industria ebbe bisogno dell'energia del legno non
si ebbe remora nel disboscare i versanti. Fu solo nell'ottocento,
come già ricordato, che - criminalizzando i montanari 'disboscatori' -
si imposero i pesanti vincoli che tutt'ora vengono mantenuti.
La storia dice, però, che la pressione ad utilizzare
le terre marginali e l'aumento stesso della popolazione
avvennero dopo il picco di utilizzazioni boschive tra
sette e ottocento.
In passato il vincolismo, limitando le attività
agrosilvopastorali, servì anche a favorire l'esodo
dalle montagne e a mettere a disposizione manodopera
per l'industria; in una fase storica successiva servì anche alla nuova industria
dell'energia (idroelettrica). Essa imponeva una nuova
forma di sfruttamento e di colonialismo e, per salvaguardare
bacini, impianti, reti viarie, aveva bisogno
di montagne 'sicure'. La 'difesa del bosco' ebbe anche
questo significato.
Gli
oneri finanziari, le trafile burocratiche e i tempi
richiesti per attivare, o solo adeguare e potenziare,
le piccole attività agricole, zootecniche, di utilizzazione
boschiva, di trasformazione alimentare sono eccessivamente
pesanti. 'Vorrei fare una tettoia per gli animali ...
in comune mi hanno detto che serve il geologo, che ci
vuole la VIA'. 'Avevo ottenuto i finanziamenti del PSR
per la stalla, ma l'iter delle autorizzazioni è stato
troppo lungo e li ho persi'. Troppo spesso si sentono
queste lamentele. E ancora ... 'Trasformo 50 litri di
latte di capra al giorno ma l'ASL mi ha detto che devo
mettere a posto 7 locali, uno per la sosta del
latte, uno per il servizio igienico, uno per la lavorazione,
un per lo spogliatoio, uno per la stagionatura, uno
per la vendita ...'. 'I miei locali di caseificio
sono ricavati in un vecchio fabbricato rurale, il soffitto
è a volta; pensavo valesse l'altezza media ... invece
no e così non c'è l'altezza minima e non posso essere
autorizzato'. 'Siamo a 800 m in una frazione abbandonata,
non posso adeguare i locali per la lavorazioene del latte
perché la deroga sull'altezza scatta solo sopra i 1000
m...'.
Quello
che è drammatico è che per lavorazioni per le quali
basta una pentola da cucina si richiedono 'locali a
norma', attrezzature da caseificio. Poi, se hai la fortuna
di incappare in un veterinario 'flessibile', che si rende
conto che lavori in modo pulito, che hai un 'giro'
di vendita diretta limitato, le prescrizioni possono
essere ragionevolmente semplificate ma ti trovi comunque
a riempire montagne di carte dei 'manuali di autocontrollo
Haccp.
Il
fatto è che tutti questi castelli di regolazione spinta
sono stati pensati per attività di ben altra dimensione
e interventi e realizzazioni di ben altro impatto. Fanno
parte della logica industriale e mirano a eliminare
ciò che a questa logica non appartiene.
Gli stessi strumenti pensati per sbancamenti di interi
versanti sono poi applicati per spostamenti di poche
badilate di terra, per il taglio di un albero, per una
recinzione se siamo in una delle tante 'aree protette',
dove tutto diventa più complicato. Il risultato è che
i grandi interventi di rilevante impatto ambientale,
che sfregiano le montagne, operati da grandi imprese,
sono autorizzati più facilmente dei micro-interventi
del contadino. Dove ci sono in gioco rilevanti interessi
si schierano stuoli di tecnici e in un modo o nell'altro
la VAS, VIA ecc. riescono a dimostrare che è tutto
a posto.
Invece l'onere della presentazione dei progetti
e l'iter delle autorizzazioni diventa insostenibile
per i micro-interventi che hanno costi fissi imposti
anche da un certo parassitismo 'professionale' (la firma del tecnico anche
per interventi minimi e di routine). Costi, tempi, trafile
sortiscono l'effetto di far gettare la spugna. Quante
aziende in più, di giovani, ci sarebbero in montagna
senza questa regolazione oppressiva? Forse anche lavoro
più creativo e professionalizzante per i 'tecnici' ...
La mentalità tecnoburocratica
forse non si rende conto che anche le microattività
fanno economia. Chi lavora i 50 litri di latte di capra
da 'artigiano del latte', e vende direttamente a prezzo
remunerativo, può esercitare la sua attività a tempo
pieno campando in modo dignitoso. Qualcosa che è inconcepibile
per i parametri 'ufficiali'. Così ,se sei un pastore-casaro,
non solo sei caricato di adempimenti quasi come un caseificio
semi-industriale ma ti negano anche i finanziamenti
perché ... non hai le strutture. Tutto il sistema non
è pensato sul capitale umano, sulla valorizzazione del
lavoro umano intelligente e delle risorse territoriali
(i pascoli di proprietà comunale/collettiva) ma sulle
'strutture', la 'dimensione minima imprenditoriale'.
Un sistema che premia l'industria fornitrice di prefabbricati,
macchine, attrezzature.
Una
logica politica?
Applicare
in modo 'uniforme' le stesse regole a realtà territoriali,
economiche, aziendali, diverse come il sole e la luna,
è già una precisa scelta politica che vanifica tanti
proclami e misure a favore dello 'sviluppo rurale e
della montagna'. Se poi ciò si coniuga con
uno squilibrio di potere tra la tecnoburocrazia da una
parte e le deboli espressioni politiche locali
e gli 'utenti' dall'altra, con il conservatorismo
e il garantismo burocratici, allora siamo certi che
l'effetto sugli ambiti territoriali e i comparti di
attività economica 'deboli' sarà devastante. Difficile
pensare che dietro alle scelte, come alle non-scelte,
vi sia una logica politica decisa da parte delle strutture
di potere che contano.
Tutto
ciò congiura a favore di una montagna desertificata,
dove gli interessi forti, quelli che in passato hanno
disboscato le montagne, poi puntato allo sfruttamento
idrolelettrico e al consumo in loco di gradi quantità
di energia per la siderurgia (sfruttando l'energia idraulica
e la manodopera 'liberata' dall'agricoltura), stanno
pensando ad
una montagna da sfruttare in modo ancora più intensivo
ed integrale utilizzandola come preziosa riserva
idrica e fonte di energia. Idroelettrico, eolico, biomasse.
Fino all'ultima goccia d'acqua, sino all'ultimo albero
(economicamente tagliabile). Montagna come parco idrico
ed energetico. Lo stesso legname che oggi quasi ovunque
fonte energetica antieconomica, potrebbe diventare di
nuovo una fonte appetibile con prezzi del petrolio in
salita ma anche con la 'mano libera'. Una montagna desertificata,
senza più amministrazioni e amministratori comunali
di mezzo, senza più proprietari rintracciabili, confini
di proprietà, particelle catastali, senza questi 'intralci'
potrebbe essere oggetto di uno sfruttamento industriale
organizzato applicando tecnologie oggi difficilmente
pensabili.
|
|