Il convegno cui ho partecipato domenica sera (19 settembre) a Pinzolo ha deluso le attese degli allevatori.
L’ Adige di ieri (21 settembre) ha scritto che gli speculatori hanno tirato un sospiro di sollievo perché non
ci sono state polemiche, perché non sono saltati fuori i nomi. In realtà il dibattito non c’è stato perché il
convegno è stato chiuso dopo la “tavola rotonda” dei rappresentanti istituzionali, quando la gente era ancora
lì attenta e si aspettava un dibattito. Dopo che le relazioni avevano denunciato la gravità del problema non
sono arrivate risposte ai quesiti: come è potuto avvenire tutto questo, come smontare un sistema perverso?
I rappresentanti istituzionali hanno ribadito che tutto va bene, che fanno il possibile per salvaguardare
le malghe. Ma nessuno ha potuto ribattere dicendo: “e allora perché noi siamo rimasti senza malghe e
sono andate tutte agli speculatori?”.
Come è noto a chi ha seguito la vicenda, sin da giugno l’Associazione allevatori bovini di razza rendena
aveva deciso di annullare la sfilata del 4 settembre con le Giovenche di razza rendena, un appuntamento
ormai tradizionale e di notevole richiamo turistico. Il segnale alla politica, alle istituzioni, agli
operatori turistici, a tutta la comunità era chiaro. Pochi speculatori si sono accaparrati le malghe
della valle con il meccanismo delle aste al rialzo dei pascoli di proprietà pubblica tagliando fuori
gli altri allevatori. Dal momento che i premi della PAC (la politica agricola europea) sono diventati
essenziali per la sopravvivenza delle aziende di montagna, togliere la titolarità delle superfici
di pascolo (quelle dei prati in fondovalle sono per forza di cose modeste) significa costringere
le aziende medio-piccole alla chiusura. Sarà la fine della razza autoctona rendena, sarà la fine
delle malghe perché gli speculatori - che hanno già dimostrato di poter caricare le malghe con
animali “usa e getta” (vedi oltre la vicenda di un mese fa delle pecore provenienti da Perugia), una volta che sarà finita
la politica di questi premi scriteriati, non sapranno che farsene delle malghe. Gli speculatori tendono a risparmiare sulle spese tranne che per gli affitti.
Offrendo molto di più della base d’asta spiazzano gli allevatori “normali”.
Quando gli scriteriati criteri di elargizione dei premi PAC per i pascoli non ci saranno più sarà ormai troppo tardi per recuperare le malghe
perché saranno troppo degradate e non si sarà più quel tessuto, sofferente ma ancora presente, di aziende di medie dimensioni in grado di gestirle.
Di fronte a questo scenario sembra che le istituzioni preferiscano tenere la testa sotto la sabbia. Domenica sera, le relazioni hanno denunciato senza
reticenze la realtà e le gravi conseguenze della mafia dei pascoli. C’era la prof.ssa Calandra dell’Università dell’Aquila che ha esposto i risultati
delle sue ricerche sul fenomeno nazionale della “mafia dei pascoli”. Risultati sconcertanti per l’intreccio di movimenti tra Nord e Sud
che consentono a soggetti opachi di mettere le mani su grani estensioni di pascoli … e su tanti milioni di euro.
Altrettanto chiare le denunce di Giannandrea Mencini, autore del volume “Pascoli di carta” uscito a maggio (Kellermann).
Nei limiti del tempo concesso ho cercato anch’io, più addentro alla realtà locale, di trasmettere il senso della gravità
di quanto succede in Italia e in val Rendena. Anche gli altri relatori che hanno affrontato l’aspetto più generale
delle valenze del sistema di malga e delle sue criticità attuali, pur non affrontando direttamente il tema “mafia dei pascoli”
hanno spezzato più di una lancia a favore degli allevatori.
L’on. Dorfmann, l’eurodeputato sudtirolese ha espresso il suo sconcerto per le conseguenze della rivalutazione dei titoli PAC della montagna, per la quale si era battuto in sede europea. Si è reso conto sta portando all'accaparramento delle malghe da parte di allevatori più grossi e più spregiudicati e che si rivela un vero e proprio boomerang per la zootecnia di montagna esacerbando il fenomeno “mafia dei pascoli”.
L’ accaparramento non può avvenire, come palese a tutti, senza coperture e appoggi nel sistema istituzionale (in Trentino rappresentato dall’ agenzia per i pagamenti agricoli Appag, i servizi veterinari, la Forestale trentina). Avviene perché gli enti che affidano in affitto le malghe, attraverso le aste, o stanno al gioco della speculazione alzando le basi d’asta e incassando canoni come minimo decuplicati rispetto al passato o, consapevoli della situazione non fanno comunque ricorso per ignavia, pigrizia, ignoranza, sudditanza a quegli strumenti che pure sarebbero previsti delle linee guida provinciali per imporre la buona gestione delle malghe, sia attraverso le prescrizioni che attraverso i controlli. I controlli sono l’aspetto critico di tutto il meccanismo. Perché se è vero che, a livello locale, le sanzioni per chi non rispetta i capitolati sono irrisorie (per chi incassa centinaia di migliaia di euro), è invece vero che le sanzioni per la non osservanza degli impegni PAC sono pesanti e con conseguenze anche penali. Il controllo sui capi provenienti da altri comuni viene però eseguito dall’AGEA sui documenti di trasporto. Dove siano poi andati gli animali a pascolare e come l’abbiano fatto non interessa. Verifiche sull’effettivo pascolamento dovrebbero essere fatte ai fini dei contribuiti sul PSR regionale (Piani di sviluppo rurale). Ma a volte gli speculatori non fanno nemmeno richiesta per questi premi perché impongono un carico minimo di 0,4 UBA/ha (i premi PAC la metà). Dal momento che le UBA anche per gli speculatori non sono sempre facilmente disponibili (anche se in Rendena quest’estate è arrivata una camionata di pecore da Perugia) ecco che allo speculatore conviene “spalmare” i capi su più superfici. Un meccanismo perverso gli fa guadagnare molto di più. Non importa se la malga è sotto-caricata, a loro interessa solo il contributo. Anche chi non fa domanda sul PSR deve comunque rispondere all’ente (comune, Asuc) che gli ha affidato la malga. La mancanza di manutenzioni, il carico insufficiente di bestiame sono in tutti i capitolati di malghe e alpeggi in tutte le Alpi motivo sufficiente per la rescissione del contratto. Chi deve controllare che il carico sia rispettato? La forestale (che in Trentino autonoma). Chi dovrebbe controllare gli animali “usa e getta” che arrivano da fuori? I servizi veterinari provinciali.
Questi aspetti scabrosi non sono emersi dalla "tavola rotonda" che è seguita alle relazioni tranne che in alcune battute del dr. Fezzi, presidente della Federazione provinciale allevatori. Per il resto la “tavola rotonda” è consistita in una passerella dei rappresentanti istituzionali che hanno esposto le azioni intraprese per favorire il sistema di malga, la bontà delle linee guida per la concessione delle malghe, il dialogo tra agricoltura e turismo ecc. Il problema drammatico per il quale era stato organizzato il convegno (spiegare perché si è attuato lo “sciopero delle festa” contro la “mafia dei pascoli) è scomparso. Si è ribadito che - sulla carta- l'entità dell'offerta economica conta, ai fini dell’aggiudicazione delle malghe, solo il 30%, che comuni e Asuc (amministrazioni separate degli usci civici frazionali) non vogliono "fare cassa". La realtà, però, è che le malghe sono accaparrate da pochissimi soggetti, disposti (per cumulare tanti ettari di Pac) a pagare affitti salatissimi? Perché se tutto va bene e se le istituzioni stanno comportandosi così bene, gli allevatori "normali" sono rimasti senza malga o costretti a diventare vassalli degli speculatori per non sparire?
Tutto ciò ha lasciato l’amaro in bocca agli allevatori che non hanno potuto replicare al "tutto va bene madama la marchesa" emerso da una tavola rotonda gestita in modo a dir poco "morbido". Agli allevatori possiamo solo consigliare di non mollare, di rifiutarsi di organizzare sfilate fino a quando non arriveranno segnali concreti. Visto che il convegno di domenica è rimasto a metà, dovrebbero essi stessi organizzare un’altra occasione che non eviti il confronto con chi è responsabile della situazione e che non lo esima dal dichiarare che cosa intenda fare per affrontare il problema.
Nella discussione informale che è seguita alla tavola rotonda (finita quando il folto e attento pubblico era ancora tutto lì, sperando che succedesse qualcosa) sono emersi i problemi: "sono i segretari comunali che ci impongono di firmare i bandi d'asta così come escono"; “come facciamo a escludere gli speculatori che sono anche loro residenti?"; "sappiamo che i capitolati non vengono rispettati ma chi controlla?";"la provincia non ha ancora recepito le sentenze che qualificano come privata la proprietà gestita dalle Asuc e siamo costretti ad attenersi ai meccanismi di asta pubblica". Queste e altre le “giustificazioni” degli amministratori, alcuni sicuramente in buona fede, altri probabilmente no. In ogni caso una tendenza allo scaricabarile.
In attesa di una seconda puntata che prosegua quanto lasciato interrotto, vediamo di approfondire un po’ di cose, quelle che non ho avuto il tempo di esporre domenica.
Le società facili, un regalo alla speculazione
L’Italia è uno dei paesi europei che ha la legge più larga di maniche con le società agricole a responsabilità limitata. Basta un capitale sociale di 10 mila euro, di cui solo 5 mila versati, la presenza tra gli amministratori di un solo soggetto con la qualifica di imprenditore agricolo (che può essere anche un prestanome con il 5% della quota sociale) per ottenere tutte le agevolazioni previste per gli imprenditori agricoli. La vicenda del biogas spiega bene come si presti alla speculazione e alle manovre più opache la normativa italiana in materia. La mafia dei pascoli si avvale di discutibili cooperative e srl con giochi complicati di compartecipazione.
Al convegno degli Incontri Tramontani del 2020, organizzato a Pieve di Bono nella valle del Chiese (Trentino sud-occidentale) un allevatore di Pinzolo aveva presentato i risultati di una sua indagine attraverso le visure in Camera di Commercio. L’indagine riguardava otto soggetti: tre imprenditori agricoli (persone fisiche) e cinque società costituite tra gli stessi. Il signor A era socio al 50% di cinque società, tre con il sig. B e due con il sig. C. Questi otto soggetti avevano la disponibilità di 2300 ha, ovviamente quasi tutti pascoli alpini. Considerato che in val rendeva vi sono circa due mila ha di pascoli, i personaggi in questione hanno dovuto espandersi altrove: verso la valle del Chiese e verso la val di Sole. In casa, in ogni caso, hanno monopolizzato con il loro “cartello” (attestato dalle società compartecipate) la gran parte delle malghe della Rendena.
Attraverso la titolarità dei premi erogati dall’APPAG (l’organismo per i pagamenti in agricoltura che opera in Trentino), cui si risale attraverso le partite Iva dei soggetti è emerso che nel quinquennio ha incasssato1.323 mila euro di premi Pac, B 835 mila, C 590 mila. Una società tra A e B ha incassato 393 mila euro, le altre due 881 mila l’una e 1.147 mila euro l’altra. Delle due società tra A e C una ha incassato 398 mila euro, l’altra zero. C’era una new entry (più recentemente si è affacciato un altro personaggio che non figurava ancora nel periodo considerato) che si doveva ancora fare le ossa e entrare bene nel meccanismo all’ombra di A che, evidentemente, ha un ruolo leader. A Pinzolo, in tutta la Rendena, assegnare un nome e un cognome a A, B e C non è difficile. A nel quinquennio ha incassato direttamente e attraverso le società con i suoi soci (o compari, fate voi) la cifra di 2.772.500 euro, B ha incassato un po’ meno, ma sempre oltre due milioni di euro (2.045.000 per la precisione), C, l’ultimo arrivato, “solo” 789.000 euro. Si tratta di incassi esentasse.
Il punto dolente: nessuna trasparenza sui controlli (qui cala il silenzio tombale della privacy)
Risalire a chi incassa non è difficile, ma è impossibile risalire a dati sui controlli effettuati sui singoli beneficiari. In questo ambito vige l’opacità. I controlli vengono eseguiti da Agea, APPAG, servizi veterinari dell’Azienda provinciale per i servizi sanitari, Corpo forestale trentino. Ma come? Come sarebbero possibili le speculazioni, le malghe caricate con animali malandati, la palese mancanza di rispetto dei capitolati d’appalto relativi alla buona gestione delle malghe se non ci fosse un sistema che copre la speculazione e si accanisce contro chi è fuori dal “giro” (ovvero dalla cerchia di coloro che hanno amici e parenti nelle istituzioni, nella politica e nelle agenzie pubbliche)?
Prendiamo di episodi sconcertanti avvenuti in Rendena e che mettono in luce una scarsa capacità di sorveglianza di sistemi così occhiuti e puntigliosi nei confronti degli allevatori onesti.
• Agosto 2019. Sui pascoli di Borzago, in comune di Spiazzo Rendena muoiono (la stampa riferiva “di stenti”) 180 pecore di un gregge di 600 che era stato trasportato dalla provincia di Modena. Dal momento che, troppe volte, gli animali servono alla speculazione per quei 60 giorni in estate per incassare i contributi erogati dalla Ue, in inverno vengono spesso affidate attraverso a gare al ribasso a pastori senza troppi scrupoli che per pochi euro al mese prendono “a guardia” (“a parare”) gli animali. Quando agli animali si fa subire l’avidità della speculazione essi non affrontano la monticazione in quota, che comunque comporta dei fattori di strass, in condizioni adeguate. Le conseguenze sono evidenti. Nello stesso periodo, nella parallela val San Valentino, in comune di Porte Rendena, muoiono in circostanze che non sono state chiarite, una trentina di agnellone che erano affidate a un pastore invalido.
• Agosto 2021. Alla malga Busa dei Cavai di Madonna di Campiglio (comune di Carisolo), sopra il Lago Serodoli viene caricato un gregge di 238 pecore da latte asciutte (razza sarda, comisana e incroci) provenienti da Perugia. Come constatato (tardivamente) dal servizio veterinario, diverse pecore non erano in buone condizioni, tanto che sono state eseguite delle prescrizioni terapeutiche. Una volta caricate sono state attaccate dai lupi. Le perdite hanno ammontato a 33 capi, di cui 17 riportati a valle e gli altri sepolti (per quanto si possa farlo a 2000 m su pascoli con roccia affiorante). Quanto abbiano influito su questa strage la condizione di salute e nutrizionali dei capi persi sarebbe oggetto di un’interessante indagine. Ovviamente potendo disporre dei verbali e di altri riscontri. Questo episodio mette in chiaro come: 1) la speculazione non esita a “raccattare” animali (o, meglio, Uba) da ogni dove, potendo, evidentemente, disporre di reti di informazione sulla disponibilità di capi “usa e getta”; 2) la speculazione è ottima alleata dei lupi perché mandando allo sbaraglio gli animali crea le condizioni migliori per la predazione facile e la proliferazione dei lupi (che stanno ancora banchettando e lo faranno ancora a lungo con quelle carcasse di pecore “sepolte” a Busa dei Cavai).
Accaparramento senza scrupoli: problema sociale
Parlando con uno degli allevatori che hanno promosso lo “sciopero” della ormai tradizionale manifestazione con le “giovenche di razza rendene” mi ha riferito che: “Mi è costato un po’ di commercialista ma, con le visure camerali sono riuscito a dimostrare che un allevatore di qua è riuscito ad accaparrarsi undici malghe. Allora, in conclusione, va detto a chiare lettere che il problema della “mafia dei pascoli” è un grave problema sociale. Non tanto perché, secondo Fezzi (che ha comunque il merito di avervi fatto riferimento) vede gli allevatori “gli uni contro gli altri” ma perché distrugge la realtà sociale della presenza di una componente agricola, rurale nell’ambito delle valli, delle singole comunità. Gli allevatori che si sono dati alla speculazione, come già accennato, entrando in una mentalità affaristica perdono la loro identità. Si dedicheranno probabilmente ad altre speculazioni (il biogas o fuori dall’agricoltura). I “perdenti” dovranno gettare la spugna, chiudere le aziende o diventare dipendenti di pochi ras, una specie di feudalesimo. Per il la società locale (oltre che per l’ambiente e il paesaggio) un duro colpo che si aggiunge a quelli subiti anche in altri settori economici dove i “piccoli” sono espulsi dal mercato o comunque in sofferenza a causa della concentrazione delle attività in capo a società in tutto o in parte provenienti da fuori. La morte delle malghe è la morte della montagna alpina come prodotto di una millenaria antropizzazione ma è anche premessa della morte della società locale.