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La
Svizzera torna alla carica: togliere la super- protezione
internazionale per il lupo
(30.08.17) La
Svizzera torna alla carica per ottenere una revisione della Convenzione
di Berna. Il 23 agosto 2017 il Consiglio federale (governo) svizzero ha
approvato la proposta di rinegoziazione con il Comitato permanente
della convenzione internazionale di Berna tendente a declassare
Il
«ritorno allo stato selvaggio» («rewilding»): parchi e
insediamento di grandi predatori
(24.08.17)
Georges Stoffel,contadino bio e alpeggiatore di Avers (comune dei
grigioni al confine con la Valchiavenna) spiega come la lobby
ambientalista internazionale vuole trasformare le Alpi con
l'insediamento dei grandi predatori. Sarà cancellato un paesaggio
alpino millenario, caratterizzato da una biodiversità unica nel suo
genere, creata dall'economia alpestre
Si
fanno più gravi gli attacchi dei lupi nel comasco
(20.08.17) In
val
Cavargna, 30 capre risultano morte o disperse a seguito degli attacchi
di un branco di tre lupi che seguono a ruota quelli della Valbrembana.
Insieme alle notizie che arrivano dalla montagna veneta questi episodi
indicano che è in atto una vera e propria escalation. Che condurrà ad
una conflittualità come mai si era vista prima in Italia.
Il
lupo causa gravi perdite a un gregge della Valbrembana
(11.08.17) A
Foppolo, in alta Valbrembana in alcuni giorni di ripetuti attacchi un
giovane lupo uccide 26 pecore. Per essere creduto il pastore deve
"beccare" il lupo con la fototrappola. Preoccupazione per i greggi ma
anche per chi frequenta la montagna a ferragosto
La
politica "verde"
gestita
da burocratiignoranti
(i lupi nel Parco Ticino)
(8.07.17)
Nell'esultare per la presenza del lupo nella valle del Ticino
al direttore del Parco lombardo, Claudio Peja, è sfuggita una
bestialità. L'arch. Peja ha dichiarato: "Dal Medioevo non c’è più
stato un lupo in pianura . Per noi è una grande notizia". Peccato che
ancora all'inizio dell'Ottocento i numerosi lupi della valle del Ticino
sbranassero non solo le pecore ma anche i fanciulli.
(17.03.17) Il
lupo e la politica (a Bergamo, e alta Italia, duecento anni fa)
Come
abbiamo
già avuto di osservare in altre occasioni, l'opera di Mario
Comencini sull'antropofagia del lupo ha messo bene in
evidenza come la radicata paura del lupo nella cultura rurale
fosse assolutamente giustificata. Giustificata dalla frequenza di
aggressioni, anche letali, agli umani, specie fanciulli. Il lupo
storico è nemico dell'uomo e pericoloso. E' il lupo ideologico "da
favola all'incontrario" degli animal-ambientalisti che costituisce un
mito.
(09.03.17)
La risposta della pastora agli animalisti
Anna Arneodo replica al qualunquismo animalista (quello del: "Tanto li
rimborsano, che c...o si lamentano sti pastori"?) e ribatte: "Vi
farebbe piacere che il lupo uccidesse il vostro barboncino e
comprarvene un altro con i soldi della regione che vi arrivano dopo un
anno?
(03.03.17) Il dna inchioda il partito del
lupo. Aveva ragione l'uomo aggredito nel torinese
Grazie alla prontezza del proprietario del cane ferito e
all'intervento della Federcaccia di Torino, dopo una serie di episodi
che avevano visto gli aggrediti trattati da millantatori questa volta
il partito del
lupo non ha potuto smentire il verdetto del dna. Ad
aggredire un cane e il suo proprietario alla borgata Tora di Giaveno
(To) il 10 gennaio sono stati purissimi lupi.
(28.02.17)
Ci uccidete senza sporcarvi le mani. J'accuse di una pastora
Ci uccidete con ipocrisia, camuffando il genocidio con il pretesto di
quella natura che state distruggendo e del lupo elevato a bandiera
(12.02.17) Mantenuta
la demagogica protezione "a
prescindere" del lupo. Cosa succederà?
Ai
presidenti delle regioni, che si sono comportati come conigli impauriti
di fronte alle proteste ambiental-animaliste contro possibilità (solo
teorica) di un controllo ultraselettivo del lupo, consigliamo la
lettura di un testo storico, pubblicato nel 2002, che - sulla base di
abbondantissima e inoppugnabile documentazione - descrive la strage di
centinaia di bambini ad opera dei lupi nelle zone tra Lombardia e
Piemonte tra XV e XIX secolo
(30.12.16) Piano
lupo: gli ambientalisti vittime delle loro bugie
Le
barricate dell'ambientalismo istituzionale hanno impedito che
proseguisse il suo iter e l'approvazione entro l'anno il "Piano
nazionale di conservazione del lupo", che doveva sostituire quello del
2002. Calendarizzato per il 7 luglio alla Conferennza stato-regioni il
Piano non è più stato inserito all'ordine del giorno.
(12.09.16)
Una settimana di proteste anti lupi degli allevatori della
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La
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clamorose. Quest'anno la strage ha riguardato ben 63 capi bovini.
Alcuni allevatori sono stati ripetutamente colpiti. Come Moreno Riva un
allevatore trentenne, che - alla quarta predazione avvenuta
martedì scorso - con l'appoggio e la solidarietà di colleghi e amici
che "hanno messo la faccia" ha caricato sulla pala del trattore
l’ultima manzetta dilaniata in malga dai lupi martedì e l’ha scaricata
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(19.12.15)
Piano lupo: i lupocrati vogliono dettare legge ai pastori
Il Piano lupo conferma, se ce ne fosse bisogno, l'arroganza della
lobby che - almeno sino ad oggi - ha potuto operare su un piano di
totale autoreferenzialità finanziandosi con 18 progetti
LIFE. L'impostazione del Piano è molto pericolosa per i
pastori e gli allevatori in quanto mira in modo ormai scoperto ad
utilizzare il lupo per imporre una gestione dello spazio rurale che
escluderà l'uomo
(19.12.15)
La convivenza con il lupo è impossibile
È quanto emerso dal convegno di Saluzzo del 17 dicembre .
Il problema del lupo non è un qualcosa di isolato rispetto alle
varie minacce contro la montagna, le sue comunità, le sue attività
tradizionali. Il lupo è parte di un progetto politico di stampo
neocolonialista e tecnocratico che fa leva sui Parchi e l'attacco alle
autonomie locali.
(04.09.15)
Pastori francesi prendono in ostaggio i vertici di un parco
Dopo le minacce di blocco del Tour de France e le manifestazioni
non si ferma la lotta dei pastori contro le stragi ad opera dei
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Susa) sequestrano presidente, e direttore del Parco del
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autorizzando l'abbattimento di sei lupi. E in Italia?
Articoli per argomenti
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Dal
Südtirol una forte iniziativa politica contro il lupo
di Michele Corti
(17.03.18) Ventun
mila firme in pochi giorni, 12 mila nelle prime 24 ore. Numeri che la
dicono lunga su come sia sentita la minaccia della proliferazione dei
lupi in südtirol. Una minaccia che non lascia indifferenti anche
il Trentino e il Veneto, anche se qui, tra il sentire popolare e le
istituzioni, non c'è la stessa consonanza.
A Trento, infatti, l'eterna
dc
al potere è responsabile per la politica a favore della reintroduzione
dell'orso (il famigerato progetto Life Ursus) e di una posizione ondivaga e "morbida" sul problema del
lupo. Posizioni che hanno contribuito alla sconfitta epocale del
centro-sinistra alle elezioni per il parlamento romano.
A Bolzano la bauernbund e la SVP hanno aggredito il problema a livello
politico europeo, senza pensarci su. Nella scorsa primavera,
l'europarlamentare SVP Dorfmann ha promosso - nel corso di un incontro a Salisburgo - una presa di posizione
unitaria delle regioni alpine di lingua tedesca della UE: Baviera,
Tirolo, Vorarlberg, Salisburgo e Südtirol. Il senso politico della
risoluzione comune era chiaro: alla specie lupo in Europa, in grande e
rapida espansione e crescita numerica, non serve che venga ricolonizzato l'arco alpino orientale, quindi
LUPO NO GRAZIE. Con buona pace del piano lupo italiano, scaduto
nel 2015, che prevedeva la diffusione del predatore su tutto l'arco
alpino.
Va precisato che queste decisioni, in passato, erano state prese grazie
al disinteresse della parte politica, dai "tecnici" (leggi
ambientalisti).
Oggi, però, le cose sono camnbuate, la presenza del lupo nella montagna
veneta, in Trentino e in Südtirol è preoccupante e - in alcune
situazioni come la Lessinia e Asiago - devastante, tanto da essere diventata
una questione politica di primo piani, una grana per i vari Zaia.
La Regione Veneto, che era partner principale di Wolf Alp (il progetto
finanziato con fondi europei per favorire la diffusione del lupo su
tutte le Alpi) e Zaia ha giocato per anni all'animalista (vedi anche la
questione dei cervi del Cansiglio). Poi, quando ad essere messa in
ginocchio non è stata più solo la Lessinia, ma sonoi finite nel girone infernale delle predazioni a
raffica (di grossi e piccoli animali), anche Asiago e il
bellunese, i politici veneti si sono preoccupati di rettificare
il tiro, sino a votare in consiglio regionale una mozione "platonica"
per l'uscita da Wolf Alp (una pagliacciata perché il progetto scade nel
2018).
Posizione identica
al Veneto aveva
assunto la Regione Lombardiua dove la Lega Nord, per compiacere le
lobby ambientaliste,
aveva appoggiato con entusiasmo i piani di diffusione dell'orso e del
lupo (vedi i vari Belotti, tertzi, Caccia, tutti leghisti bergamaschi
pro orsi e lupi). Essi confidavano nell'inerzia politica dei
"periferici" montanari. Ma ora chi sta con il lupo e l'orso deve
prepararsi a pagare prezzi politici: la politica della botte piena e
della moglie ubriaca è finita.
La rabbia, per
l'espansione e la proliferazione incontrollate dei lupi e per il dover
subire con le mani legate le predazioni, è cresciuta, ma anche
l'informazione e la mobilitazione. Si sono anche moltiplicate (in
Veneto, in Trentino, in Südtirol) le proteste organizzate: fiere
zootecniche disertate o partecipate con cartelli di protesta espliciti.
Qualcosa è cambiato, tanto che, smentendo il suo assessore
(Dallapiccola, uno strumento dei forestali e degli ambientalisti),
Rossi, il presidente dellla PAT, ha deciso (questa volta senza troppi
tergiversamenti) l'abbattimento di un orsa che aveva ferito un
abitante del posto che passeggiaùva nei boschi presso Trento.
La
presa di distanza dalle politiche pro lupo e orso da parte delle
istituzioni trentine è proseguita lo scorso autunno con la presa di
distanza (tardiva) da Wolf Alp e chiedendo a Roma la possibilità, ma
solo per i forestali, di sparare pallottole... di gomma contro i lupi
che si avvicinano alle abitazioni. Roma ha concesso il contentino. Ma
di aderire al fronte anti-lupo capeggiato dai vicini di Bolzano a
Trento non se ne parla (la musica potrebbe cambiare con le prossime
elezioni provinciali in cui orsi e lupi saranno uno dei temi scottanti
della campagna elettorale).
A Bolzano, anche perché vedono cosa fanno i loro vicini sotto Salorno.
sanno bene che sugli italiani non si può contare. Sanne bene che, per
ora, in Italia prevale la demagogia verde, il calcolo - anche a destra
- sui pochi voti delle montagne e i tanti delle aree urbane.
Il lupo in pista a Folgaria, quest'inverno
A Bolzano sanno che in Italia ci vorrà il primo bambino sbranato dai
lupi (dopo meno di un secolo di "tregua") per far virare, tanto
repentinamente, quanto istericamente il sentimento "ambientalista" in
paura, paura di non poter più fare una passeggiata in montagna, paura
di non poter più farsi una sciata.
A Folgaria, stazione sciistica trentina, ai primi di febbraio di
querst'anno, i lupi sono stati visti scorazzare sulle piste. Facile
capire che, fino a quando sono danneggiati solo i pastori e gli
allevatori di montagna, la politica (all'italiana) non si preoccupa e
traccheggia.
Le associazioni che rappresentano il settore turistico-alberghiero, che
sono un po' meno addomesticate della Coldiretti, hanno iniziato a
lanciare segnali alla politica: hanno paura che le Dolomiti, infestate
dai lupi sui sentieri e sulle piste da sci, possano diventare una
Caporetto turistica. Il turista va dove si sente tranquillo, perché
percorrere un sentiero con il patema d'animo di vedermi saltar fuori
orsi e lupi? Si va altrove.
Intanto, però, i lupi prolificano, le cucciolate si moltiplicano e
nessuno si fa illusioni circa ciò che potrà avvenire la prossima estate
sulle malghe venete, trentine, sudtirolesi. In veneto si sono già viste
le pagliacciate di Wolf Alp e della regione: reti alte 1,2 m per
"proteggere" dai lupi. Se queste sono le "soluzioni" ci si deve
preparare a nuove stragi. Quindi, in conclusione, a Bolzano si muovono
da soli, senza aspettare gli italiani. E fanno bene.
Una predazione di pochi giorni fa in provincia di Bolzano a 100 m da
una casa abitata sulla strada persorsa da un bambino a piedi per
recarsi a scuola. L'allarme sociale tra le valli sta crescendo
esponenzialmente
Südtirol: dove il
ruralismo e la difesa del bauer sono parte dell'identità e della
politica autonomista
In provincia di Bolzano le possibilità di un'azione politica contro i
grandi predatori. in grado di arrivare a Bruxelles e di rompere la
congiura del silenzio imposta da burocrati, verdi epolitici
opportunisti, sono più alte che in qualsiasi altra regione della UE.
La provincia di Bolzano è piccola ma politicamente agguerrita e coesa,
in grado di trascinare altre regioni alpine di lingua tedesca. Il
perché è presto detto: il Südtirol è lontano da Roma, ma anche da
Vienna. All'occupazione italiana nel 1918 (che ha segnato, almeno in
Europa, l'ultimo episodio di conquista militare in spregio al diritto
di autodeterminazione dei popoli) seguì la persecuzione
etnico-culturale del popolo sudtirolese e la colonizzazione forzata
(acciaierie di Bolzano e burocrazia statale). L'Italia non riuscì ad
"assimilare" il Südtirol solo perché scoppiò la seconda guerra
mondiale. Molte famiglie, però, per non dover cambiare il cognome e
rinunciare a parlare tedesco (italiani "brava gente", come no?), erano
dovute trasferisrsi da esuli in Germania.
Memori del trattamento subito dagli italiani, i sudtirolesi hanno
puntato a consolidare il più possibile le proprie tradizioni, la
propria identità etno-culturale, tedesca e alpina. Differenziandosi da
tutto quello che sapesse di talian. Tanto più dalla cultura
italiana nelle sue espressioni più tipiche è urbanocentrica,
cosmopolita, antirurale. Così la cultura (e la politica)
sudtirolesi hanno accentuato il ruralismo e hanno fatto della difesa
del bauer e del maso una bandiera politica.
Certi atteggiamenti di parte ambiental-animalista, di aperto disprezzo
dei "villici" (hanno riesumato anche questo lessico arcaico),
richiamano la secolare tendenza della cultura italiana a marginalizzare
il contadino, a assegnerli uno statuto sub-umano (il contadino nella
letteratura della "satira del villano" mangia cibi adatti agli animali
perché il suo è uno stomaco "rozzo" da animale). Questi atteggiamenti
dei "lupisti" non rappresentano nulla di nuovo per un paese in cui le
minoranze urbane hanno per secoli sfruttato ferocemente i contadini.
Tanto più forte e duraturo è stato il privilegio signorile (poi
borghese), tanto più in Italia i contadini sono stati oppressi (vedi la
tassa del macinato introdotta dopo l'Unità d'Italia) e quanto più, per
legittimarne la loro sottomissione economica e politica la cultura
italiana ha elaborato, e conservato, quegli stereotipi anti-contadini
che Francia e Germania avevano da tempo ribaltato in immagini positive
(il contadino "base della nazione").
Non è finita. Staccato dalla madrepatria austriaca, il Südtirol, che
non ha mai nascosto una sua identità specifica alpina anche nei
confronti dell'Austria, ha avoto la "fortuna" di subire in forma molto
attenuata l'egemonia culturale "nazionale" austriaca, dove Vienna
conservava aspetti cosmopoliti e si è a lungo orientata a sinistra,
all'ideologia progressista.
Cane predato quest'inverno sull'altopiano di Asiago
Cosa c'è in gioco oggi
Grazie alla sua particolarissimo ruolo geopolitico il Südtirol può
contribuire in misura significativa a suscitare a livello europeo un
dibattito politico serio sui grandi predatori, sulla governance degli
spazi agrosilvopastorali, sulla gestione faunistica, sul ruolo
dell'agricoltura di montagna.
Va tenuto presente che anche in un paese come la Francia, dove pure, a
differenza dell'Italia, la rappresentanza agricola non elude il
problema dei grandi predatori, dove - a maggior ragione - esso agita
anche il mondo politico e intellettuale (vedi il famoso manifesto pro
pastori contro il lupo di 50 ricercatori e intellettuali francesi) le
pressioni della società sono neutralizzate dal peso delle lobby
più potenti, del mainstream economico e politico che aderisce
all'ideologia dei grandi predatori. E la tecnocrazia francese, che
impronta tradizionalmente il governo, si adegua. I pastori minacciano
di far saltare il Tour de France, i ministri fanno promesse... e
non succede nulla.
Lessinia: scorso autunno: vacca sbranata presso un centro per disabili
Per quanto piccolo il Südtirol rappresenta una regione che vede
le rappresentanze istituzionali (con competenze esclusive in materia
agricola e faunistica) porre, con coraggi,o alla UE il problema della
revisione dell'anacronistico statuto di super protezione del lupo.
L'assessore Arnold Schuler,
che ha preso l'iniziativa della petizione alla UE contro il lupo, sa
bene che - con tutto il margine di autonomia della provincia di Bolzano
- essa - come qualsiasi altro stato della UE, ha le mani legate dalla
Direttiva Habitat e dalla Convenzione di Berna.
Così
se da una parte chiede a Roma di poter applicare in autonomia le
possibilità di controllo in deroga del lupo previste dalle legislazione
europea vigente, dall'altra lancia la palla a Bruxelles. Sapendo che su
questa linea non potrà non essere seguito da quelle regioni, da quegli
stati che si rendono conto che l'impossibilità di controllare il lupo
mette a rischio interi sistemi territoriali di pastoralismo e
allevamento estensivo (oltre che rappresentare una minaccia per il
turismo e la sicurezza di chi vive in piccoli nuclei e case isolate). A
Bolzano si rendono anche conto che la proliferazione del lupo, in
assenza di possibilità legali di controllo, equivale a un profondo
cambiamento dell'assetto della gestione e del controllo del territorio.
Un cambio di gestione che equivale ad un diverso assetto di potere:
dalle autorità locali alle tecnoburocrazie e alle lobby
ambiental-animaliste. Il lupo è una minaccia per l'autonomia, per
l'autogoverno sudtirolese, un modo per aggirare le competenze strappate
a Roma creando situazioni de facto in cui sono sistemi regolativi
sovranazionali a decidere ... se puoi andare a far legna nel bosco, se
puoi allevate una pecora, se puoi continuare ad abitare in un maso
isolato. Se puoi vivere secondo lo stile di vita del montanaro.
Lupi presso case in provincia di Vicenza, quest'inverno
Come nel IX secolo
Il controllo della gestione della foresta e della fauna che la
popolava, nel medioevo rappresentò la chiave del cambiamento degli
assetti di potere, nella pianura padana ma anche in molte altre aree
europee. Da una situazione in cui le comunità rurali potevano goderi di
liberi diritti di pascolo, utilizzo del legname e altri prodotti, si
passò ad una situazione di esclusione ed esproprio dei diritti
contadini e di monopolio da parte del signore curtense (il signorotto
feudale) prima, poi da parte dei comuni cittadini che imposero alle
campagne un servaggio peggiore di quello dei feudatari.
Il
bosco alla fine dell'alto medioevo diventava una risorsa strategica
per via della crescente penuria di legname (da riscaldamento e da
opera) legata all'espansione delle coltivazioni e alla crescente
intensità di sfruttamento dei boschi. I signori, escludendo i contadini
dall'uso del bosco, ne fecero
una "riserva" signorile, dove potevano cacciare in esclusiva. Come è
noto il contadino che veniva colto in flagranza di bracconaggio dai
forestali (gli sgherri) veniva impiccato. Tanto per chiarire i rapporti
di classe... Se l'esercizio della caccia alle fiere (cinghiale, cervo)
contribuiva a rafforzare l'immagine della forza e del potere, dietro
l'aspetto "faunistico" vi era quello, molto più concret,o della risorsa
economica: del legname. La storia è nota: i contadini , anche per via
delle invasioni degli ungari, dovettero mettersi sotto il controllo e
la "protezione" dei signori (che disponevano di fortificazioni),
diventare servi, prestare le corvée al signore, accontentarsi di cibo
frugale dal momento che i numerosi maiali (e ovicaprini) allevati dai
contadini nell'alto medioevo nei boschi non poterono essere più
mantenuti. I signori banchettavano a selvaggina e i contadini si
accontentavano di pappe di miglio, rape e cavoli.
Dopo 8-9 secoli la stessa musica la ritroviamo in montagna: non ci sono
più i signorotti ma i borghesi capitalisti che vogliono accaparrarsi i
boschi per speculare sulla legna o per far funzionare i loro forni
fusori (minerale ferroso). Con secoli di ritardo, anche i contadini
alpini - che avevano conservato per secoli autogoverno e gestione dei
boschie dei pascoli - vennero espropriati con vari pretesti. Si
disse che i beni comuni erano lasciati incolti (si praticava il pascolo
estensivo), che le comunità avrebbero distrutto i boschi (mente li
distruggevano i borghesi). Nel tardo Ottocento la politica di esproprio
dei diritti consuetudinari e di applicazione di vincoli che impedivano
alle comunità rurali di continuare a gestire i beni silvopastorali, si
ammantarono di pretesti ambientalisti (vincolo idrogeologico ecc.)
anticipando quelle politiche che nel Novecento portarono alla creazione
dei parchi e alla moltiplicazione degli ostacoli all'utilizzo, nelle
forme tradizionali, delle risorse della montagna.
Gli esempi di queste politiche sono ben noti e vicini nel tempo:
parlano di valutazioni di incidenza ambientale per il taglio di una
pianta o lo spostamento di poche badilate quando le grandi società che
realizzano piste da sci o altre infrastrutture, grazie a valutazioni di
impatto ambientali ben congegnate disboscano e spianano intere
montagne. Messe in scena che coprono solo i rapporti di forza ineguali
tra ricchi (e "intelligenti") e contadini.
Piemonte, quest'inverno: numerose le segnalazioni di lupi nei paesi. In
forte calo la loro "atavica paura dell'uomo" agitata dei lupisti come
sedativo
La marcia trionfale del lupo incontra una resistenza non messa in conto
Il capitolo attuale rappresenta l'ultimo atto di una politica inziata
nel Settecento. Allora erano le considerazioni degli economisti
illuministi a legittimare un nuovo assetto di potere a vantaggio delle
élite, oggi è l'illuminismo animal-ambientalista, condito di concetti
tanto verbosi quanto vaghi e di fragile base scientifica ("vertice
della catena alimentare", "fattore di ripristino della biodiversità").
Identico il disprezzo per i "villici".
Il gioco delle lobby ambientaliste, parte integrante delle élite
europee, è facilmente intuibile: mantenendo un regime di
super-protezione del lupo, che impedisce un qualsiasi controllo della
sua proliferazione, non c'è neppure bisogno di "lanciare"
clandestinamente i lupi per ottenere una rapida colonizzazione di tutte
le Alpi. Tutto bene quindi per le lobby? Non proprio, perché, forse,
qualche errore di valutazione politica, nella loro sconfinata arroganza
ed autoreferenzialità, l'hanno commesso.
Le Alpi orientali non sono le valli di Cuneo e Torino, dove - favorito
dalla scarsa antropizzazione - il lupo continua a proliferare
(nonostante il controllo fai-da-te da parte dei pastori esasperati e
nonostante le decine di lupi vittime di incidenti stradali e
ferroviari). L'ambiente economico, sociale, politico è completamente
diverso. Non c'è solo il fattore politico, che abbiamo già messo in
evidenza, ma anche quello socio-ecomomico: le valli del Südtirol non
sono in fase di spopolamento, ma hanno un saldo demografico positivo,
l'economia - grazie al turismo, ad una politica di sostegno attivo
all'agricoltura, all'artigianato - è vitale. Le comunità sono
politicamente attive, la vita dei comuni è seguita. Non c'è quella
rassegnazione a scomparire, quella cultura del "lassù gli ultimi", da
"mondo dei vinti" che, purtroppo, è comune in Piemonte e presenta anche
in qualche angolo della montagna lombarda.
In Piemonte allevatori e pastori sanno che possono solo difendersi con
i bocconi avvelenati e il piombo, perché le istituzioni li lasciano
soli
(Chiamparino. presidente della regione Piemonte, si è messo addirittura
alla testa del fronte delle regioni pro lupo). In Südtirol,
montagna veneta, valli trentine, gli allevatori sono inseriti nelle
loro comunità, dialogano con altre categorie sociali, hanno (più a
Bolzano, molto meno in Veneto e in Trentino) la capacità di porre
alla politica e alle istituzioni le loro istanze. Gli strateghi di Wolf
Alp (i fili sono tenuti a livello internazionale) non si aspettavano,
dopo aver "fatto su" la Regione Veneto, di doversi misurare con la
rivolta dei sindaci, non si aspettavano che a Bolzano un assessore
provinciale impugnasse la bandiera del diritto delle comunità alpine a
tenere fuori i lupi dal proprio territorio.
Comunque vadano le cose, nelle Alpi orientali è nato un movimento
popolare consapevole della posta in gioco. La desertificazione della
montagna, perseguita dalle potenti lobby internazionali con il cavallo
di troia del lupo, non
sarà una passeggiata. I "villici" hanno ben capito innanzitutto che il
lupo, è un grimaldello usato contro di loro per consentire alla
politica, ai poteri forti economici, di rifarsi a buon mercato, e a
spese dei montanari, una verginità ecologica (in modo da poter
continuare altrove con politiche insostenibili quali Tav, uso di
pesticidi, consumo di suolo).
Hanno capito anche che, come il
signorotto feudale proteggeva la fauna dai contadini per sfruttare le
risorse del bosco e affamare il popolo, così l'élite oggi vuole fare
dell Alpi un grande parco naturale, dove escludere o marginalizzare le
comunità locali per avere mano libera per lo sfruttamento delle risorse
strategiche (acqua pulita - non solo per usi idroelettrici - biomasse).
Dire no al lupo significa fermare questa strategia di potere.
|