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Politica/Mani sui pascoli

Michele Corti, 2 aprile, 2022

Pascoli Ersaf alla coop romana: colpo di scena, se li aggiudicano gli esclusi

(07/04/2022) Lombardia - Aggiornamento: ai primi (o secondi) degli esclusi del bando delle due malghe è stato comunicato che sono state aggiudicate a loro. Esce di scena quindi la coop romana che aveva ottenuto il maggior punteggio. Resta valido tutto quanto riportato nell'articolo circa i criteri dei bandi. Sarà interessante capire quali motivi di irregolarità abbiano determinato, dopo successive verifiche - l'esclusione di coloro che apparivano vincitori. Difficile pensare che soggetti esperti, che si sono già aggiudicati molti alpeggi, anche in Lombardia, non posseggano i requisiti. Difficile pensare a errori da parte di chi ottiene il punteggio massimo (100 su 100 punti).

(08/04/22) - Ulteriore aggiornamento. Il colpo di scena che si è verificato nell'aggiudicazione delle malghe Vaia e Stabil fiorito sarebbe stato possibile, in attesa di comunicati dell'Ersaf, in forza di una riconvocazione della Commissione valutatrice che avrebbe corretto gli errori commessi in precedenza. Tutto molto singolare. Ci si augura che venga fatta chiarezza e ci si chiede cosa succeda in assenza di contestazioni e di clamore che spingono a emendare gli "errori".

. Attraverso un bando indetto dall'Ersaf, l'ente regionale per i servizi all'agricoltura e alle foreste, ha assegnato con nella compagine una coop con sede a Camerata Nuova (Roma), un paese di 400 abitanti al confine tra Lazio e Abruzzo, due alpeggi in provincia di Brescia di proprietà della regione Lombardia (Alpe Vaia, in comune di Bagolino in val Sabbia e Alpe Stabil Fiorito, in comune di Bovegno in val Trompia) per complessivi 800 ha.  La stessa coop si era aggiudicata, nel 2017, una malga del comune di Bovegno (altri 300 ka) mentre un'altra più nota coop, con sede allo stesso indirizzo laziale, era riuscita lo scorso anno ad avere la conferma dell'Alpe di Bobbio (in Valsassina - Lc), un'altra grande alpe di oltre 500 ha. Un personaggio di riferimento di queste coop - con ruolo di presidente in una e di vice-presidente nell'altra (dove il presidente è un ragazzo di 19 anni) - è residente a L'Aquila, ma nato e operante in provincia di Cuneo.  Nel 2015 fu arrestato insieme al fratello (anch'egli con ruolo di amministratore) e al padre per una serie di pesanti accuse legate a presunte truffe sui pascoli. Furono assolti nel 2019 (tutti i processi di questo tipo finiscono così perché siamo di fronte a regole che consentono tanti modi per essere aggirarate restando nei limiti del lecito). Dalle indagini emerse, in ogni caso, un vasto giro di affitti di migliaia di ettari e sistemi di subaffitto.  Forse inutile aggiungere che tra gli amministratori ci sono anche altri congiunti (a suo tempo anch'essi inquisiti e assolti) dei due fratelli. Il punto, comunque, è che l'Ersaf, in presenza di sette concorrenti, ha premiato la coop "romana" non in base all'offerta economica, ma in forza di criteri di valutazione del "piano di gestione" un po' cervellotici.


Come in Trentino, anche in Lombardia, la speculazione sugli alpeggi, parlando in generale, si è fatta furba e ha imparato che non è più necessario, almeno tranne dove i comuni non sono particolarmente bramosi di far cassa, offrire cifre spropositate per accaparrarsi gli alpeggi e fare fuori la concorrenza. Così risparmiano soldi che in parte impiegano per pagare le parcelle di avvocati tra i più di grido sulla scena nazionale, consulenti, tecnici, figure ben introdotte nelle logiche del sistema, in grado di scrivere paginate e paginate, produrre carte, dichiarazioni, che servono solo a cucinare con abilità dei punteggi e battere la concorrenza. Poi, tanto, di solito non si controlla, non si impugnano i capitolati, non si rescindono i contratti. Di solito si concede il rinnovo anche a chi non possedeva certi requisiti e non ha messo in atto le azioni previste. Grave quando succede nel caso di comuni, più grave quando i comuni si appellano alla virtuose e politicamente correttissime Linee guida delle regioni, gravissimo quando sono le regioni stesse a concedere le loro proprietà di pascoli con queste modalità.

Per lavarsi la coscienza, le istituzioni hanno da qualche hanno spinto le amministrazioni pubbliche (in Trentino oltre ai comuni anche le Asuc, che gestiscono gli usi civici) a minimizzare il peso delle offerte economiche. Ai fini del punteggio utile per la gara di aggiudicazione conta quindi, sino all'80%, il virtuosismo cartaceo dei piani di gestione, così per le linee guida della Provincia autonoma di Trento. In Lombardia le "Linee guida per la gestione delle malghe e l'esercizio dell'attività di alpeggio" (Dgr del 4/2/2019) prevedono che i comuni e gli altri proprietari pubblici si attengano, per il peso dell'offerta economica ai fini dell'aggiudicazione degli alpeggi, a una forbice tra il 20 e il 40%. Il bando di gara deve pertanto prevedere la presentazione di una proposta di gestione la cui valutazione determina l'assegnazione degli altri 80-60 punti nella graduatoria. Il Piano di gestione presentato dall'azienda (citiamo dalle Linee guida): descrive sinteticamente l'organizzazione aziendale, l'attività  e gli impegni che il richiedente intende sviluppare nel periodo di concessione/affitto in relazione  agli obiettivi generali e specifici stabiliti dall'Ente nel bando di gara. In particolare la proposta di  gestione di una malga dovrebbe indicativamente articolarsi nei seguenti paragrafi:

  • - presentazione dell'azienda proponente;
  • - motivazioni ed obiettivi della gestione dell'alpe;
  • - personale impiegato per  la gestione dell'alpe;
  • - bestiame monticato;
  • - modalità di utilizzo del pascolo;
  • - tipologia delle produzioni aziendali d'alpeggio;
  • - eventuale attività agrituristica;
  • - coinvolgimento di partner pubblici e privati;
  • - sviluppo della filiera corta; eventuali iniziative di formazione;
  •  - sperimentazione di modalità innovative di utilizzo del pascolo e delle produzioni lattiero-casearie;
  •  - sperimentazione di modalità innovative di utilizzo del pascolo e delle produzioni lattiero-casearie;
  •  - investimenti previsti e modalità del loro recupero;
  • - eventuali problematiche e criticità per l'attuazione della proposta di gestione.

Ai fini della valorizzazione degli alpeggi, le Linee guida prevedono che il Capitolato per incentivare la buona gestione preveda delle riduzioni del canone legate al raggiungimento di determinati obiettivi "virtuosi", concordati tra l'affittuario e la proprietà pubblica. Gli obiettivi virtuosi comprendono: la promozione della multifunzionalità dello spazio alpestre mediante la realizzazione di eventi e di  iniziative eco-turistiche, didattico ambientali, ricreative, rivolte in particolare al mondo della scuola e con il coinvolgimento delle realtà locali; lo sviluppo di iniziative di comunicazione e promozione della attività svolta nella malga/alpeggio (sito internet, pubblicazioni a stampa, gadget ecc); iniziative didattiche, ricreative e animazioni (dimostrazioni, degustazioni, visite guidate, spettacoli culturali, ecc...); la partecipazione alla realizzazione di attività sperimentali ed innovative nelle gestione dell’alpeggio anche in relazione agli aspetti di salvaguardia e promozione della cultura e delle tradizioni locali; la partecipazione ad attività di formazione del personale d'alpe; la realizzazione d'interventi di valorizzazione del pascolo e di manutenzione e salvaguardia e presidio ambientale; lo sviluppo d'iniziative per la promozione della filiera corta; il ricorso a manodopera occasionale scelta tra studenti di scuole od università del settore agro­ ambientale nel rispetto delle vigenti normative sul lavoro; lo sviluppo di forme e modalità di integrazione e sinergia con le comunità locali; coinvolgimento  di  operatori  turistici  e  culturali  in  iniziative  finalizzate  a  promuovere  l'attività d'alpeggio.

A leggere questi libri dei sogni, che però la Regione, precisiamo ancora, si limita a proporre e non impone (condizionandoli ad una riduzione dei canoni d'affitto, oltretutto e non quali criteri di aggiudicazione) pare che ci si riferisca a un altro pianeta. Oggi la realtà vede metà degli alpeggi lombardi in mano a soggetti estranei al territorio. In parte sono allevatori veri, allevatori di montagna che non riescono a trovare pascoli a casa loro (spesso a causa della speculazione) e che devono muoversi a "caccia di bandi" in altre valli e in altre provincie. Molti, però, sono gli speculatori puri o soggetti che, da allevatori, sono diventati speculatori, ovvero imprenditori del contributo, dove il fine principale dell'attività non è la produzione zootecnica. Gli animali servono a "fare Uba", a vincere le aste dimostrandone la disponibilità ma meno costano meglio è e la produzione di latte e carne diventa una voce secondaria di entrata a cui si farebbe anche a meno. Per questi soggetti, l'attività imprenditoriale ha per oggetto le carte e la competitività si misura nella capacità di coordinare una complessa organizzazione disponendo di avvocati, commercialisti, tecnici, in grado di massimizzare l'incasso dei contributi sui titoli della Pac (più introiti minori come l'indennità compensativa).

In che mondo vive la burocrazia?

Nel mondo delle fiabe delle Linee guida si parla di sperimentazioni, tecniche innovative, promozione della valenza culturale dell'alpeggio, produzioni di eccellenza e diversificate. La realtà, prodotto anche dalla deriva determinata dall'oggettiva connivenza burocratica con i forti interessi speculativi, è quella di alpeggi sempre più sottocaricati, pascolati in modo sempre meno uniforme, affidati a personale straniero privo di adeguate competenze, spesso mandato allo sbaraglio. La realtà è fatta, troppo spesso, di alpeggi dove, anche quando le strutture per la caseificazione sono state messe a norma, ristrutturate a spese del contrinuente, sono caricate bestie da carne, asinelli. Dei controlli dei comuni, che non hanno spesso interesse, capacità e coraggio per esercitarli, molti titolari di contratti di affitto di alpeggi non hanno alcun timore. Così non si attengono al carico prescritto nei capitolati, alla produzione casearia, quando prevista, ma sono solo attenti, perché si rischia di perdere i contributi e - oltre certi limiti il penale per truffa sui contributi comunitari - a mantenere il minimo previsto per ottenere i contributi sui titoli (0,2 Uba / ha per 60 giorni di alpeggio). 

Gli allevatori "ordinari", le aziende famigliari, in questo contesto, utilizzano i contributi sui pascoli per raddrizzare un bilancio che, per chi basa la propria attività e il proprio reddito 365 giorni all'anno sulla produzione zootecnica, è sempre più in passivo. Senza quei contributi nessun investimento, , nessun ammortamento, sarebbe possibile. Pochi sono i comuni che sono interssati a ridurre il canone per chiedere tutte quelle prestazioni virtuose sopra elencate. Pochissime le aziende che, anche di fronte a una riduzione di canoni, potrebbero essere in grado di dedicarsi a quelle attività multifunzionali che, sulla carta, sarebbero quanto mai interessanti nella prospettiva di un rilancio dell'alpeggio. Per poterle svolgere, però, non basta un incentivo economico, servirebbero dei supporti, servirebbe un rapporto organico con gli istituti di istruzione e formazione, con le istituzioni culturali, le associazioni, l'impegno degli stessi comuni e comunità montane, consorzi forestali, parchi. Ma questo queste istituzioni sono interessate all'alpeggio? Che sensibilità hanno nei suoi confronti? Senza l'impegno delle istituzioni territoriali e della regione a collegare il mondo dell'alpeggio con queste realtà, verso le quali la singola azienda agricola ordinaria viene chiamata a collaborare senza averne gli strumenti, tutto resta sulla carta. Così  solo chi è più scaltro può, sempre sulla carta, presentarsi come virtuoso.


L'Ersaf, tesa a favorire "gestioni virtuose" (sulla carta), concede i pascoli di proprietà regionale a soggetti protagonisti, a livello nazionale, della corsa ai contributi sui pascoli. Una storia che pare impossibile

Tutto quello che abbiamo detto a proposito delle Linee guida e dei comuni diventa grottesco quando si passa a vedere come si comporta Ersaf nell'assegnazione degli alpeggi. Se quel mondo immaginario di "gestioni virtuose" fa a pugni con la realtà degli alpeggi di proprietà comunale, se passiamo a considerare quelli gestiti dall'Ersaf del demanio regionale, ci si imbatte in situazioni che che si fa fatica a credere. Teso al virtuosismo, alla correttezza politica, ambientalista, multifunzinalista, Ersaf pone basi d'asta più basse rispetto a quelle dei comuni (per Malga Vaia, di 530 ha la base d'asta era di 16 mila euro, è stata aggiudicata poco di più). Ersaf considera solo per il 20% del punteggio totale l'offerta economica ma, questo è il punto - pensando di sentirsi in dovere di dare l'esempio virtuoso ai comuni - invece di applicare sconti per chi tenta o finge di aderire al "libro dei sogni" del catalogo delle azioni multifunzionali, lo impone come condizione per acquisire punteggio. Così assegna gli alpeggi a chi ha alle spalle delle organizzazioni, degli studi professionali che conoscono i meccanismi burocratici, la contorta forma mentis, il linguaggio della burocrazia e che sono adusi all'arte di compiacerla per farsi passare progetti e finanziamenti. Anche il meccanismo delle ATI (associazioni temporanee di impresa) viene abilmente utilizzato da questi soggetti, distorcendone le finalità. Chi indovina il modo di ragionare della Commissione ha più possibilità di vincere. Risultato: un disastro. 800 ha finiti in un colpo a una coop che risulta tra gli esponenti di spicco delle annose vicende della corsa (sia pure lecita) ai contributi sui pascoli. Una barzelletta, se non fosse un dramma.
 Se qualcuno non fosse convinto di quanto andiamo asserendo non può far altro che andare a vedere la documentazione sul bando per la concessione dell'Alpe Vaia (la più grossa "portata a casa" dalla coop "romana" che si trova alla pagina dedicata del sito Ersaf (vai)

Dalla pagina si scaricano: a) il Piano di Pascolamento, b) il Bando, c) il capitolato di concessione. Chi avesse tempo e voglia di documentarsi lo faccia, perché sono letture istruttive.


Il lago di Vaia. Si nota come il rodoreto (Rhododendron ferrugineum) e l'alneto (Alnus viridis) abbia invaso anche superfici a giacitura favorevole a causa del sottopascolamento, della logica ambientalista che riduce il carico progressivamente con la riduzione della superficie per via di un puro ideologismo  "naturalista"


Ersaf vuole che i pascoli si rinaturalizzino. Le belle parolone nascondono solo l'ideologia ambientalista del rewilding.

Sulla carta Ersaf è l'ente per i servizi agricoli e forestali. Ma l'anima è qualla forestalista della vecchia ARF (Azienda regionale delle Foreste) che si è fatta nel tempo ambientalista. Un tempo ARF era improntata al forestalismo assistenzialistico (era feudo del PSI). In Calabria, Sicilia, Valle d'Aosta questa funzione è ancora viva ma in Lombardia, regione "avanzata", ai cantieri forestali, ai vivai forestali che davano lavoro e voti, è stata sostituita l'ideologia ambientalista che procura finanziamenti europei. Così Ersaf si è fatto promotore della costituzione di una serie di aree protette (Riserve naturali, Siti Natura 200, ZPS, Sic) che servono a foraggiare schiere di naturalisti vicini alle organizzazioni ambientaliste. Basta finanziare studi e ovunque si trova l'endemismo, l'area umida, la specie in via di estinzione rara (ma di solito comune), la farfalla, la felce. Come ormai abbiamo imparato bene,  tutte queste "emergenze naturalistiche" non sono che meri pretesti per introdurre vincoli, per mettere le mani del mondo ambientalista sul territorio, per far avanzare il controllo di chi sta in ufficio, della città, della burocrazia sul territorio agrosilvopastorale, per espropriare i rurali. Un territorio che, nei secoli, essi erano riusciti a riscattare dal controllo dei poteri feudali e che poi la modernità e lo stato nazionale, i corpi forestali, l'ambientalismo gli hanno sottratto pezzo a pezzo. In ultimo sono arrivati gli orso-lupisti. L'obiettivo è la cessazione delle attività tradizionali e quindi del "disturbo antropico" e l'imposizione di un grande "Parco delle Alpi" senza pastori, senza contadini, senza boscaioli, senza cacciatori, senza fungiat, senza turisti se non quelli super ricchi che verranno a fare i "safari" accompagnati da guide e guardie armate e che risideranno in poche stazioni turistiche d'élite in resort a 7 stelle. Il resto servirà per sfruttare l'acqua, le risorse minerarie, le biomasse e a dar lavoro agli ecoburocrati. Distopia? Ogni giorno arrivano nuove conferme.

Ersaf vuole la rinaturalizzazione degli alpeggi. A parole non lo proclama apertamente, nei fatti sì. Ma la Regione Lombardia è d'accordo? I politici sono d'accordo? La dimostrazione di quanto asseriamo è meno provocatoria di quanto sembri, non è difficile, anzi. Basta leggere il loro Piano di Pascolamento. Basta vedere quale carico viene indicato oggi come ottimale e confrontarlo con il carico del passato. Nella mappa della Malga Vaia sotto riportata (tratta dal Piano di pascolo dell'Ersaf) si vede come le superfici a pascolo siano già molto ridotte (i burocrati si attengono a categorie di esclusione dal pascolo in base alla pendenza e al pascolamento perché non conoscono le reali modalità di pascolo degli animali e si orientano in base a criteri fissati a tavolino da agronomi-forestali ignorando le conoscenze dei pastoralisti). Lo vede anche un bambino che gli ovicaprini e le manze (spesso anche le vacche) possono pascolare anche dove "non è previsto". Ma oltre ad escludere aree di pascolo sulla base di considerazioni fatte a tavolino, molte aree sono state escluse (quelle in viola) perché classificate "superfici idromorfe" (umide nel linguaggio di chi vuole farsi comprendere). Le sacre torbiere (area rossa) devono essere recintate. Con tutte quelle aree off limits non è facile gestire il pascolo. Ovviamente chi vuole il pascolo (i contributi) si impegna a farlo. Oltre a non pascolare nelle aree viola non si può neppre passare.

Vediamo ora la condizione dei diversi settori del pascolo.

Cascinello: L’area si presenta in gran parte sotto caricata da tempo con conseguente riduzione della superficie pascoliva per invasione di rododendri e mirtilli.
Val dei corni: Fatta eccezione per la porzione posta più a sud, l’area si presenta in gran parte sotto caricata da tempo con conseguente riduzione della superficie pascoliva per invasione di rododendri e mirtilli.
La Marla: L’area si presenta in gran parte sotto caricata da tempo con conseguente riduzione della superficie pascoliva per invasione di rododendri e mirtilli.
Malga di mezzo/Malga di fondo: L’area presenta vaste zone con accumulo di fertilità per sovracarico soprattutto nelle vicinanze delle abitazioni ed a valle della strada di accesso al laghetto e Malga di Mezzo.
Punta Setteventi: L’area si presenta in gran parte sottocaricata da tempo con conseguente riduzione della superficie pascoliva per invasione di rododendri, mirtilli o addirittura arbusti e alberi.
Monte Matto: L’area si presenta in gran parte sottocaricata da tempo con conseguente riduzione della superficie pascoliva per invasione di rododendri e mirtilli.

Se sei settori di pascolo, cinque sono interessati da "sottopascolamento da tempo", uno solo da sovrapascolamento (che si traduce in infestazione di Rumex alpinus, slavazze, buone solo per essere usate cotte come pastone per i maiali, ovvero suolo nudo e sovraccarico di nitrati). In tutti gli altri settori il pascolo si perde di anno in anno e avanza il cespuglieto (dove poi si inseriscono le conifere). Dal momento che da decenni Ersaf gestisce l'alpeggio, che si sono succedute diverse gestioni, che l'ente era ed è dotato di abbondante personale (dottori forestali e periti agrari) come spiegare tutto questo? Vero che oggi le sciagurate politiche del passato (europee e regionali) hanno portato ad allevare, anche in montagna, la frisona e la brown swiss, macchine da latte che su pascoli alpini non ottimali non si trovano certo a loro agio (a meno che non ricevano 4-5 o più kg di mangime ad alta energia), che era difficile trovare in zona aziende con numerosi capi da latte ma questo "sottopascolamento" è cronico ed è legato anche a una cattiva gestione (piano effettivo di pascolamento) e non solo a un carico totale insufficiente. Invece di chiedere i virtuosismi multifunzionali (ci torniamo tra poco) un ente che avesse voluto conservare i pascoli concentrava i criteri di assegnazione sull'adeguatezza del carico. Le formule flessibili per mettere insieme un carico (società, associazioni temporanee, affidamento "a guardia") ci sono sempre state e si possono utilizzare ancora oggi. Per evitare le speculazioni (che riescono sempre ad aggirare i paletti stante l'impostazione alla base distorta del sistema dei titoli e del basso carico di pascolo ritenuto più "ecologico") si è imposto di disporre di bestiame di proprietà in buona misura. Così i meno spregiudicati sono messi in difficoltà, i professionisti dell'aggiudicazione di alpeggi riescono sempre a risultare in regola. Fatto sta che Ersaf, di fronte al pascolo che si restringe, per sua negligenza, riduce il carico. Così il cane si morde la coda e il processo di "rinaturalizzazione" (che piace ai burocrati ambientalisti), avanza. 

E' vergognoso che, mentre si assegnano un sacco di punti per i "virtuosismi" che resteranno sulla carta, sul punto chiave del carico e sulla composizione in specie di questo carico si diamo poche indicazioni e per di più elastiche: il carico annuale per i 90 giorni di pascolo è fissato a 200 UBA di cui almeno 20 UBA di Ovi Caprini e 80 UBA in lattazione con l’obbligo di effettuare la mungitura con mungitrice mobile direttamente sul pascolo limitando quanto più possibile la permanenza nella stessa area.

Se si concede che 100 Uba coincidano con animali da carne o comunque asciutti, va da sé che il pascolo, sino a non molto anni fa utilizzato da vacche da latte per la  maggior parte, sia destinato a regredire perché, lo sanno tutti, tranne forse i burocrati, che quello che mangia 1 Uba di vacca da latte è molto di più di quello che mangia 1 Uba di vacca asciutta o nutrice non allattante. Ovicaprini: la Malga Vaia era la malga comunale dove caricavano i piccoli allevatori stanziali. Tutte gli altri "monti", prima si diceva così, ("malga" è un burocratismo recente, ma ai burocrati piace imporsi amche nel lessico e uniformare e annullare la tradizione locale), erano affittati ai malghesi transumanti. Il risultato è che a Vaia vi erano parecchi ovicaprini. Oggi Ersaf chiede  "almeno 20 Uba di ovicaprini". Pochi anni fa  il rosc delle capre aveva la consistenza delle foto sotto. Le capre erano munte (almeno in parte). Le chiacchere sui prodotti tipici sono aumentate, la produzione e la diversificazione della produzione sono diminuite. Ma la macchina dell'Erfaf (storicamente ricco di dirigenza) è costata molto. Denaro del contribuente che non è stato utilizzato per implementare beni pubblici ma li ha depauperati. Va anche ricordato, che pur avendo sempre la regione somministrato molte risorse a Ersaf per la ristrutturazione dei fabbricati, le opere da esso eseguite (anche a Vaia) non sono migliori di quelle eseguite dai comuni. Bene ha fatto l'assessore Rolfi a decidere, a fine del 2020, di cedere gli alpeggi Ersaf ai comuni. Aspettiamo con ansia che la cosa sia attuata ma non vorremmo che, nelle more, intercorrendo poi elezioni e una nuova legislatura tutto rischi di restare come prima (l'inerzia autoconservativa di enti che servono in primis a garantire privilegi e che sono un sistema di comode porte girevoli per gli stessi burocrati delle direzioni generali, è proverbiale). Per la cronaca gli unici che si sono spesi per difendere Ersaf sono il PD e Legambiente.

Questo il gregge di capre da latte di Malga Vaia (anno 2007, foto Corti)


Multifunzionalità? Strumentalizzata a fin di male

Veniamo finalmente, dopo queste considerazioni al busillis, al come fa la coop"romana" a portare a casa in una botta due alpeggi dell'Ersaf per 800 ha. Come abbiamo già visto, sulla sostanza Ersaf insiste poco. Capre, pecore, vacche asciutte, vacche da carne, vacche in lattazione? Fate un pò voi. Non parliamo della razza, che invece sarebbe un punto qualificante, perché con razze adatte alla montagna gli alpeggi si recuperano o si mantengono certo meglio. Troppa finezza.

Mentre, nella sostanza, Ersaf è lassista, sui virtuosismi multifunzionali, è esigente. Qualcuno potrebbe rinfacciarmi che proprio io ho sostenuto e teorizzato l'alpeggio multifunzionale (eseguendo anche una ricerca sul campo e a tavolino sugli alpeggi dell'Ersaf per conto della Regione vai al lavoro pubblicato).  Sulle tematiche della valenza turistica e, in generale multifunzionale, dell'alpeggio vedi anche il mio studio Alpeggio e turismo: uovo di colombo o incontro difficile? . Mi sono rimangiato totto? Per niente. Non sono passati molti anni da quando mi sono occupato delle tematica ma pare sia passato un secolo. Allora mi preoccupavo di contrastare la tendenza a produttivistica che si traduceva nella trasformazione degli alpeggi in mungimifici dove, con ampio utilizzo di mangimi, si puntava ad elevate produzioni con vacche da latte spinte (dicevano che i mangimi erano necessari anche per le produzioni dop, "per il benessere animale"). La minaccia 10-15 anni fa era costituita dal cattivo utilizzo dei carri di mungitura, poco o nulla spostati, dove di distribuiva mangime in abbondanza. Ho scritto moltissimi articoli sull'argomento, cito solo Quando l'alpeggio diventa appendice dei sistemi zootecnici industrializzati. Un articolo nato dall'osservazione sul campo di vacche che, di primo pomeriggio, di mettevano in piedi, ferme, ad aspettare l'ora della mungitura (a loro, interessava la distribuzione del mangime). Ritenevo che offrendo all'allevatore l'opportunità di vedersi premiato l'impiego di razze adatte alla montagna (a duplice attitudine), vedendosi riconosciuta la qualità di un prodotto ottenuto con l'applicazione di buoni sistemi di pascolamento (atti a massimizzare l'ingestione spontanea di foraggio di pascolo), potendo ricavare dalla frequantazione turistica dei vantaggi tangibili (economici) ma anche gratificazioni non economiche (riconoscimento sociale del proprio lavoro, apprezzamento non solo economico dei propri prodotti), si sarebbe potuto rivitalizzare l'alpeggio, attirare i giovani e le donne, incentivare la formazione, stimolare il ricambio generazionale. Purtroppo queste ottimistiche aspirazioni si sono scontrate con la realtà della riforma della Pac e con l'accanirsi dei processi di globalizzazione e burocratizzazione. Da una parte l'attività degli allevatori, nei nove mesi che non si sta in alpeggio, è diventata sempre meno redditizia, dall'altra i fortissimi contributi per l'alpeggio sono stati condizionati a criteri che hanno scatenato la speculazione, hanno determinato l'accentramento nelle mani di grosse aziende, quando non di centrali della speculazione vere e proprie, di molti pascoli. L'amara conclusione è che oggi, gli incentivi alla multifunzionalità provocano l'aggravamento di queste tendenze, della crisi dell'economia montana. L'alpeggio ha sempre avuto valore nel contesto di un'integrazione tra attività zootecnica dei "nove mesi" e quella dell'alpe. Così valeva per le piccole aziende che davano a guardia i capi ai caricatori, per le grosse aziende che praticavano la transumanza. Questa integrazione è stata messa in crisi. Oggi si va a cercare animali per "avere le Uba". Come già osservato, l'alpeggio non è più un sistema che garantisce foraggiamento a costi ridotti rispetto all'impegnativa produzione foraggera dei prati, non più è un sistema che consente ai contadini-allevatori con pochi capi di restare a valle a far fieno, raccogliere cereali, vendemmiare affidando a professionisti i suoi capi, ma è un sistema per incassare facilmente centinaia di migliaia di euro.


Il paesaggio dei pascoli di Malga Vaia


Gli alpeggi servono ad Ersaf anche per sé stesso, per sviluppare i progetti che le consentano di portare a casa finanziamenti, mantenere la macchina, farsi pubblicotà

Con riferimento al bando della Malga Vaia, Ersaf poneva questi obiettivi. Come si vede la funzione alpicolturale diventa qualcosa di secondario, destinato a sparire. Gli obiettivi principali sono naturalistici. Basti osservare che il Piano di pascolamento è stato predisposto nell'ambito del progetto naturalistico LIFE GESTIRE. Poi, in subordine agli obiettivi ambientalisti (pagare tecnici ed esperti interni ed esterni all'ente per foraggiare la vasta platea di soggetti che propugnano, diffondono, sostengono le ideologie e i progetti ambientalisti). Non ultimo all'Ersaf serve anche farsi pubblicità (ma cosa serve se la Regione ha deciso di togliergli gli alpeggi? gatta ci cova).

a) Utilizzo di tutto il complesso per attività agrituristica e multifunzionale;

b) Sviluppo di partenariato economico e sociale con il territorio;

c) Attivazione di un punto informativo sulle attività di ERSAF;

d) Coinvolgimento nell’attuazione del Progetto LIFE IP GESTIRE 2020;

e) Monticazione con soggetti in lattazione attuando la mungitura Mobile sull’intero comparto pascolivo;

f) Produzione casearia tradizionale e diversificata;

g) Manutenzione ambientale;

h) Conduzione diretta da parte dei concessionari;

i) Collaborazioni e sinergie con i vari soggetti coinvolti nell’ Accordo di Foreste ALPE VAIA in via di definizione, con particolare riferimento al Comune di Bagolino;

j) Disponibilità nella gestione diretta o cogestione dei servizi a favore della pesca sportiva nel rispetto della normativa vigente;

k) Gestione della mandria e gregge secondo le indicazioni di cui alla “Sintesi del Piano di Pascolamento” predisposto nell’ambito del Progetto LIFE IP GESTIRE 20220 allegato al Capitolato di Concessione e parte integrante della concessione (Allegato B);

l) Aderire alle iniziative promosse da Regione Lombardia ed ERSAF per la promozione e valorizzazione del sistema Alpeggi dei Rifugi e della Rete Escursionistica Lombarda (REL) m)Avvio, in sinergia con ERSAF, di attività pilota-dimostrative sia in ambito agro-zootecnicolattiero caseario che ambientale.

Bagolino dai pascoli di Vaia


Una griglia di punteggi sfarinata su troppi  aspetti. 24 criteri sono troppi

Nel valutare gli aspetti, ben 24!, che concorrono al punteggio del Piano di gestione va tenuto ben presente cosa si aspetta Ersaf, ovvero i 12 obiettivi indicati prima. Chi "interpreta" la filosofia ambientalista che sta dietro quegli obiettivi ha ovviamente più possibilità di vincere. Quello che contestiamo è che:

  • - Con una sfarinatura di criteri quello che veramente conta rischia di passare in secondo piano; non ha senso in una situazione di sottopascolamento grave disperdere l'attenzione su faccende di contorno, basti considerare che l'uso dei recinti comporta 2 punti, un piano analitico di pascolo 5, significa che con tutti i punti in gioco su altri aspetti può vincere anche chi si attiene a impegni più generici su un punto chiave;

  • - Con una sfarinatura di criteri basta che su qualcuno di essi i punti siano assegnati per aver millantato qualcosa, per aver prodotto del fumo, per aver blandito il senso del politically correct della Commissione, per far fuori un concorrente che poteva dare migliori garanzie su ponti di sostanza;

  • - Su alcuni punti quali le manutenzioni ambientali (da attuare, attenzione, anche con associazioni e volontari, chiara indicazione a mettersi in sintonia con gli ambientalisti e goderne del favore), i partenariati, le iniziative promozionali, il rischio di valutazione soggettiva delle proposte formulate è ovviamente più elevato (le Uba sono Uba, così come i dati relativi all'anagrafe aziendale e dei titolari ecc.) tanto che, proposte altisonanti e capaci di "sintonizzarsi" sui desiderata dell'Ersaf, potrebbero facilmente "scroccare" punti.





In complesso il sistema risulta distorsivo rispetto all'obiettivo principale di mantenimento e valorizzazione agrozoocasearia dei pascoli, tende palesemente a favorire soggetti con capacità di elaborazione progettuale "fumogena", una capacità che - vorrei essere smentito - è inversamente proporzionale a quelle doti aziendali si concretezza, competenza, passione , esperienza che rappresntano le vere garanzie. Altro che i punti.

Lasciar perdere i fronzoli che finiscono per avvantaggiare i professionisti dell'aggiudicazione di alpeggi e concentrare obiettivi e richieste di requisiti sulla sostanza, quella sostanza che oggi sta pericolosamente venendo meno. Garantire, piuttosto, alle aziende famigliari, agli allevatori ordinari, un supporto da parte della Regione e degli enti territoriali per lo sviluppo di quelle attività multifunzionali (turistiche, educative, sportive, culturali) che non devono rappresentare un discrimine per accedere a una buona gestione del pascolo e alla produzione di buoni formaggi.

 

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(vedi qui) organizzato a settembre, a seguito alla mancata celebrazione della tradizionale Festa delle giovenche di razza rendena, annullata dagli allevatori per protesta contro la mafia dei pascoli (vedi qui). Intorno alla mafia dei pascoli ruota un sistema che spesso comporta sfuttamento del lavoro, mancato pagamento di pastori, movimenti equivoci di bestiame, mancato rispetto del benessere animale. Ci sarebbe tanta materia per i controlli degli enti competenti (Forestale, servizi veterinari, ispettorato del lavoro, magistratura, Asuc e comuni proprietari dei pascoli). Ma nulla si muove e il sospetto, a questo punto lecito, è che ci siano coperture e favoreggiamenti. Tanto più che in val Rendena anche il capitolo stoccaggio (e spandimendto) del liquame delle maxi stalle (senza terreno a sufficienza) si presta al sospetto di colpevoli omissioni.

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