(07/04/2022) Lombardia - Aggiornamento: ai primi (o secondi) degli esclusi del bando delle due malghe è stato comunicato
che sono state aggiudicate a loro. Esce di scena quindi la coop romana che aveva ottenuto il maggior punteggio.
Resta valido tutto quanto riportato nell'articolo circa i criteri dei bandi. Sarà interessante capire
quali motivi di irregolarità abbiano determinato, dopo successive verifiche - l'esclusione di coloro che apparivano vincitori.
Difficile pensare che soggetti esperti, che si sono già aggiudicati molti alpeggi, anche in Lombardia, non posseggano i requisiti.
Difficile pensare a errori da parte di chi ottiene il punteggio massimo (100 su 100 punti).
(08/04/22) - Ulteriore aggiornamento. Il colpo di scena che si è verificato nell'aggiudicazione delle malghe Vaia e Stabil fiorito
sarebbe stato possibile, in attesa di comunicati dell'Ersaf, in forza di una riconvocazione della Commissione valutatrice che avrebbe corretto
gli errori commessi in precedenza. Tutto molto singolare. Ci si augura che venga fatta chiarezza e ci si chiede cosa succeda in assenza di contestazioni e di clamore che spingono a emendare gli "errori".
.
Attraverso un bando indetto dall'Ersaf, l'ente
regionale per i servizi all'agricoltura e alle foreste, ha assegnato
con nella compagine una coop con sede a Camerata Nuova
(Roma), un paese di 400 abitanti al confine tra Lazio e Abruzzo, due alpeggi in provincia di Brescia di proprietà della
regione Lombardia (Alpe Vaia, in comune di Bagolino in val Sabbia e
Alpe Stabil Fiorito, in comune di Bovegno in val Trompia) per
complessivi 800 ha. La stessa coop si
era aggiudicata, nel 2017, una malga del comune di Bovegno (altri 300 ka) mentre un'altra più nota coop,
con sede allo stesso indirizzo laziale, era riuscita lo scorso anno ad avere la conferma dell'Alpe di Bobbio (in
Valsassina - Lc)
, un'altra grande alpe di oltre 500 ha.
Un personaggio di riferimento di queste coop - con ruolo di presidente in una e di vice-presidente nell'altra (dove il presidente
è un ragazzo di 19 anni) - è residente a L'Aquila, ma
nato e operante in provincia di Cuneo.
Nel 2015 fu
arrestato insieme al fratello (anch'egli con ruolo di amministratore) e al padre per una serie di pesanti accuse legate
a presunte truffe sui pascoli. Furono assolti nel 2019 (tutti i processi di
questo tipo finiscono così perché siamo di fronte a regole che consentono tanti
modi per essere aggirarate restando nei limiti del lecito). Dalle indagini
emerse, in ogni caso, un vasto giro di affitti di migliaia di ettari e
sistemi di subaffitto. Forse inutile aggiungere che tra gli amministratori ci sono
anche altri congiunti (a suo tempo anch'essi inquisiti e assolti) dei due fratelli. Il punto, comunque, è che l'Ersaf, in presenza di
sette concorrenti, ha premiato la coop "romana" non in base
all'offerta economica, ma in forza di criteri di valutazione del "piano
di gestione" un po' cervellotici.
Come in Trentino, anche in Lombardia, la speculazione sugli alpeggi, parlando in generale, si
è fatta furba e ha imparato che non è più necessario, almeno tranne
dove i comuni non sono particolarmente bramosi di far cassa, offrire
cifre spropositate per accaparrarsi gli alpeggi e fare fuori la
concorrenza. Così risparmiano soldi che in parte
impiegano per pagare le parcelle di avvocati tra i più di grido sulla scena nazionale,
consulenti, tecnici, figure ben
introdotte nelle logiche del sistema, in
grado di scrivere paginate e paginate, produrre carte, dichiarazioni,
che servono solo a cucinare con abilità dei punteggi e battere la concorrenza.
Poi, tanto, di solito non si controlla, non si impugnano i
capitolati, non si rescindono i contratti. Di solito si concede il rinnovo anche a chi non possedeva certi
requisiti e non ha messo in atto le azioni previste. Grave quando succede nel
caso di comuni, più grave quando i comuni si appellano alla virtuose e
politicamente correttissime Linee guida delle regioni, gravissimo
quando sono le regioni stesse a concedere le loro proprietà di pascoli
con queste modalità.
Per lavarsi la coscienza, le istituzioni hanno da qualche hanno
spinto le amministrazioni pubbliche (in Trentino oltre ai comuni anche le Asuc, che
gestiscono gli usi civici) a minimizzare il peso delle offerte
economiche. Ai fini del punteggio utile per la gara di aggiudicazione
conta quindi, sino all'80%, il virtuosismo cartaceo dei piani di
gestione, così per le linee guida della Provincia autonoma di Trento.
In Lombardia le "Linee guida per la gestione delle malghe e l'esercizio
dell'attività di alpeggio" (Dgr del 4/2/2019) prevedono che i comuni e
gli altri proprietari pubblici si attengano, per il peso dell'offerta economica ai fini dell'aggiudicazione degli alpeggi, a una forbice tra il 20 e
il 40%. Il bando di gara deve pertanto prevedere la presentazione di
una proposta di gestione la cui valutazione determina l'assegnazione
degli altri 80-60 punti nella graduatoria. Il Piano di gestione
presentato dall'azienda (citiamo dalle Linee guida): descrive sinteticamente l'organizzazione
aziendale, l'attività e gli impegni che il richiedente intende
sviluppare nel periodo di concessione/affitto in relazione agli
obiettivi generali e specifici stabiliti dall'Ente nel bando di gara.
In particolare la proposta di gestione di una malga dovrebbe
indicativamente articolarsi nei seguenti paragrafi:
- - presentazione dell'azienda
proponente;
- - motivazioni ed obiettivi della
gestione dell'alpe;
- - personale impiegato per
la gestione dell'alpe;
- - bestiame monticato;
- - modalità di utilizzo del
pascolo;
- - tipologia delle produzioni
aziendali d'alpeggio;
- - eventuale attività
agrituristica;
- - coinvolgimento di partner
pubblici e privati;
- - sviluppo della filiera corta;
eventuali iniziative di formazione;
- - sperimentazione di
modalità innovative di utilizzo del pascolo e delle produzioni
lattiero-casearie;
- - sperimentazione di
modalità innovative di utilizzo del pascolo e delle produzioni
lattiero-casearie;
- - investimenti previsti e
modalità del loro recupero;
- - eventuali problematiche e
criticità per l'attuazione della proposta di gestione.
Ai fini della valorizzazione degli alpeggi, le Linee guida prevedono che il
Capitolato per incentivare la buona gestione preveda delle riduzioni
del canone legate al raggiungimento di determinati obiettivi "virtuosi",
concordati tra l'affittuario e la proprietà pubblica. Gli obiettivi
virtuosi comprendono: la promozione
della multifunzionalità dello spazio alpestre mediante la realizzazione
di eventi e di iniziative eco-turistiche, didattico ambientali,
ricreative, rivolte in particolare al mondo della scuola e con il
coinvolgimento delle realtà locali; lo sviluppo di iniziative di
comunicazione e promozione della attività svolta nella malga/alpeggio (sito internet, pubblicazioni a stampa,
gadget ecc); iniziative
didattiche, ricreative e animazioni (dimostrazioni, degustazioni,
visite guidate, spettacoli culturali,
ecc...); la partecipazione
alla realizzazione di attività sperimentali ed innovative nelle
gestione dell’alpeggio anche
in relazione agli aspetti di salvaguardia e promozione della cultura e
delle tradizioni locali; la
partecipazione ad attività di formazione del personale d'alpe; la realizzazione d'interventi di
valorizzazione del pascolo e di manutenzione e salvaguardia e presidio ambientale; lo sviluppo d'iniziative per la
promozione della filiera corta;
il ricorso a manodopera occasionale scelta tra studenti di scuole od
università del settore agro ambientale
nel rispetto delle vigenti normative sul lavoro; lo sviluppo di forme e modalità di
integrazione e sinergia con le comunità locali; coinvolgimento di
operatori turistici e culturali in
iniziative finalizzate a promuovere l'attività d'alpeggio.
A leggere questi libri dei sogni, che però la Regione, precisiamo
ancora, si limita a proporre e non impone (condizionandoli ad una
riduzione dei canoni d'affitto, oltretutto e non quali criteri di
aggiudicazione) pare che ci si riferisca a un altro pianeta. Oggi la
realtà vede metà degli alpeggi lombardi in mano a soggetti estranei al
territorio. In parte sono allevatori veri, allevatori di montagna che
non riescono a trovare pascoli a casa loro (spesso a causa della
speculazione) e che devono muoversi a "caccia di bandi" in altre valli e
in altre provincie. Molti, però, sono gli speculatori puri o soggetti
che, da allevatori, sono diventati speculatori, ovvero imprenditori
del contributo, dove il fine principale dell'attività non è la produzione
zootecnica. Gli animali servono a "fare Uba", a vincere le aste
dimostrandone la disponibilità ma meno costano meglio è e la produzione di
latte e carne diventa una voce secondaria di entrata a cui si farebbe anche a
meno. Per questi soggetti, l'attività imprenditoriale ha per oggetto le
carte e la competitività si misura nella capacità di coordinare una complessa
organizzazione disponendo di avvocati, commercialisti, tecnici, in
grado di massimizzare l'incasso dei contributi sui titoli della Pac
(più introiti minori come l'indennità compensativa).
In che mondo vive la burocrazia?
Nel mondo delle fiabe delle Linee
guida si parla di sperimentazioni, tecniche innovative,
promozione della valenza culturale dell'alpeggio, produzioni di
eccellenza e diversificate. La realtà, prodotto anche dalla deriva determinata dall'oggettiva connivenza burocratica con
i forti interessi speculativi, è quella di alpeggi sempre più
sottocaricati, pascolati in modo sempre meno uniforme, affidati a
personale straniero privo di adeguate competenze, spesso mandato allo
sbaraglio. La realtà è fatta, troppo spesso, di alpeggi dove, anche
quando le strutture per la caseificazione sono state messe a norma,
ristrutturate a spese del contrinuente, sono caricate bestie da carne, asinelli. Dei controlli
dei comuni, che non hanno spesso interesse, capacità e coraggio per
esercitarli, molti titolari di contratti di affitto di alpeggi non
hanno alcun timore. Così non si attengono al carico prescritto nei
capitolati, alla produzione casearia, quando prevista, ma sono solo attenti, perché si rischia di perdere i contributi e
- oltre certi limiti il penale per truffa sui contributi comunitari - a
mantenere il minimo previsto per ottenere i contributi sui titoli (0,2
Uba / ha per 60 giorni di alpeggio).
Gli allevatori "ordinari", le aziende famigliari, in questo contesto, utilizzano i contributi sui
pascoli per raddrizzare un bilancio che, per chi basa la propria
attività e il proprio reddito 365 giorni all'anno sulla produzione
zootecnica, è sempre più in passivo. Senza quei contributi nessun investimento,
, nessun ammortamento, sarebbe possibile. Pochi sono i comuni che
sono interssati a ridurre il canone per chiedere tutte quelle
prestazioni virtuose sopra elencate. Pochissime le aziende che, anche
di fronte a una riduzione di canoni, potrebbero essere in grado di
dedicarsi a quelle attività multifunzionali che, sulla carta, sarebbero
quanto mai interessanti nella prospettiva di un rilancio dell'alpeggio.
Per poterle svolgere, però, non basta un incentivo economico, servirebbero dei
supporti, servirebbe un rapporto organico con gli istituti di
istruzione e formazione, con le istituzioni culturali, le associazioni,
l'impegno degli stessi comuni e comunità montane, consorzi forestali,
parchi. Ma questo queste istituzioni sono interessate all'alpeggio? Che
sensibilità hanno nei suoi confronti? Senza l'impegno delle istituzioni
territoriali e della regione a collegare il mondo dell'alpeggio con
queste realtà, verso le quali la singola azienda agricola ordinaria viene chiamata
a collaborare senza averne gli strumenti, tutto resta sulla carta.
Così solo chi è più scaltro può, sempre sulla carta, presentarsi come
virtuoso.
L'Ersaf,
tesa a favorire "gestioni virtuose" (sulla carta), concede i pascoli di proprietà
regionale a soggetti protagonisti, a livello nazionale, della corsa
ai contributi sui pascoli. Una storia che pare impossibile
Tutto quello che abbiamo detto a proposito delle Linee guida e dei
comuni diventa grottesco quando si passa a vedere come si comporta
Ersaf nell'assegnazione degli alpeggi. Se quel mondo immaginario di
"gestioni virtuose" fa a pugni con la realtà degli alpeggi di proprietà
comunale, se passiamo a considerare quelli gestiti dall'Ersaf del
demanio regionale, ci si imbatte in situazioni che che si fa fatica a credere. Teso al
virtuosismo, alla correttezza politica, ambientalista,
multifunzinalista, Ersaf pone basi d'asta più basse rispetto a
quelle dei comuni (per Malga Vaia, di 530 ha la base d'asta era di 16
mila euro, è stata aggiudicata poco di più). Ersaf considera solo per il 20% del punteggio totale l'offerta
economica ma, questo è il punto - pensando di sentirsi in dovere di
dare l'esempio virtuoso ai comuni - invece di applicare sconti per chi
tenta o finge di aderire al "libro dei sogni" del catalogo delle azioni
multifunzionali, lo impone come condizione per acquisire punteggio.
Così assegna gli alpeggi a chi ha alle spalle delle organizzazioni, degli studi professionali
che conoscono i meccanismi burocratici, la contorta forma mentis, il linguaggio della burocrazia e
che sono adusi all'arte di compiacerla per farsi passare progetti e finanziamenti.
Anche il meccanismo delle ATI (associazioni temporanee di impresa) viene abilmente utilizzato da questi
soggetti, distorcendone le finalità. Chi indovina il modo di ragionare della Commissione ha
più possibilità di vincere. Risultato: un disastro. 800 ha
finiti in un colpo a una coop che risulta tra gli esponenti di spicco delle
annose vicende della corsa (sia pure lecita) ai contributi sui pascoli. Una barzelletta, se non fosse un
dramma.
Se qualcuno non fosse convinto di quanto andiamo asserendo non
può far altro che andare a vedere la documentazione sul bando per la
concessione dell'Alpe Vaia (la più grossa "portata a casa" dalla coop "romana"
che si trova alla pagina dedicata del sito Ersaf (vai)
Dalla pagina si scaricano: a) il Piano di Pascolamento, b) il Bando,
c) il capitolato di concessione. Chi avesse tempo e voglia di
documentarsi lo faccia, perché sono letture istruttive.
Il lago di Vaia. Si nota come il rodoreto
(Rhododendron
ferrugineum) e l'alneto (Alnus viridis) abbia invaso anche superfici a
giacitura favorevole a causa del sottopascolamento, della logica
ambientalista che riduce il carico progressivamente con la riduzione
della superficie per via di un puro ideologismo "naturalista"
Ersaf vuole che i pascoli si
rinaturalizzino. Le belle parolone nascondono solo l'ideologia
ambientalista del rewilding.
Sulla carta Ersaf è l'ente per i servizi agricoli e forestali. Ma
l'anima è qualla forestalista della vecchia ARF (Azienda regionale
delle Foreste) che si è fatta nel tempo ambientalista. Un tempo ARF era improntata al forestalismo
assistenzialistico (era feudo del PSI). In Calabria, Sicilia, Valle
d'Aosta questa funzione è ancora viva ma in Lombardia, regione
"avanzata", ai cantieri forestali,
ai vivai forestali che davano lavoro e voti, è stata sostituita
l'ideologia ambientalista che procura finanziamenti europei. Così Ersaf
si è fatto promotore della costituzione di una serie di aree protette
(Riserve naturali, Siti Natura 200, ZPS, Sic) che servono a foraggiare
schiere di naturalisti vicini alle organizzazioni ambientaliste. Basta
finanziare studi e ovunque si trova l'endemismo, l'area umida, la
specie in via di estinzione rara (ma di solito comune), la
farfalla, la felce. Come ormai abbiamo imparato bene, tutte
queste "emergenze naturalistiche" non sono che meri pretesti per
introdurre vincoli, per mettere le mani del mondo ambientalista sul
territorio, per far avanzare il controllo di chi sta in ufficio, della
città, della burocrazia sul territorio agrosilvopastorale, per espropriare i rurali. Un
territorio che, nei secoli, essi erano riusciti a riscattare dal
controllo dei poteri feudali e che poi la modernità e lo stato
nazionale, i corpi forestali, l'ambientalismo gli hanno sottratto pezzo
a pezzo. In ultimo sono arrivati gli orso-lupisti. L'obiettivo è la cessazione delle attività tradizionali e
quindi del "disturbo antropico" e l'imposizione di un grande "Parco
delle Alpi" senza pastori, senza contadini, senza boscaioli, senza
cacciatori, senza fungiat, senza turisti se non quelli super ricchi che
verranno a fare i "safari" accompagnati da guide e guardie armate e che
risideranno in poche stazioni turistiche d'élite in resort a 7 stelle.
Il resto servirà per sfruttare l'acqua, le risorse minerarie, le
biomasse e a dar lavoro agli ecoburocrati. Distopia? Ogni giorno
arrivano nuove conferme.
Ersaf vuole la rinaturalizzazione degli alpeggi. A parole non lo
proclama apertamente, nei fatti sì. Ma la Regione Lombardia è
d'accordo? I politici sono d'accordo? La dimostrazione di quanto
asseriamo è meno provocatoria di quanto sembri, non è difficile, anzi.
Basta leggere il loro Piano di
Pascolamento. Basta vedere quale carico viene indicato oggi come
ottimale e confrontarlo con il carico del passato. Nella mappa della
Malga Vaia sotto riportata (tratta dal Piano di pascolo dell'Ersaf) si vede come le
superfici a pascolo siano già molto ridotte (i burocrati si attengono a
categorie di esclusione dal pascolo in base alla pendenza e al
pascolamento perché non conoscono le reali modalità di pascolo degli
animali e si orientano in base a criteri fissati a tavolino da
agronomi-forestali ignorando le conoscenze dei pastoralisti). Lo vede anche un bambino che gli ovicaprini e le manze
(spesso anche le vacche) possono pascolare anche dove "non è previsto". Ma oltre ad escludere
aree di pascolo sulla base di considerazioni fatte a tavolino, molte
aree sono state escluse (quelle in viola) perché classificate "superfici
idromorfe" (umide nel linguaggio di chi vuole farsi comprendere). Le sacre torbiere (area
rossa) devono essere recintate. Con tutte quelle aree off limits non è
facile gestire il pascolo. Ovviamente chi vuole il pascolo (i
contributi) si impegna a farlo. Oltre a non pascolare nelle aree viola
non si può neppre passare.
Vediamo ora la condizione dei diversi settori
del pascolo.
Cascinello: L’area si presenta in gran parte sotto caricata da tempo con conseguente riduzione della superficie pascoliva per invasione di rododendri e mirtilli.
Val dei corni: Fatta eccezione per la porzione posta più a sud, l’area si presenta in gran parte sotto caricata da tempo con conseguente riduzione della superficie pascoliva per invasione di rododendri e mirtilli.
La Marla: L’area si presenta in gran parte sotto caricata da tempo con conseguente riduzione della superficie pascoliva per invasione di rododendri e mirtilli.
Malga di mezzo/Malga di fondo: L’area presenta vaste zone con accumulo di fertilità per sovracarico soprattutto nelle vicinanze delle abitazioni ed a valle della strada di accesso al laghetto e Malga di Mezzo.
Punta Setteventi: L’area si presenta in gran parte sottocaricata da tempo con conseguente riduzione della superficie pascoliva per invasione di rododendri, mirtilli o addirittura arbusti e alberi.
Monte Matto: L’area si presenta in gran parte sottocaricata da tempo con conseguente riduzione della superficie pascoliva per invasione di rododendri e mirtilli.
Se sei settori di pascolo, cinque sono interessati da
"sottopascolamento da tempo", uno solo da sovrapascolamento (che si
traduce in infestazione di Rumex
alpinus, slavazze,
buone solo per essere usate cotte come pastone per i maiali, ovvero
suolo nudo e sovraccarico di nitrati). In tutti gli altri settori il
pascolo si perde di anno in anno e avanza il cespuglieto (dove poi si
inseriscono le conifere). Dal momento che da decenni Ersaf gestisce
l'alpeggio, che si sono succedute diverse gestioni, che l'ente era ed è
dotato di abbondante personale (dottori forestali e periti agrari) come
spiegare tutto questo? Vero che oggi le sciagurate politiche del
passato (europee e regionali) hanno portato ad allevare, anche in
montagna, la frisona e la brown swiss, macchine da latte che su pascoli
alpini non ottimali non si trovano certo a loro agio (a meno che non
ricevano 4-5 o più kg di mangime ad alta energia), che era difficile
trovare in zona aziende con numerosi capi da latte ma questo
"sottopascolamento" è cronico ed è legato anche a una cattiva gestione
(piano effettivo di pascolamento) e non solo a un carico totale
insufficiente. Invece di chiedere i virtuosismi multifunzionali (ci
torniamo tra poco) un ente che avesse voluto conservare i pascoli
concentrava i criteri di assegnazione sull'adeguatezza del carico. Le
formule flessibili per mettere insieme un carico (società, associazioni
temporanee, affidamento "a guardia") ci sono sempre state e si possono
utilizzare ancora oggi. Per evitare le speculazioni (che riescono
sempre ad aggirare i paletti stante l'impostazione alla base distorta
del sistema dei titoli e del basso carico di pascolo ritenuto più "ecologico") si è imposto di disporre di bestiame di
proprietà in buona misura. Così i meno spregiudicati sono messi in
difficoltà, i professionisti dell'aggiudicazione di alpeggi riescono sempre a risultare in regola. Fatto sta che
Ersaf, di fronte al pascolo che si restringe, per sua negligenza, riduce
il carico. Così il cane si morde la coda e il processo di
"rinaturalizzazione" (che piace ai burocrati ambientalisti),
avanza.
E' vergognoso che, mentre si assegnano un sacco di punti per i "virtuosismi" che
resteranno sulla carta, sul punto chiave del carico e
sulla composizione in specie di questo carico si diamo poche
indicazioni e per di più elastiche: il
carico annuale per i 90 giorni di pascolo è fissato a 200 UBA di cui
almeno 20 UBA di Ovi Caprini e 80 UBA in lattazione con l’obbligo di
effettuare la mungitura con mungitrice mobile direttamente sul pascolo
limitando quanto più possibile la permanenza nella stessa area.
Se si concede che 100 Uba coincidano con animali da carne o comunque
asciutti, va da sé che il pascolo, sino a non molto anni fa utilizzato
da vacche da latte per la maggior parte, sia destinato a
regredire perché, lo sanno tutti, tranne forse i burocrati, che quello
che mangia 1 Uba di vacca da latte è molto di più di quello che mangia
1 Uba di vacca asciutta o nutrice non allattante. Ovicaprini: la Malga
Vaia era la malga comunale dove caricavano i piccoli allevatori
stanziali. Tutte gli altri "monti", prima si diceva così, ("malga" è un
burocratismo recente, ma ai burocrati piace imporsi amche nel lessico e uniformare e annullare
la tradizione locale),
erano affittati ai malghesi transumanti. Il risultato è che a Vaia vi
erano parecchi ovicaprini. Oggi Ersaf chiede "almeno 20 Uba di
ovicaprini". Pochi anni fa il rosc
delle capre aveva la consistenza delle foto sotto. Le capre erano munte
(almeno in parte). Le chiacchere sui prodotti tipici sono aumentate, la
produzione e la diversificazione della produzione sono diminuite. Ma la
macchina dell'Erfaf (storicamente ricco di dirigenza) è costata molto.
Denaro del contribuente che non è stato utilizzato per implementare beni pubblici ma li ha
depauperati. Va anche ricordato, che pur avendo sempre la regione
somministrato molte risorse a Ersaf per la ristrutturazione dei
fabbricati, le opere da esso eseguite (anche a Vaia) non sono migliori
di quelle eseguite dai comuni. Bene
ha fatto l'assessore Rolfi a decidere, a fine del 2020, di cedere gli
alpeggi Ersaf ai comuni. Aspettiamo con ansia che la cosa sia attuata
ma non vorremmo che, nelle more, intercorrendo poi elezioni e una nuova
legislatura tutto rischi di restare come prima (l'inerzia autoconservativa di
enti che servono in primis a garantire privilegi e che sono un sistema
di comode porte girevoli per gli stessi burocrati delle direzioni
generali, è proverbiale). Per la cronaca gli unici che si sono spesi per difendere Ersaf sono il PD e Legambiente.
Questo il gregge di capre da latte di
Malga Vaia (anno 2007, foto Corti)
Multifunzionalità? Strumentalizzata a fin di male
Veniamo finalmente, dopo queste considerazioni al busillis, al come
fa la coop"romana" a portare a casa in una botta due
alpeggi dell'Ersaf per 800 ha. Come abbiamo già visto, sulla sostanza
Ersaf insiste poco. Capre, pecore, vacche asciutte, vacche da carne,
vacche in lattazione? Fate un pò voi. Non parliamo della razza, che
invece sarebbe un punto qualificante, perché con razze adatte alla
montagna gli alpeggi si recuperano o si mantengono certo meglio. Troppa finezza.
Mentre, nella sostanza, Ersaf è lassista, sui
virtuosismi multifunzionali, è esigente. Qualcuno
potrebbe rinfacciarmi che proprio io ho sostenuto e teorizzato
l'alpeggio multifunzionale (eseguendo anche una ricerca sul campo e a
tavolino sugli alpeggi dell'Ersaf per conto della Regione vai
al lavoro pubblicato). Sulle tematiche della valenza
turistica e, in generale multifunzionale, dell'alpeggio vedi anche il
mio studio Alpeggio
e turismo: uovo di colombo o incontro difficile? . Mi sono
rimangiato totto? Per niente. Non sono passati molti anni da quando mi
sono occupato delle tematica ma pare sia passato un secolo. Allora mi
preoccupavo di contrastare la tendenza a produttivistica che si
traduceva nella trasformazione degli alpeggi in mungimifici dove, con
ampio utilizzo di mangimi, si puntava ad elevate produzioni con vacche
da latte spinte (dicevano che i mangimi erano necessari anche per le
produzioni dop, "per il benessere animale"). La minaccia 10-15 anni fa
era costituita dal cattivo utilizzo dei carri di mungitura, poco o
nulla spostati, dove di distribuiva mangime in abbondanza. Ho scritto
moltissimi articoli sull'argomento, cito solo Quando
l'alpeggio diventa appendice dei sistemi zootecnici industrializzati.
Un articolo nato dall'osservazione sul campo di vacche che, di primo
pomeriggio, di mettevano in piedi, ferme, ad aspettare l'ora della
mungitura (a loro, interessava la distribuzione del mangime). Ritenevo
che offrendo all'allevatore l'opportunità di vedersi premiato l'impiego
di razze adatte alla montagna (a duplice attitudine), vedendosi
riconosciuta la qualità di un prodotto ottenuto con l'applicazione di
buoni sistemi di pascolamento (atti a massimizzare l'ingestione
spontanea di foraggio di pascolo), potendo ricavare dalla
frequantazione turistica dei vantaggi tangibili (economici) ma anche
gratificazioni non economiche (riconoscimento sociale del proprio
lavoro, apprezzamento non solo economico dei propri prodotti), si
sarebbe potuto rivitalizzare l'alpeggio, attirare i giovani e le donne,
incentivare la formazione, stimolare il ricambio generazionale.
Purtroppo queste ottimistiche aspirazioni si sono scontrate con la
realtà della riforma della Pac e con l'accanirsi dei processi di
globalizzazione e burocratizzazione. Da una parte l'attività degli
allevatori, nei nove mesi che non si sta in alpeggio, è diventata
sempre meno redditizia, dall'altra i fortissimi contributi per
l'alpeggio sono stati condizionati a criteri che hanno scatenato la
speculazione, hanno determinato l'accentramento nelle mani di grosse
aziende, quando non di centrali della speculazione vere e proprie, di
molti pascoli. L'amara conclusione è che oggi, gli incentivi alla
multifunzionalità provocano l'aggravamento di queste tendenze, della
crisi dell'economia montana. L'alpeggio ha sempre avuto valore nel
contesto di un'integrazione tra attività zootecnica dei "nove mesi" e
quella dell'alpe. Così valeva per le piccole aziende che davano a
guardia i capi ai caricatori, per le grosse aziende che praticavano la
transumanza. Questa integrazione è stata messa in crisi. Oggi si va a
cercare animali per "avere le Uba". Come già osservato, l'alpeggio non
è più un sistema che garantisce foraggiamento a costi ridotti rispetto
all'impegnativa produzione foraggera dei prati, non più è un sistema che
consente ai contadini-allevatori con pochi capi di restare a valle a
far fieno, raccogliere cereali, vendemmiare affidando a professionisti
i suoi capi, ma è un sistema per incassare facilmente centinaia di
migliaia di euro.
Il paesaggio dei pascoli di Malga Vaia
Gli alpeggi servono ad Ersaf anche
per sé stesso, per sviluppare i progetti che le consentano di portare a
casa finanziamenti, mantenere la macchina, farsi pubblicotà
Con riferimento al bando della Malga Vaia, Ersaf poneva questi
obiettivi. Come si vede la funzione alpicolturale diventa qualcosa di
secondario, destinato a sparire. Gli obiettivi principali sono
naturalistici. Basti osservare che il Piano di pascolamento è stato
predisposto nell'ambito del progetto naturalistico LIFE GESTIRE. Poi,
in subordine agli obiettivi ambientalisti (pagare tecnici ed esperti
interni ed esterni all'ente per foraggiare la vasta platea di soggetti
che propugnano, diffondono, sostengono le ideologie e i progetti
ambientalisti). Non ultimo all'Ersaf serve anche farsi pubblicità (ma
cosa serve se la Regione ha deciso di togliergli gli alpeggi? gatta ci
cova).
a) Utilizzo di tutto il complesso per attività agrituristica e
multifunzionale;
b) Sviluppo di partenariato economico e sociale con il territorio;
c) Attivazione di un punto informativo sulle attività di ERSAF;
d) Coinvolgimento nell’attuazione del Progetto LIFE IP GESTIRE 2020;
e) Monticazione con soggetti in lattazione attuando la mungitura
Mobile sull’intero comparto pascolivo;
f) Produzione casearia tradizionale e diversificata;
g) Manutenzione ambientale;
h) Conduzione diretta da parte dei concessionari;
i) Collaborazioni e sinergie con i vari soggetti coinvolti nell’
Accordo di Foreste ALPE VAIA
in via di definizione, con particolare riferimento al Comune di
Bagolino;
j) Disponibilità nella gestione diretta o cogestione dei servizi a
favore della pesca sportiva nel rispetto della normativa vigente;
k) Gestione della mandria e gregge secondo le indicazioni di cui
alla “Sintesi del Piano di Pascolamento” predisposto nell’ambito del
Progetto LIFE IP GESTIRE 20220 allegato al Capitolato di Concessione e
parte integrante della concessione (Allegato B);
l) Aderire alle iniziative promosse da Regione Lombardia ed ERSAF
per la promozione e valorizzazione del sistema Alpeggi dei Rifugi e
della Rete Escursionistica Lombarda (REL)
m)Avvio, in sinergia con ERSAF, di attività pilota-dimostrative sia in
ambito agro-zootecnicolattiero caseario che ambientale.
Bagolino dai pascoli di Vaia
Una griglia di punteggi sfarinata su
troppi aspetti. 24 criteri sono troppi
Nel valutare gli aspetti,
ben 24!, che concorrono al punteggio del Piano di gestione va tenuto
ben presente cosa si aspetta Ersaf, ovvero i 12 obiettivi indicati
prima. Chi "interpreta" la filosofia ambientalista che
sta dietro quegli obiettivi ha ovviamente più possibilità di vincere.
Quello che contestiamo è che:
- - Con una sfarinatura di criteri
quello che veramente conta rischia di passare in secondo piano; non ha
senso in una situazione di sottopascolamento grave disperdere
l'attenzione su faccende di contorno, basti considerare che l'uso dei
recinti comporta 2 punti, un piano analitico di pascolo 5, significa
che con tutti i punti in gioco su altri aspetti può vincere anche chi
si attiene a impegni più generici su un punto chiave;
- - Con una sfarinatura di criteri
basta che su qualcuno di essi i punti siano assegnati per aver
millantato qualcosa, per aver prodotto del fumo, per aver blandito il
senso del politically correct della Commissione, per far fuori un
concorrente che poteva dare migliori garanzie su ponti di sostanza;
- - Su alcuni punti quali le
manutenzioni ambientali (da attuare, attenzione, anche con associazioni
e volontari, chiara indicazione a mettersi in sintonia con gli
ambientalisti e goderne del favore), i partenariati, le iniziative
promozionali, il rischio di valutazione soggettiva delle proposte
formulate è ovviamente più elevato (le Uba sono Uba, così come i dati
relativi all'anagrafe aziendale e dei titolari ecc.) tanto che,
proposte altisonanti e capaci di "sintonizzarsi" sui desiderata
dell'Ersaf, potrebbero facilmente "scroccare" punti.
In complesso il sistema
risulta distorsivo rispetto all'obiettivo principale di mantenimento e
valorizzazione agrozoocasearia dei pascoli, tende palesemente a
favorire soggetti con capacità di elaborazione progettuale "fumogena",
una capacità che - vorrei essere smentito - è inversamente
proporzionale a quelle doti aziendali si concretezza, competenza,
passione , esperienza che rappresntano le vere garanzie. Altro che i
punti.
Lasciar perdere i fronzoli
che finiscono per avvantaggiare i professionisti dell'aggiudicazione di
alpeggi e concentrare obiettivi e richieste di requisiti sulla
sostanza, quella sostanza che oggi sta pericolosamente venendo meno.
Garantire, piuttosto, alle aziende famigliari, agli allevatori ordinari, un supporto da
parte della Regione e degli enti territoriali per lo sviluppo di quelle
attività multifunzionali (turistiche, educative, sportive,
culturali) che non devono rappresentare un discrimine per accedere a
una buona gestione del pascolo e alla produzione di buoni formaggi.