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S'il existe une espèce en voie de disparition dans notre Arc Alpin, c'est l'Homme Alpin, qu'il faut protéger.
Dichiarazione di Georges Sfoffel all'incontro al col du Glandon in Francia (tra Oisans e Maurienne ) del 19 agosto 2017
Articoli correlati
Si
fanno più gravi gli attacchi dei lupi nel comasco
(20.08.17) In val
Cavargna, 30 capre risultano morte o disperse a seguito degli attacchi
di un branco di tre lupi che seguono a ruota quelli della Valbrembana.
Insieme alle notizie che arrivano dalla montagna veneta questi episodi
indicano che è in atto una vera e propria escalation. Che condurrà ad
una conflittualità come mai si era vista prima in Italia.
Il
lupo causa gravi perdite a un gregge della Valbrembana
(11.08.17) A
Foppolo, in alta Valbrembana in alcuni giorni di ripetuti attacchi un
giovane lupo uccide 26 pecore. Per essere creduto il pastore deve
"beccare" il lupo con la fototrappola. Preoccupazione per i greggi ma
anche per chi frequenta la montagna a ferragosto
La
politica "verde"
gestita
da burocratiignoranti
(i lupi nel Parco Ticino)
(8.07.17) Nell'esultare per la presenza del lupo nella valle del Ticino
al direttore del Parco lombardo, Claudio Peja, è sfuggita una
bestialità. L'arch. Peja ha dichiarato: "Dal Medioevo non c’è più
stato un lupo in pianura . Per noi è una grande notizia". Peccato che
ancora all'inizio dell'Ottocento i numerosi lupi della valle del Ticino
sbranassero non solo le pecore ma anche i fanciulli.
(17.03.17) Il
lupo e la politica (a Bergamo, e alta Italia, duecento anni fa)
Come
abbiamo
già avuto di osservare in altre occasioni, l'opera di Mario
Comencini sull'antropofagia del lupo ha messo bene in
evidenza come la radicata paura del lupo nella cultura rurale
fosse assolutamente giustificata. Giustificata dalla frequenza di
aggressioni, anche letali, agli umani, specie fanciulli. Il lupo
storico è nemico dell'uomo e pericoloso. E' il lupo ideologico "da
favola all'incontrario" degli animal-ambientalisti che costituisce un
mito.
(09.03.17)
La risposta della pastora agli animalisti
Anna Arneodo replica al qualunquismo animalista (quello del: "Tanto li
rimborsano, che c...o si lamentano sti pastori"?) e ribatte: "Vi
farebbe piacere che il lupo uccidesse il vostro barboncino e
comprarvene un altro con i soldi della regione che vi arrivano dopo un
anno?
(03.03.17) Il dna inchioda il partito del
lupo. Aveva ragione l'uomo aggredito nel torinese
Grazie alla prontezza del proprietario del cane ferito e
all'intervento della Federcaccia di Torino, dopo una serie di episodi
che avevano visto gli aggrediti trattati da millantatori questa volta
il partito del
lupo non ha potuto smentire il verdetto del dna. Ad
aggredire un cane e il suo proprietario alla borgata Tora di Giaveno
(To) il 10 gennaio sono stati purissimi lupi.
(28.02.17)
Ci uccidete senza sporcarvi le mani. J'accuse di una pastora
Ci uccidete con ipocrisia, camuffando il genocidio con il pretesto di
quella natura che state distruggendo e del lupo elevato a bandiera
(12.02.17) Mantenuta
la demagogica protezione "a
prescindere" del lupo. Cosa succederà?
Ai
presidenti delle regioni, che si sono comportati come conigli impauriti
di fronte alle proteste ambiental-animaliste contro possibilità (solo
teorica) di un controllo ultraselettivo del lupo, consigliamo la
lettura di un testo storico, pubblicato nel 2002, che - sulla base di
abbondantissima e inoppugnabile documentazione - descrive la strage di
centinaia di bambini ad opera dei lupi nelle zone tra Lombardia e
Piemonte tra XV e XIX secolo
(30.12.16) Piano
lupo: gli ambientalisti vittime delle loro bugie
Le
barricate dell'ambientalismo istituzionale hanno impedito che
proseguisse il suo iter e l'approvazione entro l'anno il "Piano
nazionale di conservazione del lupo", che doveva sostituire quello del
2002. Calendarizzato per il 7 luglio alla Conferennza stato-regioni il
Piano non è più stato inserito all'ordine del giorno.
(12.09.16)
Una settimana di proteste anti lupi degli allevatori della
Lessinia
La
protesta degli allevatori della Lessinia assume forme sempre più
clamorose. Quest'anno la strage ha riguardato ben 63 capi bovini.
Alcuni allevatori sono stati ripetutamente colpiti. Come Moreno Riva un
allevatore trentenne, che - alla quarta predazione avvenuta
martedì scorso - con l'appoggio e la solidarietà di colleghi e amici
che "hanno messo la faccia" ha caricato sulla pala del trattore
l’ultima manzetta dilaniata in malga dai lupi martedì e l’ha scaricata
in piazza, davanti al monumento ai Caduti.
(19.12.15)
Piano lupo: i lupocrati vogliono dettare legge ai pastori
Il Piano lupo conferma, se ce ne fosse bisogno, l'arroganza della
lobby che - almeno sino ad oggi - ha potuto operare su un piano di
totale autoreferenzialità finanziandosi con 18 progetti
LIFE. L'impostazione del Piano è molto pericolosa per i
pastori e gli allevatori in quanto mira in modo ormai scoperto ad
utilizzare il lupo per imporre una gestione dello spazio rurale che
escluderà l'uomo
(19.12.15)
La convivenza con il lupo è impossibile
È quanto emerso dal convegno di Saluzzo del 17 dicembre .
Il problema del lupo non è un qualcosa di isolato rispetto alle
varie minacce contro la montagna, le sue comunità, le sue attività
tradizionali. Il lupo è parte di un progetto politico di stampo
neocolonialista e tecnocratico che fa leva sui Parchi e l'attacco alle
autonomie locali.
(04.09.15)
Pastori francesi prendono in ostaggio i vertici di un parco
Dopo le minacce di blocco del Tour de France e le manifestazioni
non si ferma la lotta dei pastori contro le stragi ad opera dei
lupi. In Savoia (a 7 km in linea d'aria dalla Val di
Susa) sequestrano presidente, e direttore del Parco del
Vanoise. Il prefetto viene incontro alle loro richieste
autorizzando l'abbattimento di sei lupi. E in Italia?
Articoli per argomenti
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Il «ritorno allo stato selvaggio»
(«Rewilding»): parchi e insediamento di grandi predatori
di Georges Stoffel
Georges Stoffel, Avers,
Grigioni, Svizzera, Aprile 2017
Georges è un contadino
bio e un alpeggiatore di Avers, isola walser ai confini dell'Italia
(Sondrio) e della val Bregaglia. Georges alpeggia a un passo
dalla val di Lei dove caricano le alpi gli allevatori di Piuro
(località vicina a Chiavenna). Un vero "vicino di casa" che si batte
con vigore contro la reintroduzione dei grandi predatori e il parco
dell'Adula (il massiccio di 3400 m tra Ticino e Grigioni). Dalla parte di qua del confine
ormai i parchi sono stati già istituiti ovunque possibile, ma
l'approfondita analisi di Georges sul rewildering e la governance dei
grandi predatori, figli di un unico disegno internazionale delle lobby
ambientalista che mira esplicitamente ad abolire l'agricoltura di
montagna in vaste aree. Un progetto dogmatico, calato dall'alto secondo uno stile e una
prassi totalitarie (traduzione dal tedesco di Remo Calcagnini).
Pubblicato su ruralpini.it il 23.08.17
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Il rewilding ottenuto con l'insediamento
dei grandi predatori severamente protetti conduce alla scomparsa del
paesaggio alpino secolare, caratterizzato da una biodiversità unica nel
suo genere, creata dall'economia alpestre
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Veniamo al sodo. Con
il nuovo problema dei grandi predatori
l’approccio relativo all’adesione a un progetto di parco assume oggi
una dimensione del tutto diversa di alcuni anni o decenni fa. Al tempo
che si è firmata ingenuamente la Convenzione
di Berna, promossa dall’Unione internazionale per la
conservazione della natura (IUCN), che prevede la protezione totale del
lupo. In quell’occasione non si era assolutamente coscienti di cosa
avrebbe significato
il ritorno dei
grandi predatori. Allora di lupi non ne esistevano, o solo singoli
esemplari, e perciò non si registravano danni agli animali da reddito,
o quasi. Nessuno immaginava che l’IUCN avesse progettato e messo in
atto sistematicamente e di nascosto il reinsediamento
del lupo. Nessuno sapeva cosa sarebbe successo.
In questi ultimi due
anni la
situazione è cambiata drasticamente, poiché gli attacchi perpetrati in
Svizzera dai lupi a scapito degli animali da reddito sono in forte
aumento. Oggi si suppone che in Svizzera si sia in presenza di 30-50
lupi, che ogni anno aumentano del 30%.
Le gravi conseguenze
per l’economia alpestre in Francia, con una popolazione di lupi di
circa 300 esemplari e con 10.000 attacchi mortali all’anno, non
promettono nulla di buono. L’economia alpestre svizzera si estende su
560.000 ettari di pascoli alpini, che corrispondono a 1/3 della
superficie agricola utile. In 7.300 aziende alpestri si estivano
600.000 animali. Queste
risorse naturali di
erba permettono, senza
aggiunta di foraggio, la produzione di 100.000 tonnellate di latte, il
60% delle quali viene trasformata in circa 5.200 tonnellate di
formaggio.
In tempi più remoti i parchi godevano del
consenso generale. Oggi però, considerando la presenza dei grandi
predatori, che mettono a rischio l’esistenza stessa dei contadini e del
sistema ecologico unico nel suo genere, creato dall’economia alpestre,
questo consenso sta cambiando
Il reinsediamento
evidente, mirato e aggressivo del lupo e di altri grandi predatori, dà
una nuova dimensione negativa, finora mai esistita, alla legittimità
dei parchi. Nonostante che i fatti dimostrino il contrario, Pro Natura
e WWF affermano che la convivenza con il lupo, con sufficiente
protezione delle greggi, funzioni bene. Questo non è vero se le
popolazioni di lupi prendono il sopravvento e se l’uomo, in seguito
alla protezione assoluta del lupo dovuta alla Convenzione di Berna, non
può difendersi dallo stesso. Così il lupo impara che non corre alcun
pericolo. A memoria d’uomo non si è mai avuta una situazione che
permette ai grandi predatori di svilupparsi in assoluta libertà. Una
presunta situazione che renderebbe possibile la coesistenza pacifica
del predatore, che gode dell’assoluta protezione, con gli animali da
allevamento, protetti con le sole misure di protezione delle greggi, è
una disinformazione mirata
delle associazioni per la protezione della natura. Il lupo e altri
grandi predatori hanno il compito di promuovere il ritorno allo stato selvaggio di
regioni scarsamente popolate. Con il no al progetto di parco nazionale
Adula nel 2016 ha preso il via un importante cambio di paradigma. Ai
vecchi timori della perdita di sovranità con l’adesione a un progetto
di parco si aggiunge la preoccupazione del propagarsi dei problemi
dovuti ai grandi predatori, con conseguenze esistenziali per l’economia
alpestre. Inoltre preoccupa anche la pretesa di abolire la caccia, per lasciarla ai
lupi e agli altri grandi predatori. La proibizione della caccia
dapprima è prevista per i parchi, per creare nuove zone selvagge.
Sarebbe la fine di una cultura alpina
millenaria, poiché i parchi si trovano nel mezzo di vasti alpeggi
dedicati all’economia alpestre
Unione internazionale per la
conservazione della natura IUCN (www.iucn.org)
L’IUCN
(International Union for Conservation and Natural Resources) è
un’organizzazione non governativa con 1000 impiegati in 62 paesi. È
stata fondata nel 1948 e ha membri provenienti da 80 Stati (ministeri
dell’ambiente, ecc.), da 120 organi governativi e da più di 1100
organizzazioni non governative. Vi partecipano 16.000 esperti suddivisi in sei commissioni
e scienziati provenienti da 131 paesi. L’IUCN ha il
compito di influenzare l’intera società in campo globale per quel che
concerne la protezione della natura. Contro questo obiettivo non c’è
nulla da obiettare. Ma l’ampiezza e il potere dell’organizzazione, come
pure i budget miliardari per i suoi progetti, nel corso degli anni sono
aumentati in modo tale da farle perdere il contatto con la realtà.
Questo si può dedurre dalla sua visione del Rewilding con i grandi
predatori, praticato in modo arrogante e senza scrupoli, traendo in
inganno i propri partner. L’IUCN ha delegato la realizzazione di questo
obiettivo ad una sua sotto-organizzazione, l’“Iniziativa grandi predatori per l’Europa”
LCIE (Large Carnivore Initiative for Europe). La strategia del “ritorno allo stato selvaggio”, del “Rewilding” per mezzo dei parchi è
un obiettivo dichiarato dell’Unione internazionale per la conservazione
della natura IUCN, del WWF e delle sue organizzazioni partner, Pro
Natura e molte altre.
Dell’IUCN fa
parte un gruppo molto grande di intellettuali che si credono “esseri
umani di qualità superiore” alla popolazione contadina coinvolta nel
Rewilding, così almeno si esprime l’insigne eugenetico e fondatore
dell’IUCN Sir Julian Huxley. Essi progettano dall’alto il futuro del
mondo rurale, sebbene non appartenesse loro. La costituzione forzata di
parchi in paesi dove la popolazione coinvolta non ha niente da dire, è paragonabile a un’espropriazione.
Secondo Pro Natura i
parchi sono d’importanza nazionale e quindi tutta la nazione deve poter
votare sulla loro realizzazione. Fanno affidamento al fatto che
strumentalizzando l’84% della popolazione urbana si potrebbe sopraffare
quella rurale coinvolta. Per fortuna viviamo in Svizzera, con le sue
regole democratiche. Indipendentemente dai processi decisionali si può
chiedersi cosa sia più importante in campo nazionale: lo sfruttamento
sostenibile degli alpeggi (un terzo della superficie dedicata
all’agricoltura) a favore dell’autonomia alimentare con un’alta
diversità biologica, o la visione della nascita di aree selvagge
popolate dai grandi predatori.
È assolutamente decisivo riconoscere che la
fondazione di parchi è una strategia internazionale dell’IUCN
L’IUCN ha suddiviso
i parchi di tutto il mondo in determinate categorie e ha definito la
gestione della sua protezione, i suoi obiettivi e le relative misure.
Nella progettazione di nuovi parchi si applicano queste direttive che
in Svizzera hanno ottenuto la legittimazione giuridica con l’entrata in
vigore nel 2007 della revisione parziale della Legge federale sulla
protezione della natura e del paesaggio (LPN). Pro Natura nel 2005
aveva proposto questa revisione secondo le direttive dell’IUCN, poiché
la propria campagna in favore dei parchi lanciata nel 2000 non portava
i frutti sperati. Nel relativo messaggio del 2005 (05.027) si legge:
Essa [la revisione] mira a
completare l’attuale politica della Confederazione in materia di natura
e paesaggio creando un quadro giuridico atto a consentire l’istituzione
di parchi d’importanza nazionale.
In occasione
dell’adesione a un parco oggi si applica la legge revisata. La
confederazione, i cantoni e la direzione del progetto di parco lo
gestiscono sotto la guida di un’istituzione scientifica.
Uno Stato nello Stato
Lo schema
sottostante evidenzia la posizione dominante dell’Unione mondiale per
la protezione della natura IUCN e del WWF e la loro influenza sulle
reti internazionali.
Nel 1979 su
iniziativa dell’IUCN è entrata in vigore la legislazione europea della
Convenzione di Berna e nel 1992 la direttiva europea “Habitat
flora-fauna”, con le quali tra l’altro è stata introdotta la protezione
assoluta del lupo. Fu così preparato il terreno per il “Piano per il
reinsediamento del lupo in Europa” del professor Boitani (università di
Roma), entrato in vigore ufficialmente nel 2000. A titolo non ufficiale
l’insediamento dei lupi era già iniziato prima (forse una misura per
creare fatti compiuti?).
Una “nuova classe” vuole accaparrarsi il
potere di disporre della natura
Nel corso dei
decenni è così andata formandosi una “nuova classe” che si arroga il
diritto di interpretare la natura e di disporne. Come sempre sono in
gioco sia interessi finanziari per
le organizzazioni implicate con i loro progetti, sia il dominio sulle
risorse naturali. A dare il tono è l’Unione internazionale per la
conservazione della natura IUCN, una lobby cospiratrice nei campi delle
scienze virtuali e della pianificazione. Ha un budget annuo di 100
milioni di franchi. Vi si aggiungono donazioni e sostegni finanziari
per progetti dell’ordine di miliardi. Dal 1992 novanta miliardi per
4.000 progetti.
L’idea del Rewilding
si concentra su territori scarsamente popolati, per lo più sfruttati
dall’agricoltura e dalla pastorizia, come per esempio l’Arco alpino. Vi
fa parte anche il reinsediamento di grandi predatori (lupo, orso, lince
ecc.). In special modo il lupo ha il compito di forzare il fallimento
dell’economia alpestre nei territori scelti per crearvi zone selvagge.
Già in uno studio francese dell’IUCN e del WWF del 1997 si parla del
fatto che
nelle zone dove si sviluppano popolazioni
di grandi predatori si dovrebbero integrare settori con severe
limitazioni per l’allevamento tradizionale di bestiame, affinché non
ostacolino lo sviluppo dei carnivori …
Citazione molto
sarcastica, poiché logicamente è giusto il contrario, cioè: siccome i
grandi carnivori possono svilupparsi liberamente, ostacolano
l’allevamento degli animali da reddito. Ecco cosa si intende per
“diritto di disporre della natura” di una nuova classe, che ignora gli
allevatori residenti e lascia la società all’oscuro di tutto.
https://drive.google.com/file/d/0B9HT6mzNQ__VeTExUHJoTXgz-QWc/
view?usp=sharing
Il
piano d’azione per il reinsediamento del lupo in Europa
Il professore
estremista Boitani (alias papa dei lupi) dell’IUCN ha sviluppato
dettagliatamente assieme a specialisti l’“Action Plan for the
conservation of the wolves in Europe”. Risulta evidente che la
situazione odierna con il ritorno dei lupi è stata creata
artificialmente per mezzo di questo piano, con il sostegno di molti interventi umani. Ciò significa che il
reinsediamento del lupo è stato pilotato con misure mirate, in
contrasto con la propaganda che vuol far credere che il suo ritorno
fosse naturale. Dapprima si sono cercate zone naturali poco
popolate, adatte al reinsediamento dei grandi predatori. Poi ci si è
informati sulla presenza in zona di un numero sufficiente di animali
selvatici come cervi caprioli e altri animali da preda. Se non era il
caso, si provvedeva a insediarli. Ed ecco che in seguito appaiono
improvvisamente i grandi predatori desiderati, come ad esempio il lupo.
Sorprende forse, che nel piano d’azione si parli di allevamenti di lupi
che procurano la prole necessaria da inserire in popolazioni isolate
per migliorarle geneticamente? O che si parli anche di lupi catturati
per poi trasferirli altrove, oppure della messa in libertà di lupi in nuove zone?
Giocare
a carte coperte per mantenere il vantaggio
Per molto tempo
questo piano d’azione non è stato accessibile all’opinione pubblica. I
critici del reinsediamento più tardi l’hanno scoperto e reso pubblico.
Esiste solo in inglese e in francese. Sembra che per difendere gli
interessi delle sfere superiori sia lecita la diffusione di menzogne.
Questo è stato fatto per decenni, nascondendo la verità alla
popolazione direttamente coinvolta e anche ai loro numerosi partner.
In seguito le
organizzazioni IUCN e WWF e i loro membri collaboratori della
protezione della natura hanno nuovamente ingannato l’opinione pubblica,
suggerendo che non ci sarebbero stati problemi con il lupo, se solo si
fosse prevista una sufficiente protezione delle greggi. In alcune
regioni di montagna d’Europa in questi ultimi 20 anni i lupi si sono
moltiplicati in modo tale da superare il migliaio di esemplari (in
Italia, per esempio, i lupi hanno superato i 2000 esemplari). In Europa
attualmente si parla di circa 15.000 lupi. Con un tasso di riproduzione
del 30% in un anno se ne aggiungeranno altri 4.500. Anche se, tenendo
conto del bracconaggio, si adottasse un tasso più basso, le popolazioni
aumenterebbero ogni anno di diverse migliaia di esemplari. Così viene
resa impossibile la libera pastorizia tramandata da millenni,
nonostante la protezione delle greggi. Gli ultimi contadini e pastori
locali sono costretti a ritirarsi per gli interessi della protezione
della natura e far posto ai grandi predatori in una natura
assolutamente selvaggia, esente da attività antropiche.
Messa in libertà
di lupi in nuove zone
Alcuni passaggi a pag. 8
del piano d’azione (versione
inglese) lasciano perplessi:
In
zone dove è auspicabile il reinsediamento dei grandi predatori, bisogna
tener conto dei seguenti principi:
- si dovrebbe dare la
priorità al sostegno del reinsediamento naturale,
- sostenere la
riproduzione di popolazioni incapaci di sopravvivere,
- mettere in libertà
animali in zone con popolazioni che non sono in grado di sopravvivere,
facendo sì che si uniscano a dette popolazioni,
- mettere in libertà lupi in nuove zone
Una volta che il lupo con
i sostegni del caso si è stato insediato, si moltiplica e i giovani
lupi emigrano in altre zone. Le organizzazioni ambientaliste affermano
allora che il lupo è venuto di propria volontà …
Ritorno
allo stato selvaggio con i grandi predatori
In Italia, in
Spagna, in Francia e in altri paesi il ritorno allo stato selvaggio è
già in corso. Di conseguenza, per esempio negli Abruzzi, in questi
ultimi 20 anni il numero del bestiame da reddito è diminuito di più del
60%. Dalle 600.000 pecore da latte di una volta, oggi ne rimangono meno
di 200.000, che per ragioni di sicurezza sono tenute soprattutto in
stalle, dove si devono foraggiare. E la transumanza tradizionale con le
pecore, ecologicamente sostenibile, è in via di estinzione.
Questa tragedia è il
risultato in tutta Europa della visione e della strategia del
“Rewilding” dell’Unione internazionale per la conservazione della
natura IUCN e delle sue sotto-organizzazioni. Se si continua di questo
passo anche sull’Arco alpino francese saranno sempre più probabili
simili risultati disastrosi.
Superfici dei
parchi naturali come future zone selvagge
Secondo Narcisse Seppey,
ex capo dell’ufficio cantonale di caccia pesca e animali selvatici
(DJFM) del Vallese ed esperto di parchi, il tipo di parco naturale
corrisponde ad una specie di stadio
iniziale di parco nazionale:
… il parco naturale ‘regionale’ è solo una
forma snella di parco nazionale, che con i suoi stretti vincoli
risveglia timori. Con grande probabilità una volta instaurati i parchi
regionali, ci si accorgerà dell’inganno, poiché si svilupperanno nella
stessa direzione dei parchi nazionali …
Questo fatto diventa
sempre più evidente se si considera il
reinsediamento del lupo e di altri grandi predatori e se si sa
che esistono piani di collegare i parchi tra di loro come “laboratori”
o “campi sperimentali”, di proibirvi la caccia e di insediarvi i grandi
predatori. Si può senz’altro dedurre che i parchi regionali,
soprattutto se comprendono grandi regioni vicine fra di loro, come nei
Grigioni, fungano da stadi iniziali di zone di protezione severamente
regolamentate.
Arco
alpino come obiettivo centrale
Se si considera il
gran numero di parchi nazionali e naturali e di riserve di caccia lungo
tutto l’Arco alpino – dalla Slovenia, attraverso l’Italia, l’Austria,
la Germania, la Svizzera e la Francia – risulta facile ravvisare la
strategia di voler creare una zona di protezione praticamente
ininterrotta chiamata “Alpi”. La scarsa popolazione indigena delle
vallate remote, anche dei Grigioni, deve lasciare il posto al
Rewilding, ottenuto con l’insediamento dei grandi predatori. Già oggi
in ogni caso non vi sono più molti contadini.
Così la vedono IUCN, WWF,
Pro Natura e altri nel loro cieco zelo del “ritorno allo stato
selvaggio.” Proprio come nel modello americano: in zone di montagna
poco popolate si crearono degli immensi parchi, come quello di
Yellowstone e altri, dove si insediarono i grandi predatori.
1000 vaste aree
protette nell’Arco alpino
• 13 parchi
nazionali
• 87 parchi naturali
• 288 zone naturali
protette
• 4 zone naturali
mondiali UNESCO
• 3 riserve geologiche
In tutto 400 zone di
protezione per queste categorie principali.
Vanno aggiunte ancora
circa 600 “forme speciali di protezione” (per esempio zone di
protezione del paesaggio, zone di riposo). In totale abbiamo più di 1000 vaste aree alpine protette.
Situazione a gennaio 2013, fonte G.I.S.ALPARC.
Un punto cruciale è l’Arco
alpino francese, dove con l’allineamento consecutivo di parchi e zone
protette, 3 parchi nazionali e molti parchi naturali (vedi cartina),
troviamo la più grande intensità di zone protette. Condizioni ideali
per il lupo. In queste zone protette si trovano molti pascoli sfruttati
dall’alpicoltura. In tutto l’Arco alpino francese il lupo minaccia in
modo grave l’agricoltura prativa e pascolativa delle regioni montane.
Qui troviamo il maggior numero di lupi e qui avvengono i due terzi degli attacchi da loro perpetrati
in territorio francese. Infatti la regione con le
“Hautes Alpes”, le “Alpes de Haute Provence”, e le “Alp Maritimes”,
conta circa 6.600 animali uccisi all’anno sul totale di 10.000 uccisi
in Francia. Si tratta di 22 animali al giorno uccisi durante 300 giorni
di pascolamento.
Un
unico Parco nazionale nella catena svizzera delle alpi
Da 100 anni esiste
un piccolo parco nazionale svizzero. Nel 2001 i piani euforici di Pro
Natura prevedevano sei progetti di
parchi nazionali in Svizzera: il parco del Locarnese (TI),
l’Adula (GR/TI), l’Haute Val de Bagnes (VS), Les Muverans /VD/VS), il
Matterhorn (VS) e il parco del Maderanertal (UR).
Pro Natura voleva (presa
in parola) “destinare un parco nazionale per la circostanza del suo
centesimo anniversario e appoggiava il ritiro controllato della
popolazione da certe vallate alpine”. Per questa associazione i
progetti rimasero però un pio desiderio. Grazie ai nostri diritti
democratici e anche al diritto codecisionale dei Comuni coinvolti, i
progetti vennero respinti, rispettivamente venne annullata la
progettazione in seguito alla loro scarsa approvazione. La popolazione
coinvolta diffidava degli intenti delle associazioni per la protezione
della natura. Nel 2015 venne perfino respinto con un NO all’urna
l’ampliamento della riserva biosfera Unesco in Val Monastero, in ambito
del parco nazionale.
Nel 2016 nel canton
Grigioni e nel Ticino è fallito alle urne l’ambizioso progetto del
grande “Parco nazionale Adula”. Con i suoi 1250 km2 sarebbe diventato
il parco più esteso nella catena alpina europea! La diffidenza nei
confronti di simili progetti è evidente.
Per attuare i loro piani
gli ambientalisti fanno uso dell’arma costituita dal Piano d’azione per
il reinsediamento del lupo in Europa, forzando in certe vallate alpine
il ritiro degli abitanti, al fine di poter realizzare ulteriori zone di
natura integrale.
L’insistente opposizione a
nuovi parchi nazionali (Vallese, Grigioni e Ticino) da parte della
popolazione colpita, e l’aumento degli attacchi al bestiame da parte
dei lupi ha risvegliato la consapevolezza di molte persone che ne
subiscono le conseguenze.
Le strategie occulte
dell’IUCN, del WWF, di Pro Natura e altri, escogitate all’insaputa dei
residenti, vengono sempre più a galla. Nelle Direttiva
Habitat-flora-fauna (Direttive FFH) 92/43/EWG del 21.05.1992 per il
mantenimento delle aree naturali, degli animali e delle piante,
l’articolo 22 recita: “il
reinsediamento avviene dopo aver consultato la popolazione residente”.
Questo articolo è stato esplicitamente ignorato dall’IUCN e dalle
organizzazioni ambientaliste.
Per decenni non si
sono informati dovutamente i residenti e i loro partner associati, che
infine sono stati confrontati con fatti compiuti. Le gravi conseguenze:
nel 2016 in Francia sono stati uccisi dai lupi oltre 10‘000 capi di
bestiame, dei quali 2/3 nell’Arco alpino. Nel frattempo la popolazione
frustrata giunge alla conclusione che non ci si può fidare di queste
organizzazioni.
Cambiamento di
paradigma
Con il rifiuto del Parco
nazionale Adula nel 2016, nonostante i 16 anni di pianificazione e i 10
milioni di franchi spesi, ha avuto inizio un importante cambiamento di
paradigma. Questo si può anche interpretare come una risposta della
popolazione residente alla politica occulta relativa ai grandi
predatori operata dalle organizzazioni ambientaliste. Nel frattempo per
gli agricoltori e non solo è evidente, che il lupo è stato introdotto
ad arte per portare avanti “un ritorno alla natura selvaggia”.
La presa di coscienza su
questo tipo di politica, che mette in serio pericolo l’importante e
rilevante economia alpestre, sta mettendo in guardia i residenti che vi
si oppongono con tutte le loro opportunità. Invece del parco nazionale
Adula, si vuole un piano B. In vari posti, dove il parco nazionale è
stato respinto, si stanno progettando parchi naturali come piani B.
Sembra che nell’ambito del progetto Parc Adula fallito ora si voglia
ingrandire il parco naturale Beverin al Nord del passo del San
Bernardino e sul lato sud dello stesso creare un nuovo parco naturale
confinante con il Beverin. Questa nuova strategia riguarda i Comuni con
la maggioranza di popolazione non contadina, che ha votato pro Parc
Adula. Ricordiamo che i comuni con la prevalenza di popolazione
contadina hanno respinto il progetto.
Come sempre i fautori dei
parchi argomentano in modo suggestivo, asserendo per esempio che per le
attività della popolazione residente non cambia nulla.
I motivi contro
l’adesione a un parco
L’asserzione che
“nonostante l’appartenenza a un parco, in vista del suo uso futuro, non
nascono nuove disposizioni di legge né restrizioni in merito a singole
possibilità di sfruttamento”, se si conoscono tutti i dettagli, è
ingannevole. Basandosi sull’esperienza del rifiuto del Parc Adula, i
promotori dei parchi naturali affermano che questo tipo di parco non ha
zone nucleo totalmente protette, adatte all’insediamento di lupi, nel
caso che la sua protezione dovesse un giorno essere revocata. Anche
questo è illusorio, poiché i parchi naturali, come ad esempio il Parco
Ela e il parco Beverin, hanno delle grandi riserve di caccia federali
che si possono considerare come zone nucleo. Con ciò la somma di più
riserve di caccia dà luogo a grandi superfici protette. Interessante
notare come queste si propaghino a macchia d’olio nell’arco alpino
…?
Riserve
di caccia nell'arco alpino
Parchi nazionali e naturali e diverse
zone di protezione
È
vero che per i comuni non ci saranno restrizioni nello sfruttamento del
loro territorio se aderiscono a un parco come sempre si asserisce
Uno studio
pubblicato in febbraio 2017 dall’Istituto per la biologia evolutiva e
per le scienze ambientali dell’Università di Zurigo (responsabile della
ricerca: Gabriele Cozzi, che lavora assieme a KORA per progetti
dell’IUCN) vuole dimostrare dove in Svizzera i lupi troverebbero ottime
condizioni di vita.
Risultato: queste zone si
trovano in regioni dell’Arco alpino
addette alla pastorizia. Osservando le cartine si vede che
nell’Arco alpino svizzero le riserve di caccia sono ripartite in modo
uniforme e si trovano spesso in parchi già esistenti o in fase di
pianificazione. Facendo il conguaglio di queste cartine con i luoghi
adatti per i lupi e per i grandi predatori dello “studio” zurighese
(Vedi appendice), questi Habitat si trovano esattamente nei parchi,
nelle riserve di caccia e nelle zone protette.
È interessante
notare che nella zona dell’altipiano non si trovano riserve di caccia.
Non è un caso, ma fa parte della strategia europea del Rewilding.
Questa pianificazione è riassunta a pag. 4-6 in “Pro Natura
Standpunkt”: “Welche Schutzgebiete
braucht die Schweiz” [quali zone di protezione necessitano alla
Svizzera], approvato il 22 aprile 2006 (vedi appendice). I seguenti
commenti di Pro Natura dovrebbero essere rappresentativi per tutte le
organizzazioni affini, compresa l’associazione mantello IUCN:
Con ciò il lavoro svizzero nelle zone di
protezione si inserisce in un contesto internazionale. Gli Stati
firmatari della ‘Convenzione della diversità biologica’ (CBD) hanno
riconosciuto che le zone di protezione sono un elemento essenziale per
raggiungere l’obiettivo CBD e ridurre in modo significativo la perdita
mondiale di biodiversità fino al 2010.
Nel ‘Programme of work Protected Areas’
gli Stati si sono prefissi di realizzare sistemi di protezione
nazionali della natura, completi, rappresentativi e ben gestiti.
Anche sul piano europeo la Svizzera ha
degli obblighi e cioè nell’ambito della ‘Convenzione di Berna’ della
‘Convenzione di Bonn’, della ‘Convenzione delle Alpi’ e della
‘Convenzione europea per il territorio’ con la ‘rete SMARAGD del
Consiglio d’Europa’, come pure di altri accordi. [Queste
Convenzioni e reti sono state fondate con la collaborazione dell’IUCN].
Questa iniziativa globale per le zone di
protezione è stata preparata dall’’IUCN World Park Congress’, nel 2003
a Durban in Sudafrica.
Sciami di intellettuali volano alle
conferenze internazionali e progettano fra di loro nella torre di
avorio il mondo rurale del futuro, senza una qualsiasi relazione con la
cultura millenaria di queste regioni. Essi pianificano al
tavolino verde senza tener conto delle antiche strutture, cresciute
organicamente. Gli Stati coinvolti firmano contratti internazionali e
convenzioni senza che i diretti interessati possano prenderne
conoscenza. Le alte sfere dei pianificatori ignorano la popolazione
indigena che viene tenuta all’oscuro di tutto ciò.
Obiettivo virtuale
pianificato per la Svizzera
Per la Svizzera sono previste da 200.000 a
300.000 ettari di zone nucleo addizionali con un corrispondente
multiplo di ettari protetti parzialmente nelle zone periferiche.
Queste
superfici si intendono quali aree naturali integrali, cioè allo stato
selvaggio e zone nucleo di parchi nazionali (secondo l’IUCN zone
protette della categoria I e II), in vista di animali migratori, come
cervi e lupi. Perciò va anche considerata una ripartizione
rappresentativa delle aree selvagge. Desunto dai dati presentati
relativi all’interno del paese e ai paesi vicini, l’assegnazione dell’8
% della superficie territoriale, ovvero di circa 300.000 ettari di area
selvaggia, per la Svizzera è una base di discussione appropriata.
Concretamente
la Svizzera crea parchi nazionali e aree naturali integrali di vaste
dimensioni.
Nelle Alpi del nord, centrali, occidentali
e del sud, in aggiunta al parco nazionale svizzero situato nelle Alpi
orientali, deve nascere almeno un nuovo parco o un’area selvaggia con
almeno 100 km2 di zona nucleo senza sfruttamento.
Teoricamente per la
Svizzera questo significa almeno quattro nuovi parchi nazionali. In
futuro però ci sarà probabilmente un solo parco nazionale svizzero.
L’obiettivo previsto, come già menzionato, non è stato raggiunto,
poiché la popolazione coinvolta diffida delle intenzioni delle
organizzazioni ambientaliste. Infatti cinque dei sei progetti di parchi
nazionali previsti finora sono stati respinti. Questo fatto aumenta la
pressione sulla rivalutazione di aree di parchi naturali e di riserve
di caccia, per trasformarle in aree naturali integrali.
“Nei parchi naturali e regionali, certe
zone protette devono essere arrotondate e unite, l’uso ricreativo
canalizzato e il territorio sviluppato in modo mirato”. È
evidente cosa intende Pro Natura con “Territorio sviluppato in modo
mirato”.
La somma di tutte le zone nucleo deve
dunque comportare circa 3.000 km2 (8 % del territorio nazionale).
Senza altri parchi nazionali ciò non è possibile. Di conseguenza si
vuole ora letteralmente
Trasformare
gradualmente le riserve di caccia o le zone IFP (Inventario federale
dei paesaggi e dei monumenti naturali d‘importanza nazionale), le
superfici di parchi naturali e altre zone protette, in aree selvagge.
Esistono già 42 riserve di
caccia con una superficie totale di quasi 150.900 ettari, che poi
assieme alle altre zone protette all’interno dei parchi, in seguito al
rifiuto dei progetti di parchi nazionali, saranno estesi alla
superficie doppia, cioè a 300‘000 ettari, in aree selvagge. Queste
assomiglieranno poi alle zone nucleo nei parchi nazionali.
La
parzialità del nostro insigne guardacaccia nell’UFAM (BAFU)
Degno di nota è il
fatto, che il nostro sommo guardacaccia Reinhard Schnidrig, capo
dell’Ufficio federale dell’ambiente (UFAM), responsabile per le riserve di caccia,
già prima dell’anno 2000 ha partecipato al piano d’azione dell’IUCN per
il reinsediamento dei lupi in Europa. Vi faceva parte anche Urs
Breitenmoser, fondatore e gestore dell’organizzazione per i grandi
predatori KORA (kora.ch). Vedi nell’appendice: interdipendenze e schema
IUCN-Svizzera-Schnidrig.
Ambedue sono coinvolti
attivamente nel reinsediamento dei lupi, rispettivamente dei grandi
predatori, strategicamente pianificato a livello paneuropeo. Essi
sostengono la politica dell’Iniziativa grandi predatori in Europa,
(Large Carnivore Initiative of Europe LCIE) dell’IUCN, la quale secondo
una perizia francese del 2017 risulta sempre più audace: quale reazione
all’ordine statale di eliminare in Francia 36 lupi nel 2016, in
febbraio 2017 uscì prontamente una perizia francese del Museo nazionale
competente e dell’ufficio statale della caccia e della selvaggina
(ONCFS). L’ONCFS può essere paragonato alla sezione caccia e fauna
selvatica dell’UFAM, che viene gestita da Reinhard Schnidrig. Questa
perizia arriva alla conclusione,
che 300 lupi rappresentano una situazione
fragile per il mantenimento della specie. Per far sì che in Francia la
popolazione possa sopravvivere, dovrebbero esistere almeno 2500 – 5000
lupi maturi sessualmente.
Vedi la perizia a pagina
23, capitolo iii, ultima frase ( scarica
pdf).
“Non si dovrebbe
intervenire contro la diffusione dei lupi. La migliore protezione per i
lupi sono le grandi aree naturali abbandonate dall’agricoltura …”
Questa citazione conferma
l’intenzione di rendere impossibile la pastorizia con l’introduzione
dei lupi nelle aree naturali scarsamente popolate dell’Arco alpino
alfine di realizzare aree naturali integrali (“Ritiro ordinato
dell’uomo da certe vallate alpine”). Il nuovo studio dimostra, che
questa intenzione è espressa in modo sempre più aggressivo. Si vogliono
testare le reazioni, per realizzare in un secondo tempo questi
obiettivi, adattandoli in campo europeo. In Francia oggi si contano 300
lupi con oltre 10.000 animali da rendita uccisi. Non riusciamo a
immaginare come sarebbe lo scenario, qualora ci fossero dai 2.500 ai
5.000 lupi.
Se si sa che il signor
Eric Marboutin è capo dei progetti dei grandi predatori nell’ONCFS
statale e anche coautore dello studio, allora la testimonianza della
perizia non desta meraviglia. Il signor Marboutin ha anche una funzione
nel LCIE (Iniziativa grandi predatori in Europa) dell’IUCN. Assieme a
Eric Marboutin anche Urs Beitenmoser del KORA svizzero, è uno stretto
amico e collaboratore di Reinhard Schnidrig in seno al LCIE dell’IUCN.
Ambedue, come già menzionato, hanno dato il proprio contributo al Piano
d’azione per il reinsediamento del lupo in Europa.
Sappiamo, che a livello mondiale molti
ministeri dell’ambiente e uffici pubblici sono membri dell’IUCN e
quindi sono spesso influenzati da scienziati vicini all’IUCN. Il
coinvolgimento dell’IUCN in istituzioni statali predominanti (ad
esempio l’UFAM, che è membro dell’IUCN), è parte del Piano d’azione
europeo per la reintroduzione del lupo e dei grandi predatori. L’UFAM è
parte responsabile per le azioni di reinsediamento del lupo e non di
meno per le gravi conseguenze a svantaggio dell’agricoltura. Quale
cosiddetti “Partner dirigenti” (Framework Partners) dell’IUCN in
Svizzera, la Direzione per la cooperazione allo sviluppo DEZA,
l’Ufficio federale per l’ambiente UFAM e il segretariato di stato per
l’economia SECO sostengono finanziariamente questa organizzazione
globale.
In seno all’UFAM Reinhard Schnidrig è
competente per la gestione dei grandi predatori e per le riserve di
caccia. In questa funzione è anche il maggior datore di lavoro
di KORA in Svizzera. Egli è anche presidente di un progetto nell’ambito
dell’IUCN per un parco nazionale in Mongolia (takhi,org) che comprende
fra l’altro progetti per la protezione del lupo. Se si sa inoltre, che
il segretario di questo progetto è Christian Stauffer, oltre a ciò
direttore amministrativo della “Rete dei parchi svizzeri” (paerke.ch ,
membro dell’IUCN), si pone la questione se il signor Reinhard
Schnidrig, quale impiegato federale, possa ancora definirsi neutrale.
Molte delle sue comparse in pubblico palesano il sostegno degli
interessi delle lobby favorevoli al reinsediamento del lupo e dei
grandi predatori. Come superiore può quindi influenzare la politica
dell’ubicazione delle riserve di caccia e delle aree protette.
Aree
selvagge o naturali integrali contro economia alpestre
Nell’area o riserva
naturale integrale non sono ammesse attività antropiche di nessun tipo;
nel nostro caso interventi colturali, agricoli e silvo-pastorali. È per il tramite della protezione dei
grandi predatori che si vuole raggiungere questo scontro.
Infatti a queste condizioni la millenaria economia alpestre, la quale
ha creato una composita biodiversità, non è più possibile. In queste
aree ci sono molti alpeggi sfruttati quali superfici pascolative. Per
la popolazione la gestione dell’agricoltura nei parchi risulta con
questi condizionamenti assai gravosa, perché l’obiettivo delle zone di
protezione e dei parchi naturali è l’ingrandimento delle aree selvagge,
quindi la sparizione dell’economia alpestre.
Il motivo del crescente
dissenso nei confronti di progetti di nuovi parchi è da ricercare nella
più che giustificata diffidenza da parte della popolazione locale, dopo
che la stessa ha denudato le strategie dell’IUCN, dei suoi membri e
dell’UFAM (Ufficio federale dell’Ambiente). Per quanto attiene la problematica relativa
all’insediamento del lupo, tale sfiducia ha raggiunto attualmente il
suo apice. Con la problematica dei grandi predatori e l’acuta minaccia
nei confronti della pastorizia e dell’economia alpestre, si è
evidenziata una nuova dimensione negativa dei parchi, la quale rende
impossibile lo sfruttamento tradizionale, ecologico e di valore, a
lungo termine.
Il raggruppamento
di parchi camuffato sotto nuovi nomi
Un comunicato del 2017
dell’Associazione nazionale francese per la reintroduzione dei grandi
predatori “Ferus” (ferus.fr.), un membro dell’IUCN, svela pure la
strategia che viene perseguita in queste aree. Essa illustra la
creazione di un nuovo progetto nel seguente modo:
Il Dipartimento ‘La
Lozère’ (dove si estende pure il parco nazionale delle Cevenne), con i
suoi 5.000 km2 di superficie, è la regione meno popolata della Francia.
Tale territorio ha un parco nazionale e presto avrà anche due parchi
regionali. Non potrebbe diventare questa zona un’area sperimentale, un
vero laboratorio dell’ecologia agraria nella grande natura, per la
riabilitazione del lupo? E questo grazie al fatto che si investono
tutti i mezzi possibili per una coesistenza pacifica tra il predatore e
l’allevamento di bestiame.
Questa enunciazione vuole
mostrare ciò che si vuole, e cioè la creazione di smisurate aree
naturali abbandonate dall’uomo. Dall’altra parte si mira a minimizzare,
a lusingare e disinformare, per conquistare a sé la popolazione urbana.
Chi non vorrebbe una “coesistenza pacifica”? Sia l’allevatore che il
lupo, l’orso o la lince ambiscono di poter vivere pacificamente l’uno
accanto all’altro. Questo sarebbe bello, addirittura paradisiaco in
questo nostro mondo attuale dominato dalle crisi. Il cittadino che vive
in città non è comunque direttamente implicato. Esso associa il lupo al
sogno di una natura intatta, per lui ormai perduta. Perciò è facilmente
disposto a credere che il lupo non costituisca un problema. Il lupo
vien così visto come icona, alla quale bisogna porgere le proprie scuse
per i torti da lei subiti nel passato. Di questo fanno uso le
associazioni ambientaliste per dividere con la disinformazione – a
proprio vantaggio – la società. E con ciò ottengono pure sostegno
finanziario. Per Pro Natura e WWF il lupo è davvero una miniera d’oro.
Ad esempio, Pro Natura ha un budget annuale di 35 milioni di CHF (fra
cui donazioni). Un vero “commercio di indulgenze” in chiave moderna, a
scapito degli agricoltori e pastori residenti in loco dai tempi più
remoti.
Le esperienze della storia
dell’umanità e degli ultimi anni dimostrano che una coesistenza
pacifica tra una totale protezione dei lupi selvaggi e l’allevamento in
un paesaggio antropizzato (detto anche paesaggio culturale), malgrado
la protezione delle greggi, è e rimane un pio desiderio. È nello studio
francese del 2017 che si scopre la vera faccia della lobby del lupo;
infatti nello stesso viene espressamente detto che “la miglior protezione dei lupi sono le
aree naturali abbandonate dall’agricoltura…”. Si vuole la
“Rewilding”, ossia la rinaturalizzazione di grandi territori e
l’abbandono di questi da parte degli allevatori.
Più questa menzogna della coesistenza
pacifica viene sostenuta, più i lupi potranno moltiplicarsi annualmente
a migliaia in Europa, cosicché sempre più allevatori abbandoneranno la
loro professione. Questi territori saranno così liberi per la
rinaturalizzazione. Questo è il vero obiettivo perseguito. A memoria
d’uomo non si ricorda che i grandi predatori abbiano potuto prolificare
liberamente.
Un parco nazionale
e due parchi naturali regionali
A livello europeo, l’obiettivo dell’IUCN e
dei suoi membri è la successiva trasformazione dei parchi naturali in
aree naturali integrali, da realizzare nello scorrere degli anni con
l’introduzione di ulteriori progressive misure di protezione.
Non è dovuto al caso che
esista già una serie di parchi confinanti con il Parc Adula,
quest’ultimo rifiutato dal recente verdetto del popolo. Infatti a
ridosso della regione dell’Adula sta già ora una grande zona
concatenata con il Parco Nazionale in Engadina (che a sua volta confina
con il molto più esteso parco nazionale italiano dello Stelvio), con il
Parco Ela e il Parco Beverin. Se si fosse realizzato il Parc Adula, a
tutt’oggi il 30% del Cantone dei Grigioni sarebbe territorio sotto
tutela dei parchi. Nelle strategie della Rewilding, simili scenari come
quello prefigurato nei 5000 km2 del grande Dipartimento “La Lozère” (F)
sono l’obiettivo verso cui si punta anche nei Grigioni. Alla luce di
tutto questo viene allo scoperto una strategia comune europea da
attuare in tutto l’Arco alpino.
Obiettivo
strategico: abolizione della caccia
Un simile divieto assoluto di caccia è
previsto dapprima per i parchi, nei quali si trovano già adesso
grandi bandite di caccia (42 asili equivalenti a 150.900 ettari) e dove
la caccia è già tuttora vietata. Come già accennato, nell’ambito di
queste aree si convertiranno sempre
più in aree selvagge anche i territori che già sottostanno ai divieti
previsti per l’IFP (inventario federale dei paesaggi, siti e monumenti
d’importanza nazionale), le bandite di caccia, i parchi naturali e
altre zone di protezione. Previsti sono 300.000 ettari di aree
naturali abbandonate, all’interno delle quali i grandi predatori
dovrebbero assumere la funzione della caccia. In questo caso si farà in
modo che l’economia alpestre verrà via via abbandonata, di modo che
nuove aree naturali integrali si creeranno per forza d’inerzia.
Questi territori,
conquistati in tale modo dalle associazioni per la protezione della
natura e dall’IUCN, sarebbero paragonabili alle zone centrali nei
parchi naturali.
Quest’obiettivo vuol
essere raggiunto a livello europeo, con una strategia a tutto campo e a
suon di miliardi. A tutto ciò noi, contadini di montagna – insieme con
consumatori, biologi, ambientalisti, politici e altri ancora –, ci
opporremo perché vogliamo
salvaguardare il grande patrimonio tramandatoci dell’agricoltura e
della pastorizia, attività queste basate sulle superfici prative e
pascolabili, che hanno dato vita a un ecosistema di pregiatissima
biodiversità.
Con un divieto di caccia
si raggiunge l’opposto. Si persegue un presunto ideale che vede i
grandi predatori come i nuovi cacciatori, che in qualità di regolatori
dei contingenti devono rendere la caccia superflua, ovvero proibita.
Nel contempo verrebbe
favorita la proliferazione dei grandi predatori. Intenzioni simili
esistono in tutta Europa come strategie sovranazionali, accompagnate
dall’obiettivo comune della creazione di aree naturali abbandonate.
Vedi carta Arco alpino Europeo, con 1000 zone protette.
Gli iniziativisti sono
presenti ovunque sul web e nei social media, sostenuti finanziariamente
in modo assai generoso dai soci dell’IUCN. Vedi www.wildbeimwild.com.
Qui leggiamo che il cacciatore non avrebbe il diritto di preda.
Quest’ultimo spetterebbe solamente al lupo e agli altri grandi
predatori, i quali a corta o a lunga scadenza dovrebbero sostituire de
facto la caccia su tutto il territorio. Uno scenario impensabile per
l’atavica e diffusa cultura dell’economia alpestre e della pastorizia.
Queste strategie non si lasciano più camuffare. Questo sarebbe la fine definitiva di una
cultura alpina millenaria.
Perdita della
biodiversità e tracollo del paesaggio rurale, detto anche paesaggio
culturale
La nostra grande
biodiversità non è stata creata dalla pianificazione virtuale di un
esercito di ricercatori che trasformano i parchi nel loro posto di
lavoro e in un campo sperimentale. No! Il
paesaggio culturale, modellato con dedizione, passione e tantissimo
sudore della fronte, è il frutto di un’atavica attività, vissuta
intensamente da parte dei nostri agricoltori indigeni. Ciò che
gli attivisti delle lobby, che roteano intorno all’IUCN, ci danno da
intendere, affermando di operare in favore della protezione
dell’ambiente, mira esattamente al contrario, se si guarda la realtà:
quali disastri hanno già causato le loro pianificazioni e le loro
trasformazioni/manipolazioni nell’allevamento del bestiame e
nell’ecologia nell’Arco alpino?
È sotto gli occhi di tutti
che nelle discussioni, negli studi e nelle strategie le vere
conseguenze per la millenaria economia alpestre vengono occultate
Il discorso si
riduce alla protezione delle greggi. Quest’ultima può rivelarsi
effettiva, e ciò è stato dimostrato, soltanto dal momento in cui i lupi
vengono educati a non approcciarsi troppo alle attività umane. La
rinaturalizzazione e l’economia alpestre sono estremamente poco
compatibili fra di loro e, se già, soltanto sotto uno stretto controllo
degli effettivi dei lupi.
In qualità di comuni di
contadini di montagna, che godono ancor sempre di un’autentica
autonomia comunale, non dovremmo più lasciarci trascinare in trattative
in cui si baratta il nostro territorio ad armi impari, e cioè per noi
con il predatore già servito nel sacco. Tanto meno dovremmo aderire a
parchi dal momento che risulta sempre più evidente che le condizioni
ambigue che stanno dietro a dette strategie minacciano la nostra
esistenza. La Legge federale sulla protezione della natura e del
paesaggio (LPN) garantisce uno sviluppo durevole e sostenibile delle
nostre regioni di montagna, senza dover rinunciare alla nostra
sovranità con l’adesione a parchi, e senza lasciarci mettere sotto
tutela da organizzazioni mondiali come l’IUCN e dai loro membri.
Teniamoci stretta la nostra economia
alpestre, perché essa è a tutti gli effetti sostenibile, importante e
rispettosa delle caratteristiche del nostro paesaggio; conserviamo la
locale produzione di energia sostenibile, come lo sfruttamento dei
torrenti per l’energia idrica, i siti per la produzione di energia
eolica con le relative infrastrutture necessarie, le quali nelle zone
di protezione non sono quasi più realizzabili.
Considerazione
conclusiva
Perdita della biodiversità
e tracollo del paesaggio rurale, detto anche paesaggio culturale Quanto
più ci si addentra in questo tema, tanto più si rimane perplessi.
Infatti le accademie scientifiche, le associazioni, le organizzazioni –
sia internazionali che nazionali e regionali implicate nella faccenda
–, nonché le rappresentanze politiche e amministrative sono molto
numerose e nello stesso tempo svariate, molte delle quali sono membri
dell’IUCN. (Vedi iucn.org). Le interazioni fra di loro sono difficili
da monitorare e in parte contrastanti, perché da una parte l’Unione
internazionale per la conservazione della natura (IUCN) e le
organizzazioni per la protezione della natura associate hanno come
obiettivo la Rewilding (rinaturalizzazione), mentre che dall’altra
parte altre associazioni e politici puntano sulla promozione economica
regionale e il relativo coordinamento, dato che la situazione
demografica in tante regioni di montagna è stagnante, se non
addirittura calante. Si cercano sinergie nell’agricoltura e
nell’industria del legno, nel turismo, così come nello sfruttamento
delle energie rinnovabili per mezzo dell’acqua, del sole e del vento.
In che modo o maniera i parchi dovrebbero favorire simili progressi, è
per nulla chiaro.
Nelle discussioni pro o
contro i parchi, questo rappresenta una delle maggiori controversie, in
quanto proprio la protezione della natura fa sua, come pretesto di
legittimazione, veramente la promozione economica. Questo argomento
nell’interesse di tutti viene sovrapposto a tutto il discorso, al fine
di non contrastare progetti di parchi.
Una volta realizzato un
parco, entrano in vigore i modelli e le limitazioni legali per i
parchi, i quali sono stati ampiamente elaborati dall’ICUN e dalle
associazioni ambientaliste. In merito alla protezione della natura,
nelle “carte dei parchi” stanno enunciati che ci dovrebbero
preoccupare, come “priorità”, “in primo piano”, “tenendo conto di…”,
“conciliabilità/compatibilità rispetto alla protezione della natura”,
“promozione dello sviluppo sostenibile”, “non pregiudicare/nuocere”,
“le misure di protezione hanno la precedenza, la cessazione dello
sfruttamento potrebbe essere la conseguenza”, ecc. ecc. Questo è un
linguaggio chiaro e inequivocabile. Con “cessazione dello sfruttamento”
è intesa soprattutto l’economia alpestre nelle zone centrali. Ma pure
nei confronti della produzione di energia elettrica prodotta con
l’acqua di torrenti alpini o impianti eolici nei paesaggi non
antropizzati, le associazioni ambientalistiche oppongono resistenza, in
quanto le stesse considerano queste aree degne di conservazione.
Lo stesso principio vale
per l’ampliamento di infrastrutture nei settori dell’agricoltura,
dell’industria e del turismo. I promotori dei parchi che finanziano i
progetti, come l’Ufficio federale dell’ambiente, Pro Natura e il WWF,
non stanziano denaro se non ottengono una controprestazione ecologica.
Chi paga, comanda! Le organizzazioni che pianificano e operano nella
penombra, sono talmente svariate che per il comune cittadino è quasi
impossibile scoprire gli intrallazzi. A colloquio con attivisti e
promotori di parchi ho dovuto constatare molte volte con stupore come essi conoscano ben poco queste
interconnessioni. Essi considerano un simile progetto come
oggetto unico, regionale ed indipendente, per cui spetta a loro
l’ultima parola. Non c’è per nulla da stupirsi in quanto vien sempre
detto e scritto che lo sfruttamento agricolo non cambierà per la
popolazione colpita e che su tale oggetto del contendere si potrà in
ogni caso votare di nuovo dopo dieci anni. In realtà una disdetta del
contratto/accordo a posteriori non è più possibile per singoli comuni.
Per una disdetta/uscita
anticipata del contratto del parco occorrono i 2/3 dei comuni che
compongono il parco e nell’assemblea dei delegati sono richiesti
addirittura i 3/4 dei votanti. A queste condizioni, il discorso sul
valore aggiunto per la regione è molto discutibile. Per l’economia
agraria alpestre la nuova problematica inerente i grandi predatori è
semplicemente di importanza vitale. Ma anche il turismo è colpito. Il
numero crescente di cani da protezione per le greggi che vagano
liberamente sul territorio ostacolano il libero accesso ai sentieri per
escursioni. Sorgono sempre più conflitti con gli escursionisti e si
registrano a volte anche incidenti gravi (zannate). E di conseguenza
problemi giuridici per gli allevatori. Nella Charta del progetto del
Parc Adula stava scritto che: “La tradizionale gestione agricola degli
alpeggi è possibile e auspicabile fintanto che nella zona centrale lo
sviluppo libero della natura non è compromesso”. Siccome i contratti
regolamentano sia il dare che l’avere, nonché i diritti e i doveri, in
simili accordi andrebbe fissato che: “Lo
sviluppo libero della natura nella zona centrale è possibile e
auspicabile fintanto che non compromette la gestione tradizionale degli
alpeggi”. Questo sarebbe un contratto equo. Così come nel
frattempo vorrebbero raggiungere i responsabili del parco nazionale
delle Cevenne (patrimonio dell’UNESCO), dopodiché nel parco hanno
potuto provare scientificamente le gravose conseguenze della presenza
del lupo sulla pastorizia. Il label UNESCO è minacciato perché la
popolazione di lupi in crescente aumento mette in serio pericolo la
grande e pregiata biodiversità presente nella regione. La controversia
fra l’economia alpestre, che garantisce sia la biodiversità che la
sostenibilità, e associazioni estremiste come l’IUCN, il WWF, Pro
Natura e altre ancora, che per il tramite dell’introduzione del lupo e
di altri grandi predatori vogliono trasformare l’Arco alpino in
un’esclusiva area naturale integrale, rischia di infiammarsi.
Noi, contadini di montagna, insieme a
consumatori, biologi, ambientalisti, politici e altri ancora, opporremo
resistenza! Infatti noi vogliamo conservare il patrimonio
dell’agricoltura e della pastorizia basate sullo sfruttamento delle
superfici prative e pascolative e che promuovono l’agro-biodiversità.
Mostriamo alla società i mostruosi danneggiamenti causati dalla
presenza del lupo: paesaggi destinati all’incuria, rimboschiti ed
inselvatichiti, migliaia di animali da reddito uccisi, con il
conseguente abbandono di regioni pascolative ed alpeggi in cui prospera
una preziosissima biodiversità. Riportiamo l’attenzione sui nostri
valori millenari di cui vive ed approfitta l’intera società.
Proteggiamo l’agricoltura e la pastorizia tipiche delle nostre regioni
di montagna, così come sopra descritte. Conserviamo la carne genuina,
il buon formaggio, gli spazi naturali curati e coltivati, nei quali
ognuno si può muovere liberamente e trovare ristoro senza alcun
pericolo. Questi sono valori che noi abbiamo creato con amore, impegno
e sudore della fronte per il bene di tutti e che stanno a cuore anche a
chi abita nei centri urbani.
A queste condizioni, per
l’economia
alpestre nuovi progetti di parchi costituiscono una minaccia assai
seria e a lungo termine, con conseguenze irreparabili.
Allegati:
– Kurzfilm Wolfsproblematik: https://youtu.be/Jwod0j6kAj4 (Cortometraggio sulla problematica dei grandi predatori)
– Actionplan for the conservation of wolves in Europe: http://t1p.de/1wzg (Piano d’azione per la conservazione del lupo in Europa)
– Plädoyer Wissenschaftler Weidewirtschaft: http://t1p.de/oqqg (Disquisizioni scienziati sulla pastorizia)
– Erhalt Biodiversität: http://t1p.de/8un0 (Conservazione biodiversità)
– Park und Wolf: http://t1p.de/wx5i (Parco e lupo)
– Verflechtungen Schnidrig: http://t1p.de/h5v5 (Relazioni ambigue di Schnidrig)
-Schema IUCN-Schweiz-Schnidrig: http://t1p.de/j9tt (Rappresentazione grafica relazioni IUCN-CHSchnidrig)
– Zürcher Studie Wolfs-Lebensbedingungen: http://t1p.de/q6a8 (Studio Uni ZH sulle condizioni di vita del lupo)
-Pro Natura Standpunkt: http://t1p.de/4rcp (Visioni Pro Natura, con le spiegazioni sugli strumenti e le convenzioni/gli accordi internazionali)
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