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al tempo del contagio
Più forte del virus
Il Màs eretto sul Pés
di
Michele Corti
Sabato 9 maggio, a
sorpresa, sulla cima del monte Guazza in val Seriana, appare il Màs, il
maggio, l'albero rituale del primo maggio che fonde in armonia della
saggezza popolare, il rito agrario della fertilità e la devozione
mariana. Un segno forte da tanti punti di vista. Il virus
(e la sua discutibile gestione) non azzerano la tradizione, che si
dimostra più forte, capace di adattarsi alle esigenze della comunità
che la esprime, nei giorni cupi e in quelli lieti
(10.05.20) Una bellissima notizia, di quelle che ribaltano
l'avvilimento da società al tempo del Covid. Il 24 aprile (vai
a vedere) abbiamo parlato dell'antichissimo rito del Mas a Ponte
Nossa (val Seriana). Con un po' di tristezza per l'impossibilità
di poter svolgere il rito quest'anno al tempo del lockdown (l'albero
era tagliato una domenica di aprile ed eretto sulla cima del monte Pés)
il primo maggio, quindi bruciato il primo giugno. Il rito (taglio,
erezione, falò) fa parte degli ancestrali riti agrari del 1° maggio.
Sabato 9 maggio, solo con un po' di ritardo, l'albero è apparso sulla
cima sfidando le regole della "fase 2". Come nel 1941-45 il rito
interpreta la situazione della comunità e si modifica, confermando la
sua vitale funzione, più forte di una "modernità" sempre più
schizofrenica e nichilista. I "soci" del Màs, sodalizio "informale"
esistente al almeno 500 anni, che non si assogettano - e fanno benone
- all'inquadramento giuridico imposto dal potere statale moderno
a ogni aggregazione sociale benché minima, hanno agito in gran segreto.
Nessuno ha avuto notizia di alberi preparati, di preparativi. Non c'è
stato l'avviso affisso in paese come tutti gli anni per annunciare al
chiamata, la mattina di buonissima ora, del primo maggio.
il 9 maggio
2020 il Màs era visibile sulla cima del Pés
Eppure
il Màs, sia pure meno imponente
degli scorsi anni, quando era tagliato nel boschi di Ardesio, è stato
portato a forza di braccia e di volontà sin sull'erto cucuzzolo. Il
significato del gesto non è affatto una "bravata", ma al contrario
una'affermazione dei saggezza, di coraggio, di intelligenza. Sono i
precedenti a spiegare il perché, sfidando le regole, l'azione rituale
di innalzamento dell'albero si è svolta comunque. Anche se, come
comprensibile, il Màs era meno "massiccio" Nemmeno in tempo di
guerra, il rito era stato "annullato". Ma di necessità si fa virtù. E
così il Màs di quest'anno riprende il tema del "matrimonio degli
alberi", praticato nella vicina Ardesio (dai cui boschi proviene il Màs
in anni normali) sino al 1543 e tuttora praticato ad Accettura in
Lucania e in altre località (tutto spiegato nella puntata precedente vai
a vedere) dalla foto con la madonnina non si vedeva bene.
Ma da una foto ulteriormente pervenutaci dal Pés (drone o fototrappola
o altri marchingegni tecnologici?) la cosa appare in tutta la sua
evidenza.
Anche nei cupi anni tra
il 1941 e il 1945, il Màs era stato solo "sospeso", mai annullato. L'albero non era
stato bruciato il primo giugno 1941 ma rimase al suo posto sino al 1
giugno 1945. Anche quest'anno resterà sulla cima senza essere bruciato (un voto contro il covid e le jatture che comporta?).
Infatti siamo in una specie di guerra (i morti e le conseguenze
economiche e sociali sono da guerra). Non sappiamo chi l'ha dichiarata
(sappiamo comunque che non è una "maledizione naturale" ma che ha a che
fare con la globalizzazione e con la Cina. Sappiamo che in val Seriana la
guerra ha avuto conseguenze catastrofiche.
Non
va taciuto che è successo anche
perché le fabbriche non sono state chiuse in tempo, perché la
proverbiale laboriosità, la cultura industriale radicata, quando questi
valori sono distorti e malintesi, finiscono per coprire l'anteporre i
fatturati alla vita umana... e si trasformano in disvalori.
Poi, però. quando il porcello era scappato si è passati a infliggere il
danno opposto, impedendo ogni genere di attività, anche in montagna,
anche senza alcun rischio, danneggiando ancora una volta il il morale,
la salute, il portafoglio.
Elementi su cui riflettere per trarre insegnamenti dalla tragedia, per
far sì che i morti e le sofferenze non siano state inutili, che
l'esperienza in cui si è immersi serva a ripensare anche l'identità
territoriale (magari relativizzando un po' certi valori troppo
influenzati da una modernità scambiata per qualità e inclinazioni
innate).
Ma torniamo al Màs. Da
un documento della fine del Settecento si apprende che: piova o
tempesti od imperversi il tempo fino che vuole e che si può immaginare
nessun anno mai si intralasciò di fare il falò, sul detto Pizzo.
Uno degli elementi che danno al Màs il
suo significato è non solo il carattere "ciclopico" della prova in sé
ma anche la capacità di chi ne è protagonista di portarla a compimento
in ogni condizione. Riferivamo nel precedente articolo, sulla base
delle informazioni di
Sergio Castelletti (rappresentante informale dei Soci) che nelle annate con condizoni
favorevoli i partecipanti sono numerosi e tutto è più facile. Quando
piove e tira vento i partecipanti si rarefanno e l'impresa diventa più
ardua, sia per le condizioni avverse, ma anche per il minor numero.
Punto di onore per i "pochi ma buoni" è semprestato arrivare in vetta e
piantarvi il Màs a ogni costo. E così è stato anche quest'anno.
Ci si potrebbe chedere: sfida per sfida
non si poteva attuarla anche il 1° maggio? La risposta che ci sentiamo
di dare è no. Il 1° maggio, ancora nella fase 1, segnata
da tanti drammi personali e famigliari, il senso sarebbe stato di sfida
fine a sé stessa, il senso della trasgressione avrebbe sormontato ogni
altro, si sarebbe dato un messaggio sbagliato. Il 9 maggio, invece, con
le immagini dei Navigli affollati, con l'annuncio della riapertura dei
cinema, con le notizi di residenti in montagna multati per
attività all'aperto in solitudine, la trasgressione è apparsa giusta,
quantomeno proporzionata al grande valore per la comunità del Màs. al
valore di segnale di capacità di saper assorbire la botta, di non
sacrificare al virus anche cose importanti che hanno valore nei tempi
lunghi, che vengono da lontano e danno la forza di guardare avanti, di
poter guardare ancora lontano grazie alle energie che il sentirsi
comunità infonde a ognuno. Innegabile che ci sia anche un messaggio al
tempo stesso positivo ma anche contestativo (i riti sono spesso
espressioni di autonomia dai poteri esterni). La comunità ha mostrato
di essere capace di tenere botta mentre le istituzioni, i virologi, i
sapienti e potenti litigavano tra loro, si smentivano non mostravano
coerenza.
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