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al tempo del contagio
Mi
piace stare qui, così
La rivoluzione della montagna
(di una ragazza di 24 anni)
Così. Così, come adesso, al tempo del
contagio. L'assenza di frenesia nelle strade vuote e lugubri rispecchia
in città la solitudine angosciata dei cubicoli (buoni per una vita
"fuori", di lavoro, week-end, svago consumista). Mentre nella montagna
rurale il silenzio da il senso liberatorio di una "restituzione", della
montagna a sé stessa, rispetto al tanto che la modernità e la
colonizzazione culturale hanno tolto e al poco che hanno dato. Così,
restati soli, scoprendo una libertà di cui si era perso il valore, si
fa "la tara" alle lusinghe della cultura cittadina, anche quelle
"ecosostenibili". La montagna rurale saprà vincere, fare le sua
rivoluzione silenziosa, se saprà avere il coraggio dell'operare giorno
per giorno, non seguendo mode effimere, ascoltando la montagna (e i
lasciti di generazioni che
l'hanno ascoltata). Detto da una ragazza di 24 anni lascia ben sperare.
di
Agnés Garrone
(29.04.20) “un
tempo eravamo poveri ma eravamo
felici” … questo è ciò che ogni anziano e meno anziano delle
nostre montagne mi ripete con occhi languidi e espressione
rassegnata.
Ma, mi
chiedo io,
può essere veramente così, o da sempre ogni generazione precedente
ripete ai propri giovani questo mantra rimpiangendo la propria
giovane età, ormai irrimediabilmente persa?!
Sono
una ragazza, ho 24
anni, sono nata
qui, a 1120 metri, in una casa in pietra. Sono cresciuta qui, tra
pecore, fieno, letame e rovi. Vivo, lavoro e studio qui. E qui mi
piace! Mi piace perdermi tra i boschi, guardare le vecchie piante di
castagno, ormai storpie e monche; mi piace sporgermi dalle rocce per
vedere la pianura che brulica di luci ferme o in corsa all’imbrunire;
mi piace addormentarmi al pascolo sul materasso morbido e frusciante
di erba veiro;
mi piace il silenzio che cala nella valle dopo l’estate. Mi piace,
forse, perché l’ho sempre visto così, questo mondo in decadenza:
l’ho sempre visto decadente. Ma non posso negare che ho sentito un
tuffo al cuore ieri quando ho scoperto che la volta della casa di
Bergèro è crollata, quando ho cercato nelle macerie il santino di
San Magno, un libro sbrandellato di grammatica italiana, un bottone
in madreperla…. Vedere decadere un mondo, il proprio mondo, che già
si conosce decadente, fa germogliare nella mente e nel cuore il
triste pensiero che forse un giorno qualcuno verrà a visitare le
nostre borgate, le nostre case e farà come ho fatto io ieri:
raccoglierà qualche ciarpame dalle macerie, cercherà di trattenere
e strappare al tempo qualche brandello di ciò che è stato. Ora
siamo noi, domani sarete voi…quod tu
es ego fui, quod ego sum et tu
eris…
Eppure
di giorno in giorno
la mia vita
quassù prosegue guardando al futuro, a un futuro lontano. I sogni
non si fermano di fronte a una maceria e, anche se il bosco avanza,
anche se il silenzio ogni inverno si fa più assordante, anche se la
solitudine a volte trafigge il cuore più di un coltello, non credo
di poter vedere la mia vita altrove e, forse per testardaggine, non
voglio credere a chi ci definisce pazzi, idealisti o irrealisti.
Non
saranno i grandi
investimenti di
gente venuta da fuori a salvare la montagna, non saranno le piste da
sci o le visite guidate a dare speranza a questi territori, non
saranno grandi progetti di restauro e recupero architettonico, non
saranno i musei, non saranno le strade e forse nemmeno internet che
potranno garantire un futuro a questa e alle altre valli… non credo
in una rinascita green della montagna, non credo negli ideali falsi
di marketing che sfruttano le nostre rive per un soffio di anni per
poi dimenticarle al primo sberluccichio di una moda più redditizia
altrove. Ci ho creduto, ma non ci credo più. Nei miei pochi 24 anni
ho visto nascere e morire tante false speranze, tanti investimenti
grandiosi che avrebbero dovuto salvarci.
Eppure
credo e credo
fermamente che la
montagna non morirà, non soccomberà, non ancora, non finché la
gente che la abita sogna di lavorare, di vivere, di continuare, di
crescere i propri figli in quei posti in cui è nata. La vita di
montagna non è mai stata una vita di grandi eroi, di grandi
personaggi, di grandi imprese, di grandi investimenti e grandi
attività. La vita di montagna è lenta, è calma, è silenziosa…
non ama folle di turisti, non ama il rumore, non ama la frenesia e le
rivoluzioni fragorose. In montagna, comanda la montagna: bisogna saperla
rispettare come un padre, bisogna saperla aspettare come un bambino,
bisogna saperla curare come un malato, bisogna saperla assecondare
come uno scaltro mercante, bisogna saperla vivere, ogni giorno, ogni
ora, ogni stagione… la rivoluzione dei montanari c’è, esiste, è
in atto, ma è selettiva, è dura, è lenta, è silente: l’avrà
vinta solo chi saprà capirla, viverla e crederci giorno per giorno.
Note
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Articoli
al tempo del contagio)
Torna il canto sociale (come critica
della globalizzazione)
(29.04.20)
L'inno della resistenza, contadina, artigianale, popolare. Con
questa canzone DVDS ha superato sé stesso. E' riuscito distillare in
immagini poetiche una biblioteca di sociologia della globalizzazione. A
fondere i motivi dell'amarezza, dello spaesamento con l'orgoglio
semplice ma roccioso e dotato di inedita autoconsapevolezza, il
pessimismo, per un presente che mangia passato come futuro, con la
ferma convinzione che resistere è già una vittoria e che "fin che siamo
qui", fin che non siamo "partiti" qualcosa può ancora succedere? Questa
non è una canzone ma un inno di resistenza sociale.
Riti di maggio: il Mas di Ponte Nossa e
Ardesio
(24.04.20) L'interessantissima evoluzione di un rito che coinvolge due
comunità della val Seriana e che interessa due tra le modalità più
suggestive del rito arboreo del Maggio: il "matrimonio degli alberi" e
l'innalzamento dell'albero di maggio sulla cima di una montagna (con
l'arsione finale). Ritroviamo nell'antico Mazo di Ardesio e nel Màs di
Ponte Nossa, molti dei motivi ancestrali del rito agrario di fertilità
del 1° maggio. Qui, in val Seriana, non ancora studiati nella loro
complessa evoluzione.
Il maggio come rito agrario della vita
(22.04.20) La quarantena, tra i tanti effetti che produce, quest'anno
comporterà la mancata celebrazione delle feste e dei rituali
primaverili. Costringendo a riflettere sul loro senso. Analizzando cosa
hanno in comune quelli "ufficiali", che coincidono con feste politiche,
e quelli che perpetuano riti ancestrali. Riti, come quello del Mazzo di
Ponte Nossa (Bg) e del "Matrimonio degli alberi" di Accettura (Mt) che
si sono arricchiti e differenziati nel tempo in relazione alle esigenze
di disparate comunità. Ma che non è difficile ricondurre a
idee religiose formatesi con l'avvento dell'agricoltura
Socialità
contadina contadina tristezza urbano-tecnologica
(17.04.20) La socializzazione online da contagio è occasione per
riflettere sul graduale processo di compromissione della socialità
spontanea, della convivialità semplice e gioiosa. Un processo che è
coinciso con il passaggio dalla comunità contadina alla, ormai
generalizzata, "forma di vita urbana". L'idea, tutt'ora prevalente e
accettata acriticamente, di comunità di montagna del passato cupe e
miserabili va totalmente ribaltata.
Ritrovando
un ritmo più vero
(13.04.20)
Le riflessioni poetiche di Anna Arneodo impongono a tutti dei
ripensamenti. A chi sta chiuso nei suoi loculi metropolitani (da dove
non sono più possibili le nevrotiche "evasioni") come al montanaro, che
riscopre un mondo quasi perduto. Perché il dopo contagio non
rappresenti una ripartenza ansiosa e impoverita del mondo di
prima.
(03.03.20)
Le organizzazioni agricole in Italia non svolgono un ruolo efficace di
tutela politico-sindacale. Condizionate dal loro incarnare altre
funzioni, spesso in conflitto di interessi con quella che - in teoria -
dovrebbe essere principale. Erano - la Coldiretti in particolare
- organizzazioni di massa, funzionali al consenso politico; sono
diventate centri di servizi, in ultimo organizzazioni para-commerciali.
Produzione
cibo sempre indispensabile
(29.03.20)
Cosa mangeremo? Intanto se non hai la partita Iva e codici Ateco
vietato coltivare. Riflessioni sul rapporto tra pandemia e cibo.
Inutile negare "per non fare allarmismo" le tensioni sui prezzi e che
alcuni paesi stiano chiudendo l'export. Ci sono anche rischi da
chiusura di frontiere, divieto di attracco di navi che hanno fatto
scalo in Italia. Ogni stato pensa prima di tutto al suo interesse;
l'Europa unita e il mondo iperconnesso del free trade appaiono
pericolosi inganni.
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