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al tempo del contagio
Torna il canto sociale (come critica
della globalizzazione)
Vai al video You
Tube con la canzone "Gli spaesati"
e
l'introduzione (Lenno 22.9.2018)
di
Michele Corti
Davide Van de Sfroos con
"Gli spaesati" ha superato sé stesso costruendo una canzone che riesce
a tradurre in immagini poetiche il pensiero critico che contesta la
globalizzazione quale episodio culminante della modernità e lo
spaesamento da essa indotto. Un inno di resistenza sociale, dedicato a
chi, "facendo quello che ha sempre fatto", si rende conto di non vivere
nella nostalgia ma di combattere.
(29.04.20) "Gli spaesati" di Davide Van De Sfroos è molto più di una
canzone con un gran bel testo, è un inno alla resistenza sociale di
chi vive nel disorientamento determinato dalla dissoluzione della comunità,
dall'attacco spietato a quello che rimane delle attività tradizionali,
artigianali, su piccola scala, legate a preziosi saperi situati, a
insiemi di relazioni sociali organiche.
Questo mondo dei "vinti della globalizzazione" (che comprende anche
quelli che erano riusciti in qualche modo ad adattarsi all'onda d'urto
dell'industrializzazione), continua a sentirsi partecipe di
significati, ad essere immerso in sistemi di senso legati alla memoria
e al luogo. E' questa immersione (embeddednes)
che spinge gli "spaesati" a "tenere in ordine" non solo il proprio
spazio privato (a "fare l'orto") ma a tegnì
net anche lo spazio fisico-sociale di quella che era la comunità
insediata: i boschi, i terrazzamenti, i pascoli, nel suo perimetro
simbolico. Quando sfalciare su ripidi fazzoletti di prato o raccogliere
la foglie del bosco, alla luce di un mero conto economico, costa di più
che comprare il fieno.
A chi in alpe ancora "fa quel formaggio" si riferisce esplicitamente
VDS nell'introduzione al pezzo. Nel preambolo Davide utilizza concetti
alla portata del largo pubblico, ma il
testo consente di cogliere di precisi rimandi, non solo letterari, non
oltre chiari riferimenti agli studi sociologici (i "lavori vecchi"
spiazzati dalla globalizzazione,
l'abitare un luogo senza creare comunità, la liquefazione dei sistemi
di relazione, l'accelerazione del cambiamento che disorienta,
l'incapacità di comprendere le novità tecnologiche) anche qualcosa di
più.
Unheimlich (!?)
Oltre gli aspetti sociologici (negli "spaesati" ci sono gli echi di
tanti spunti della sociologia della globalizzazione), c'è in trasparenza
la contrapposizione tra una condizione, quella dei "retrogradi", degli
"ignoranti" che, sul piano filosofico (si potrebbe osare una parolona "ontologico"), richiama il dasein di Heiddeger cui si
contrappone, per l'appunto lo unheimlich,
lo "spaesamento", il "disorientamento".
C'è bisogno di scomodare i filosofi per una canzone? Sì perché il
testo traduce in immagini poetiche non vaghi sentimentalismi e
nostalgie del bel tempo andato ma il pensiero critico più acuto, la
critica della modernità che dissolve mondi di significati e di
relazioni tra l'uomo e il suo ambiente sociale e naturale. E oggi,
quando la "globalizzazione" contemporanea porta all'estremo le logiche
della modernità, sino a prospettarne le implicazioni distruttive e
l'involuzione verso un sistema di controllo e sorveglianza globali (il
"grande fratello"). Un esito fatale dell'iperplasia tecnologica innestata
sull'impoverimento sociale e spirituale, sull'esasperazione di due sole dimensioni:
l'individuo e il mercato, quest'ultimo talmente espanso da assorbire
tutto il sociale (dopo aver disintegrato la comunità sostituendola con
"comunità" legate a un brand o a un prodotto).
Freedom is slavery
Il mercato resta come vero unico raccordo tra gli individui isolati
mossi dai loro desideri egoistici nella loro esasperata ricerca di
individualizzazione (l'account google chiede, se si vuole, di indicare
un sesso "personalizzato"). Questa individualizzazione è stata spinta
sino al punto che nessuno ha realmente qualcosa in comune (tranne
"identità" posticce, intercambiabili a piacere, compreso quella di
genere, si intende) . In realtà tutti sono ugualmente irrigimentati, tutti chiusi in sé
stessi, tutti separati (rispetto a sé stessi e agli altri), gli
individui-multitudine sono incapaci di creare unità. Che bello (per l'elite)! Una
disintegrazione che consente al potere globale di surrogare, per
i suoi fini,
la liquida disunità .
Brandelli come gonfalone e bandiera di guerra
Gli "spaesati" reagiscono sventolando con orgoglio i brandelli di
quella che era una "bandiera" (il senso di appartenenza a un paese a
una cultura, anche era "naturalistico", non se ne era consapevoli). Non
si rassegnano; oggi resistere è per loro, per noi, l'unica
vittoria possibile è il loro, il nostro, grido di
battaglia. Per ora ci siamo ancora, non ci siamo piegati a cambiare il
nostro modo di vita.
Sappiamo bene, lo sanno bene i rurali, gli artigiani, i piccoli imprenbditori, quanta "resistenza attiva" necessiti lo
"stare fermi". Sappiamo quanto costa non accettare le imposizioni a
cambiare ("metti il fermento nel latte, usa i mangimi, digitalizzati). Non è facile
stare fermi con la burocrazia che, operando con zelo per i "padroni del
vapore" e per sé stessa, si inventa ogni giorno nuovi adempimenti e complicazioni per
spingere i "piccoli" a mollare.
Anche dove lo "spaesato" si rifugia nel
"sommerso", nell'hobbysmo (termine osceno per dire "passione"), sono
pronte, come avvoltoi e iene, regole e norme di ogni tipo che hanno in
modo sempre più invasivo preso a controllare la vita domestica, la
sfera privata con la scusa della sicurezza, dell'igiene, della
privacy. La scusa, diciamolo forte e chiaro. A dispetto della
privacy, uno strumento escogitato per
conseguire risultati opposti a quelli dichiarati) i padroni del
vapore (leggesi padron del web e della finanza) conoscono sempre più
quello che facciamo.
A dispetto della sicurezza e dell'igienismo spinto sino alla paranoia
(anche per indebolire volutamente le difese immunitarie spontanee e
promuovere farmaci, disinfettanti, vaccini ecc.), un virus legato -
comunque la si giri - alla non osservanza di standard di sicurezza in
un paese dualista come la Cina,
all'accellerazione senza senso della misura, del limite, della
prudenza, delle relazioni intercontinentali, ha potuto mettere
in ginocchio mezzo mondo. Ed è solo l'inizio.
La globalizzazione va a
sbattere a avvicina la fine del ciclo oscuro
E qui casca l'asino, perché la globalizzazione, la logica della turbo
economia finanziarizzata, spiana e omogenizza la realtà sociale in
funzione del profitto immediato ma non va a incidere, almeno con la
stessa velocità, fuori dalla sfera della cultura occidentale, su molti
aspetti della realtà sociale, economica, culturale, spirituale. Bene da una parte, ma foriero di rischi smisurati.
Così se l'occidente esegue, ligio, i dettami del politically correct,
della hygienic correctness
ecc. ecc., i cinesi (e altri) non si sognano di
farlo o di farlo con le modalità e i tempi che l'occidente
auspicherebbe. Ma in un mondo connesso a velocità sempe più vorticose
(andrà avanti così sino a schiantarsi), queste "discrepanze"
diventano tragedie (oltre che un ring economico dove noi, spesso, si
gioca con una mano legata dietro la schiena). La pialla levigatrice
alla fine, annicchilisce l'occidente (l'Europa più dell'America) che ha
la colpa originale di aver innescato i processi della modernità e che
il capitalismo globale vuole "piallare" con particolare zelo (vedi
ondate immigratorie di sostituzione etnica) per arrivare a un
mondialismo "puro" che non rechi
traccia della matrice europea, cristiana. Un impaccio per muoversi con
infiniti gradi di libertà. Quini le prime identità culturali, etniche,
religiose da eliminare sono quelle europee.
"Noi ci siamo ancora", è il grido degli "spaesati", "non siamo ancora
partiti", siamo rimasti "senza paese", pur restando dove avevamo sempre
vissuto (salvo fare gli emigranti e i "ritornanti"). Non solo
amarezza, quindi, ma anche consapevolezza.
I "vinti" non si sentono
tali, resistere non è senza speranza. Non c'è la nostalgia consolatoria
nel testo di VDS. Questo mondo globalizzato per molti versi assomiglia
sempre più a un incubo che materializza vecchie distopie e lugubri
profezie.
L'accellerazione
può portare a una rottura, al fuori giri a far fondere il motore, quel
momento di arresto del moto del "progresso" può precludere a un nuovo
ciclo. Per questo resistere ha un senso.
Il pensiero critico, le apparentemente insignificanti azioni di
resistenza fare l'orto, un formaggio a latte crudo, ripristinare forme
di azione collettiva, impedire la distruzione della famiglia, rigettare
la metastasi di regole che vogliono schiacciarci sotto un controllo
totale e bloccare ogni autonomia della persona, dell'impresa, della
comunità, difendere e riconquistare spazi per produrre in
autosufficienza dai grandi sistemi (a partire dal global food system di
poche multinazionali) non solo cibo, ma anche conoscenza, sistemi di
relazioni, simboli, serve a preparare i germi di un ciclo futuro.
L' esser-ci (ancora) è una
forza rivoluzionaria
Prima di questa fase estrema del ciclo in cui il virus ci ha fatto
percepire - con l'impressione di vivere in un film di fantascienza di
essere precipitati, solo un esiguo numero di "iniziati" poteva pensare
di essere chiamato a questo compito. Oggi la crescente autoriflessività
delle componenti sociali dei nuovi ma, soprattutto, dei "vecchi vinti"
della globalizzazione può far sperare in un movimento a base popolare
in grado di preparare un nuovo inizio. Resistere è una vittoria
perché ne crea le condizioni. Chi guarda indietro può andare avanti,
chi si lascia imprigionare in un presente, imposto come elemento
di senso esclusivo , resterà indietro. Grazie Davide per il tuo canto
sociale, per l'inno di resistenza che ci hai regalato.
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Articoli
al tempo del contagio)
Riti di maggio: il Mas di Ponte Nossa e
Ardesio
(24.04.20) L'interessantissima evoluzione di un rito che coinvolge due
comunità della val Seriana e che interessa due tra le modalità più
suggestive del rito arboreo del Maggio: il "matrimonio degli alberi" e
l'innalzamento dell'albero di maggio sulla cima di una montagna (con
l'arsione finale). Ritroviamo nell'antico Mazo di Ardesio e nel Màs di
Ponte Nossa, molti dei motivi ancestrali del rito agrario di fertilità
del 1° maggio. Qui, in val Seriana, non ancora studiati nella loro
complessa evoluzione.
Il maggio come rito agrario della vita
(22.04.20) La quarantena, tra i tanti effetti che produce, quest'anno
comporterà la mancata celebrazione delle feste e dei rituali
primaverili. Costringendo a riflettere sul loro senso. Analizzando cosa
hanno in comune quelli "ufficiali", che coincidono con feste politiche,
e quelli che perpetuano riti ancestrali. Riti, come quello del Mazzo di
Ponte Nossa (Bg) e del "Matrimonio degli alberi" di Accettura (Mt) che
si sono arricchiti e differenziati nel tempo in relazione alle esigenze
di disparate comunità. Ma che non è difficile ricondurre a
idee religiose formatesi con l'avvento dell'agricoltura
Socialità
contadina contadina tristezza urbano-tecnologica
(17.04.20) La socializzazione online da contagio è occasione per
riflettere sul graduale processo di compromissione della socialità
spontanea, della convivialità semplice e gioiosa. Un processo che è
coinciso con il passaggio dalla comunità contadina alla, ormai
generalizzata, "forma di vita urbana". L'idea, tutt'ora prevalente e
accettata acriticamente, di comunità di montagna del passato cupe e
miserabili va totalmente ribaltata. leggi
tutto
Ritrovando
un ritmo più vero
(13.04.20)
Le riflessioni poetiche di Anna Arneodo impongono a tutti dei
ripensamenti. A chi sta chiuso nei suoi loculi metropolitani (da dove
non sono più possibili le nevrotiche "evasioni") come al montanaro, che
riscopre un mondo quasi perduto. Perché il dopo contagio non
rappresenti una ripartenza ansiosa e impoverita del mondo di
prima. leggi
tutto
(03.03.20)
Le organizzazioni agricole in Italia non svolgono un ruolo efficace di
tutela politico-sindacale. Condizionate dal loro incarnare altre
funzioni, spesso in conflitto di interessi con quella che - in teoria -
dovrebbe essere principale. Erano - la Coldiretti in particolare
- organizzazioni di massa, funzionali al consenso politico; sono
diventate centri di servizi, in ultimo organizzazioni para-commerciali. leggi
tutto
Produzione
cibo sempre indispensabile
(29.03.20)
Cosa mangeremo? Intanto se non hai la partita Iva e codici Ateco
vietato coltivare. Riflessioni sul rapporto tra pandemia e cibo.
Inutile negare "per non fare allarmismo" le tensioni sui prezzi e che
alcuni paesi stiano chiudendo l'export. Ci sono anche rischi da
chiusura di frontiere, divieto di attracco di navi che hanno fatto
scalo in Italia. Ogni stato pensa prima di tutto al suo interesse;
l'Europa unita e il mondo iperconnesso del free trade appaiono
pericolosi inganni. leggi
tutto
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