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Parchi

Michele Corti, 12 agosto 2023


  • Trekking e peluche dedicati al lupo. Ma il Parco dello Stelvio promuove la montagna Luna Park, artificializzata e brutalizzata

E' ferragosto e i turisti che transitano per il passo Gavia, tra la Valcamonica e l'Alta Valtellina, non possono non notare le ruspe in azione  a oltre 2600 m di quota. Cosa stanno facendo? Opere così necessarie da ottenere l'autorizzazione nel sacro parco nazionale dello Stelvio, in un ambiente di biotopi particolari di alta quota? Giustificate dall'innevamento artificiale di una pista di fondo (già di per sé un fatto discutibile in un parco "naturale")? Vediamo di fornire qualche informazione in proposito ma, soprattutto, vogliamo attirare l'attenzione su come stridono questi interventi (e il finanziamento del Parco all'ennesimo "ponte tibetano" che trasforma la montagna in un Luna Park) con l'animal-ambientalismo talebano di un Parco pronto a sanzionare una finestra allargata, un albero tagliato, gli allevatori che si "ostinano" a far pascolare le capre, pronto a monitorare e a proteggere amorevolmente  i "suoi" nuovi cuccioli di lupo e a promuovere come attrattiva del Parco il predatore presso grandi e piccini.

I lavori con le ruspe al lago Bianco (2607 m) in prossimità del Passo Gavia, caratterizzato da un ambiente d'alta quota particolare e fragile (e dalla presenza di una ZPS), hanno finalmente attirato l'attenzione di alcuni difensori della montagna (vedi qui). In realtà il progetto era già stato oggetto di denunce da anni (sui media e non solo)  Ma dietro a questi lavori c'è un insieme di opere di captazione e pompaggio che pongono interrogativi sulle reali finalità di un intervento che era fermo da 15 anni e che mal si giustifica con il fabbisogno di innevamento artificiale di una pista  di fondo.  La vicenda conferma, se ce ne fosse ancora bisogno, che, quando i biotopi, le torbiere di alta quota etc. servono a giustificare il foraggiamento delle clientele ambientaliste con diluvi di studi di dubbia utilità , quando servono a istituire nuove aree protette e a vietare il pascolamento,
sono "preziose", "uniche", ma quando c'è di mezzo il business il loro immenso valore naturalistico svanisce all'istante. La magia dei soldi e del do ut des ai quali l'ambientalismo è particolarmente sensibile.


Nel Parco dello Stelvio lombardo, uno dei più  antichi (risale al 1935) e uno dei più importanti in Italia, vige, come in tutti i parchi, che sfruttando la loro apparentemente nobile mission sono divenuti centri di potere, di spesa e di clientelismo operando , per di più un "patto scellerato" :  da una parte i parchi hanno mano libera nel praticare politiche animal-ambientaliste talebane a danno dei deboli (un comodo paravento), il foraggiamento per professionisti, associazioni, ricercatori di parte animal-ambientalista, dall'altra concedono mano libera per progetti
di "valorizzazione turistica" palesemente impattanti sull'ambiente . Questo trade-off coinvolge non solo le regioni a guida rosso-verde ma, senza distinzione, anche quelle di "destra" (sic).

Molto a proposito, nel dicembre 2020, Marco Trezzi (qui) osservava a riguardo dei lavori per realizzare il sistema di captazioni e tubazioni che fa del Lago Bianco un serbatoio per la neve artificiale:

Dov’è il Parco Nazionale dello Stelvio quando c’è da fare il lavoro per cui è nato oltre 80 anni fa? Ormai è agli occhi di tutti che è diventato solo un ente burocratico, fatto di politici che sanno fare i forti con i deboli ed i deboli con i forti. Multano ed alzano la voce con un residente che allarga una finestra di una baita o taglia una pianta che stava crollando in mezzo al sentiero, ma permettono come se nulla fosse che una società impianti scavi una vallata per chilometri per interrare tubi di plastica, per rubare l’acqua ad un lago che sta lì,  Dio solo sa da quanti secoli, per innevare le loro piste da sci.

Quel Parco dello Stelvio il cui statuto, approvato e vigente dal 19 Febbraio 1998, parla chiaro: all’articolo 4 si parla delle finalità per le quali questo ente è nato, al primo punto cito testualmente: “protezione della natura, proteggere e conservare l’integrità degli ecosistemi e della loro dinamica naturale, nonché degli elementi naturali rappresentativi per la loro importanza naturalistica, geologica e geomorfologica, paesaggistica, ecologia e genetica.” Al secondo punto: “tutela del paesaggio, conservare l’armonica interazione fra natura e cultura anche attraverso una pianificazione paesaggistica e territoriale che tengo conto delle forme di sviluppo sostenibili, garantendo e sostenendo l’agricoltura di montagna e le altre attività economiche compatibili.


Forte con i deboli, debole con i forti. Il Parco dello Stelvio ha barattato con le amministrazioni l'estensione della ski area con quella del territorio vincolato. In pratica gli allevatori (che si sono trovati in tutto il comune di Valfurva dentro l'oppressivo regime vincolistico di un parco nazionale) sono stati sacrificati agli interessi forti delle società degli impianti.
Questo è il Parco dello Stelvio lombardo: un modello di cosa in negativo rappresentano i parchi. Un parco che opprime gli agricoltori ma gestito da Ersaf, l'Ente strumentale "per i servizi agricoli e forestali" della Regione Lombardia che di "servizio agricolo" non ha più quasi più nulla. Gestisce ancora, è vero, parecchi alpeggi, ma più con criteri naturalistici che agricoli (tanto è vero che l'ex assessore Rolfi aveva deciso la cessione ai comuni delle proprietà alpestri regionali, cessione mai avvenuta per l'ostruzionismo della burocrazia). Ersaf sa, ormai da decenni, che il green rende più dell'agricoltura e - desideroso di rastrellare risorse per mantenere il suo apparato - si è buttato sulla gestione (e la creazione) di aree protette che vanno a tutto discapito di chi pratica le attività tradizionali (non solo agricoltura e allevamento ma caccia, pesca, raccolte). Con la gestione del Parco dello Stelvio e con il progetto Wolf Alps, Ersaf ha effettuato una definitiva svolta in senso animal-ambientalista e anti-agricolo (con la componente agricola dell'amministrazione regionale che dorme e lascia fare).
Prima di tornare a parlare di pozzi, condotte, captazioni, stazioni di pompaggio nella valle che da Santa Caterina di Valfurva porta al Passo del Gavia, è bene, per capire il "patto scellerato" fare una disgressione sul lupo e il Parco..

Il lupo, utilissimo per il "patto scellerato"

Di lupo nel Parco si parla solo da 2-3 anni, è una  new entry, da lungo attesa, invocata. Con i lupi, la cui presenza è stata però a lungo sottaciuta e minimizzata da Parco, sono iniziate le predazioni. La "soluzione" per il Parco è quella di fornire due reti (insufficienti per difendere un gregge medio, ma "non ce ne sono più") e imporre agli allevatori di custodire gli animali o smettere l'attività. Come è noto il pascolo ovicaprino in quota si basa sul controllo regolare degli animali da parte degli allevatori. In questo modo si mantiene il paesaggio del pascolo ma anche quello dei prati a quote più basse dal momento che gli allevatori, per alimentare gli animali in inverno, continuano a sfalciare i prati. Custodire gli animali implicherebbe radunare i greggi di più proprietari e affidarli a un pastore. Era una pratica diffusa, spesso gestita dagli stessi comuni. Pensare di accollare i costi di custodia agli allevatori è impensabile anche perché i ricoveri in quota, anche dove esistevano, non sono più agibili, perché mancano l'acqua e le strade di accesso. La scorsa primavera un allevatore, Robero Compagnoni, ha scritto al parco per chiedere aiuto. "Se volete la convivenza con il lupo dovete metterci nelle condizioni di poter custodire il nostro bestiame". Questo era il succo delle richieste di Roberto.

A Roberto il Parco ha risposto picche, persino alla richiesta di poter utilizzare la moto da trial per salire a custodire i suoi animali. Lui deve, almeno un giorno sì e uno no, farsi ore di cammino, loro stanno in ufficio e autorizzano lo spianamento con le ruspe delle rive del Lago Bianco. Ma non è finita. Il 7 luglio i forestali del "nucleo parco" hanno appioppato a Robero un verbale per pascolo incustodito. Usciti da un rifugio per depositare l'immondizia, avevano involontariamente attirato le capre (che associano qualsiasi sacchetto al pane secco o al sale come sanno bene gli escursionisti) che erano deviate dal sentiero che percorrevano per poter bere nelle "valli", hanno letto gli orecchini (le marche auricolari) e fatto partire la sanzione. Va notato che l'allevatore chiedeva, tra le altre cose, di poter avere l'acqua sul pascolo e che lo utilizza legittimamente per diritto di uso civico. Pascola questa zona della val Zebrù da trent'anni, e prima di lui, lo faceva il padre.  In trent'anni nessun proprietario di baite della zona (Zebrù di dentro) si era mai lamentato di danni e  nessun forestale aveva mai elevato contravvenzioni. Notare anche
che Roberto è un allevatore che, oltre a protestare, ha speso di tasca sua per acquistare due cani antilupo come consigliato dal Parco ma poi ha dovuto portare a casa il cane che stava con le capre per le proteste dei rifugisti che difendono il diritto dei turisti di sfrecciare in mtb nonostante i cartelli del parco che indicano i comportamenti da tenere in presenza di cani da difesa.
La "colpa" di Roberto  è stata quella di porre pubblicamente il problema della "convivenza" con i lupi, di interrogare il Parco e di essersi fatto promotore di una petizione popolare per tutelare le persone e gli animali domestici dai predatori. E se il verbale è stato fatto dalla vigilanza (cc forestali) provenivano però da personale del parco i "pizzini" (via whatsapp) che nemmeno tanto velatamente, citando articoli del codice penale, diffidavano gli allevatori a non "ostinarsi" a lasciare le capre libere. Intanto le predazioni sono andate avanti anche con i turisti in zona nonostante gli sforzi del parco per minimizzare e non far trapelare le notizie. E continuano in questi giorni prossimi a ferragosto.



L'altra faccia del puccioso lupo Ernesto della campagna di lavaggio del cervello promosssa dal Parco con Trudi e Levissima.
Gli ospiti dell'agriturismo dove è avvenuta questa predazione hanno però visto.


Il 14 luglio a Santa Caterina di Valfurva a 2200 m, a 150 m dall'agriturismo Ables era stata predata una capra, seconda predazione della settimana. Il 23 luglio veniva ritrovata questa pecora (foto sotto) palesemente uccisa dai lupi all'Alpe Cristallo, sopra Madonna dei Monti (Sant'Antonio di Valfurva). Nello stesso periodo si registravano predazioni di una decina di ovini presso la Cà Marcia (non lontano dall'agriturismo Ables di cui sopra). Di queste predazioni nulla è trapelato (probabilmente non sono state neppure denunciate).


Il Parco, in questo periodo estivo, fa di tutto per mettere la sordina al lupo-problema per puntare sul lupo-da-bere (il turista deve essere attratto dalla narrazione pucciosa del lupo e non spaventato dal lupo cattivo, che è una fissazione di persone retrograde e ignoranti). Fatica vana perché, anno dopo anno, i lupi aumenteranno e i turisti spariranno per la paura, tanto più quanto più scopriranno che il Parco e le istituzioni locali hanno tenuto nascosta la realtà "per non fare allarmismo". Ecco allora che  il lupo, animale di cui nel Parco di parla da soli 2-3 anni (arrivato, casualmente, con il Progetto Life Wolf Alps) diventa, ad uso dei turisti e dei bimbi, un tipico animale del Parco, tanto carino e grazioso. Non si tratta di iniziative estemporanee ma di un progetto "coordinato" (ovviamente con la regia di Wolf Alps che è la mente e la cassaforte alla quale la manovalanza Parco-Ersaf-Regione obbedisce). In diverse località (Livigno, Bormio, Pontedilegno) viene organizzata la mostra dei peluche Trudi.



L'iniziativa è sponsorizzata, tra gli altri, dalla Levissima (crediamo che a Messner ciò la faccia andare di traverso, altro che purissima, altissima). La Levissima, sede a Valdisotto, ha realizzato
per l'occasione un'edizione limitata di bottigliette d'acqua dedicate ai bimbi per far conoscere gli animali del Parco, o meglio il loro avatar pucciosi Made in China a marchio accattivante Trudi. Insieme alla bottiglietta è fornito un kit con il quale il bimbo può colorare il lupo Ernesto "un predatore dal fiuto eccezionale". Anche il morso è eccezionale e nella storia ha dilaniato eserciti di bambini. Ovviamente non si dice.



Mentre ai bimbi si offrono peluche, giochi e laboratori per imparare ad amare Ernesto (basta con il solito Ezechiele o Alberto!), ai grandi si offre il Trekking della coesistenza  (la "convivenza" è slogan un po' logoro e Wolf Alps ha dato ordine di cambiarlo in "coesistenza"). Il trekking (che parola grossa!) si terrà nella stessa val Zebrù dove ai turisti non si racconterà certo delle predazioni e di un allevatore multato da un parco forte con i deboli e debole con i forti.



Mentre il Parco cerca di mettere a tacere la realtà della predazione ecco che, ancora in questi giorni, i lupi colpiscono in altra zona del Parco, ovvero nella zona dei laghi di Cancano in comune di Valdidentro. All'alpe Trela, notizia di ieri 11 agosto, è stata predata una vitella (foto sotto). In zona c'è la preziosa cucciolata che il parco controlla con particolare attenzione e amore. Oggi, dalla stessa alpe, è arrivata la notizia della predazione di altri due asini. Capre, pecore, vitelli, asini: l'estate di sangue continua, ma il Parco presenta l'immagine del lupetto peluche. Ipocrisia? Peggio.


Mentre agli allevatori si ficcano due dita negli occhi e li si invita a smettere la loro attività, il parco è generosissimo con chi vuole trasformare la montagna in un Luna Park. Così non solo autorizza ma finanzia al 50% (un milione di €) il ponte pseudotibetano di Vezza d'Oglio. Purtroppo il referendun consuntivo, pur con il 95% di no, non ha raggiunto il quorum del 50% e l'ennesimo ponte inutile si farà. Due milioni buttati via perché ormai c'è l'inflazione di queste opere stupide,  l'attrazione turistica andrà scemando e il record di lunghezza - tanto sbandierato -  è già stato sbriciolato da nuovi progetti (qui su ruralpini un approfondimento). Se, almeno, lo sci è uno sport, il ponte tibetano è solo una sollecitazione adrenalinica.



Ma torniamo al Lago Bianco. Le opere già realizzate sono: due prese di captazione una sul torrente Gavia a quota 2521 (presso Rifugio berni) e l’altra in valle dell’Alpe a quota 2310 slm., un nuovo pozzo nei pressi della confluenza della roggia Plaghera - Frodolfo a S.Caterina Valfurva mt. 1738 (questa è l'opera che verrà utilizzata per l’innevamento della pista di fondo). La condotta per utilizzare le acque dal lago Bianco (opera in corso) 2600 slm. Queste opere a titolo "lavori di riqualificazione impianto di innevamento artificiale pista da fondo “Valtellina” in Comune di Valfurva CUP E11E1600028005 – CIG:8562789D02.  Come si nota esiste già una presa a quota 2521 che intercetta le acque provenienti dal Lago Bianco. Ora si vuole pescare direttamente dal lago e, per compensare eventuali "squilibri" (svuotamento del lago) si pomperebbe l'acqua dalla stazione di pompaggio al Berni fin su al lago.
Ma l'acqua scende sempre da lì!  Questo sistema del ributtare in su l'acqua degli invasi (sfruttando il differente costo dell'energia in diversi momenti) l'utilizzano le centrali elettriche.


Verrebbe da pensare che, una volta installate le attrezzature del caso si potrebbe sfruttare il salto tra il lago Bianco e il rifugio Berni per produrre energia elettrica. Ma è impossibile (salvo strani aggiramenti delle norme) visto che queste opere sono finanziate con soldi pubblici e che le captazioni private nel Parco sono vietate. Resta una certezza: il Parco non ha storicamente impedito che, in nome di Mondiali di sci e altri eventi, le esigenze dell'industria della neve artificiale prevalessero sulla tanto invocata (quando fa comodo) "tutela dell'ambiente". A pagare le spese di questo baratto (" voi ambientalisti e burocrati del parco non ostacolate il business sciistico (immobiliare) e noi vi facciamo avere i soldini per i lupi, i vostri giochini e le vostre prebende") sono gli allevatori. Tutto il rigore talebano animal-ambientalista, che non impedisce opere con pesanti impatti ambientali, serve a ripulire la coscienza sporca del Parco. Il lupo, se non ci fosse, bisognerebbe inventarlo. Un alibi perfetto, una perfetta arma di distrazione di massa per un popolo di ambientalisti da salotto.



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