Insieme alle cantine (caneve, silter,
involt ecc.) e alle nevere
/giazere (i pozzi per la
conservazione della neve o ghiaccio), i casei del lacc rappresentano le
"macchine del clima" della civiltà contadina, della civiltà casearia
montana. Capace di realizzare ambienti ideali per la conservazione del
latte e dei prodotti caseari prima dell'era dell'era dell'industria e
dell'energia fossile. Soluzioni architettoniche semplici ma ingegnose,
sapiente scelta dei luoghi e dei materiali. Erano ambienti di
dimensioni minime, ma anche per questo efficienti nel perseguire le
finalità della loro costruzione. Il casell
del lacc è rinvenibile presso il villaggio come presso il
maggengo e l'alpeggio. Particolarmente suggestivi sono i casei del lacc degli alpeggi a
villaggio (tipici della Valchiavenna) che, nelle loro minuscole
dimensioni, a gruppi (ogni famiglia ne aveva uno), con le copertura in piöde ricoperta dalla cotica
erbosa, appaiono come un villaggio in miniatura a fianco del villaggio
di baite, il villaggio dei folletti. Di più ampie dimensioni e
maggiormente strutturati, in quanto utilizzati per un più lungo periodo
all'anno, i caselli della prealpina valle Imagna che vengono qui
illustrati da Antonio Carminati.
di Antonio Carminati
(17.08.19)
Una ricchezza incredibile di manufatti, di grandi e piccole dimensioni,
per certi versi anche scontati (almeno per quanti vivono la
quotidianità della vasta montagna prealpina), caratterizzano il
paesaggio rurale delle Orobie e richiamano all’attenzione innumerevoli
attività umane: essi hanno modellato il volto dei luoghi, rendendoli
inclini alle produzioni agrarie, ai piccoli allevamenti, alla residenza
stabile dei gruppi familiari organizzati nelle rispettive contrade. Ci
troviamo di fronte a un paesaggio articolato, che nei secoli scorsi ha
subito un’intensa trasformazione e rielaborazione da parte dell’uomo,
il quale, soprattutto con l’utilizzo di pochi strumenti manuali,
l’impiego quasi esclusivo di materiale locale e sempre tanta
intraprendenza, ha saputo esprimere idee concrete connesse a progetti
di vita e di sviluppo. L’ambiente stesso, declinato nei versanti delle
dorsali interne delle valli, sulle estese praterie montane, lungo le
aree fluviali di fondovalle, si presenta davanti ai nostri occhi come
un unico grande manufatto, una straordinaria opera di creazione, frutto
dell’ingegno e della ferrea volontà delle popolazioni che lo hanno
vissuto e plasmato nei tempi passati e continuano oggi a ripensarlo.
Un’infinità di opere, disposte alle varie quote, lo caratterizzano:
balze terrazzate, mulattiere, ponticelli stradali, cunette e tombotti
per lo scolo delle acque, concimaie, tribuline, stalle e fienili,
tettoie e ricoveri per animali, fontane,… ma anche roccoli, selve
castanili, prati e pascoli, campi e boschi,… tutto foggiato dall’uomo
mediante l’uso continuato nel tempo dello spazio disponibile, tanto
ricercato e amato, come l’acqua del torrente che scava profonde gole a
pareti verticali, o la goccia costante che perfora la pietra. Un grande
affresco di umanità. Nulla di incidentale o casuale.
Il
bacino dell'Alta Valle Imagna visto dal casello di Ricudì (Sant'Omobono
Terme)
Attratti dalle opere più imponenti, come le contrade di
pietra che si configurano, ancora oggi, quali vere e proprie
roccaforti, o come gli antichi complessi monumentali delle famiglie
della borghesia nascente dei secoli scorsi, oppure, ancora, le
case-torri ben riconoscibili negli insediamenti rurali, le quali
richiamano la millenaria storia di conquista e difesa del territorio,…
spesso perdiamo di vista un’infinità di altri manufatti, tutt’altro che
secondari, che costituiscono tanti punti di tessitura di un complesso e
articolato sistema di vita rurale, costruiti sul grande telaio della
vita quotidiana delle famiglie, grazie ai quali l’uomo ha potuto
trovare risposte adeguate alle istanze concrete di sopravvivenza.
Ol casèl dol
làcc (il casello del latte) è uno dei tanti beni diffusi che, il
più delle volte, passano inosservati, mentre in realtà costituiscono
straordinari esempi di come l’uomo abbia saputo inserirsi
consapevolmente nel proprio contesto di vita, sfruttando tutte le
opportunità e le risorse presenti in natura. Si tratta di
un’infrastruttura poco appariscente, anzi il più delle volte tende a
nascondersi nel contesto, soprattutto attualmente, a causa
dell’avanzare indisturbato di rovi e sterpaglie che in molti casi
l’avvolgono e mascherano completamente, rendendola quasi invisibile: di
norma si presenta incassata contro terra da tre lati, mentre solo il
timpano della facciata principale, dotata di porticina con feritoia,
pare una sorta di passaggio segreto verso i misteri del sottosuolo. Di
più: abbiamo persino l’impressione di trovarci di fronte a una
particolare casupola misteriosa dai contorni indefiniti, nascosti, col
terreno circostante che lambisce il tetto in piöde, a volte lo sormonta persino
in gronda. La narrativa popolare lo ha posto al centro
dell’ambientazione di storie e leggende raccontate dal Tata (l’anziano
capostipite della famiglia), popolate da folletti e spiriti, vissute da
lupi e volpi, che hanno caratterizzato la nostra infanzia.
Contrada
Roncaglia (Corna Imagna) Ol casèl
dol Tomaso. Disegno di Cinzia Invernizzi
L’acqua, quassù, è sempre stata considerata un bene
prezioso: ogni piccolo affioramento di sorgente veniva individuato e
protetto, difeso e valorizzato, poichè essenziale alla vita delle
persone e degli animali custoditi nei piccoli allevamenti domestici.
Ciascuna contrada disponeva della propria principale fonte di
approvvigionamento idrico, con fontana e lavatoio pubblici, il cui uso
era ordinato dalle regole della vicinia; così pure la bonifica di aree
a vocazione agraria, distanti dagli insediamenti abitati, veniva
effettuata in prossimità di sorgenti d’acqua, gran parte delle quali,
soprattutto in montagna, avevano una funzione consortile, ossia ne
potevano beneficiare una pluralità di individui, nella loro qualità di
proprietari o conduttori dei terreni circostanti. In molti casi, sopra
una sorgente, la famiglia proprietaria del terreno, oppure la comunità
stessa delle famiglie della contrada, realizzavano specifiche
infrastrutture di servizio per attrezzare e rendere funzionale la
fruizione dell’importante servizio di approvvigionamento idrico,
mediante la costruzione di fontane, lavatoi, punti di prelievo
riservati per l’uso alimentare, anche semplici àlbede lègn (grosso tronco scavato per
uso di fontana) per l’abbeveraggio del bestiame, vere e proprie pozze
sulle praterie montane, oppure anche solo piccoli ma preziosi puciaghì (piccola
pozza) in alpeggio. Gran parte di queste infrastrutture tradizionali,
come è avvenuto per ol
casèl dol làcc, sono state abbandonate, cadute in desuetudine,
ma l’attenta osservazione del contesto consente di ricostruire questa
particolare dimensione geografica. Alcuni anni or sono, nel mio
villaggio, si era tentato di portare alla luce l’antica fontana di Cà de Marc, ma,
anzichè ripristinare l’antico manufatto, si è preferito rinterrarlo,
per costruire una moderna e nuova fontana, in altro luogo, senza una
sorgente, ma con acqua a riciclo e chiaramente non potabile. Una
società delle finzioni. In questo caso non sono stati i rovi o le
sterpaglie a nascondere l’antica fontana con casello, bensì la nostra
supponenza.
Contrada
Roncaglia (Corna Imagna) Ol casèl
dol Tomaso. La sorgente e le vasche interne
A pianta quadrata o rettangolare di esigue dimensioni - due
metri di larghezza per tre di lunghezza, poco più o poco meno, in
relazione alla conformazione del terreno – con altezza di circa due
metri, completamente costruito in muratura con pietrame collocato a
secco, ol casèl dol
làcc veniva sempre costruito sopra l’acqua corrente, quindi a
ridosso di una sorgiva, che sgorga da una fessura nella parte interna
più profonda e buia del caratteristico e semplice manufatto. Nelle
costruzioni più antiche, l’acqua scorre libera sul pavimento ressölàt (in pietra
spezzata), oppure incanalata entro un modesto alveo scoperto, che
fuoriesce dal casèl,da
sotto la porta o attraverso una fessura nel muro, e continua a scorrere
nel canaletto a valle. Nel secolo scorso molti casèi dol làcc sono stati provvisti
di piccole vasche interne, poco profonde (non oltre cinquanta
centimetri), poggianti sul pavimento e costruite a ridosso dei muri
interni, ripartite in diversi scomparti, entro le quali è stato
convogliato lo scorrimento dell’acqua di sorgiva, la quale, giunta
all’esterno, confluisce in una fontana, di norma accorpata al casello
medesimo, utilizzata solitamente per l’abbeveraggio del bestiame, o
come piccolo lavatoio, dove la Regiùra (amministratrice della
famiglia) si recava anche per resentà i pàgn (risciacquare i
panni), in mancanza di una valletta nelle vicinanze. L’acqua raccolta
nella prima vasca interna, quella subito a ridosso della sorgente,
veniva utilizzata per il consumo umano e gli usi alimentari. A Ricüdì il nonno Jósepf aveva posato
di sua iniziativa una conduttura per far giungere l’acqua del casello
sino alla propria abitazione, distante circa duecento metri: anche
quando, durante il periodo invernale, la sua famiglia si trasferiva con
gli armenti a valle, nella contrada Caprödài, la nonna continuava a
rifornirsi dell’acqua dol
sò casèl (del suo casello), diventata ormai bevanda abituale,
di cui non ne poteva/voleva fare a meno.
Il
casello del latte di Recudì (Sant'Omobono Terme)
Le vasche consentivano il deposito, in ambiente tenuto
fresco dall’acqua corrente e dal microclima costante all’interno di una
struttura quasi completamente interrata, dei secchi di latte, ricoperti
da semplici patì,
dove avveniva la conservazione del prezioso alimento di origine animale
per alcuni giorni. La ventilazione e il ricambio dell’aria erano
assicurate dalla corrente determinata a un’apertura sul fondo del
piccolo edificio, che fungeva da “camino”. Prima, in mancanza delle
vasche, i secchi venivano appesi agli appositi rampì (uncini) pendenti dalla volta
a sìlter (a
botte con pietre spezzate) del casèl, mentre sulla modesta
mensolina, poggiante ai due punteruoli di legno sporgenti e fissati
alla muratura perimetrale, stavano riposte la spanaröla (utensile per togliere la panna
dalla superficie del latte nel secchio), ü lumì (un lumicino di candela), la cassa de l’aqua
(il mestolo per prelevare l’acqua) e pochi altri oggetti di uso
quotidiano.
Il
casello del latte di Recudì
(Sant'Omobono Terme). Interno con vasche e volta a sìlter
La funzione del casèl dol làcc è paragonabile
all’uso del moderno frigorifero e, soprattutto tempo fa, era connessa
all’attività zoo-casearia delle piccole aziende agricole della montagna
orobica. Non serviva alla stagionatura degli stracchini o degli altri
formaggi, per la quale c’era ol fundì, una sorta di piccola
caneva aggregata all’abitazione, bensì quale ambiente refrigerato,
dalla temperatura costante sia in estate che d’inverno, idoneo per la
conservazione di taluni prodotti ad uso alimentare, il latte
innanzitutto, dal quale ha preso il nome. Il Tata, terminata la mungitura
mattutina o pomeridiana, quando non provvedeva subito alla cagliata
nella stalla, trasportava il latte nella bulgia (apposito contenitore
ermetico per il trasporto del latte), dotata di robusti spallacci, sino
al casèl, dove
lo avrebbe versato nei secchi, o nelle apposite ramine, per la sua
conservazione e la successiva lavorazione. Il giorno appresso, egli
avrebbe asportato con la spanaröla la crosta lattea che si
era nel frattempo formata sulla superficie dei secchi: la panna
ottenuta veniva così versata nel suo contenitore, anch’esso riposto nel
casèl,
che di giorno in giorno si riempiva, sino a quando, raggiunta la
quantità prevista, bisognava fare il burro.
L'uso
della zangola in una stampa del 1817
La Regiùra
preparava ol penàcc,
versandovi dapprima ona
padèla (una pentola) di acqua calda, lasciandola poi riposare
almeno per una decina di minuti, tanto quanto basta perché il legno si
rigonfiasse, ostruendo anche le piccole e quasi invisibili fessure tra
le varie assicelle. Quindi, rovesciata l’acqua, nel robusto cilindro di
legno vi versava la panna e, dopo aver bene fissato ad incastro il
coperchio superiore, incominciava a menà ol penàcc (far funzionare la
zangola), dapprima lentamente, per non maltrattare il prezioso alimento
e scaldarlo gradualmente, alzando e subito dopo premendo verso il basso
il robusto manico di legno, sul fondo del quale è fissata una rondèla (rondella di
legno) con alcun grossi fori, dai quali passa la panna, costantemente
sbattuta e pressata. Bisognava lavorare assiduamente a forza di
braccia, per sollevare il manico e subito pigiarlo sul fondo del penàcc, schiacciando
la panna rinchiusa, mentre un’altra ragazza della casa teneva ferma a
terra la zangola. La mamma aveva l’abitudine di versare nel penàcc, assieme alla
panna, dopo alcuni minuti di lavoro, un bicchiere di acqua calda, che
avrebbe favorito la formazione del burro, mentre verso la fine, quando
cioè il sollevamento del mànech dol penàcc (manico della
zangola) incominciava a diventare duro, vi versava un bicchiere di
acqua fredda, che favoriva ulteriormente la coagulazione. A questo
punto si trattava di togliere il burro dalla zangola: la tipica
emulsione gialla andava strizzata tra le mani, come per impastarla,
eliminando così tutto il siero residuo. Così il burro era pronto per
essere pressato dentro il piccolo stampo di legno, sul fondo del quale
vi era intagliata una bella stella alpina, come una dichiarazione di
montanità dei panetti ottenuti, anch’essi conservati nel casèl, sino alla
vendita al commerciante ambulante di passaggio o la consegna alla bütìga (bottega). In
compenso avrebbe ottenuto una sensibile riduzione del conto, sempre a
debito, söl lebrèt de
la spésa (sul libretto della spesa), oppure recuperato quattro
soldi per acquistare alcuni metri di stoffa venduta a bràs (misurata a braccio), con
cui confezionare camisì
e braghì per i sò tosài (camicette e calzoncini per i suoi
bambini).
Prida e piöda di Antonio Carminati
e Piero Invernizzi, edito dal Centro Studi Valle Imagna.
Prima edizione 2012. Seconda edizione 2015
Al giorno d’oggi, i moderni strumenti di refrigerazione e
conservazione di prodotti ad uso alimentare hanno mandato
definitivamente in pensione (oggi si dice “rottamare”) l’antico casèl dol làcc, ma la
sua singolare architettura, l’originale inserimento ambientale, la
lezione di civiltà e di economia rurale di cui è ancora lucido
messaggero, ne fanno tuttora uno degli esempi più significativi del
patrimonio storico e umano della montagna. E a quanti oggi intendono
riconoscerne il valore, recuperandone volto e funzioni, come ha fatto
il Comune di Fuipiano per il casèl dol làcc situato lungo la
strada che conduce ai Tre Faggi, o come pensa di fare Francesco per il casèl de Ricüdì, sia
concesso di conservare la memoria, di non dimenticare i sacrifici dei
padri e di valorizzarne la preziosa eredità.
POST SCRIPTUM
Rimando quanti interessati ad approfondire il tema dei
luoghi e dei manufatti dell’acqua alla lettura del volume Prida e piöda di
Antonio Carminati e Piero Invernizzi, edito dal Centro Studi Valle
Imagna. Prima edizione 2012. Seconda edizione 2015.
Ol sègn di èrem. "Segnare" i vermi
come pratica di guarigione popolare (13.08.19)
I guaritori popolari operavano (operano) con varie
modalità. I gesti, i "segni", praticati sul malato (o su
degli oggetti), sono tra quelli più caratteristiche. Una delle
applicazioni più importanti dei "segni" era relativa alle verminosi,
specie quelle che colpivano i bambini.
Quando i bimbi morivano
in estate
(05.08.19) Ancora alla fine dell'Ottocento la mortalità infantile in
Italia, nel primo anno di vita, era pari al 20%, senza grandi
differenze tra la regioni. Era causata in prevalenza da
gastroenteriti, ma anche da affezioni respiratorie e
setticemia. I più piccini i patìa tant per ol prìm
cold, soffrivano molto per le prime calure, tanto più che -
in tarda primavera - tutti soffrivano per la fine delle scorte
alimentari accumulate per l'inverno
Vita
e morte nella dimensione rurale
(03.08.19) Oggi la morte è stata rimossa dalla
dimensione sociale, senza per questo allontanarne
l'angosciosaincombenza.
Anzi.
L'individualizzazione esasperata la rende inaccettabile in quanto fine
di tutto, nell'orizzonte materialista e narcisista della società
attuale, limitato all'io, al presente, al piacere,all'efficienza. Nella
dimensione rurale, vita e morte si confrontavano tutti i giorni. I
cari defunti continuavano, in varie forme, a fare parte della famiglia,
della comunità, attraverso varie forme di ricordo e di rito
Quel
prato al centro del mondo
(15.07.19) Luglio è il mese della riconquista degli spazi rurali, che
al termine della fienagione ritornano ad essere fruibili, con gioia
soprattutto per bambini e ragazzi, che finalmente possono correre un
po’ dovunque e dare spazio alla fantasia. Il prato era anche una
palestra di vita, un prezioso ambito per avviare i fanciulli ai doveri
e agli impegni degli adulti.
Giugno: tra
intenso lavoro campestre e rito
(16.06.19) Nel mese di giugno, non possono essere dimenticati almeno
tre eventi ricorrenti e particolari, assai sentiti e vissuti nel
calendario rituale dei contadini: due di essi celebravano i poteri
magici della notte, solitamente frequentata dagli spiriti che si
volevano propiziare. Queste notti, che cadono nel periodo del solstizio
Il
fienile come granaio (in montagna) (08.06.19)
Nella civiltà agropastorale alpina il
fieno assume unaforte centralità. Dalla sua raccolta dipende la
possibilità di mantenere più o meno animali durante l'inverno, animali
da vendere oda utilizzare per il latte, animali produttori del prezioso
letame. Dal fieno quindi dipendeva la ricchezza (o la minor povertà,
per meglio dire) della famiglia contadina
Tempo
di preparazione all'alpeggio
(18.05.19) A
Corna Imagna, come in tante realtà delle prealpi, l'alpeggio è
praticato spostandosi su maggenghi siti a diverse quote, sino a
raggiungere i 1.000 m. Si reata, però, sempre a moderata distanza
dal villaggio. Così il contadino saliva e scendeva ogni dai
pascoli e la sua attività principale continuava ad essere la
fienagione. Per le bestie, ma anche per gli uomini, era comunque un
periodo atteso.
Maggio:
natura fiorita e culto
popolare (10.05.19) Quando
la fede popolare umanizzava e santificava la natura in fiore, i campi,
il territorio. Nel mese di maggio, oltre al culto mariano, erano
importanti le preghiere e i riti di benedizione delle case, dei campi,
dei raccolti ancora incerti. Lo spazio abitato, che andava ben oltre
quello "urbanizzato", era presidiato da contrade e cascine e marcato da
numerose presenze del sacro, prime tra tutte le santelle per le
quali transitavano le processioni delle rogazioni a marcare lo spazio
simbolico della comunità da difendere dal disordine e dalla negativitàleggi
tutto
Quando
la vacca deve partorire. Quand che la aca la gh'à de fà (05.05.29)
Per la famiglia contadina tradizionale, ma anche per il piccolo
allevatore di montagna di oggi, l'attesa del parto della vacca è piena
di trepidazione. Si spera che nasca una femmina ma si temono le
complicazioni del parto. Ancor oggi tutto quello che ruota intorno alla
riproduzione bovina nelle piccole stalle è oggetto di pratiche di
solidarietà orizzontale che tengono insieme la comunità degli
allevatori locali.
(15.04.19)
Nel racconto autobiografico di Antonio Carminati la "grande
trasformazione" degli anni '60. L'entrata nella modernità, vista per di
più come limitativa e negativa, attaverso l'esperienza di un bambino
che vive il passaggio dalla vita patriarcale di contrada a quella della
famiglia nucleare e dell'appartamento "stile città", una distanza di un
km o poco più in linea d'aria che segna il passaggio traumatico tra due
mondi.
Architettura
identitaria. I tetti in piöde, bandiere di identità valdimagnina
(06.04.19) In valle Imagna L'arte delle
coperture, della posa delle piöde ha raggiunto particolare
perfezione tanto da assumere i connotati di un emblema identitario. Non
sono poche, però, le difficoltà nel conservare e far rivivere questo
patrimonio di valori culturali (saperi, abilità) ed estetici. Un tema
per un utile dibattito con il coinvolgimento delle comunità locali e
non solo degli addetti ai lavori.
Pecà
fò mars Il rito della definitiva cacciata della cattiva stagione (31.03.19)
Dopo il carnevale, ancora una volta, per cacciare la brutta stagione,
soprattutto la sua pazza coda di marzo, occorre produrre altro rumore,
diffondere suoni anche strani nell’aria, insomma fare chiasso e… tanto
baccano. La funzione è sempre stata duplice: da un lato
allontanare gli spiriti del male, dall’altro richiamare ad alta voce la
bella stagione, facilitando così il risveglio della natura
(20.03.19) Lo spargimento del letame nei
prati e campi di montagna, utilizzatonaturale. Almeno così era nel
passato. quale fertilizzante, è forse una delle attività
maggiormente faticose, ma anche più importanti, sul piano della
conclusione di un ciclo.
(03.03.19)
Una stalla, un prato, un pascolo, una vacca, quando sono in grado di
accogliere relazioni generative con la popolazione locale, e quindi di
esprimere i caratteri di una visione, rappresentano dei valori, più che
dei beni o delle merci. Francesco, Ugo e tanti molti agiscono come
tante api operaie, ossia contribuiscono in modo determinante a
sostenere l’ossatura e il futuro del “sistema montagna” delle Orobie,
presidiando il territorio e difendendo l’insieme delle sue
caratteristiche naturali e antropiche.
La
distillazione della grappa (una tradizione di libertà) (23.02.19)
Oggi molti possono permettersi di acquistare la grappa (e il mercato ne
offre per tutti i gusti) ma distillare in casa frutta o vinacce
gratifica con quel senso di indipendenza, di libertà e, diciamo pure,
di sfida. La sfida a uno stato che per non perdere le accise sostiene
di vietare la distillazione casalinga per "tutelare la salute",
disconoscendo un sapere contadino secolare (l'alambicco si diffonde dal
Cinquecento).
La
caccia alla volpe (e al lupo) nella realtà contadina
(15.02.19) Nel periodo più freddo e nevoso dell’anno, quando cioè gli
uomini avevano tempo a disposizione,öna ölta(una
volta) i cacciatori più sfegatati, ma anche i contadini meno provetti
all’uso dell’archibugio,i vàa a vulp(andavano
[a caccia] di volpi). L'economia
delle uova nella società contadina
(05.02.19) Loaröieloaröle(venditori
e venditrici di uova) erano protagonisti di una economia integrativa
per il sostentamento del gruppo familiare, sia sotto il profilo
alimentare, che per quanto concerne l’introito di qualche pur modesta
somma di denaro...
In
morte di un complesso rurale di pregio
(22.01.19) La
triste parabola di una contrada a oltre 900 m di quota in valle Imagna.
Un tempo abitata tutto l'anno, poi alpeggio, oggi consiste solo di
prati e di fabbricati in rovina. Quelli ristrutturati trasformati a
"uso vacanza".
La méssa dol rüt
(08.01.19) La
méssa dol rüt (la concimaia) era l'elemento chiave di un
paesaggio ordinato che nutriva animali e persone senza inquinare e
sprecare risorse
Il Natale dei contadini. Un rito che non
scompare: la macellazione del maiale (cupaciù)
(23.12.18)
Riti che rivivono, pieni di significato. Ancora oggi la macellazione
del suino è occasione per aiutarsi tra giovani allevatori. Quella
che sembrava una pratica da amarcord da vecchie foto in bianco e nero
possiamo documentarla come un fatto attuale e in ripresa. La sequenza
della macellazione con qualche immagine di insaccatura.