Condividi
cultura
ruralpina in valle Imagna
Ol sègn di èrem
"segnare" i vermi come pratica di guarigione popolare
I guaritori popolari operavano (operano) con varie modalità.I
gesti, i "segni", praticati sul malato (o su degli oggetti), sono tra
quelli più caratteristiche. Per un certo periodo queste
pratiche (ma anche le cure con le erbe oggi in auge) erano divenute
tabù (e ne veniva negata, per vergogna,
l'esistenza retrospettivamente). Oggi - paradossalmente, ma non troppo
- esse riafforano
alla memoria senza più vergogna e ci si accorge che, alcune di esse,
non sono mai cadute in disuso. Una delle applicazioni più importanti
dei "segni" era relativa alle verminosi, specie quelle che colpivano i
bambini.
di Antonio Carminati
(14.08.19)
Le malattie da vermi (elmintiasi) nel passato erano anch'esse molto
diffuse, con infezioni massive e talvolta letali, che provocavano
diversi fönerài de murtì
(funerali di morticini, bambini). Ancora una volta, maggiormente
colpiti dagli èrem (vermi) erano i bambini e il contagio,
provocato dalle precarie condizioni igienico-sanitarie in cui versava
la popolazione, si estendeva a tutta la famiglia. Le forme larvali dei
parassiti potevano penetrare nell'organismo umano anche attraverso la
pelle sana, di solito nella zona interdigitale dei piedi: accadeva di
frequente nei bambini che camminavano a piedi nudi nei prati,
contaminati dai residui della concimazione. Altre cause erano
l'ingestione non controllata di latte e latticini, facili vettori dei
germi della stalla, e pure l'utilizzo di acqua contaminata da
infiltrazioni batteriche, come anche il consumo di carne suina non ben
cotta.
Nella credenza popolare appariva inconcepibile che acqua, stalla,
latte, prato, da cui proveniva il sostentamento economico, potessero
procurare malattie e morte. I dati rilevati attestano l'estesa
dimensione del fenomeno delle malattie da vermi, confermati anche dalle
testimonianze degli anziani, quando ricordano che molti bambini
morivano sofegàcc, perchè i èrem e i
ga ‘gnìa sö ‘nféna da la bóca (i vermi risalivano sino alla
bocca). Infestati com’erano, persino ol
fiàt e l'gà sentìa da èrem (il fiato puzzava di vermi).
Insomma, era un vero flagello, di fronte al quale non si conoscevano
interventi efficaci.
Secondo l'opinione popolare diffusa, i vermi andavano uccisi, oppure
scacciati dall'organismo. Bisognava quindi "disturbare il loro nido",
allontanandoli con odori cattivi, ma anche con alcune sostanze amare o
acidule, dato che, secondo la credenza, i vermi i và e’ndóe gh'è ol duls (vanno
dove c'è il dolce). Si riteneva, infatti, che fossero provocati dal
consumo, anche occasionale, di caramelle e dolciumi, o semplicemente
dallo zucchero. Il sale, sparso intorno alla casa, lungo i muri
perimetrali o davanti all'uscio d'ingresso, serviva a tenerli lontani,
così come la collana di spicchi d’ài appesa al collo del bambino,
portata quasi a mo' di amuleto, impediva il loro assalto; oppure, se
già presenti nell’organismo, li avrebbe allontanati.
Per lo stesso principio, ossia del cattivo odore in grado di cacciare
il "male" dei vermi, sul guanciale del bambino affetto da verminazione
si riponeva un sacchettino intriso di petrolio, oppure contenente
tabacco sminuzzato e bruciacchiato, in modo tale che le esalazioni
maleodoranti e forti, pur non disturbando il bambino durante il sonno,
provocassero gli effetti attesi.
Artemisia (Arthemisia absinthium) pianta comune e facilmente riconoscibile. Utilizzata anche in medicina fitoterapica come vermifugo. Molto amara.
Gli anziani, nei loro ricordi più lontani, parlano anche di frequenti
decotti di gramégna, fiori di cicoria, radici di felce, foglie di
assenzio, con i quali si producevano bevande utili allo scopo. Si
ricorreva anche alla coràda
(polmone) di maiale, che veniva bene distribuita sulla pancia del
bambino, sóta ol corpetì de lana
(sotto la vestina di lana): si doveva portare qualche giorno, fin tanto
che non fosse stata teràda fò
(elimnata, lett. "tirata fuori") l'infiammazione intestinale. Si
consigliava ai bambini di mangiare tant
vérs (tante verze), perchè così sarebbero cresciuti e diventati
grandi più alla svelta, in modo da fronteggiare meglio anche le
infezioni dei vermi.
Oltre al màl de èrem (male
dei vermi) era anche diffuso il màl
de la tégna (male della tigna), ossia del verme solitario, il
quale, sotto il profilo della diagnosi e delle terapie curative
tradizionali, non veniva distinto dal fenomeno generale della
verminazione, se non per il significato offensivo attribuito
all’espressione:
- Ti sì ü tignùs (sei un
tignoso)(1)!...
Le fondate preoccupazioni di un tempo circa le infezioni e le
contaminazioni da vermi erano talmente radicate nel villaggio al punto
che, ancora oggi, nelle mamme attente a comprendere la causa di alcuni
dolori intestinali dei loro bambini, ricorre spesso la domanda:
- Avrà'l mia ciapàt i èrem
(non avrà preso i vermi)?
Pur esercitando, già nel 1888, nell’ambito di Corna un medico “in
condotta” e una levatrice autorizzata, quest’ultima stipendiata dal
Comune per il servizio ai poveri, tuttavia il tasso di mortalità
infantile, è rimasto elevato anche nel periodo successivo, ossia dal
1893 al 1911, quando ancora il 46% dei decessi complessivi interessava
bambini al di sotto del decimo anno di vita.
Più che al medico o alla levatrice, le mamme si rivolgevano soprattutto
alle “guaritrici” locali, quasi sempre donne, depositarie dol sègn de èrem (segno dei vermi),
ossia del potere benefico di allontanare la malattia. In ogni villaggio
c’era almeno una guaritrice. Siamo in presenza di riti ancestrali, con
radici profonde nella tradizione locale, che ancora oggi si ripetono e
confermano una credenza popolare fortemente radicata nella vita delle
persone.
Diverse mamme si rivolgono tuttora alle guaritrici, che quali compiono
il loro rito, come avveniva cento, duecento anni fa, grazie al dono del
“segno” che possiedono, avendolo ricevuto personalmente dalla
precedente depositaria. Chi possiede un segno, infatti, sia benefico
che malefico, prima di morire deve trasmetterlo ad un’altra persona.
Ogni guaritrice ha il suo rito.
Si parla poco, in pubblico, di questa pratica, nonostante sia ancora
oggi molto diffusa e il ricorso “sommerso”, quindi non dichiarato, a
modalità terapeutiche alternative alla medicina ufficiale coinvolga
diverse famiglie e all’esterno delle abitazioni delle curatrici, nei
giorni di ricevimento, ci siano sempre lunghe file…
Nel corso delle nostre ricerche, abbiamo raccolto diverse
testimonianze, anche se, di norma, le persone si sono rivelate molto
restie ad entrare in questo argomento, che investe la dimensione sacra
e soprannaturale della vita. Nell’accettare ol sègn(il segno), le persone sono
consapevoli di relazionarsi con l’ignoto, il mondo dei poteri
sconosciuti. Alcuni si avvalgono del sègn
(segno) anche a scopo preventivo: il mal di pancia ricorrente
dell’infante, o quande che l’dorme mia de nòcc, possono essere gli
elementi scatenanti il ricorso alla guaritrice.
Ci sono, però, almeno due azioni ricorrenti messe in atto dalle diverse
guaritrici.
Con la prima, la guaritrice traccia segni di croce e cerchi concentrici
attorno all’ombelico del bambino, tenendo in mano la ìra d’òr (la vera d'oro),
mentre recita sottovoce preghiere e “formule magiche”.
La seconda azione, invece, consiste nell’inserire, uno ad uno, pezzetti
de fil de rèf biànc, tagliuzzati a guisa di vermi, in una scodella
colma d’acqua, posta accanto al bambino, sempre recitando nel contempo
preghiere e formule varie a bassa voce. Se i filamenti vengono a galla
significa che i vermi stanno abbandonando l’organismo del bambino,
mentre se scendono sul fondo vuol dire che sono assai resistenti e, in
tal caso, il segno va ripetuto nei giorni successivi. Come pure il
segno va ripetuto quando i filamenti si muovono eccessivamente dentro
la scodella e i s’engrópa sö (si raggomitolano).
Alcune guaritrici utilizzano il “segno”, quindi compiono il rito,
solamente alla presenza del bambino, mentre altre lo praticano anche in
presenza di una semplice fotografia; alcune, al termine del rito,
versano l’acqua in un ruscello, dove ci sia acqua corrente e non
ristagnante, mentre altre e gli a
cùla (la filtrano) e la consegnano in una bottiglia alla mamma,
perché la dia da bere nei giorni immediatamente successivi al bambino
da guarire. Di norma, prima di tagliuzzare il filo, la guaritrice e gli a fa passà atùren al tusì (li
fa passare intorno al bambino), oppure attorno alla sua fotografia; in
presenza del bambino, sempre recitando il suo segreto formulario
orante, fa passare il filo davanti, dalla bocca sino alla pancia, prima
di tagliuzzarlo a pezzettini nella scodella; oppure lo fa passare
attorno al collo, impedendo così che i vermi i fàghe sofegà ol tosalì
(provocassero la soffocazione del bambino) durante i loro movimenti.
Solo superstizione? Non per quelle mamme che hanno visto i pezzetti di
fili di refe muoversi e rincorrersi nella scodella colma d’acqua,
durante la trasmissione del rito del segno, e che dichiarano di avere
ottenuto i benefici richiesti. Rito del segno come testimonianza di
fede e ricorso alle forze del bene, come credenza radicata nel modo di
porsi delle persone di fronte alla vita e alla realtà di tutti i
giorni, permeata di forze soprannaturali ancora poco conosciute.
Radici, significati e simbolismi che si perdono nella notte dei tempi,
trovano terreno fertile nelle debolezze umane e rappresentano il
terreno d’incontro e sintesi tra religione, magia e suggestione.
Post Scriptum
La dr.ssa Fabrizia Milani ha studiato, trascritto, postillato e
commentato un interessante manoscritto lombardo del Settecento, di
autore ignoto, conservato presso l’archivio privato della famiglia
Locatelli, a Corna Imagna, contenente una singolare raccolta di rimedi
e pratiche curative popolari, che sarà oggetto di una prossima
pubblicazione del Centro Studi Valle Imagna. Due pagine (di seguito
riportate) sono dedicate proprio alla cura dei vermi. Tra i rimedi
interni, ad esempio, si consiglia di somministrare al paziente “due
cocchiari di Latte di Cagnoleta”.
Note
(1) Spregiativo che si
allargava anche significato di "avaro".
Bibliografia
A. Citelli et al. Int
u segnu : guaritori popolari e
pratiche magiche nelle Quattro province, Milano,
Associazione culturale Barabàn, 2014
A.
Imbalzano, Segnare la malattia.
Ricerca etnografica presso le guaritrici tradizionali nel parmense,
Tesi di laurea , Università Cà Foscari, Venezia, 1992
G. Maconi, La medicina popolare in Valle Imagna, Componenti magiche, religiose ed empiriche tradizionali tra l'Ottocento e il Novecento, Sant'Omobono terme, Centro Studi Valle Imagna, 2006.
M. Pirovano, Vermi,
donne che segnano, trasmissione dei saperi magico-religiosi. Una
ricerca sul campo nel territorio lecchese, in "Annali di
S.Michele", 16 (2003), 61-74
M.
Savini, La tradizione interrotta.
Segni magici e segnoni in Lomellina, in "La Ricerca Folklorica",
n 23, (Apr., 1991), pp. 109-114.
|
|
Serie
di cultura
ruralpina (in valle Imagna)
a
cura di Antonio Carminati
Quando i bimbi morivano in estate
(05.08.19) Ancora alla fine dell'Ottocento la mortalità infantile in
Italia, nel primo anno di vita, era pari al 20%, senza grandi
differenze tra la regioni. Era causata in prevalenza da
gastroenteriti, ma anche da affezioni respiratorie e
setticemia. I più piccini i patìa tant per ol prìm
cold, soffrivano molto per le prime calure, tanto più che -
in tarda primavera - tutti soffrivano per la fine delle scorte
alimentari accumulate per l'inverno
Vita
e morte nella dimensione rurale
(03.08.19) Oggi la morte è stata rimossa dalla
dimensione sociale, senza per questo allontanarne
l'angosciosaincombenza.
Anzi.
L'individualizzazione esasperata la rende inaccettabile in quanto fine
di tutto, nell'orizzonte materialista e narcisista della società
attuale, limitato all'io, al presente, al piacere,all'efficienza. Nella
dimensione rurale, vita e morte si confrontavano tutti i giorni. I
cari defunti continuavano, in varie forme, a fare parte della famiglia,
della comunità, attraverso varie forme di ricordo e di rito
Quel
prato al centro del mondo
(15.07.19) Luglio è il mese della riconquista degli spazi rurali, che
al termine della fienagione ritornano ad essere fruibili, con gioia
soprattutto per bambini e ragazzi, che finalmente possono correre un
po’ dovunque e dare spazio alla fantasia. Il prato era anche una
palestra di vita, un prezioso ambito per avviare i fanciulli ai doveri
e agli impegni degli adulti.
Giugno: tra
intenso lavoro campestre e rito
(16.06.19) Nel mese di giugno, non possono essere dimenticati almeno
tre eventi ricorrenti e particolari, assai sentiti e vissuti nel
calendario rituale dei contadini: due di essi celebravano i poteri
magici della notte, solitamente frequentata dagli spiriti che si
volevano propiziare. Queste notti, che cadono nel periodo del solstizio
Il
fienile come granaio (in montagna)
(08.06.19)
Nella civiltà agropastorale alpina il
fieno assume unaforte centralità. Dalla sua raccolta dipende la
possibilità di mantenere più o meno animali durante l'inverno, animali
da vendere oda utilizzare per il latte, animali produttori del prezioso
letame. Dal fieno quindi dipendeva la ricchezza (o la minor povertà,
per meglio dire) della famiglia contadina
Tempo
di preparazione all'alpeggio
(18.05.19) A
Corna Imagna, come in tante realtà delle prealpi, l'alpeggio è
praticato spostandosi su maggenghi siti a diverse quote, sino a
raggiungere i 1.000 m. Si reata, però, sempre a moderata distanza
dal villaggio. Così il contadino saliva e scendeva ogni dai
pascoli e la sua attività principale continuava ad essere la
fienagione. Per le bestie, ma anche per gli uomini, era comunque un
periodo atteso.
Maggio:
natura fiorita e culto
popolare
(10.05.19) Quando
la fede popolare umanizzava e santificava la natura in fiore, i campi,
il territorio. Nel mese di maggio, oltre al culto mariano, erano
importanti le preghiere e i riti di benedizione delle case, dei campi,
dei raccolti ancora incerti. Lo spazio abitato, che andava ben oltre
quello "urbanizzato", era presidiato da contrade e cascine e marcato da
numerose presenze del sacro, prime tra tutte le santelle per le
quali transitavano le processioni delle rogazioni a marcare lo spazio
simbolico della comunità da difendere dal disordine e dalla negatività leggi
tutto
Quando
la vacca deve partorire. Quand che la aca la gh'à de fà
(05.05.29)
Per la famiglia contadina tradizionale, ma anche per il piccolo
allevatore di montagna di oggi, l'attesa del parto della vacca è piena
di trepidazione. Si spera che nasca una femmina ma si temono le
complicazioni del parto. Ancor oggi tutto quello che ruota intorno alla
riproduzione bovina nelle piccole stalle è oggetto di pratiche di
solidarietà orizzontale che tengono insieme la comunità degli
allevatori locali.
Hanno
ucciso la montagna (la fine della grande famiglia del nonno)
(15.04.19)
Nel racconto autobiografico di Antonio Carminati la "grande
trasformazione" degli anni '60. L'entrata nella modernità, vista per di
più come limitativa e negativa, attaverso l'esperienza di un bambino
che vive il passaggio dalla vita patriarcale di contrada a quella della
famiglia nucleare e dell'appartamento "stile città", una distanza di un
km o poco più in linea d'aria che segna il passaggio traumatico tra due
mondi.
Architettura
identitaria. I tetti in piöde, bandiere di identità valdimagnina
(06.04.19) In valle Imagna L'arte delle
coperture, della posa delle piöde ha raggiunto particolare
perfezione tanto da assumere i connotati di un emblema identitario. Non
sono poche, però, le difficoltà nel conservare e far rivivere questo
patrimonio di valori culturali (saperi, abilità) ed estetici. Un tema
per un utile dibattito con il coinvolgimento delle comunità locali e
non solo degli addetti ai lavori.
Pecà
fò mars Il rito della definitiva cacciata della cattiva stagione
(31.03.19)
Dopo il carnevale, ancora una volta, per cacciare la brutta stagione,
soprattutto la sua pazza coda di marzo, occorre produrre altro rumore,
diffondere suoni anche strani nell’aria, insomma fare chiasso e… tanto
baccano. La funzione è sempre stata duplice: da un lato
allontanare gli spiriti del male, dall’altro richiamare ad alta voce la
bella stagione, facilitando così il risveglio della natura
Omaggio
ai boscaioli emigranti (eroi del bosco, martiri del lavoro)
(25.03.19)
Una vita di sacrifici durissimi, di frugalità, di duro lavoro quella
dei boscaioli bergamaschi che emigravano abbandonando le loro valli e
le loro famiglia a marzo per recarsi in Svizzera e in Francia. Doveroso
ricordarla.
La gestione
del letame nell'economia
agropastorale
montana
(20.03.19) Lo spargimento del letame nei
prati e campi di montagna, utilizzatonaturale. Almeno così era nel
passato. quale fertilizzante, è forse una delle attività
maggiormente faticose, ma anche più importanti, sul piano della
conclusione di un ciclo.
La
stalla e gli altri manufatti dell’edilizia tradizionale
(03.03.19)
Una stalla, un prato, un pascolo, una vacca, quando sono in grado di
accogliere relazioni generative con la popolazione locale, e quindi di
esprimere i caratteri di una visione, rappresentano dei valori, più che
dei beni o delle merci. Francesco, Ugo e tanti molti agiscono come
tante api operaie, ossia contribuiscono in modo determinante a
sostenere l’ossatura e il futuro del “sistema montagna” delle Orobie,
presidiando il territorio e difendendo l’insieme delle sue
caratteristiche naturali e antropiche.
La
distillazione della grappa (una tradizione di libertà)
(23.02.19)
Oggi molti possono permettersi di acquistare la grappa (e il mercato ne
offre per tutti i gusti) ma distillare in casa frutta o vinacce
gratifica con quel senso di indipendenza, di libertà e, diciamo pure,
di sfida. La sfida a uno stato che per non perdere le accise sostiene
di vietare la distillazione casalinga per "tutelare la salute",
disconoscendo un sapere contadino secolare (l'alambicco si diffonde dal
Cinquecento).
La
caccia alla volpe (e al lupo) nella realtà contadina
(15.02.19) Nel periodo più freddo e nevoso dell’anno, quando cioè gli
uomini avevano tempo a disposizione, öna ölta (una
volta) i cacciatori più sfegatati, ma anche i contadini meno provetti
all’uso dell’archibugio, i vàa a vulp (andavano
[a caccia] di volpi).
L'economia
delle uova nella società contadina
(05.02.19) Loaröi e loaröle(venditori
e venditrici di uova) erano protagonisti di una economia integrativa
per il sostentamento del gruppo familiare, sia sotto il profilo
alimentare, che per quanto concerne l’introito di qualche pur modesta
somma di denaro...
In
morte di un complesso rurale di pregio
(22.01.19) La
triste parabola di una contrada a oltre 900 m di quota in valle Imagna.
Un tempo abitata tutto l'anno, poi alpeggio, oggi consiste solo di
prati e di fabbricati in rovina. Quelli ristrutturati trasformati a
"uso vacanza".
La méssa dol rüt
(08.01.19) La
méssa dol rüt (la concimaia) era l'elemento chiave di un
paesaggio ordinato che nutriva animali e persone senza inquinare e
sprecare risorse
Il Natale dei contadini. Un rito che non
scompare: la macellazione del maiale (cupaciù)
(23.12.18)
Riti che rivivono, pieni di significato. Ancora oggi la macellazione
del suino è occasione per aiutarsi tra giovani allevatori. Quella
che sembrava una pratica da amarcord da vecchie foto in bianco e nero
possiamo documentarla come un fatto attuale e in ripresa. La sequenza
della macellazione con qualche immagine di insaccatura.
contatti:redazione@ruralpini.it
|
|