http://www.identitagolose.it/
Paolo
Marchi, creatore e curatore di 'Identità Golose'
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(30.12.09)
Il prossimo congresso della cucina d'autore a Milano
affronta temi di grande attualità attraverso il filo
conduttore del 'Lusso della semplicità'
La
rivoluzione gastronomica a 'Identità golose'
Alimentarsi
è divenuto espressione di scelte estetiche, morali,
politiche che diventano parte fondamentale della
costruzione e dell'affermazioen della nostra identità
e del nostro integrale rapportarsi (corpo, mente, spirito) con
il mondo.
Il concetti di gusto e di stile ne sono profondamente
influenzati e mutati
Il
prossimo 31 gennaio si aprirà a Milano la sesta edizione
di 'Identità Golose' il congresso italiano (ma con numerose
presenze internazionali) di 'cucina d'autore'. Il programma
del congresso - sotto l'insegna del 'Lusso della
semplicità' - è quanto mai impegnativo. Paolo
Marchi, ideatore e curatore dell'evento, lo presenta
così:
... la nuova frontiera della magnificenza gastronomica che non va più intesa come un susseguirsi di piatti e di situazioni legate a ingredienti e accessori costosi, caviale e aragosta, foie gras e tartufo, posate dorate e obbligo di cravatta, sommelier con il passo da cardinali e vini presentati come reliquie sacre. Non che non siano più ottimi in sé, è che vanno intesi e consumati con un diverso approccio mentale. Non è più tempo di credere che le cose più buone sono anche le più care. Vince l’anima e non l’apparenza, il prezzo, l’esibizione fine a se stessa. Vincono il sapore e il sapere, perde il consumo acritico, esibito.
Il
nuovo 'gusto riflessivo'
Alla
base della 'rivoluzione' si colloca una nuova definizione
di qualità e di gusto. La qualità è quella che rimanda
all'essenzialità, alla identità in una materia
prima con caratteri definiti e peculiari, risultato
di un sapiente adattamento delle tecniche di produzione
alimentare (coltivazione, allevamento, trasformazione)
a determinati ambienti, al rispetto di cicli, equilibri,
tempi, stagioni. Un cibo 'naturale' fornirà sensazioni
originali in grado di fornire determinate gratificazioni
sensoriali ed emozionali, quello manipolato no. Il gusto
è l'elemento di riconoscimento, un gusto 'riflessivo', educato
a cogliere i nessi tra sapori e saperi, tra sapori e
rispetto di valori ecologici, etici, salutistici. Dice
Marchi:
certi prodotti, stonano nel piatto del goloso, attento agli equilibri naturali del pianeta. Da qui una sempre più marcata preminenza data a un carota o un pomodoro, a un pacchero o una triglia, una ricerca di visioni e realtà che tendono al primordiale, materie prime che per incarnare il nuovo lusso non basta siano di qualità eccelsa, ma devono essere anche rispettose dell’etica morale, salutistica e ambientale.
Sono
passati i tempi in cui la gastronomia era considerata
come qualcosa di prosaico o di frivolo. Oggi la gastronomia
è un argomento politico, culturale, filosofico terribilmente
serio. il linguaggio di sociologi, antropologi e quello
degli esperti enogastronomici convergono. La capacità
di degustare un vino, un formaggio, un cibo non
è più un elemento di distinzione sociale finalizzato
all'affermazione di uno status, ma diventa qualcosa
di necessario per sé (per la propria salute e identità)
e per gli altri (dimensione etica).
Elena
Battaglini (Il gusto riflessivo. Verso una sociologia
della produzione e del consumo alimentare, Bonanno,
Roma, 2007) ha definito 'gusto riflessivo' la
dimensione corporea sensoriale cognitiva che sta alla
base della capacità dell'individuo di scegliere o rifiutare
modalità, luoghi e prodotti di consumo. Una definizione
che prende spunto da Giddens, uno dei massimi sociologi
contemporanei e teorico della 'modernità riflessiva'.
Per Giddens la corporeità (aspetto fisico, comportamento,
dieta) è oggetto di un continuo interrogarsi dell'attore
sulle scelte migliori per costruire e mantenere la propria
identità in un mondo dove i ruoli cambiano velocemente
e si sovrappongono e dove non vi sono più appartenenze
stabilili (le vecchie classi e ceti) che presuppongono
comportamenti 'automatici'.
Non
che l'alimentarsi fosse in passato un fatto puramente
meccanico legato alla sopravvivenza. Nella storia umana
le scelte alimentari sono sempre state oggetto di scelte
costituendo un nesso fondamentale tra il mondo delle
idee e il mondo delle cose (Sidney W. Minz, Food
and antropology. A Brief review, in: Foodscape.
Stili mode e culture del cibo oggi, a cura di A.Guigoni,
Polimetrica, Monza, 2004). Ma erano scelte di gruppo,
non implicavano la responsabilità individuale e la corollaria
autoriflessività.
Gusto
e benessere: verso nuovi paradigmi
Il
'gusto riflessivo', secondo la Battaglini, discende
anche dall'altro connotato della tarda modernità: la
'società del rischio di Ulrich Beck, che spinge ad affidarci
alle nostre sensazioni corporee, ai nostri sensi e ad
affinarli quale condizione per orientarci in un mondo
di incertezze, di conoscenze limitate e di condizioni
di fiducia limitata (negli apparati ufficiali, scientifici,
industriali).
La
discussione sul 'gusto riflessivo' è quanto mai pertinente
al tema della qualità della materia prima nel contesto
del discorso gastronomico. Dice infatti la Battaglini:
[...]
il gusto riflessivo, che si esprime in domanda di qualuità
alimentare , non è 'dato' ma va educato. La chimica
dei processi trasformativi volti alla quantità dei profitti,
piuttosto che alla qualità dei prodotti alimentari,
rischia di atrofizzare i sensi, sovrastimolandoci con
gusti e aromi che mimano le caratteristiche naturali
degli alimenti (...) E' necessario affinare i nostri
sensi per aprirci, dunque, al mondo e per riconoscere
anche la differenza tra ciò che è naturale e ciò che
è negativamente manipolato.
In
gioco non ci sono solo gratificazioni sensoriali. Integrare
la dimensione del piacere (fornito da sapori, gusti)
a quella del sapere è condizione per un benessere autentico,
profondo. Un benessere che per essere autentico deve
appagare il corpo e la mente in una condizione di armonia
tra noi e il mondo (sfera sociale e naturale). Un cibo
'buono' pertanto appaga i sensi la mente (e lo spirito).
Va chiarito che non siamo solo di fronte a questioni
filosofiche ma di immediata rilevanza pratica. O impariamo
a ricercare un benessere profondo e duraturo o gli
equilibri ecologici del pianeta saranno compromessi,
senza ritorno. La finalità del 'gusto riflessivo',
secondo la Battaglia, è 'poter discernere tra quei prodotti
che inducono un benessere immediato ma non appagante,
lasciando in uno stato di perenne insoddisfazione e
quelli, invece, la cui scelta produce un benessere più
profondo e duraturo nel tempo'.
Per
amore o per forza
Il
tempo del benessere effimero basato sul consumismo,
sullo spreco energetico, sui modelli alimentari della
sazietà, sulla apparentemente sterminata libertà di
scelta di alimenti offerti dalla GDO, sul
super consumo calorico, di grassi, dolci, proteine animali
è finità.
Così
come è stato elaborato (Politecnico di Zurigo) il modello
della 'società 2000W' (a fronte di consumi energetici
pro capite di 6.000) bisogrerebbe anche definire una
società in cui il limite di proteine animali sia riportato
ad un obiettivo realistico.
L'elaborazione
di un benessere alimentare alternativo urge. La crescita
della popolazione e la diminuzione delle terre coltivate
(per erosione, urbanizzazione, desertificazione, perdità
di fertilità dovuta ai processi dell'agricoltura intensiva)
pongono di fronte all'esigenza di rivedere il modello
imperante e dilagante della saziatà. Mentre non c'è
più quasi nulla di 'esotico' in grado di marcare il
consumo di lusso (e quindi, fortunatamente, la distinzione
si orienta su altri criteri) si assiste ad una crescente
domanda di importazioni alimentari da parte dei nuovi
paesi emergenti. I rapporti favorevoli (ai 'vecchi paesi
ricchi' che hanno penalizzato i paesi poveri esportatori
sono destinati ad essere modificati. Ma il futuro alimentare
sarà segnato anche dal venir meno del ruolo di 'granaio'
degli Usa in relazione alla crescita della popolazione
statunitense e alla perdita di suolo fertile (vedi gli
effetti della monocoltura in Iowa)(cfr. David Pimentel).
Dobbiamo
imparare ad usare meglio le risorse della terra e del
mare, a consumare meno e meglio a considerare di lusso
la triglia pescata artigianalmente, nella stagione giusta,
lo stesso per gli ortaggi anche i più 'umili' se coltivati
nel modo giusto, senza concimi chimici e pesticidi,
senza 'forzature' nei tempi giusti, colti nel
momento migliore. Freschezza e 'gusto primordiale'
in un prodotto 'umile' possono far dimenticare cibi
costosi (non solo per il portafoglio ma anche per l'ambiente).
E qui viene il ruolo della cucina d'autore, un ruolo
educativo insostituibile perché essa può proporre modelli
che poi possono essere adottati anche in altri ambiti
di consumo. Riducendo il junk food, riportando
la gente a prepararsi i propri cibi, a coltivare l'orto,
inducendola a sostenetre attivamente i produttori
artigianali e creando catene alimentari brevi, etiche e
di qualità.
Una
creatività basata sul prodotto come condizione di un'alleanza
per la qualità
La
rivoluzione gastronomica presuppone anche il superamento
della spettacolarizzazione dello sperimentalismo eccentrico,
di una creatività malintesa (che finisce per essere
ripetizione di modelli). Fortunatamente esistono in
Italia ancora ricchi 'giacimenti' gastronomici
(nonostante gli sforzi della burocrazia e dell'industria
per distruggere le eccellenze per clonarle e standardizzarle).
La
cucina d'autore ha la responsabilità di indicare
ad un più ampio settore della ristorazione di qualità
(che soffre come tutto il comparto turistico per costi
elevati e per forte aggressive di concorrenza) di valorizzare
al meglio i prodotti di eccellenza quale risorsa strategica.
Ed è quello che auspica Paolo Marchi nella presentazione
di Identità Golose 2010 quando afferma che: 'Un ritorno a una creatività basata sul prodotto, terreno ideale per gli interpreti della cucina d’autore di casa nostra perché siamo il Bel Paese ma anche il Buon Paese'.
Da
parte nostra ci piace ricordare che, in prima fila tra
le materie prime di eccellenza, vi sono certamente
quelli della montagna: il formaggio, le ricotte e
il burro d'alpeggio (prodotti senza mangimi o fermenti
selezionati), gli agnelli pesanti allevati d'estate
sui pascoli, le varietà autoctone di mele coltivate
senza chimica, le patate, le rape, i cavoli, la segale,
il grano saraceno, il vino (naturale). Il filo che lega
le produzioni rurali di montagna al 'nuovo lusso', al
nuovo 'gusto riflessivo' è forte ed evidente e l'alleanza
tra contadini, pastori, piccoli allevatori e casari
e chef consapevoli (compresi quelli delle città).
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