Politica green
Michele Corti, 3 marzo 2024

Il
blocco ideologico rossoverde porta a casa un trofeo prezioso per la
campagna elettorale. Il PPE, con 25 traditori, si presenta
all’elettorato come un partito inaffidabile, con all’interno componenti
suscettibili di cedere alle pressioni delle lobby ambientaliste
sostenute dalle multinazionali. Nessuno crede che a queste ultime
interessino le farfalle e le paludi. Interessa indebolire ulteriormente
l’agricoltura famigliare europea e le filiere che ancora sfuggono ai
monopoli globali, ai “padroni del cibo” mondiale.
La legge sul
“Ripristino della natura” (qui
il testo approvato dal
parlamento
europeo )
reca già nel titolo l’ispirazione a un messianismo green che emerge
anche in alcuni passaggi del chilometrico preambolo all’articolato,
dove si arriva a parlare di “riportare la natura nelle nostre vite”. Si
vuol far credere che il provvedimento porterà benefici all’agricoltura,
alla produzione alimentare, al consumatore, oltre che all’ambiente. Ma
siamo sicuri? Le stesse élite globaliste che sponsorizzano il rewilding
spingono verso il cibo artificiale, il transumanesimo,
l’artificializzazione della vita umana e sociale. In realtà, come
sosteniamo da lungo tempo, rewilding e artificializzazione sono due
facce della stessa medaglia, due branche di una tenaglia che devono
stritolare non solo l’agricoltura famigliare e il mondo rurale ma la
stessa libertà, dignità, identità umane.
Quando il PPE, nella sua ambigua posizione di partito alleato delle
sinistre, e quindi di fautore o comunque complice delle politiche
europee (Green deal compreso), ha tentato di opporsi all’approvazione
della legge e ha paventato i danni agli agricoltori e ai consumatori,
queste tesi [sono state] ampiamente contestate da gruppi
di sinistra, dalla Commissione europea [presieduta da un esponente
del PPE!], da diverse Ong, da migliaia di scienziati del clima, dal
settore dell’industria delle energie rinnovabili e da grandi aziende
come IKEA, H&M, Iberdrola, Unilever, Nestlé e Danone
(fonte). Basti
dire che Danone ha già investito due milioni di dollari nel latte
sintetico
(fonte).
Il “ripristino” anticamera del
rewilding
Quella approvata
dal parlamento europeo mentre nelle piazze di
Bruxelles non si era ancora spento l’eco delle aspre proteste del
movimento dei trattori, non rappresenta solo uno schiaffo agli
agricoltori ma, in quanto affermazione giuridicamente vincolante di un
“naturalismo” astratto e tecnocratico, diventa l’anticamera di un
rewilding aggressivo. Quello, per intendersi, che vuole sostituire i
campi e il paesaggio agricolo con le paludi e i castori o la
“ripristinata” foresta primigenia europea con alci e bisonti. Già da
questo riferimento comprendiamo che il “ripristino” rappresenta un
concetto mistico (come “la natura che torna nelle nostre vite”) per
nulla scientifico perché non tiene conto dell’evoluzione storica
intercorsa (sia su lunghi che meno lunghi periodi) delle comunità di
specie animali e vegetali, dei cambiamenti climatici, delle influenze
di quel “marziano” che è Homo sapiens. Solo il dogmatismo
ecologista (che mescola scienza e religione verde) riesce a stabilire
un confine netto (mistico, per l’appunto) tra ciò che è naturale e ciò
che è legato all’influenza antropica. Piante e animali si
spontaneizzano tanto che se dovessimo, con la bacchetta magica, far
sparire le specie portate in Europa dall’uomo da migliaia di anni in
qua, prati e boschi resterebbero spogli.

Vincoli
all’agricoltura imposti sottraendo fondi per il sostegno
all’agricoltura stessa
Il “ripristino”
diventa quindi l’anticamera dell’incubo rewilding, ne
prepara il terreno ideologico. Molto concretamente, perché le lobby
verdi sanno bene modulare astrattezza e concretezza, la legge sul
ripristino è uno strumento per creare meccanismi , figure, ruoli,
poltrone, incarichi in grado di foraggiare l’esercito di
naturalisti-ambientalisti che sarà incaricato di seguire l’applicazione
del macchinoso provvedimento. Questo esercito (oggi mobilitato a
pianificare, monitorare, misurare, contar farfalle) sarà poi pronto per
altre battaglie (quella sull’estensione delle aree protette e sulla
trasformazione di queste ultime sul modello dei parchi nord-americani
che escludono la popolazione dal loro perimetro).
Quanto al
finanziamento del “ripristino”, siamo di fronte a un vero
capolavoro di una minoranza ambientalista che, lautamente finanziata
dai potentati economici, è capace di schierare falangi di Ong,
lobbysti, “scienziati organici” quindi di imporsi su una controparte
che è rappresentata da organizzazioni agricole che, ai loro vertici,
sono contigue ai grandi interessi economici. Il capolavoro consiste nel
far finanziare un provvedimento fortemente ideologizzato in senso
ambientalista dai fondi destinati all’agricoltura. Tanto per fare un
esempio: la trasformazione di superfici coltivate in paludi non sarà
obbligatoria sui terreni privati ma gli agricoltori saranno “allettati”
a farlo da ricchi incentivi che, ovviamente, corrisponderanno alla
riduzione di altri sostegni. Lo stesso vale per gli incentivi ad
aumentare le farfalle e a diversificare i paesaggi agricoli, ad
aumentare l’accumulo di carbonio organico nel terreno. Tutti obiettivi
sacrosanti ma finanziati dalla riduzione del sostegno complessivo al
reddito agricolo e da nessun meccanismo per tutelarlo sul piano dei
prezzi e delle importazioni selvagge. Altro che provvedimento a favore
dell’agricoltura.

Si dice che, per
passare e convincere i “moderati” centristi che hanno
votato con i rossoverdi sono state fatte delle “concessioni”
all’agricoltura. Se, nelle precedenti versioni, era prevista, di
default, una diminuzione delle superfici agricole del 10%, con il testo
attuale non sappiamo che diminuzione della produzione agricola possa
essere provocata dal “ripristino”. Nel nuovo testo si prevede una
“sospensione” dei piani di “ripristino” in caso di insufficiente
produzione agricola per il consumo. Cosa significa? Che la legge andrà
a diminuire la capacità del sistema agricolo europeo di sfamare i
consumatori.
Al fine di consentire una risposta rapida
ed efficace quando si
verifica un evento imprevedibile, eccezionale e non provocato al di
fuori del controllo dell’Unione, con gravi conseguenze a livello
dell’Unione sulla disponibilità di terreni necessari per garantire una
produzione agricola sufficiente per il consumo alimentare dell’Unione,
è opportuno conferire alla Commissione competenze di esecuzione per
quanto riguarda la sospensione temporanea dell’applicazione delle
pertinenti disposizioni del presente regolamento nella misura e per il
periodo strettamente necessari, fino a un massimo di 12 mesi,
preservando nel contempo gli obiettivi del presente regolamento. È
altresì opportuno che tali competenze siano esercitate conformemente al
regolamento (UE) n. 182/2011.
Si
possono curare le malattie senza capire le cause?
Parlando di
farfalle e non spendendo una parola per spiegare perché gli
habitat si sono degradati, la legge affronta un problema con proclami
salvifici ma nascondendo accuratamente le cause. Come curare una
malattia senza capirne le cause? Gli agricoltori europei non sono certo
i primi responsabili del degrado degli habitat, se il paesaggio
agricolo è stato trasformato in una landa a monocoltura senza alberi,
senza siepi, senza uccelli, senza biodiversità è perché l’Europa ha
integrato il reddito agricolo senza far nulla per impedire che si
approfondisse sempre più il divario tra i costi di produzione e i
prezzi riconosciuti al produttore agricolo da mercati oligopolistici.
L’Unione Europea, dismesso il protezionismo che l’aveva
contraddistinta, ha sposato la causa del liberismo e del globalismo
aprendo i mercati europei alle produzioni extracomunitarie e
sottoponendo il produttore agricolo a una concorrenza impari. Figlia di
una logica ipocrita, la legge sul “ripristino” ha ora inserito, tra le
premesse, un vago auspicio alla “promozione di condizioni di parità”.
È importante che l’Unione utilizzi la sua
politica commerciale e la sua
vasta rete di accordi commerciali per dialogare con i partner sulla
protezione dell’ambiente e della biodiversità anche a livello mondiale,
promuovendo nel contempo condizioni di parità. (13.
considerazioni)
Ma è
sufficiente? Anche qualora trovasse la forza per rinegoziare i
trattati sul “libero commercio” la UE non potrebbe che frenare, facendo
leva su alcuni aspetti, l’importazione di prodotti a prezzi stracciati.
Come fa l’agricoltura europea a competere con i sistemi agricoli del
Canada o del Brasile (enormi superfici sottratte alle foreste, altro
che “ripristino”!) o con quelli dell’Africa con la manodopera a buon
mercato, le tutele sindacali, le norme ambientali e sulla sicurezza
indietro di decenni rispetto all’Europa? Il “ripristino”, come tutto il
Green Deal, associato all’importazione senza dazi e all’assenza di
politiche dei prezzi che controbilancino l’immenso squilibrio di potere
di mercato della parte agricola rispetto a quella industriale e
commerciale, sono – le belle parole sono impostura – uno strumento di
distruzione dell’agricoltura famigliare europea. La produzione
diminuirà e i costi di produzione aumenteranno e sempre più aziende
abbandoneranno. Nessuno ignora che l’obiettivo ambientalista è quello
di togliere di mezzo l’agricoltura famigliare e occupare le terre con
parchi intoccabili e distese di pannelli fotovoltaici e pale eoliche.

L’ipocrisia del “ripristino” è svelata dove si introducono deroghe agli
obblighi del “ripristino” per le energie rinnovabili. Anche un bambino
coglie l’assurdità di inseguire il ripristino di uno stagno, di una
prateria quando poi si vanno a massacrare i paesaggi rurali con enormi
superfici coperte da pannelli fv.

Quando
il degrado degli habitat è causa dell’animal-ambientalismo
Già la
quantomeno parziale esenzione degli impianti a energie
rinnovabili fa emergere l’ipocrisia della logica del “ripristino della
natura”. Dovremmo poi osservare che questa ipocrisia emerge anche
quando si parla di “ripristino” dei prati e dei pascoli (sì perché tra
gli habitat rientrano quelli comunissimi ed estesissimi buona parte dei
boschi, dei prati, dei pascoli). Sulla carta – chissà se se lo
ricorderanno – è previsto che il ripristino di prati e pascoli può
contemplare la “deforestazione”, alleluia. Ma come conciliare questa
“apertura” con la perdurante politica a favore della protezione della
fauna che degrada direttamente gli habitat o che (grandi predatori)
mette in crisi i sistemi pastorali e provoca la chiusura delle aziende
estensive. Fanno rabbia i proclami contenuti nella legge sul
“ripristino” quando, in nome della biodiversità (direttiva 92/43) si
sta ancora discutendo se il lupo deve essere sottoposto a un “rigido
regime di protezione”. L’intensivizzazione è figlia di certe politiche
pseudo ambientaliste, non solo quelle a favore dei grandi predatori,
anche quelle che pongono mille vincoli all’esercizio dell’agricoltura e
dell’allevamento nelle aree protette. Lo sanno, al parlamento europeo,
che i pastori italiani stanno sostituendo razze ovicaprine rustiche,
adatte ai sistemi estensivi, atte a impedire il degrado degli habitat
con razze intensive da tenere chiuse in stalla per il pericolo lupi e
da alimentare a mangimi? Comodo non parlare delle cause del degrado e
fingere che esso sia dovuto ad agricoltori avidi.

Ma il degrado
degli habitat è stato causato anche dalle politiche “ambientaliste” del
passato quando si piantumavano artificialmente terreni a pascolo
(habitat latifoglie miste) con piante resinose a rapido accrescimento.
I forestali hanno degradato gli habitat con rimboschimenti assurdi, con
specie inadatte e con impianti monospecifici e senza applicare le cure
selvicolturali necessarie. Se cercate habitat degradati ecco a voi
immense superfici in Italia di “ecocidio” firmato Corpo forestale dello
Stato (e poi anche dalle varie aziende regionali).Certo che se per
“ripristino” si intende lasciare a terra la legna morta con il pretesto
della biodiversità non ci siamo proprio. Per nascondere i propri
errori, gli ambientalisti, aderendo all’assioma bosco sano = bosco
marcio lasciano a terra l’abbondante massa legnosa morta provocata dai
loro errori. E incassano finanziamenti europei. Il “ripristino della
natura” seguirà queste logiche? Temiamo di sì.