Per troppo tempo la politica ha abdicato
alle sue funzioni, quelle più importanti. Sinora ha lisciato il pelo a
un'opinione pubblica emotivamente pro lupo (disinformata e montata
dalla propaganda ben finanziata - con soldi pubblici - della
potentissima lobby). Le regioni si sono nascoste dietro un dito anche se le loro
competenze sono chiare come il sole. Dietro la farsa ignobile del "Progetto lupo", bloccato da sette anni,
(un comodo alibi per la conferenza stato-regioni, per le regioni, per il ministero per lasciare marcire la situazione).
Alla lobby del lupo le cose vanno alla grande; invece gli allevatori chiudono le aziende, i cittadini dovranno scappare dai centri
abitati dove i lupi entrano in casa. Ma sino a che punto si possono ignorare le
esigenze costituzionalmente garantite di sicurezza, tutela della
libertà e dell'economia dei territori? In vista del convegno del
7 maggio in val d'Ossola (la prima iniziativa forte
organizzata da allevatori e montanari vittime dell'incontrollata
proliferazione del lupo sulle Alpi), torniamo sul tema dei lupi
pericolosi e chiediamo ai politici: perché mettete ancora la testa nella
sabbia e non vedete che siamo già arrivati a situazioni giudicate di
pericolo da studiosi della stessa parte ambientalista e da istituzioni pubbliche che si occupano di
fauna nella vicina Svizzera?
In attesa della (finalmente)
imminente divulgazione dei dati del monitoraggio nazionale del lupo
(2020/2021) e della presumibile ripresa del dibattito sul "piano lupo"
e su un inizio di gestione della specie (chiacchiere inconcludenti per i veti animal-ambientalisti e il disaccordo tra le regioni), vale la pena fare un po' il
punto sulle questioni sul tappeto. Intanto continuano, un po' in tutta
Italia, gli avvistamenti di lupi anche negli ambienti più antropizzati.
Il lupo è arrivato a pochi chilometri da Milano (uno, per la verità vi
era già arrivato - giusto due anni fa - trascinato dalla corrente del Naviglio grande). Il
Parco del Ticino, l'asta fluviale, è tornata ed essere - dopo due secoli di tregua - un serbatoio di
lupi, ormai stanziali, ormai in branchi (anche se il lupismo delle
menzogne di stato lo nega smentito da avvistamenti e predazioni).
Il lupologo Meriggi sostiene che i lupi milanesi "arrivano dall'Oltrepò Pavese". Vorrebbe far intendere
credere che il lupo dalle colline, attraversando una serie infinita di
strade, si faccia delle puntatine in pianura. Tutto per negare che
vengano dal Parco del Ticino. Quando poi le forze
dell'ordine intervengono (vedi caso sotto) lo fanno per "tutelare
l'animale", non i cittadini.
La cosa ridicola è che, mentre da una parte il lupismo esulta per la
"rapida espansione del lupo verso le zone più antropizzate del
territorio" (vedi sotto l'annuncio del convegno nazionale del Cai -
Gruppo Grandi Carnivori, un gruppo non meno fanaticamente lupofilo di
altri della galassia lupista), dall'altra si nega l'espansione del
canide. Come si spiega? Primo motivo. Il censimento farlocco, affidato a
operatori "formati" con corsi in remoto di poche ore, scelti tra le
organizzazioni ambientaliste, è stato eseguito non solo utilizzando
operatori poco o nulla addestrati a vedere gli animali selvatici (arte
non facile perché gli stessi cacciatori, che avrebbero tutto l'interesse
a gonfiare i censimenti della fauna cacciabile, ne sottostimano
sistematicamente la presenza), ma anche prescindendo del tutto dalle
zone di nuova espansione nelle pianure, semplicemente ignorate al fine
di tenere il più bassa possibile la stima. Aggiungasi che i transetti
utilizzati per i campionamenti hanno spesso evitato zone notoriamente
ricche della presenza faunistica del canide selvatico (o presunto tale
visto il moltoplicarsi delle segnalazioni di ibridi). Vedasi le aree dell'Appennino tosco-emiliamo. Così (è un segreto
di pulcinella) la stima si attesterà su 3000-3500 lupi in tutta
italia, quanti si trovano nella sola Toscana. Un dato ridicolo, che
vorrebbe far credere a una crescita lentissima quando, invece, tanti
indicatori parlano di crescita impetuosa (vedi il Nord Est ma anche
alcune zone del Sud) e di espansione senza sosta dell'areale. Secondo motivo. A
parte la necessità di utilizzare tutti i trucchi per fornire un dato
pesantemente sottostimato della presenza del lupo (indispensabile per
giustificare i finanziamenti e la politica di mantenimento di un regime
di rigida protezione), il tacitare la rapida colonizzazione di zone
fortemente antropizzate serve a distogliere l'attenzione sul fatto,
difficilmente contestabile, della raggiunta "saturazione" delle aree
"vocate". Altro che "stato di conservazione soddisfaciente", lo staus del lupo è di
sovrapopolazione, di progressiva ibridazione.
Negare la saturazione delle aree montane e "vocate" serve anche a a mantenere in piedi la narrazione ideologica
del lupo che si espande "a seguito dell'abbandono del territorio" (la
realtà è, invece, che si espande per la super-protezione ingiustificata
e dannosa da ogni punto di vista, anche ambientale, di cui continua
surrettiziamente a godere). Serve a mantenere in piedi la narrazione del lupo elemento di alto pregio
naturalistico che contribuisce alla biodiversità di aree già wilderness
o in procinto di diventarlo. Cosa ci azzecchi l'urbanizzazione del lupo, la sua espansione nelle aree di agricoltura industrializzata
(dove la preda per eccellenza è una specie invasiva come la nutria)
con le favolette lupiste da ammanire al pubblico urbano è un vero busillis.
Il lupo in città (modello
cinghiale?)
Continuano intanto incessanti le segnalazioni di lupi nelle città
emiliane e, per
limitarsi alla pianura padana, è di ieri l'avvistamento di un lupo a
Verona. Cani e gatti sono ovviamente le vittime di questa marcia di
avvicinamento alle città (ma avete sentito gattari e canari aprire bocca?)
e tutto ciò crea le premesse per interazioni
pericolose anche con l'uomo. Di fronte a una situazione sfuggita di mano la lobby del lupo si
limita a imporre la parola d'ordine del "non c'è nessun pericolo" e a
individare, come uniche misure di "prevenzione" la segregazione nelle
case di cani e gatti, l'eliminazione di erbe alte e cespugli intorno
alle case, il divieto di abbandono di fonti alimentari e di rifiuti.
Capisce poi anche un bambino che quanto più il lupo colonizza ambienti
fortemente antropizzati, quanto più aumentano le occasioni di
ibridazione. In realtà, a parte l'obiettivo di accellerare, con la
diffusione del lupo, l'assalto finale alle ridotte della civiltà rurale
e pastorale che tentano di resistere a cervi, cinghiali, burocrazia, non si
capisce bene a cosa miri il lupismo nella sua politica di sostegno
a ogni costo all'espansione del loro beniamino. L'unica spiegazione
razionale può essere solo l'equazione: più lupi, più
necessità di esperti lupologi, più progetti con coinvolgimento di
lupologi, più voce in capitolo dei lupologi in ogni faccenda, più
potere per la lobby del lupo (chiamali fessi).
Il lupo è un abitante di paesi e città ma
non si adotta nessuna regola
Nessuna politica di deterrenza, neppure con mezzi non letali, viene
attuata perché l'ordine è: "il lupo non è pericoloso", "il lupo non si
tocca". Le politiche di (non) gestione del cinghiale hanno determinato
una situazione sfuggita da ogni controllo, lo stesso copione si sta
seguendo con il lupo. All'assedio dei cinghiali si dovrà
aggiungere
l'assedio dei lupi. Chi lo ha deciso? Le lobby animal-ambientaliste,
pesantemente penetrate negli apparati pubblici istituzionali a ogni
livello (Parchi, polizie provinciali, settore ambiente delle regioni, enti regionali forestali). La politica è incapace di reagire. Paralizzata dalla
convinzione che l'opinione pubblica sia massicciamente pro lupo e che, dall'altra sponda della
barricata ci siano solo "quattro sfigati" incapaci di attivare azioni
politiche (senza
tenere conto che più il coccolo si avvicina alle città e meno
entusiasti lupomani si conteranno).
Quello che sconcerta è che gli stessi esperti dei grandi carnivori
europei, riuniti nel LCIE (il gruppo, sorto per iniziativa del WWF, e che
oggi scrive i piani europei di gestione di orso, lupo, lince e
sciacallo) prevedono, nella loro guida sul comportamento del lupo in
situazione di potenziale rischio, due condizioni di grave pericolo:
in una, quella più grave, il lupo che attacca un essere umano,
l'animale deve essere abbattuto o catturato senza se e senza ma,
nell'altra (avvicinamento a meno di 30 m da persone) si raccomanda di
catturare il lupo e radiocollararlo e di mettere in atto misure di
deterrenza (pallottole di gomma normalmente) e di rimuoverlo se insiste
nel comportamento. Vengono, però, considerati anche potenzialmente
pericolosi e da monitorare altri due comportamenti: se il lupo si
lascia avvivinare dalle persone a meno di 30 m si deve radiocollarare
l'animale e procedere con misure di dissuasione. Anche se si avvicina a
meno di 30 m dalle abitazioni si deve valutare se attuare misure di
dissuasione.
Questo modello è riportato anche nei
documewnti di Life Wolf Alps ma esso si guarda bene dall'attuare dei
protocolli. In Italia sono già avvenuti ferimenti di esseri umani ma
sono stati messi a tacere. Quanto all'avvicinamento alle persone a meno
di 30 m, alle predazioni nei centri abitati, nei cortili, nei giardici
c'è una nutritissina casistica. Stando agli esperti europei si doveva
procedere con il monitoraggio, la cattura e l'applicazione del
radiocollare, si sarebbero dovuti usare i mezzi di dissuasione
(pallottole di gomma). Non si è fatto nulla. Ben diversa la situazione
nella vicina Svizzera dove, quest'anno, il 20 gennaio è stato abbattuto
un lupo ritenuto pericoloso per le persone. L'Ufficio caccia dei
Grigioni aveva monitorato a lungo il lupo poi abbattuto. Risultando
vane le azioni di deterrenza con i proiettili di gomma si era anche
tentato di applicare un radiocollare. Quando il lupo ha seguito a pochi
metri una persona si è deciso di abbatterlo. E così è stato. Un fatto
avvaduto nella regione del Surselve, nella zona di Disentis. Nel
Vallese, dopo che un escursionista aveva incontratoi un lupo che non
dava alcun segno di temere la presenza dell'uomo si è iniziato a
monitorare l'animale. Nonostante tanti casi che richiederebbero le
stesse procedure, in Italia non succede nulla. La lobby del lupo blocca
tutto. Come abbiamo già avuto modo di osservare, il motivo va ricercato
nell'esigenza di rifinanzaire per la terza volta il progetto Life Wolf
Alps (di fatto rendendolo eterno). L'idea del lupismo organizzato è di
chiedere ul Lie Wolf Alps III con il tema "gestione dei lupi
problematici" o "lupi che frequantano ambienti urbanizzati". Un'altra
bella paccata di 15 milioni di euro. Per perseguire questo obiettivo
strategico ora non si vuole fare nulla.
Cosa chiediamo alla
politica
1) Monitoraggio
a livello di regioni e provincie da parte dei portatori di interessi,
basato sulle segnalazioni da parte di agricoltori, cacciatori, utenti
della montagna e del territorio rurale (attraverso fototrappole,
fotografie e messaggi georeferenziati di predazioni, avvistamenti).
Tale monitoraggio dovrà essere basato su criteri di validazione
stabiliti e applicati da commissioni tecniche con rappresentanti non
solo di enti pubblici ma anche di esperti indicati da cacciatori e
agricoltori. Da questo monitoraggio, basato sulla gestione di un grande
mumero di segnalazioni, dovranno essere ricavate mappe che, in
tempo reale, indicano - sulla base della densità delle segnalazioni -
la presenza del pericolo di attacco alle greggi e il potenziale
pericolo per le attività antropiche, gli animali d'affezione, lo
svolgimento di attività all'aperto.
2)
Protocollo di gestione dei lupi in contesti antropizzati. La
moltiplicazione di casi di pericolose interazioni del lupo in contesti
antropizzati (entrata nelle pertinenze di abitazioni e aziend
eagricole), predazione di animali d'affezione nei pressi delle case,
avvicinamento a brevi distanze alle persone (innumerevoli casi sotto i
30 metri), assenza di comportamenti di timore (ovvero di reazioni di
fuga di fronte a rumori prodotti con lo scopo di allontanarli) pone
alle regioni la responsabilità di adottare protocolli che vadano oltre
le ridicole indicazioni di tagliare l'erba, non "pasturare" i lupi,
blindare all'interno delle abitazioni gli animali domestici. La regione
Toscana ha del resto contraddetto la narrazione lupista ufficiale
invitando abitanti e turisti a osservare un condice di comportamento da
tenere quando ci si avventura nelle zone infestate dai lupi: dotarsi di
un pesante bastone, non procedere da soli, arrampicarsi sugli alberi e
non scendere sino all'arrivo dei soccorsi, portare con sè una carica di
scorta per il telefono, protegge i bambini creando un cerchio di adulti
all'esterno. Che senso hanno queste misure se il lupo fosse realmente
inoffensivo? E che senso ha lasciare entrare, anche nelle ore diurn,
uno o più lupi senza intervenire quando, per andare in un bosco, si
devono osservare tutte quelle precauzioni e andare armati di un pesante
randello? Che la Regione Toscana, con migliaia di lupi sul suo
territorio, sia la prima ad adottare un protocollo. Le altre vengano
dietro.
3) Uniformare,
semplificare le procedure di accertamento e rimborso danni. La
strategia lupista punta a due obiettivi (sinora colti in pieno): 1)
fornire cifre ridicolmente basse per la numerosità della specia, non
segnalare dove sono i lupi (se non dopo 1-2 anni di tempo quando gli
allevatori hanno subito le predazioni; 2) nascondere la maggior parte
delle predazioni. Il secondo obiettivo si raggiunge con rimborsi
macchinosi, in ritardo, molto parziali, affidando gli accertamenti a
personale spesso non imparziale, spesso dalla parte del lupo, , spesso
pronto a cogliere in castagna l'allevatore, subordinando il tutto ad
analisi del Dna. Molti piccoli allevatori non essendo in regola
con qualche adempimento e temendo sanzioni, convinti che i rimborsi
tanto non arriveranno, che sarà più il tempo perso che i soldi
recuperati, non denunciano. Sotterrano i resti risparmiando gli oneri
di smaltimento e subiscono in silenzio. Così i danni denunciati e
censiti rappresentano la punta dell'iceberg. Così, quando le regioni
prenderanno coraggio e chiederanno al Ministero l'autorizzazione ad
applicare la deroga per danni economici si sentiranno dire che i danni
non sono così gravi, che i lupi non sono così tanti, che l'opinione
pubblica non è ancora matura per subire il "trauma" del controllo del
lupo (una povera bestia - quella di Geo&Geo e dei cartoons, innocua
e perseguitata sempre sull'orlo dell'estinzione). La giungla dei
sistemi adottati dalle regioni, manovrate dalla lobby lupista per NON
PAGARE I DANNI DEL LUPO E NASCONDERE LA LORO ENTITA' REALE deve
finire. Basta con le assicurazioni private e con i loro cavilli. Il
lupo è patrimonio indisponibile dello stato e lo stato, le regioni che
ne sono l'articolazione con competenza esclusiva, devono smetterla di
prendere in giro gli allevatori e dimenticare che l'istituzione non può
obbedire solo alle lobby più forti calpestando diritti fondamentali di
gruppi socio-territoriali deboli.