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Lupo

Michele Corti, 25 aprile, 2022

Lupo: le regioni non possono più nascondersi

Per troppo tempo la politica ha abdicato alle sue funzioni, quelle più importanti. Sinora ha lisciato il pelo a un'opinione pubblica emotivamente pro lupo (disinformata e montata dalla propaganda ben finanziata - con soldi pubblici - della potentissima lobby). Le regioni si sono nascoste dietro un dito anche se le loro competenze sono chiare come il sole. Dietro la farsa ignobile del "Progetto lupo", bloccato da sette anni, (un comodo alibi per la conferenza stato-regioni, per le regioni, per il ministero per lasciare marcire la situazione). Alla lobby del lupo le cose vanno alla grande; invece gli allevatori chiudono le aziende, i cittadini dovranno scappare dai centri abitati dove i lupi entrano in casa. Ma sino a che punto si possono ignorare le esigenze costituzionalmente garantite di sicurezza, tutela della libertà e dell'economia dei territori? In vista del convegno del 7 maggio in val d'Ossola (la prima iniziativa forte organizzata da allevatori e montanari vittime dell'incontrollata proliferazione del lupo sulle Alpi), torniamo sul tema dei lupi pericolosi e chiediamo ai politici: perché mettete ancora la testa nella sabbia e non vedete che siamo già arrivati a situazioni giudicate di pericolo da studiosi della stessa parte ambientalista e da istituzioni pubbliche che si occupano di fauna nella vicina Svizzera?

In attesa della (finalmente) imminente divulgazione dei dati del monitoraggio nazionale del lupo (2020/2021) e della presumibile ripresa del dibattito sul "piano lupo" e su un inizio di gestione della specie (chiacchiere inconcludenti per i veti animal-ambientalisti e il disaccordo tra le regioni), vale la pena fare un po' il punto sulle questioni sul tappeto. Intanto continuano, un po' in tutta Italia, gli avvistamenti di lupi anche negli ambienti più antropizzati. Il lupo è arrivato a pochi chilometri da Milano (uno, per la verità vi era già arrivato - giusto due anni fa - trascinato dalla corrente del Naviglio grande). Il Parco del Ticino, l'asta fluviale, è tornata ed essere - dopo due secoli di tregua - un serbatoio di lupi, ormai stanziali, ormai in branchi (anche se il lupismo delle menzogne di stato lo nega smentito da avvistamenti e predazioni).

Il lupologo Meriggi sostiene che i lupi milanesi "arrivano dall'Oltrepò Pavese". Vorrebbe far intendere credere che il lupo dalle colline, attraversando una serie infinita di strade, si faccia delle puntatine in pianura. Tutto per negare che vengano dal Parco del Ticino. Quando poi le forze dell'ordine intervengono (vedi caso sotto) lo fanno per "tutelare l'animale", non i cittadini.


La cosa ridicola è che, mentre da una parte il lupismo esulta per la "rapida espansione del lupo verso le zone più antropizzate del territorio" (vedi sotto l'annuncio del convegno nazionale del Cai - Gruppo Grandi Carnivori, un gruppo non meno fanaticamente lupofilo di altri della galassia lupista), dall'altra si nega l'espansione del canide. Come si spiega? Primo motivo. Il censimento farlocco, affidato a operatori "formati" con corsi in remoto di poche ore, scelti tra le organizzazioni ambientaliste, è stato eseguito non solo utilizzando operatori poco o nulla addestrati a vedere gli animali selvatici (arte non facile perché gli stessi cacciatori, che avrebbero tutto l'interesse a gonfiare i censimenti della fauna cacciabile, ne sottostimano sistematicamente la presenza), ma anche prescindendo del tutto dalle zone di nuova espansione nelle pianure, semplicemente ignorate al fine di tenere il più bassa possibile la stima. Aggiungasi che i transetti utilizzati per i campionamenti hanno spesso evitato zone notoriamente ricche della presenza faunistica del canide selvatico (o presunto tale visto il moltoplicarsi delle segnalazioni di ibridi). Vedasi le aree dell'Appennino tosco-emiliamo. Così (è un segreto di pulcinella) la stima si attesterà su 3000-3500 lupi in tutta italia, quanti si trovano nella sola Toscana. Un dato ridicolo, che vorrebbe far credere a una crescita lentissima quando, invece, tanti indicatori parlano di crescita impetuosa (vedi il Nord Est ma anche alcune zone del Sud) e di espansione senza sosta dell'areale. Secondo motivo. A parte la necessità di utilizzare tutti i trucchi per fornire un dato pesantemente sottostimato della presenza del lupo (indispensabile per giustificare i finanziamenti e la politica di mantenimento di un regime di rigida protezione), il tacitare la rapida colonizzazione di zone fortemente antropizzate serve a distogliere l'attenzione sul fatto, difficilmente contestabile, della raggiunta "saturazione" delle aree "vocate". Altro che "stato di conservazione soddisfaciente", lo staus del lupo è di sovrapopolazione, di progressiva ibridazione. Negare la saturazione delle aree montane e "vocate" serve anche a a mantenere in piedi la narrazione ideologica del lupo che si espande "a seguito dell'abbandono del territorio" (la realtà è, invece, che si espande per la super-protezione ingiustificata e dannosa da ogni punto di vista, anche ambientale, di cui continua surrettiziamente a godere). Serve a mantenere in piedi la narrazione del lupo elemento di alto pregio naturalistico che contribuisce alla biodiversità di aree già wilderness o in procinto di diventarlo. Cosa ci azzecchi l'urbanizzazione del lupo, la sua espansione nelle aree di agricoltura industrializzata (dove la preda per eccellenza è una specie invasiva come la nutria) con le favolette lupiste da ammanire al pubblico urbano è un vero busillis.

Il lupo in città (modello cinghiale?)

Continuano intanto incessanti le segnalazioni di lupi nelle città emiliane e, per limitarsi alla pianura padana, è di ieri l'avvistamento di un lupo a Verona. Cani e gatti sono ovviamente le vittime di questa marcia di avvicinamento alle città (ma avete sentito gattari e canari aprire bocca?) e tutto ciò crea le premesse per interazioni pericolose anche con l'uomo. Di fronte a una situazione sfuggita di mano la lobby del lupo si limita a imporre la parola d'ordine del "non c'è nessun pericolo" e a individare, come uniche misure di "prevenzione" la segregazione nelle case di cani e gatti, l'eliminazione di erbe alte e cespugli intorno alle case, il divieto di abbandono di fonti alimentari e di rifiuti. Capisce poi anche un bambino che quanto più il lupo colonizza ambienti fortemente antropizzati, quanto più aumentano le occasioni di ibridazione. In realtà, a parte l'obiettivo di accellerare, con la diffusione del lupo, l'assalto finale alle ridotte della civiltà rurale e pastorale che tentano di resistere a cervi, cinghiali, burocrazia, non si capisce bene a cosa miri il lupismo nella sua politica di sostegno a  ogni costo all'espansione del loro beniamino. L'unica spiegazione razionale può essere solo l'equazione: più lupi, più necessità di esperti lupologi, più progetti con coinvolgimento di lupologi, più voce in capitolo dei lupologi in ogni faccenda, più potere per la lobby del lupo (chiamali fessi).


Il lupo è un abitante di paesi e città ma non si adotta nessuna regola

Nessuna politica di deterrenza, neppure con mezzi non letali, viene attuata perché l'ordine è: "il lupo non è pericoloso", "il lupo non si tocca". Le politiche di (non) gestione del cinghiale hanno determinato una situazione sfuggita da ogni controllo, lo stesso copione si sta seguendo con il lupo.   All'assedio dei cinghiali si dovrà aggiungere l'assedio dei lupi. Chi lo ha deciso? Le lobby animal-ambientaliste, pesantemente penetrate negli apparati pubblici istituzionali a ogni livello (Parchi, polizie provinciali, settore ambiente delle regioni, enti regionali forestali). La politica è incapace di reagire. Paralizzata dalla convinzione che l'opinione pubblica sia massicciamente pro lupo e che, dall'altra sponda della barricata ci siano solo "quattro sfigati" incapaci di attivare azioni politiche (senza tenere conto che più il coccolo si avvicina alle città e meno entusiasti lupomani si conteranno).
Quello che sconcerta è che gli stessi esperti dei grandi carnivori europei, riuniti nel LCIE (il gruppo, sorto per iniziativa del WWF, e che oggi scrive i piani europei di gestione di orso, lupo, lince e sciacallo) prevedono, nella loro guida sul comportamento del lupo in situazione di potenziale rischio, due condizioni di grave pericolo: in una, quella più grave, il lupo che attacca un essere umano, l'animale deve essere abbattuto o catturato senza se e senza ma, nell'altra (avvicinamento a meno di 30 m da persone) si raccomanda di catturare il lupo e radiocollararlo e di mettere in atto misure di deterrenza (pallottole di gomma normalmente) e di rimuoverlo se insiste nel comportamento. Vengono, però, considerati anche potenzialmente pericolosi e da monitorare altri due comportamenti: se il lupo si lascia avvivinare dalle persone a meno di 30 m si deve radiocollarare l'animale e procedere con misure di dissuasione. Anche se si avvicina a meno di 30 m dalle abitazioni si deve valutare se attuare misure di dissuasione.

 

Questo modello è riportato anche nei documewnti di Life Wolf Alps ma esso si guarda bene dall'attuare dei protocolli. In Italia sono già avvenuti ferimenti di esseri umani ma sono stati messi a tacere. Quanto all'avvicinamento alle persone a meno di 30 m, alle predazioni nei centri abitati, nei cortili, nei giardici c'è una nutritissina casistica. Stando agli esperti europei si doveva procedere con il monitoraggio, la cattura e l'applicazione del radiocollare, si sarebbero dovuti usare i mezzi di dissuasione (pallottole di gomma). Non si è fatto nulla. Ben diversa la situazione nella vicina Svizzera dove, quest'anno, il 20 gennaio è stato abbattuto un lupo ritenuto pericoloso per le persone. L'Ufficio caccia dei Grigioni aveva monitorato a lungo il lupo poi abbattuto. Risultando vane le azioni di deterrenza con i proiettili di gomma si era anche tentato di applicare un radiocollare. Quando il lupo ha seguito a pochi metri una persona si è deciso di abbatterlo. E così è stato. Un fatto avvaduto nella regione del Surselve, nella zona di Disentis. Nel Vallese, dopo che un escursionista aveva incontratoi un lupo che non dava alcun segno di temere la presenza dell'uomo si è iniziato a monitorare l'animale. Nonostante tanti casi che richiederebbero le stesse procedure, in Italia non succede nulla. La lobby del lupo blocca tutto. Come abbiamo già avuto modo di osservare, il motivo va ricercato nell'esigenza di rifinanzaire per la terza volta il progetto Life Wolf Alps (di fatto rendendolo eterno). L'idea del lupismo organizzato è di chiedere ul Lie Wolf Alps III con il tema "gestione dei lupi problematici" o "lupi che frequantano ambienti urbanizzati". Un'altra bella paccata di 15 milioni di euro. Per perseguire questo obiettivo strategico ora non si vuole fare nulla.

Cosa chiediamo alla politica

1) Monitoraggio a livello di regioni e provincie da parte dei portatori di interessi, basato sulle segnalazioni da parte di agricoltori, cacciatori, utenti della montagna e del territorio rurale (attraverso fototrappole, fotografie e messaggi georeferenziati di predazioni, avvistamenti). Tale monitoraggio dovrà essere basato su criteri di validazione stabiliti e applicati da commissioni tecniche con rappresentanti non solo di enti pubblici ma anche di esperti indicati da cacciatori e agricoltori. Da questo monitoraggio, basato sulla gestione di un grande mumero di segnalazioni, dovranno essere ricavate mappe  che, in tempo reale, indicano - sulla base della densità delle segnalazioni - la presenza del pericolo di attacco alle greggi e il potenziale pericolo per le attività antropiche, gli animali d'affezione, lo svolgimento di attività all'aperto.

2) Protocollo di gestione dei lupi in contesti antropizzati. La moltiplicazione di casi di pericolose interazioni del lupo in contesti antropizzati (entrata nelle pertinenze di abitazioni e aziend eagricole), predazione di animali d'affezione nei pressi delle case, avvicinamento a brevi distanze alle persone (innumerevoli casi sotto i 30 metri), assenza di comportamenti di timore (ovvero di reazioni di fuga di fronte a rumori prodotti con lo scopo di allontanarli) pone alle regioni la responsabilità di adottare protocolli che vadano oltre le ridicole indicazioni di tagliare l'erba, non "pasturare" i lupi, blindare all'interno delle abitazioni gli animali domestici. La regione Toscana ha del resto contraddetto la narrazione lupista ufficiale invitando abitanti e turisti a osservare un condice di comportamento da tenere quando ci si avventura nelle zone infestate dai lupi: dotarsi di un pesante bastone, non procedere da soli, arrampicarsi sugli alberi e non scendere sino all'arrivo dei soccorsi, portare con sè una carica di scorta per il telefono, protegge i bambini creando un cerchio di adulti all'esterno. Che senso hanno queste misure se il lupo fosse realmente inoffensivo? E che senso ha lasciare entrare, anche nelle ore diurn, uno o più lupi senza intervenire quando, per andare in un bosco, si devono osservare tutte quelle precauzioni e andare armati di un pesante randello? Che la Regione Toscana, con migliaia di lupi sul suo territorio, sia la prima ad adottare un protocollo. Le altre vengano dietro.

3) Uniformare, semplificare le procedure di accertamento e rimborso danni. La strategia lupista punta a due obiettivi (sinora colti in pieno): 1) fornire cifre ridicolmente basse per la numerosità della specia, non segnalare dove sono i lupi (se non dopo 1-2 anni di tempo quando gli allevatori hanno subito le predazioni; 2) nascondere la maggior parte delle predazioni. Il secondo obiettivo si raggiunge con rimborsi macchinosi, in ritardo, molto parziali, affidando gli accertamenti a personale spesso non imparziale, spesso dalla parte del lupo, , spesso pronto a cogliere in castagna l'allevatore, subordinando il tutto ad analisi del Dna. Molti piccoli allevatori non  essendo in regola con qualche adempimento e temendo sanzioni, convinti che i rimborsi tanto non arriveranno, che sarà più il tempo perso che i soldi recuperati, non denunciano. Sotterrano i resti risparmiando gli oneri di smaltimento e subiscono in silenzio. Così i danni denunciati e censiti rappresentano la punta dell'iceberg. Così, quando le regioni prenderanno coraggio e chiederanno al Ministero l'autorizzazione ad applicare la deroga per danni economici si sentiranno dire che i danni non sono così gravi, che i lupi non sono così tanti, che l'opinione pubblica non è ancora matura per subire il "trauma" del controllo del lupo (una povera bestia - quella di Geo&Geo e dei cartoons, innocua e perseguitata sempre sull'orlo dell'estinzione). La giungla dei sistemi adottati dalle regioni, manovrate dalla lobby lupista per NON PAGARE I DANNI DEL LUPO E NASCONDERE LA LORO ENTITA' REALE  deve finire. Basta con le assicurazioni private e con i loro cavilli. Il lupo è patrimonio indisponibile dello stato e lo stato, le regioni che ne sono l'articolazione con competenza esclusiva, devono smetterla di prendere in giro gli allevatori e dimenticare che l'istituzione non può obbedire solo alle lobby più forti calpestando diritti fondamentali di gruppi socio-territoriali deboli.


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