Ruralpini
Beppe Caldera, nato a Torino nel 1944 è un appassionato della montagna a tutto tondo: socio del Cai dal 1964 e socio di Amamont, l'associazione transfrontaliera degli amici degli alpeggi e della montagna. È poi maestro assaggiatore ONAF e consigliere della delegazione di Torino della suddetta associazione.
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Titolo: Formaggi d'altura
Autore: Beppe Caldera
Editore: Vivalda
Anno di edizione:2012
Pagine: 255
Formato: 25 x17
Prezzo: 22€
di
Michele Corti
Se esistesse un "premio degli alpeggi" esso andrebbe
sicuramente attribuito a Beppe Caldera autore di "Formaggi d'altura".
Non conosco altri che abbiano dedicato così tante energie e tempo agli
alpeggi (l'opera è frutto di 10 anni di peregrinazioni). Il suo merito
è presentare la realtà dell'alpeggio in tutta la sua estensione
geografica: dalle Alpi marittime alle Giulie. Si badi bene che gli alpeggi
presentati sono molto più di una "selezione". In alcune aree essi
equivalgono a una discreta percentuale degli alpeggi attivi, in altre
un numero comunque rappresentativo (che dovrà comunque essere aumentato nelle
prossime edizioni).
Il punto di vista attraverso il quale Caldera presenta gli
alpeggi è quello della loro produzione casearia. Giusto. Perché l'alpeggio
nasce e si sviluppa, a partire dalla protostoria per arrivare all'epoca
contemporanea, adattandosi al contesto economico, giuridico e politico ma
mantenendo sempre la sua funzione: sfruttare le ampie distese dei pascoli
alpini, ove nessun altra forma di sfruttamento agricolo (e spesso anche
forestale) è possibile, con mandrie e greggi da latte composte da animali di
più famiglie, spesso di interi villaggi. Per produrre formaggi, un modo
intelligente e gustoso per conservare nel tempo grassi e proteine animali.
Gli alpeggi sono molto diversi tra loro per le forme di gestione
ma la produzione di latticini: formaggi, formaggelle, ricotta, burro
rappresenta un elemento costante.
Questo va sottolineato al giorno d'oggi perché l'alpeggio si è
spesso depotenziato ad una realtà ben diversa che si basa sul pascolamento di
bovini od ovini da carne. In altri casi si continua a produrre latte ma esso
viene trasportato altrove, in grossi caseifici di tipo industriale dove il
latte viene "tagliato" con quello di altri alpeggi o di aziende che
non praticano l'alpeggio. Valori dissipati perché ogni alpeggio potrebbe essere
il laboratorio artigianale di una produzione complessivamente modesta ma
variegatissima dove si producono decine di tipologie diverse ma, in definitiva,
centinaia di cru (per usare un paragone enologico) con la loro cifra
legata alla diversità dei pascoli, delle cantine, della microflora casearia
"selvaggia".
Far crescere una leva di
"alpeggionauti del gusto"
È inevitabile che per gli amanti dei formaggi artigianali, a
latte crudo, senza fermenti selezionati aggiunti, l'alpeggio rappresenti
un Eden. Ad essi si rivolge Casera, ma non ad essi soli. Sono convinto
che l'opera della Vivalda sarà da stimolo a molti appassionati che non
hanno ancora una cultura casearia evoluta ma che sono attenti e curiosi. La
frequentazione degli alpeggi è una formidabile "nave scuola" per
educare il gusto. Si incontrano formaggi assolutamente banali, altri penosamente
difettosi, altri promettenti, altri da estasi. Si impara a riconoscere il gusto
appiattito dei fermenti, l'occhiatura irregolare ma "giusta", la
soglia dell'amaro, i vari difetti di pasta, di crosta.
Non bisogna presumere di diventare subito maestri. Ci vogliono
anche un po' di letture e magari la partecipazione a degustazioni guidate e
corsi. Che forse, però, sarebbero noiosi senza la prospettiva di mettere
in pratica le nozioni acquisite andando "a caccia di formaggi". Con
tutto quello che comporta in termini di sorprese, paesaggi, profumi, sensazioni
che si provano nelle giornate estive trascorse in montagna.
Tutto ciò non è per nulla frivolo. La formazione di una leva di
alpeggionauti del gusto può aiutare moltissimo gli alpeggi. A migliorare, a
recuperare terreno, a tornare a produrre latte e latticini. Un po'
di revisionismo in materia igienico-sanitaria dovrebbe indurre a trovare
soluzioni di buon senso per recuperare con piccoli adattamenti i fabbricati
d'alpeggio alla loro funzione di casere. Ma è lo stimolo del mercato e la
competenza dei consumatori, in grado di riconoscere i prodotti di pregio e
originali, che possono recuperare alla produzione casearia gli alpeggi perduti.
Dal recupero degli alpeggi alla loro funzione casearia possono
discendere una serie di conseguenze positive sulla cura dell'ambiente, sulla
fruizione della montagna. Non sono pochi i giovani e i meno giovani che
guardano all'alpeggio come luogo di esperienze ricche di umanità, contatto con
la natura, gli animali le tradizioni. L'alpeggio ha anche questa funzione,
educativa, sociale che è strettamente legata alla sua vitalità economica e
produttiva. Margari/malgari/malghesi orgogliosi dei loro formaggi, pronti a
confrontarsi, a scambiare esperienze sono anche ben disposti ad accogliere il
turista di una giornata ma anche il ragazzo che vuole trascorrere settimane o
tutta la stagione per imparare a caseificare, a governare gli animali.
Un turismo che crea ponti tra generazioni
e culture diverse
Attraverso l'opera di Caldera per molti si aprirà un mondo nuovo
e affascinante. I più si limiteranno a una forma di turismo, sia pure
sostenibile e con impatti positivi sulla realtà economica e socioculturale
locale. Per altri si aprirà la prospettiva di stabilire con gli alpeggi rapporti
meno fugaci sino a stabilire amicizie che possono diventare anche aiuto e
collaborazione (non sono più esperienze isolate quelle di individui
e le famiglie che passano una vacanza in alpeggio aiutando gli amici che lo
gestiscono). nello scambio tra generazioni, tra culture cittadine e montanare
c'è molto da imparare.
Non credo di esagerare quando penso a tutto ciò partendo dal
libro di Caldera.
Ho subito constatato il giorno dopo aver ritirato alcune copie
del volume a Torino quale può essere l'impatto del libro. In un alpeggio della
provincia di Cuneo le poche copie che avevo ho dovuto lasciarle. Un
alpeggiatore ha visto la scheda del "suo" alpeggio che gli era stato
sottratto con i meccanismi delle aste, l'altro non trovava la sua scheda e
voleva vedere perché i colleghi erano riusciti a comparire nel libro. Il
giovane aspirante margaro voleva studiare avidamente gli alpeggi presentati, i
formaggi descritti per un evidente bisogno di sua crescita e formazione
professionale e culturale. Abbiamo pensato al libro come strumento per
avvicinare, in modo rispettoso ma pieno di attese e curiosità, i cittadini al
mondo dell'alpeggio ma i primi "consumatori" del volume sono gli
alpeggiatori. Da questo punto di vista credo che la presenza del volume alle
varie Fiere autunnali e Feste dell'alpeggio e dei margari sia importante.
Con la collaborazione dei protagonisti (attentissimi a
puntualizzare, integrare, aggiornare) il libro potrà crescere e diventare
uno strumento ancora più importante per turisti, amanti del formaggio,
professionisti del cibo, alpeggiatori. Magari attraverso edizioni successive in
grado di tenere aggiornata una realtà che è diventata un po' fluida negli
ultimi anni e che fa si che - ma era inevitabile - alcune informazioni
riportate siano purtroppo superate. Il che fa pensare anche ad una integrazione
tra quello che potrebbe divenire un "Annuario degli alpeggi" e alcuni
strumenti online. Sarà il pubblico a fornire le indicazioni su quali di questi
possibili e ipotizzabili sviluppi andranno implementati.
Di certo si è gettato un sasso dello stagno con un'opera
originale e coraggiosa (la veste grafica è più che degna e sottolinea l'impegno
non comune dell'editore Giorgio Vivalda). Essa copre un vuoto quasi
completo (se si eccettuano opere su aree limitate) con una formula pratica e
stimolante ma dal denso contenuto informativo.
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