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Serafino Vaninetti è nato nel 1934  a Sacco, paese della Valgerola (bassa Valtellina). Cresciuto in una famiglia contadina , dopo aver vissuto anche le prime esperienze lavorative nei campi e nei boschi decide che quel mondo gli andava stretto e va a Sondrio a fare l'attivista a tempo pieno del PCI. Il suo - tiene a precisare - non è stato come per molti un abbandono o, peggio, un ripudio ma solo un allontanamento. Dopo l'esperienza politica lavora in una casa discografica di Bellano (Lc) dove si impadronisce di quelle tecniche che gli consentiranno di esercitare in proprio a Lugano l'attività di produzione. Lugano rappresentava negli anni '60 e successivi un terreno propizio per la musica popolare, specie nei dialetti lombardi. La produzione di Vaninetti era condizionata dal mercato, incentrata sul filone "nazional-popolare" e "regional-popolare" ma non mancava la vena folk e di autentica cultura popolare. Promosse anche la nascita di gruppi musicali folk.

Dopo trent'anni di attività a Lugano, maturata la pensione, il nostro è tornato al paese d'origine con la ferna intenzione di dedicarsi a tempo pieno alla valorizzazione della cultura popolare, delle cultura contadina. Il fulcro della sua attività diventa un vecchio mulino (di fondazione ottocentesca) nella contrada Dosso. Lo acquista e, nel 1998 lo restaura. Appassionato e instancabile raccoglitore di testimonianze materiali e immateriali della propria terra il Serafino raccoglie dentro e intorno il "suo" mulino (ribattezzato Vanseraf) una notevole collezione di macine ma anche di tanti altri attrezzi e utensili della "civiltà contadina". Lo fa con uno spirito "ruralpino " ovvero non del ripegamento struggente e nostalgico ma con l'intima convinzione che gli insegnamenti della ruralità alpina, le sue abilità materiali, i suoi sistemi di conoscenze, "torneranno buoni", posseggono una profonda attualità. Il suo è uno spirito attivo, da pioniere. Sulla scorta della sua cultura popolare, naif fin che si vuole, ma autosufficiente rispetto alla dimensione "scientifica" e "accademica" spesso spocchiosa e sterile, ha intuito prima che divenisse una moda chic che le antiche varietà di piante e alberi da frutto rappresentano una risorsa preziosa, tosi come tutte le conoscenze sul mondo animale, vegetale, minerale della cultura contadina. Cori intorno al Mulino si sviluppa il progetto del "mais da polenta rosso", e/ castagneto-museo all'aperto, del noceto. L'instancabile Vaninetti alterna queste attività pratiche alla stesura di libri e alla soglia delle ottanta primavere non esita a "mettere ancora carne al fuoco". Deluso dall'incomprensione di paesani e amministratori locali fa tutto da solo. Ora, però, con l'ecomuseo della Valgerola la sua attività ha la possibilità di inserirsi in una dimensione più corale. E alla soglia delle ottanta primavere, oltre a occuparsi di mais e castagne e noci sogna anche la ripresa della coltura della canapa. Ce ne vorrebbero di Vanseraf.

 

Titolo: I legni nella civiltà contadina in Valtellina

Autore: Serafino Vaninettii

Editore: Museo Vanseraf, Mulino del Dosso di Vaninetti Serafino, Morbegno

Anno di edizione: n.i. [2011]

Pagine: 130

Formato: 24 x17

Prezzo: n.i.

 

Serafino Vaninetti è autore/editore di parecchie pubblicazioni. Sono strettamente legate alla sua attività di divulgatore attivo della cultura contadina. Un oggetto di un interesse che non si limita all'archiviazione, alla raccolta di testimonianze materiali e immateriali, ma che è mosso principalmente dalla volontà di riportare in vita quanto di questa civiltà sta dimostrando di essere utile per il futuro, in grado di sopravvivere all'era dell'industria e di proiettarsi nella "postmodernità". Sarebbe sbagliato valutare le opere di Vaninetti - che pure sono ricche di dati etnografici importanti - alla stregua di lavori etnografici "scientifici". Vaninetti è di quelle personalità torrentizie che faticano ad adeguarsi alle lentezze, agli scrupoli, ai formalismi accademici, ma che non si arrestano neppure di fronte all'incomprensione dei suoi compaesani e degli amministratori locali. Per questi ultimi uno che si occupa di sementi antiche e di memorie contadine dev'essere un po' matto (non sanno che l'attività di seed savers è considerata molto di moda e fa pure chic). Piuttosto che restare fermo, bloccato dalle incomprensioni altrui Serafino è uno che fa tutto da solo. Così i libri se li scrive e se li impagnina da solo. Ovvio che una certa qualità formale ed editoriale ne soffre (il lettore sente la mancanza di un opera di revisione) ma tra dei prodotti non rifiniti e dei prodotti mai venuti alla luce co'è meglio? Fortemente contestualizzate nell'ambito locale le opere di Vaninetti richiederebbero poi un minimo di apparato di note esplicative per essere fruite fuori della realtà Valtellinese. Un aspetto che è al tempo stesso un limite ma anche una espressione di spontaneità.

Vaninetti oltre a raccogliere storie e leggende locali ha scritto di polenta, castagne, noci (piante e frutti), canapa e, in ultimo, ha pubblicato "I legni della civiltà contadina in Valtellina".¶Spunto o pretesto "l'anno internazionale delle foreste". Ma il punto di vista di Vaninetti è quanto di più lontano dai convenzionali discorsi su questo tema.

 

La "civiltà del legno"

 

Il nostro autore riporta l'accento sull'utilità del bosco e degli alberi quali basi materiali della "civiltà del legno". Una civiltà che ha avuto il suo cantore in Giuseppe Šebesta, etnografo (ma non solo), personaggio eclettico (pure lui) e anticonformista che ha lasciato il segno nell'antropologia museale italiana (circostanza eccezionale considerata l'autoreferenzialità spinta della cultura accademica). "Civiltà del legno" che è durata sino agli anni '70 del secolo scorso quando tutta la civiltà rurale è (apparentemente) scomparsa. Dico apparentemente perché incontro dei giovani che manifestano il loro entusiasmo non solo per gli aspetti produttivi delle attività contadine (nel senso di svolte ancora con ampio ricorso alla manualità intelligente), ma anche per quelli simbolici e palesemente culturali. Che si producono da sé parecchi piccoli "legni del mestiere" (specie in ambito pastorale), che conoscono a menadito gli usi di tutti i "legni", quando raccoglierli, come stagionarli, come manipolarli. Non bisogna essere antropologi professionali per intuire che queste conoscenze sono ostentate come un blasone, sono esibite come una (ri)conquista. Civiltà non morta, quindi. Messa in ombra. Vaninetti parla sì al passato ma anche al presente e persino al futuro (come quando si entusiasma per l'uso della canapa per la bioedilizia). Non parla delle cose del passato come di una maledizione fortunatamente archiviata. Semmai la maledizione sono certi frutti della modernità irrorati di veleni.

 

La saga dei bureléer e altre storie

 

La pubblicazione è composta da vari materiali riconessi però da un forte filo conduttore: Quali legni (da quali piante, ma anche da quali parte delle piante, di che età ecc.)? Usati da chi (e qui c'è la distinzione tra le figure professionali specializzate e il contadino-artigiano polivalente)? Per realizzare cosa e come ? 

Una parte riguarda gli attrezzi e gli utensili (cosa veniva prodotto con i legni), una le piante e le parti di piante che fornivano questi legni, un'altra ancora i "mestieri del legno". Ho trovato molto interessante la parte sui bureléer (boscaioli) e in subordine anche quella sui carbonai. È una testimonianza dal vivo in quanto, prima di abbandonare la realtà contadina, il ragazzo Vaninetti ha lavorato anche come peléch, ovvero scortecciatone nelle squadre dei boscaioli). Si parla di tecniche, si fornisce un lessico dettagliato, si citano nomi. Ne viene fuori l'epopea di boscaioli valtellinesi dell'immediato dopoguerra che, prima di operare anche in proprio in Svizzera e Francia, hanno disboscato con mezzi primitivi intere foreste "vergini" nelle vallate più remote dove non erano mai risuonate le "voci" dei capisquadra e la ritmica percussione del segür (la scure) per non parlare dei morsi nel legno del segun (la grossa sega azionata da due boscaioli per sezionare i tronchi). Molto precisa (anche grazie all'iconografia) la descrizione del funzionamento delle teleferiche. Confrontate la descrizione di una teleferica di un etnografo con quella di Vaninetti e poi sappiatemi dire. Esse erano veri miracoli di ingegneria contadina che con un motore e dei cavi di acciaio, pochi elementi in ferro forgati da artigiani locali e tanta carpenteria e ingegno riuscivano a trasportare migliaia di metri cubi di legname a chilometri e chilometri di distanza. Non c'erano elicotteri e norme di sicurezza ma tanta destrezza, capacità organizzativa, intraprendenza. Incredibile cosa sapevano fare da soli, senza progettisti, senza stuoli di professionisti, questi montanari.

Anche la parte sull'uso dei legni è comunque ricca di informazioni calate sulla realtà locale o comunque valtellinese frutto di auto-testimonianza o di informazioni raccolte da testimoni molto prossimi all'autore. La lettura offre la riprova dell'approfondita conoscenza del legno, materia così importante per la sua facile reperibilità, lavorabilità e plasticità. È interessante scoprire come un singolo attrezzo come un rastrello (manico in nocciolo, pettine in frassino, denti in robinia) o una gerla sono realizzati a partire da legni di 3-4 essenze diverse, come i polloni di un anno piuttosto che le pertiche della stessa essenza destinati ad usi completamente diversi, come di ogni pianta e del legno di ogni pianta si sapessero sfruttare le proprietà salienti: flessibilità, indeformabilità, compattezza, resistenza al contatto con l'acqua ecc. ecc. Autoroducendosi mobili, attrezzi da cucina e da caseificio, strumenti per i trasporti i contadini erano in grado di ottimizzare, anche attraverso l'imperfezione e l'irregolarità, le caratteristiche ergonomiche degli stessi. "Rastrellare con quei rastrelli che si comprano oggi, con i denti diritti è molto più faticoso".

La "cultura dei legni" è parte importante della cultura contadina ed assume forte significato educativo in un contesto sociale in cui prevale la visione estetica della natura o la mitologia della wilderness che allontanano sempre di più la gente (persino quella che vive in montagna) da un rapporto fecondo con il proprio territorio.

La trasmissione orale, così efficace in passato nel contesto dei rapporti intergenerazionali oggi non può non essere integrata da altri sussidi. Questo di Vaninetti, così vicino alla cultura orale, assolve a questo ruolo prezioso di trait-d'union.

 

pagine visitate dal 21.11.08

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