Ruralpini
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Pierre Rabhi è neato nel 1938 nel sud dell'Algeria. Orfano di madre venne adottato da una coppia francese ricevendo un doppio "imprinting" culturale e religioso. Una volta adolescente si è convertito al cattolicesimo, un fatto che gli valse il ripudio del padre naturale. Allo scoppio della guerra d'Algeria il padre adottivo lo mise alla porta e Pierre
ventenne emigrò a Parigi. L'esperienza di operaio gli servì a rendersi conto che la città e la fabbrica non erano fatte per lui. Con la moglie francese si trasferì nelle Cévenne, una regione aspra e sassosa nel Sud-est del Massiccio centrale. Privo di conoscenze agricole Pierre desideroso di fare il contadino dovette fare la gavetta come operaio agricolo per poi iniziare nel 1963 un allevamento di capre che solo quindici anni dopo gli consentirà di dare di che vivere a lui e alla famiglia. Rabhi è stato
sin dall'inizio un fautore e pioniere dell'agricoltura biodinamica e ha aiutato altri "neo-rurali" di matrice sessantottina ad insediarsi in montagna, ad allevare capre e a produrre in modo biologico. Queste esperienze hanno consentito a Pierre, che non dispone di titoli di studio formali in materia agronomica, di intraprendere nel 1978 la carriera di divulgatore agricolo professionale e quindi - per un ventennio - di svolgere attività di consulenza in paesi "in via di sviluppo" (principlamnete
in Africa) per varie organizzazioni internazionali. L'attività di Pierre si è rivolta principalmente alla lotta alla desertificazione. L'attività di scrittore di Rabhi è inziata negli anni '80 e si è intensificata con la cessazione dell'impegno nei programmi di cooperazione e sviluppo. Alla attività di scrittore e conferenziere Rabhi ha affiancato alla fine dehgli anni '90 quella di promotore di movimenti ecocontadini. A partire dal
movimento Oasis en tous lieux e più recentemente nel 2002 ha partecipato alla campagna per le pre-presidenziali e fondato il Mouvement Appel Pour une Insurrection des Consciences. Quindi nel 2007 Terre et humanisme ora Colibris. È redattore della rivista Decroissance e animatore di centri didattici ed educativi.
www.colibris-lemouvement.org
Un giorno, narra la leggenda, si sviluppo un enorme incendio della foresta. Tutti gli animali spaventati, sbalorditi, assistevano impotenti al disastro. Solo il piccolo colibrì si diede da fare, trasportando poche gocce con il becco e gettandole sul fuoco... Dopo
un attimo, l'Armadillo, infastidito da questa agitazione ridicola, gli disse: "Sei pazzo? Non è con queste gocce d'acqua che si può spegnere l'incendio!" E il colibrì rispose: "Lo so, ma faccio la mia parte."
Bibliografia di Pierre Rabhi
Du Sahara aux Cévennes ou la reconquête du songe (autobiografia), Éditions de
Candide, Lavilledieu, 1983, rééd. Albin Michel, Paris, 1995, ripubblicato con
il titolo Du Sahara aux Cévennes : itinéraire d'un homme au service de
la Terre-Mère, Albin Michel, Paris, 2002.
Le Gardien du Feu (romanzo), Éditions de Candide, Lavilledieu, 1986,
Éditions Albin Michel, Paris, 2003.
L'Offrande au crépuscule (Premio delle scienze sociali
agricole del Ministero dell’agricoltura), Éditions de Candide, Lavilledieu,
1989, ripubblicato dall’editore L'Harmattan 2001.
Le Recours à la terre (antologia di articoli), Éditions
Terre du Ciel, Lyon, 1995, nuova edizione ampliata. 1999.
Parole de Terre : une iniciation africaine, Éditions Albin Michel, Paris, 1996
(prefazione diYehudi Menuhin).
As in the Heart, So in the
Earth (traduzione di Joseph Rowe di Parole de Terre), Park Street Press,
Rochester, Vermont, 2007.
Manifeste pour des Oasis en tous lieux, opera collettiva sotto la
direzione di Pierre Rabhi, 1997.
Le Chant de la Terre, intervista di Jean-Pierre e Rachel Cartier, Editions
La Table Ronde, Paris, 2002.
Graines de possibles, regards croisés sur l'écologie con Nicolas Hulot, Ed Calmann-Lévy, Paris,
2005.
Conscience et environnement, Éditions du Relié, Gordes, 2006.
La part du colibri, l'espèce humaine face à son
devenir, Éditions
de l'aube, 2006 (testimonianze al festival del libro di Mouans-Sartoux en
2005).
Terre-Mère, Homicide volontaire ? Entretiens avec
Jacques Olivier Durand, Le Navire en pleine ville, 2007.
Manifeste pour la Terre et l'Humanisme, Pour une
insurrection des consciences, Actes Sud, Arles, 2008.
La sobrietè heureuse, Actes Sud, Arles, 2010.
Manifesto per la terra e l’uomo, (Traduzione
di Alessandra Maestrini di Manifeste pour la Terre et l'Humanisme, add, Torino, 2011.
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Titolo: Manifesto per la terra e per l'uomo (ed. or. Manifeste pour la Terre e l'Humanisme, Actes Sud, Arles, 2008)
Autore: Pierre Rabhi
Editore: add, Torino
Anno di edizione: 2011 (ottobre)
Pagine: 170
Formato: 19 x12,5
Prezzo: 15,00 €
"La terra nutrice è
oggi l'elemento più disprezzato e ignorato dalla grande maggioranza
della comunità scientifica, degli intellettuali, dei politici, degli
artisti, dei religiosi e del popolo in generale. Eppure la terra nutrice
è il principio primo senza il quale nient'altro può accadere" Pierre Rabhi.
La pubblicazione in Italia della penultima opera di Pierre Rabhi, uscita in Francia nel 2008 e seguita poi da La Sobrietè heureuse del 2010, è indice di una inedita (per l'Italia) attenzione ai movimenti intorno alla terra. Attenzione partita dall'interesse per un astratto "ambiente", spesso mitizzato e astratto, poi per il cibo (sano, genuino,
slow, contadino cc. ecc.) e ora - come è naturale - spintosi alla radice concreta di queste tendenze ancora ambigue: la terra, la produzione agricola, la dimensione rurale storicamente concreta (non quella idillica della neoruralità borghese). Mentre in Francia la terra e i movimenti contadini hanno trovato da tempo una loro riattualizzazione nel dibattito pubblico in Italia l'argomento è ancora spesso equivocato come nostalgismo o snobismo. È stato Carlin Petrini che ha avuto il merito di sdoganare questi temi
presso un largo pubblico e ora se ne colgono i frutti. Il Manifesto per la terra e per l'uomo, ed è significativo, non è pubblicato da Slow Food o dagli editori della galassia "biologico-contadina-ecologista" ma da un editore generalista che in una collana di autori "collaudati" ha avuto il coraggio di inserire un titolo di un autore ecocontadino in Italia pressoché sconosciuto.
Un critico radicale ma lontano da truci catastrofismi e da atteggiamenti "talebani"
Tra le voci critiche che negli ultimi anni si levano sempre più frequentemente a condannare l'agricoltura "moderna" o "industriale" qualla di Pierre Rabhi appare una delle più incisive. In forza di una straordinaria esperienza personale (vedi scheda a fianco) l'autore franco-algerino è in va al cuore dei problemi, facendo
presente che la distruttività del sistema agroalimentare mondiale rischia di portare l'umanità in una situazione gravissima. L'incisività dell'esposizione di Rabhi è legata anche all'efficacia e alla bellezza del linguaggio dove una vena poetica è unita alla credibilità e alla profondità di argomentazioni sorrette - oltre dalla già richiamata ricca esperienza umana, professionale, politica dalla cultura di un intellettuale francese dalle molte letture.
I giudizi di Rabhi sono netti, tanto netti che se fossero frutto di una personalità di minore spessore (e da una penna meno ispirata) risulterebbero vane esternazioni. Lungi dall'aver mai sconfitto la fame e la malnutrizione il sistema agroindustriale prepara prospettive inquietanti per il futuro. Eppure la terra sarebbe una madre
generosa in grado di nutrire tutti (a patto di essere rispettata). Le minacce sono concrete: erosione e salinizzazione dei terreni agricoli, estensione delle superfici coltivate a agro/necrocarburanti, moria delle api, perdita di biodiversità, cieche manipolazioni genetiche, eliminazione dei contadini, cambiamenti climatici, eccessivo consumo di proteine animali, alterazione dei metabolismi del terreno.
Il rimedio: riavvicinare produzione e consumo, ritornare a una agricoltura contadina
Rabhi non esita a sostenere che l'agricoltura moderna è - apparentemente - altamente produttiva ma sulla base di una logica distruttiva di risorse umane e naturali che preclude a crisi ecologiche e alimentari gravissime. Il sistema che l'occidente ha diffuso nel resto del mondo imponendo le monocolture per l'esportazione, i concimi
chimici, i pesticidi, gli Ogni è un sistema fragile e assolutamente dispendioso in termini energetici ed ecologici. Alla base di un sistema insensato vi è la banalizzazione di ciò che è più importante per la vita: il cibo, oggetto di massificazione e industrializzazione per poter ampliare il consumo del superfluo e innescare un ciclo economico distruttivo di risorse e scarsamente produttivo in termini di felicità umana. Nella sua radicale critica Rabhi non si limita a quello che è il bersaglio di molti:
le società transnazionali, ma coinvolge la scienza agronomica con i suoi paradigmi che hanno non solo incoraggiato ma imposto deleterie trasformazioni dei sistemi colturali tradizionali.
II ritorno a un nesso stretto tra produzione e consumo (autosufficienza tendenziale con limitato scambio di eccedenze reciproche) e la pratica dell' "agroecologia" (che in italiano si potrebbe tradurre in "agricoltura naturale" per evitare ambiguità) sono gli antidoti che Rabhi - ma ormai sono, siamo, in tanti a proclamarlo indica
come necessari da adottare per evitare un triste futuro." Queste nuove pratiche - all'insegna di una sobrietà gioiosa, basata sul recupero dei valori del cibo, della condivisione, della convivialità - hanno sicuramente un effetto destabilizzante sul sistema agroalimentare mondiale che rappresenta una fondamentale componente dell'economia globale. Rabhi, però, si rende conto che - per quanto efficace e indispensabile - una rivoluzione agricola non può imporsi da sé senza essere accompagnata da
un cambiamento nella sfera sociale complessiva. Da questo punto di vista Rabhi si muove sul terreno di una utopia neoumanista che presenta dei risvolti realistici ma che è ancora lontana dall'essere delineata con l'incisività con la quale Rabhi ci parla dell'agricoltura industriale e di quella contadina-"agroecologica". L'utopia dell'autore fa appello ad una "insurrezione delle coscienze" e all'educazione.
Un'oasi da conservare
Preso atto della gravità della crisi ecologica (e non solo) Rabhi, richiamandosi alla metafora (che gli è cara dall'infanzia sahariana) dell'oasi ci mette davanti una visione della Terra quale minuscola oasi di vita in un deserto cosmico (così come la sfera azzurrognola appare agli astronauti in orbita). La nostra è un'oasi minacciata dall'interno, dall'affermazione di una
logica umana che rigetta i limiti dei sistemi viventi di cui l'umanità (quantomeno quella "occidentale" oggi imitata anche dal resto del pianeta) si dimentica di essere parte. La minaccia è in quel "sempre di più", nell'ideologia del tempo-denaro che la modernità ha imposto come imperativi categorici, nella volontà demiurgica del superamento dei limiti e dell'accumulazione senza limiti. Un superamento che avviene sul piano materiale in un contesto di risorse limitate che le logiche della finanziarizzazione
e della la globalizzazione con il supporto delle tecnologie dell'informazione spingono fuori controllo. Da questa corsa folle Rabhi non trae conclusioni nichilistiche, biocentriche e antiumanistiche pur essendo consapevole che la scomparsa della specie umana non avrebbe ripercussioni sulla vita sulla Terra (per non parlare dell'universo...).
Visione spirituale e ruolo dell'educazione
Il poeta-contadino confida nel valore che la bellezza, la "sinfonia della terra" sanno esercitare sull'uomo, solo che quest'ultimo si liberi dalla condizione artificiale in cui si è autoimprigionato. Confida che - consapevole del vicolo cieco in cui conduce il materialismo - l'uomo sia in grado di tornare all'incanto e allo stupore dell'uomo pre-moderno, di abbracciare
una visione di elevazione spirituale che prenda il posto dell'utopia negativa di una forzatura dei limiti naturali tutta giocata entro la dimensione materiale. Un aspetto chiave in questa visione è assegnato da Rabhi al recupero della sacralità della terra madre e all'educazione delle giovani generazioni. Basata sul ritorno alla valorizzazione delle abilità manuali e dei valori di collaborazione e responsabilità reciproca in luogo di una competitività unilaterale. Da una simile educazione (e da pratiche
sociali concrete) ci si può attendere una rivitalizzaizone di valori e relazioni improntate a mutualismo, complementarietà, reciprocità, condivisione (anche dei beni di consumo durevoli), sana emulazione. I valori spazzati via dalle ideologie individualistiche e del mercato.
Rabhi non è arruolabile nel fronte universalista ma ci aiuta a capire la differenza tra diversità culturale e autonomia e "tribalismo"
Un risvolto che può prestarsi ad interpretazioni distorte del pensioro di Rabhi è il suo appello al superamento delle divisioni ideologiche, religiose, politiche, culturali. Letto superficialmente può apparire una nuova versione dell'universalismo illumista che l'occidente ha cercato e cerca di imporre al mondo, un buonismo peloso. Ma non è così anche se è lo stesso Rabhi che
(in altra sede rispetto al libro in discorso) ha parlato di "mondialismo dal volto umano". Mondialismo evoca appiattimento di diversità ed è proprio quello che Rabhi non desidera. Quando esorcizza la divisione in stati nazionali quale artificiale e il "tribalismo" (aggressivo, esclusivo) l'autore franco-algerino (che ha vissuto personalmente e dolorosamente queste manifestazioni) non intende negare il valore delle differenze culturali, anzi, è proprio per difenderle che condanna nazionalismo
e tribalismo. Per Rabhi le differenze culturali sono un elemento positivo, strettamente intrecciato alla bioversità.
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