Ieri, a Pinzolo, nella trentina val Rendena, la tradizionale Festa delle Giovenche
di razza rendena è saltata. Decisione unanime degli allevatori che, a giugno, all'assemblea
dell'associazione di razza, avevano deciso di mandare un segnale forte alla politica e agli amministratori
locali. Il messaggio è chiaro: la mafia dei pascoli, che in valle è gestita da elementi locali, sta
mettendo a rischio la sopravvivanza degli allevatori e delle stesse malghe. Una denuncia che ha trovato
tragico riscontro: il 21 agosto, sopra il lago Nambino, un gregge di pecore da latte, appena acquistate a Perugia
da chi affitta malghe senza avere animali per caricarle, (poveri animali "usa e getta")
, mandato allo sbaraglio è stato pesantemente attaccato dai lupi. Il 19, al posto della Festa, ci sarà
un convegno per far scoppiare il bubbone.
Loro, gli allevatori della val Rendena (Trentino occidentale), non hanno niente da festeggiare.
Le malghe, per via dell'ignavia, ignoranza, avidità degli amministratori dei comuni e delle Asuc
(amministrazioni separate beni civici frazionali) sono ormai accaparrate dalla mafia dei pascoli.
Pochi soggetti, verosimilmente in combutta tra loro e con il giro nazionale della mafia dei pascoli, che hanno
fatto lievitare le basi d'asta a livelli sino a dieci volte quelli di pochi anni fa, escludendo
i piccoli allevatori. 40-50 aziende, che tengono in piedi la zootecnia e l'agricoltura della
valle, si trovano senza malga e senza relativi contributi (integrazione al reeddito ormai indispensabile
considerato quanto si guadagna dal latte). Cosigrave devono restare a casa, con costi
altissimi, o accettare, con patti iniqui, di portare i loro capi sulle malghe prese in affitto dalla mafia
dei pascoli (ovviamente senza prendere i contributi e consentendo agli speculatori
di poter dimostrare di avere il carico in caso di controlli). Spesso, perograve, in malga, agli speculatori conviene
caricare il minimo previsto dalle norme europee, utilizzando animali raccogliticci (nemmeno da carne, solo da contributo",
che stiano in piedi, respirino e camminino il minimo indispensabile). In Trentino è passata alla storia (vedi qui)
la vicenda di vitelli da ingrasso acquistati in Polonia calati con gli elicotteri in malghe sperdute e lasciati
a sé stessi (con decine e decine di decessi).
In val Rendena, denuncano gli allevatori, oggi, un singolo soggetto, tramite prestanome, avrebbe accumulato 18 malghe.
La politica locale è cieca o è collusa? E la Provincia di Trento non interviene?
E' in gioco il futuro delle valli. Alla lunga, senza allevatori, senza una gestione delle
malghe finalizzata alla produzione e non al contributo, il turismo muore. Il paesaggio si degrada,
i sentieri si chiudono, i lupi proliferano, i formaggi tipici scompaiono. Se tutto questo muore
le feste diventano folklore deleterio, una comparsata.
La decisione di non organizzare la Festa del 4 settembre vuole ricordare tutto questo: agli amministratori pubbici,
agli albergatori, alle società degli impianti.
A Madonna di Campiglio, però, è successo qualcos'altro a
. Qui un allevatore che
si è messo sulle orme degli speculatori (in Trentino c'è un filone storico riconducibile a ben
conosciute famiglie) ha caricato una malga con pecore provenienti
da Perugia (sarde e comisane), ovini non ambientati
a sufficienza per poterli far salire a duemila metri, diversi con zoppie e altre patologie.
Il risultato è stato che, mandate
allo sbaraglio, le povere pecore sono state vittima dei lupi. In un singolo attacco, all'alba del 21 agosto
ne sono morte 33. 17 sono state portate a valle con l'elicottero, le altre, sotterrate sul posto (difficile farlo a 2000 m),
rischiano di fornire una dispensa per i lupi. Il tutto è avvenuto
nel periodo di ferragosto in zone frequentatissime (sopra il lago Nambino) in uno dei comuni più turistici delle Alpi.
Il pastore cui era stato affidato il gregge (con la responsabilità sanitaria dello stesso)
si era anche rifiutato di portarle sui pascoli alti, sia per assenza di protezioni adeguate, che per le
condizioni degli animali. Esonerato il pastore con un messaggio Whatsapp, il titolare ha proceduto ugualmente a portare in alto il gregge.
Alla base di quello che succede in val Rendena, ma un po' in tutta Italia, vi sono dei meccanismi che, applicati ai pascoli
alpini (e appenninici) hanno prodotto guasti profondi, scatenando appetiti speculativi da parte di soggetti a dir poco spregiudicati.
La Pac (politica agricola europea), con successive riforme", ha "disaccoppiato"i titoli che danno diritto, suppa base della conduzione di
determinate superfici agricole, di incassare i premi. Così dal pomodoro il titolo, attraverso un meccanismo di compravendita, può essere
appoggiato" su un pascolo. I pascoli, con l'impegno a far pascolare gli animali per solo 60 giorni all'anno e di mantenervi la miseria di 0,2
Uba (unità bovino adulto) per ettaro (10 mila mq) sono diventati redditizi. Troppo redditizio. Tanto da invogliare la speculazione a portarli via agli allevatori ai pastori.
Restati senza superfici su cui appoggiare i titoli, gli allevatori devonono cederli. Una buona fetta di responsabilità di tutto ciò è della mentalità ambientalista da salotto per la quale mendo si disturba" la Natura, meglio è. Così, in pascoli
dove potevano pascolare 20 vacche da latte per 90 giorni basta, agli effetti del contributo, lasciare 4 asinelli per 60 giorni. Dove il conduttore dei pascoli ricava
il reddito dal latte e dai formaggi o dalla carne, è suo interesse fa pascolare bene le superfici alla mandria, al gregge, spostando fili elettrici, assicurando la
custodia di pastori capaci. Dove il reddito da contributo diventa prevalente, lo speculatore mira a minimizzare le spese: carica il minimo di animali affidandoli alla
sorveglianza saltuaria di pastori, di solito stranieri, che si accontentano di magre paghe.
Gli animali, lasciati a sé stessi, restano vicini ai punti di abbeverata,
accumulano deiezioni, rovinano il pascoli, qui per eccesso di fertilizzazione, altrove per assenza di brucamento cui segue la diffusione di cespugli e la perdita del pascolo.
Avendo a disposizione titoli che danno diritto a premi elevati (il pareggiamento del valore dei titoli non si è ancora completato) ma, soprattutto, avendo
cumulato moltissimi ettari e sostenendo spese bassissime (con l'acquisto di animali "a perdere", prendendo in custodia animali di allevatori rimasti senza pascoli, favendo pascolare animali altrui)
, la speculazione può offrire per gli affitti dei pascoli cifre alle quali l'allevatore locale andrebbe in rosso. Dove un pascolo era affittato a 5 mila euro si è arrivati a 50 mila.
Ben organizzati, con "basisti" collocati in enti e organizzazioni, gli speculatori si avventano come avvoltoi dove l'alpeggio va all'asta. Sparano cifre
assurde e vincono l'asta. Le spese principali per loro sono quelle di avvocati e commercialisti. Gli servono per muoversi sul filo della legalità e come deterrente
per i comuni che si lasciano indimidire dai ricorsi al Tar e dalle denunce alla Corte dei conti.
La speculazione è facilitata anche da diversi aspetti
normativi che varrebbe la rivedere. Ci riferiamo ai meccanismi delle aste pubbliche e alle srl (società a responsabilità limitata). Con le norme in vigore
una srl agricola ha il solo requisito di inserire un imprenditore agricolo tra gli amministratori. In questo modo, con un capitale versato di 5000 euro e un imprenditore agricol
prestanome chiunque può mettere in piedi una società agricola, acquistare titoli pac, intestarsi codici di stalla e ... lanciarsi nella speculazione.
Il meccanismo delle aste pubbliche al rialzo è l'alibi dietro il quale si trincerano i comuni che stanno al gioco della speculazione con l'obiettivo di intascare loro buona parte del contributo.
Indifferenti al fatto che gli speculatori hanno comunque interesse a pagare affitti elevatisimi, i veri allevatori no, perché poi non ci starebbero con le spese.
Molti comuni hanno inserito, con successo, dei bandi d'asta delle clausole che prevedono che l'offerta ecoomica rappresenti solo un elemento per l'aggiudicazione. Per tenere lontana la speculazione sarebbe sufficiente in molto casi far rispettare i capitolati d'affitto. Il fatto è che i comuni
chiudono gli occhi e, pur di intascare, non fanno rispettare ciò che prevedono i capitolati. Essi, di solito, prevedono periodi di pascolo e carichi nettamente superiori a quelli
sufficienti per intascare i premi Pac.
L'amministratore che non li fa rispettare e che deteriora il patrimonio del comune si espone a responsabilità gravi (ma di queste non si parla).
In Trentino, in particolare in val Rendena, molte malghe sono gestite dalle Asuc (amministrazioni separate usi civici). Si tratta di quei beni collettivi, riconosciuti di carattere
privato, in capo ai residenti di una determinata frazione di comune. La provincia di Trento, con la riforma degli usi civici del 2005: "tutela e valorizza i beni di uso civico e le proprietà collettive quali elementi fondamentali
per la vita e per lo sviluppo delle popolazioni locali e quali strumenti primari per la salvaguardia ambientale e culturale del patrimonio e del paesaggio agro-silvo-pastorale trentino".
Purtroppo anche le Asuc sono tenute a mettere a bando pubblico i loro beni (pascoli e boschi) e, come nel caso dei comuni, se non si ha la volontà e il coraggio di
non seguire la comoda, ma deleteria, logica dell'aggiudicazione in base all'offerta economica più vantaggiosa.
Alla base dei comportamento a favore degli speculatori degli amministratori pubblici vi è la perdita di interesse per l'agricoltura locale, divenuta attività marginale.
Perché impegnarsi e rischiare per difendere gli allevatori locali? Un ragionamento miope. Se gli amministratori avessero di mira il bene comune non esiterebbero a
tutelare con maggior impegno i veri allevatori. Il paesaggio vivibile e attraente, il mantenimento di tradizioni vitali per non perdere l'identità locale, per tenere insieme la comunità, sono
legati, nelle valli alpine, alla vitalità della componente agricola e zootecnica. Far fiorire attività improntate alla pura logica del guadagno non può che
disgregare la società locale e, alla lunga, porta anche danni economici.