In concomitanza con gli esiti del
"censimento" italico del lupo, che si è fermato a contare 3300
esemplari (hanno mandato in giro tutti orbi?), comunque non pochissimi
anche se non se ne parla neppure di attivare le famose "deroghe" e
iniziare un contenimento, il governo svedese fa sapere che intende
ridurre i "suoi" lupi da 480 a 170, applicando le indicazioni del
parlamento. Il confronto tra quello che avviene in Svezia e in Italia
in tema di lupo ci consente di analizzare gli aspetti sociali e
politici del problema. Dietro il "sacro lupo" c'è evidentemente tanta
ideologia e la realtà di un mondo rurale non rappresentato, non
tutelato, preso a calci in faccia (in barba alle belle parole
dell'uguaglianza dei cittadini, della difesa dei diritti fondamentali
ecc.).
L'ambientalismo in salsa italica rappresenta un'infatuazione
recente, superficiale, ideologica. Vive di emozioni, di parole
d'ordine, di tifoseria. Non ha alle spalle una cultura ecologica
radicata e diffusa ma, al contrario, sconta un distacco profondo di
larga parte della società dalla realtà ambientale, la perdita dei
saperi ambientali. Conseguenze di un'urbanizzazione traumatica, ma
anche di un disprezzo radicato per la dimensione rurale, agreste e di
una cultura che continua a filtrare la natura con le lenti
dell'Arcadia, ovvero operando ricostruzioni immaginarie e di comodo
della Natura.
L'ambientalismo in salsa italica vive di bandiere, di battaglie
simboliche che nascondono profonde ipocrisie, collettive e individuali.
Nel paese della terra dei fuochi, dei rifiuti tossici sepolti sotto le
autostrade, dei valori massimi di legge per la qualità dell'aria e
delle acque regolarmente superati, delle mille discariche abusive lungo
le strade, degli abusi e dei condoni, delle coste cementificate, dei
comportamenti individuali che (per deficit storico e cronico di
capitale sociale e civico) tengono molto in conto il vantaggio
individuale immediato e poco quello collettivo (lo si vede negli spechi
idrici, negli abusi nel riscaldamento e raffreddamento degli ambienti),
l'ambientalismo è spesso un modo a buon mercato (e alle spalle degli
altri) per lavarsi la coscienza ecologica, per legittimare scelte di
comodo, per coprire speculazioni e sostenere strategie lobbystiche.
Solo componenti assolutamente minoritarie (vedi Italia Nostra)
mantengono posizioni coerenti sui vari problemi ambientali. L'Italia
colleziona record negativi in materia ambientale in ogni campo. Solo
sulla difesa del lupo è il paese più ambientalista al mondo.
Il confronto con la Svezia
Tutto si può dire della Svezia ma non che sia stato il primo paese
al mondo ad introdurre, nel 1967, una legislazione a protezione
dell'ambiente. Tutt'oggi gli standard ambientali svedesi sono tra i più
rigidi. In Italia, limitatamente alla protezione delle acque si
doveva aspettare la legge Merli, del 1976 (attuata con anni di
ritardo), mentre per molti altri aspetti della protezione ambientale si
sono dovute aspettare le direttive europee (sistematicamente disattese
tanto che paghiamo fior di multe). Così viene da chiedersi: se il
governo svedese, con il consenso del parlamento, che ha fissato il
numero di 170 lupi come tetto da non superare per evitare un
insostenibile conflitto sociale, decide di ridurre i lupi da 480 a 170
significa che la Svezia è nemica dell'ambiente o che, al contrario, una
gestione non ideologica e non demagogica del lupo come quell svedese
rappresenta un elemento di una seria politica ambientale? Tenendo conto
dell'approccio svedese e italiano all'ambiente la risposta è scontata:
l'iper protezione italica nei confronti del lupo (unica tra tutti i
paese europei) è frutto di un finto ambientalismo, di un ambientalismo
ideologico gestito in modo irresponsabile per finalità politiche e per
il vantaggio di gruppi di interesse. Oppio del popolo.
Il conflitto sociale? In Italia non
se ne tiene conto: i "villici" sono sempre i servi della gleba da
bastonare.
Il contadino è come una pianta di
noci, più lo batti più rende. Così recitava un antico proverbio
italiano. In nessun altro paese europeo l'odio e il disprezzo per i
contadini è stato così forte come in Italia. Ne è stata espressione la
forma letteraria della "satira del villano", un risultato
dell'urbanizzazione dell'età comunale nell'Italia centro-settentrionale
(senza confronto con il resto d'Europa). I "villici" oggetto di pesanti
discriminazioni fiscali e giuridiche dovettero cedere le terre ai
mercanti, ai più grossi tra gli operatori delle manifatture cittadine,
ai notai, gente che si era inurbata per approfittare dei privilegi dei
cives e per sfruttare il boom economico. Di qui una secolare e sorda
lotta per la spartizione dei proventi della terra tra i proprietari
cittadini e i coltivatori. Il contadino che cercava di sottrarsi allo
sfruttamento dei cittadini era l'imbroglione, il ladro, l'avido.
Qualcosa di simile avvenne negli anni del boom economico del secondo
dopoguerra: gli inurbati, catapultati dalle campagne alla città, si
sono identificati con la cultura urbana e del benessere (anche se ne
usufruivano solo gli scampoli e le illusioni) maturando un senso di
distacco e di disprezzo per la realtà di provenienza. Successivamente,
l'espansione degli hinterland, le trasformazioni dell'aspetto
urbanistico dei centri un tempo rurali, la concentrazione della
popolazione nei fondovalle, sulle coste, nelle aree pedemontane hanno
determinato un'urbanizzazione diffusa e una deruralizzazione) anche
senza trasferimento nelle grandi città. Così l'Italia rurale che già
contava poco perché priva di élites (i comuni medievali costrinsero i
nobili a risiedere in città), disprezzata dalla cultura dominante
urbana, vista con sospetto dopo i tentativi mussoliniani di
ruralizzazione, è diventata debole e inconsistente.
Sembra un paradosso ma nella Svezia "socialmente e
ambientalisticamente avanzata" la realtà rurale conta molto più che in
Italia. Il conflitto sociale determinato dalla presenza del lupo
assume quindi un peso politico maggiore in Svezia rispetto all'Italia
nonostante l'abissale differenza di densità demografica. I lupi in
Svezia (carta sotto con i branchi) sono presenti nell'area centrale
dove si concentrano le terre arative, in regioni con densità di
popolazione "medio-alta" per i parametri svedesi tra 31 e 60 abitanti
per kmq. I lupi non si trovano né nelle foreste a Nord né nell'area di
agricoltura intensiva all'estremo Sud.
Le cronache di tutti i giorni In Italia il lupo è presente ormai
ovunque (tranne nelle isole sino a quando non ce lo porteranno), in
aree con densità pari a 10 volte quelle svedesi. Parlano di animali
domestici di ogni specie predati, non solo sui pascoli ma sin dentro
aree recintate, dentro le stalle, dentro i cortili, dentro i giardini
di casa. Tanto che gli "esperti" (i piazzisti dellla lobby del lupo)
raccomandano di chiudere in casa i cani o di lasciarli fuori solo se in
condizioni di massima blindatura. Non è più il tempo in cui il lupo
picchiava duro sull'Appennino spopolato. Ora sono scesi sulle fasce di
collina e in pianura. Quanto alla montagna hanno colonizzato aree
tutt'altro che depopolate, specie in Veneto. Non diversa la situazione
al Sud. Ma la reazione in Italia è minore rispetto a quella nelle aree
agricole della Svezia. Il motivo? Un po' è debole la protesta, un po' è
sordo l'orecchio politico che dovrebbe ascoltarla. Quando il lupo
picchiava nelle valli di Cuneo o sull'Appennino tosco-emiliano la
scarsità e la dispersione della popolazione non era in grado di
emettere un segnale di una certa forza. Ma anche quando il lupo
colpisce in aree fortemente antropizzate la frazione di popolazione che
alleva animali, che pratica l'agricoltura è così ridotta in proporzione
alla generalità degli abitanti che, ancora una volta, non riesce a
emettere un segnale per la politica. L'effetto dell'impatto del lupo su
aree ad alta antropizzazione in ogni
caso c'è eccome: non solo aumentano le predazioni di cani e gatti ma
aumentano anche i fenomeni di ibridazione del lupo. Per ora solo
da aree abbastanza antropizzate di montagna, con attività di
allevamento diffuse (imprenditoriale o per passione e integrazione)
come la Lessinia, l'Ossola, la Valtellina, la Maremma si sono levate
voci di protesta piuttosto vivaci. Ancora isolate perché la politica
ritanga opportuno correggere la sua indifferenza alle grida di dolore
dei territori.
Gli svedesi non sono pazzi ossessionati dalle favole del lupo
cattivo; sono gli italiani (governo, parlamento, regioni,
istituzioni di ogni tipo) a subire l'incantesimo di una lobby del lupo
che riesce a imporre il folle obiettivo della proliferazione senza
limiti del loro totem. Il fatto che l'anomalia sia rappresentata
dall'Italia (in funzione di un rapporto distorto con la realtà
ambientale, di un antiruralismo inveterato, di pulsioni ideologiche
riaffioranti, di un'emotività non controllata (il "mammismo" che in
presenza del crollo demografico si trasferisce sugli animali) lo
conferma quanto avviene in Francia. Se in Svezia si vogliono ridurre
drasticamente i lupi a meno della metà, in Francia , dove essi sono
stimati (2020/2021) in numero di 620, si pratica comunque un discreto
contenimento (se ne abbattono legalmente 120 all'anno). Ma in Francia
un lupo ha a disposizione, sulla carta, 877 kmq, in Italia, stando alle
stime ufficiali (che palesemente li sottostimano), i 3307 lupi (stimati
sempre nel 2020/2021) avrebbero a disposizione (Sicilia e Sardegna
comprese) 91 kmq. Ci si dovrebbe già chiedere: come mai con una densità
dieci volte quella della Francia, in Italia non si ritiene di dover
operare neppure un minimo contenimento dei lupi? Aggiungasi che la
densità umana italiana è di 189 abitanti per kmq contro i 121 della
Francia. Da noi ci sono molti più lupi per unità di superficie, e più
umani. Come mai il lupo continua a essere intoccabile? C'è forse un
miracolo alla San Francesco per il quale il lupo ex italico in Italia è
mansueto? Per nulla. Ne combina di ogni, anche perché, a differenza
della Francia, è sempre intoccabile, frequanta sempre più gli ambiti
abitati e ha perso timore nei confronti dell'uomo. Ma la favola del
"lupo che non è più cattivo" è smentita ogni giorno dalle crude notizie
di predazioni e persino di attacchi all'uomo, per quanto confinate nei
meandri delle cronache locali o anche solo dei social.
Lupi urbani: normale!
L'aumento del numero dei lupi,
è tale che oggi non vengono colonizzate solo aree di pianura ad
agricoltura intensiva ma anche le aree urbane. nelle mappe di Life Wolf
Alps di solo pochi anni fa si escludeva la pianura piemontese dalle
"aree vocate" e si considerava che la capienza massima di lupi in
Piemonte fosse di 350 capi. Oggi la mappa della pianura piemontese,
dove il lupo non avrebbe dovuto esserci, è piuttosto colorata (e lo
sarebbe di più se si tenesse conto delle tante segnalazioni fatte dai
cittadini). Il lupo non doveva venire in pianura ma è venuto (per
forza, la montagna scoppia). La lupologia è una "scienza" flessibile.
Se la pianura (non solo
piemontese) da "area non vocata" è diventata, di fatto, area di
presenza stabile di branchi, persino i centri abitati sono diventati un
territorio "normale" per i lupi. In recenti webinar della Piattaforma
Locale Grandi Carnivori, una delle tante sigle del lupismo (frotte di
gente che ci campa), si è teorizzato che la presenza dei lupi in aree
urbane deve essere considerata un fatto normale, che non
necessariamente un lupo che frequenta, di notte ma anche di giorno, le
periferie urbane deve essere considerato "problematico" e tanto meno
"potenzialmente pericoloso". dal momento che è una specie
"opportunista" non c'è meravigliarsi se viene in città. Il punto è: ma
è giusto lasciargli fare quello che vuole, lasciarlo andare dove vuole
e costringere la gente a chiudersi in casa? Dove sta scritto nella
costituzione che "la libertà di movimento dei cittadini è garantita se
non interferisce con la superiore libertà di movimento del lupo"?
Come al solito la "convivenza" è possibile e se sorgono problemi è
sempre colpa dell'uomo che lascia i rifiuti, che non blinda gli animali
domestici ecc. Ancora una volta se si considera la differenza tra
l'Italia e altri paesi c'è da restare sconcertati. In Svizzera il
protocollo Ufam (l'Ufficio federale per l'ambiente, sorta di ministero)
considera pericoloso e da abbattere il lupo che frequanta i
centri abitati, segue le persone, uccide un cane da compagnia in un
insediamento. L'intensificazione del monitoraggio (IN) implica che si
osservi l'animale. Se si allontana e non reitera i comportameti è
salvo, se continua a frequentare il centro abitato viene abbattuto. In
Italia si continua a monitorare all'infinito. Va precisato che le
regole svizzere sono adottate anche in alcuni land tedeschi ed
austriaci.
Tentiamo di arrivare a delle conclusioni
(o quantomeno a degli spunti di analisi politica)
Escluso che (solo) in Italia i lupi siano diventati vegani,
constatato che - per quanto soffocate e non ampiamente diffuse - le
notizie dai territori ci dicono che il lupo in Italia impatta eccome si
deve concludere che lo stesso danno sociale che in altri paesi mette in
moto delle azioni di contrasto a danno del lupo, in Italia non smuove
nulla. La bilancia pesa in modo molto differente. Il valore del lupo è
infinito, quello dell'interesse dei sudditi, dei "villici" leggero come
una piuma. Scelte politiche, scelte ideologiche, scelte che fanno a
pugni con la democrazia e l'equità sociale (a qualcuno, che decide a
vantaggio di sé stesso solo vantaggi, a gente che non ha diritto di
dire la sua, solo svantaggi). Scelte infami di cui qualcuno dovrà
rendere conto.
Ribadiamo che l'impatto sociale del lupo non si limita alle
predazioni ma anche delle conseguenze indirette non meno gravi dal
punto di vista sociale: aziende che chiudono, aziende che si
trasformano da estensive in intensive alla faccia della sostenibilità e
del benessere animale, giovani che vedono spezzati i loro sogni ,
frustrati nella loro passione , pastori costretti a sacrifici immensi
(trasportare a spalla reti e sacchi di crocchette su per ripidi pendii,
non rientrare a casa la notte per restare a guardia del gregge),
piccole aziende che devono vendere gli animali. In più c'è il clima di
insicurezza, la paura a portare a spasso il cane, la paura ad andare
nel bosco, la paura che i turisti scappino, la paura di trovarsi il
lupo nel cortile dell'azienda o della casa privata con il bambino che
gioca. Per i lupisti tutto ciò non ha nessuna importanza. Anzi, se gli
allevatori gettano la spugna per i lupisti è tutto di guadagnato, cessa
un "disturbo" all'ambiente e può tornare la natura "incontaminata"
(gestita da loro, dagli ecoburocrati). Ma poi su quale pianeta vale la
regola che il grado di allarme sociale, di impatto economico, di
sofferenza morale, di danno psicologico e biologico alle persone, alle
comunità, alle categorie sia valutato da dei lupologi o, al meglio, dai
santoni dell'ISPRA? Assurdo ma oggi se la suonano e se la cantano loro
come vogliono nella totale autoreferenzialità loro concessa
dall'ignavia della politica.
Siccome il lupismo è il solo ad avere la sola voce in capitolo ed è
il solo a farsi ascoltare dalle istituzioni sul tema, ll conflitto
sociale viene semplicemente celato, ignorato. Anche perché i canali che
dovrebbero rappresentare la sofferenza dei territori e delle categorie
(istituzioni locali, sindacati agricoli) rinunciano a impegnarsi su un
tema "scabroso" (salvo con parole che non costano nulla). Il
conflitto c'è ma non trova canali per farsi sentire. Ma significa
che non esiste, che una politica del bene comune può esimersi dal
tenerlo in considerazione? Diverso il peso del mondo agricolo e rurale
in Francia e in Svezia. Non solo perché le campagne hanno mantenuto
meglio la loro identità sociale e culturale, non fagocitate da modelli
e stili di vita urbani come in Italia, ma anche perché all'interno
dell'orizzonte culturale la realtà rurale è meno marginalizzata, più
legata ad aspetti della cultura nazionale. Come ricordavano all'inizio,
la stessa cultura ambientalista è ben diversa rispetto a quella
italiana. Solo in Italia l'ambientalismo criminalizza l'attività
venatoria e divinizza il lupo. Un estremismo che con l'ecologia non
c'entra nulla. E' un ambientalismo (o, meglio, un animal-ambientalismo)
quello italico sostanzialemente e pesantemente ideologico, slegato
dalla cultura ecologica e vicino alle modalità del tifo e della
partigianeria politica che fanno leva sulle emozioni, sulla creazione
del "nemico", su bandiere e parole d'ordine (e che il lupo sia una
"bandiera" l'hanno sempre teorizzato lor signori).
Si tratta, come appare evidente, di una situazione di pesante
difficoltà per chi intende, sul tema lupo, ma anche su altri operare la
difesa degli interessi e dei valori rurali. Una difficoltà, uno
svantaggio, che si rimontano solo in termini politici. Non è facile ma
si parte da una situazione talmente negativa che conseguire qualche
risultato, qualche miglioramento, è relativamente facile. La realtà in
sofferenza (per il lupo ma anche per il cinghiale, i cervidi, i
corvidi, le nutrie, i cormorani) è molto ampia, non comprende solo
imprese agricole ma tanti soggetti che vivono nelle aree rurali,
in montagna, che praticano all'aperto le loro attività preferite
(caccia, pesca, equitazione, attività sportive). Indirettamente
riguarda chi vive di turismo e di servizi, quindi tante imprese di
altri settori. Tutte queste realtà sono state tenute separata quando
non contrapposte le una dalle altre da politiche corporative sia per
interesse della politica che di altri mediatori. Ora si tratta di
ricomporre un interesse rurale che esiste oggettivamente. Le minacce
sono infatti oggettive, ma vanno riconosciute e fatte riconoscere a
dispetto di un sistema che distrae, depista, addormenta. Va tolto
il diaframma ideologico che fa credere a molti che gli "ultimi
trogloditi" (contadini, pastori, boscaioli) siano i soli "rurali"
(modello negativo da rifuggire), che fa autoidentificare in una cultura
urbana subalterna da tv e centro commerciale tanti che pure sono legati
da passioni, interessi, legami alla realtà della montagna e delle aree
interne, dei paesi, che non fa vedere il modello positivo rurale
(relazioni calde, circolarità, recupero di forme di scambio e
mutualismo, azioni collettive su recuperati beni comuni materiali e
simbolici), il privilegio di non vivere in una periferia. Vi è la
possibilità di aggregare tante energie che esistono ma sono fortemente
disperse, non solo per difendersi dalle minacce ma anche intorno a
progetti in positivo. Non ci sono ricette pronte. Ma c'è un immenso
lavoro da fare.