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cultura
ruralpina in valle Imagna
I sègn de bén
tra magia bianca e pratica teraputica popolare
I "segnatori" erano guaritori popolari che operavano (operano) su
patologie di diverso tipo: slogature, ustioni, contusioni, sciatica,
verruche, herpes zoster ecc. In genere i "segnatori" erano
specializzati e diagnosticavano e curavano un solo tipo di male.
Operavano gratuitamente e traspettevano il loro "potere" a qualcuno
(famigliare o no) che ritenevano idoneo. Non mancavano i
preti-guaritori che, a loro volta, conferivano a persone da essi scelte
la "segnatura". Vi erano anche "segnatori" per gli animali domestici.
Segni rituali e preghiere erano a volte accompagnati dall'uso di rimedi
fitoterapici o tratti dal mondo animale (il latte, il grasso). di cui
oggi è provata l'efficacia farmacologica.
di Antonio Carminati
(17.08.19) Questo contributo, come
quello precedente, "Ol sègn di èrem.
Segnare i vermi come pratica di guarigione popolare" (vai qui) e come uno che seguirà,
traggono spunto dall’indagine condotta alcuni anni or sono dal Centro
Studi Valle Imagna nel villaggio di San
Simù (Corna Imagna). Molti si meravigliano che queste pratiche
appartenenti a un passato solo apparentemente tramontato.
Evidentemente le evoluzioni culturali dei popoli, connesse al modo di
pensare, di agire e al sentire comune delle persone, vanno decisamente
più a rilento di quelle materiali e richiedono lunghi periodi di
sedimentazione (1).
Sino a tutto il diciannovesimo secolo, la maggior
parte della popolazione nasceva, viveva e moriva senza ricorrere
all'intervento della medicina ufficiale. Diagnosi e pratiche
terapeutiche venivano effettuate direttamente dagli anziani, depositari
dei segreti della medicina popolare, o dai guaritori, anch’essi di
norma non più giovani, i quali traevano i loro fondamenti nella
conoscenza della natura, soprattutto delle risorse contenute nel mondo
vegetale e animale, e in una profonda componente religiosa.
Non sempre gli infusi o i decotti bastavano per scacciare la malattia e
restituire al soggetto le sue piene funzioni vitali: significava che le
forze malefiche erano più forti di quelle benefiche. La consuetudine
richiedeva, a questo punto, il ricorso diretto alla divinità. La
malattia e la morte erano infatti considerati eventi ineluttabili,
predeterminati da forze superiori, frutto dell’eterno conflitto tra il
bene e il male.
Quando le terapie della medicina tradizionale e delle pratiche
religiose prodotte nell'ambito familiare (con preghiere, uso dell’acqua
benedetta, noéne - novene -, pellegrinaggi alla Cornabusa o
a tribülìne - cappellette -
votive più vicine,…) non sortivano gli effetti attesi, era solito il
ricorso alla speciale benedisiù (benedizione)
(2) del prete. Si riteneva che le sofferenze e le
malattie provenissero dal peccato, causa di ogni male.
Il ricorso al soprannaturale avveniva anche attraverso la pratica
esoterica delle "segnature", un tempo molto diffusa, ma ancor oggi
presente in modo significativo nella società rurale. Rivelate soltanto
a poche persone e provenienti da molto lontano nel tempo, le segnature
avevano un profondo fondamento religioso. Coloro che i gh'ìa ol sègn (possedevano il
segno) avevano il potere riconosciuto di comprendere e controllare le
forze della natura, sottoponendole alla propria volontà. La ritualità
delle segnature si collocava all'interno del filone magico nelle
manifestazioni di spiritualismo mistico-esoterico, in grado di ottenere
una rapida ed efficace connessione tra la sfera dello spirito e quella
della materia. I sègn dol bé (segni
benefici), quelli che portavano benefici, accolti come benedizioni, si
distinguevano da i sègn dol màl,
(i segni malefici) cioè le maledizioni.
Nella pratica delle segnature positive, la simbologia del segno della
croce, di chiara matrice cristiana, costituiva il fulcro di tutto il
rituale, attraverso il quale il guaritore sconfiggeva, con le malattie,
anche i malefici che costituivano il presupposto della patologia
stessa. I segreti posseduti dai depositari dei segni fanno parte di una
eredità antica, giunta sino ai giorni odierni, trasmessa da bocca ad
orecchio, nell’ambito di una relazione fiduciaria e segretamente
personale. Le malattie, le scottature, le slogature, ... venivano
guarite attraverso l'applicazione delle rispettive segnature,
all'interno di una cornice magica e misteriosa, che richiedeva una
sincera manifestazione di fede da parte del malato. Si diceva che, perchè ol sègn e l'fàghe bé, mè crèdega
(affinché il segno gli procurasse giovamento egli [il malato] doveva
crederci) ! Al resto provvedeva il guaritore, mormorando parole
segrete, recitando preghiere e compiendo determinati gesti, che
variavano in relazione alla malattia, sulla parte del corpo colpita
dalla patologia. Il segreto della segnatura, oltre che nelle gestualità
ad esso connesse, era conservato nello speciale frasario.
Si tende oggi a presentare il rito delle segnature benefiche come
pratica di religiosità medievale, ispirata alla magia, alla
taumaturgia, all'esorcismo o alla forza della suggestione: seppure
tutti "ingredienti" dello stesso, unico ed esteso fenomeno, questi
aspetti da soli non bastano per comprendere il rito dei segni. Perché
siamo soprattutto in presenza di un'importante manifestazione di
religiosità popolare, esercitata a fin di bene, ossia per guarire una
persona.
Abbiamo già parlato dol sègn de èrem
(del segno dei vermi) nel contributo precedente, ma ci sono almeno
altre tre segnature, oggi ancora presenti e richieste: ol sègn de slogadüre, ol sègn de scotadüre
e ol sègn dol Föc de Sant'Ántóne (il segno delle slogatire, il
segno delle scottature e il segno del fuoco di Sant'Antonio).
Ciascun segno ha la sua storia, collegata di norma a quella del suo
depositario e della famiglia di appartenenza, quindi varia da villaggio
a villaggio e si confonde con leggende e credenze popolari.
Nel villaggio di San Simù
(Corna Imagna), ad esempio, gli anziani raccontano che ol sègn de slogadüre (il segno
delle slogature) sia stato trasmesso da un sacerdote (un vescovo, per
altri) al pòer Gnéc de la Còrna: quel prelato, durante una visita al
villaggio, avendo preso una forte distorsione ad un piede e non potendo
operare su se stesso la segnatura (secondo un principio valido per
tutte le segnature, che impedisce al detentore di usare su se stesso il
potere guaritivo, ma esclusivamente al servizio degli altri), si era
trovato nella condizione di trasmettere il segno al pòer (allo
scomparso)Gnéc ,
affinchè lo guarisse. Così il nuovo depositario del potere curativo
operò la segnatura su quell’alto prelato, guarendolo dalla distorsione,
ma rimase investito per sempre del beneficio, che continuò ad applicare
a favore di tutta la popolazione; prima di morire, lo trasmise a sua
figlia, la Celèsta de la Còrna,
la quale, poi, lo ha dato in consegna a un familiare, che continua ad
utilizzarlo ancora oggi.
La pratica della segnatura contro le distorsioni aveva due versioni,
rispettivamente applicabili ai traumi articolari recenti e a quelli già
avvenuti nel tempo. Il segno non aveva alcun potere sulle fratture
ossee (si diceva, in generale, che i
sègn iè bù per chèl tàt de otoretà chè i gh’à - i segni sono
buoni entro i limiti del loro potere) e veniva dispensato
attraverso una ritualità semplice, utilizzando una simbologia ben
comprensibile a tutti. Anche i materiali occorrenti, l’acqua e la sunda (sugna)(3),
sono di uso comune.
Il curatore modella con la mano tre “palline” di sunda e le immerge in una scödèla (ciotola) d’acqua. Poi,
mentre recita le orazioni prescritte, alcune delle quali (ossia quelle
segrete della formula del segno) sottovoce, prende dalla ciotola una
pallina di grasso di maiale e massaggia per bene la zona affetta dalla
distorsione. La pallina di sunda viene poi ridepositata nella scodella
e sostituita con l’altra, e poi con la terza, e così per tre volte
consecutive, sempre massaggiando, contestualmente alla recita delle
orazioni, la parte del corpo lesa. A conclusione del rito, il paziente
viene invitato alla recita, imposta di solito per il giorno successivo,
di ü Pàter, öna Ai Maréa,
ü Glòria e ü De Prufùndis (recita un Peter, una Ave Maria, il
Gloria e il De prufundis) per il suo santo protettore. Queste
preghiere, oltre al carattere propiziatorio, avevano anche un valore
quasi penitenziale, di remissione del “male” nelle mani della divinità.
La segnatura poteva essere effettuata in qualsiasi luogo, non
necessariamente presso l’abitazione del segnatario.
Nel passato il segno delle distorsioni veniva utilizzato anche per gli
animali, quando ad esempio una mucca la
s’ìa storpiàda sö en dol saltà dó da ü rìol (si era procurata
una distorsione saltando giù
dall'orlo di un ciglione) ,
oppure la s’ìa ensopàda (si
era azzoppata) : in tal caso, le preghiere venivano imposte al
proprietario dell’animale tanto prezioso. Capitava di frequente di
dover segnà ol pì d’öna àca
(segnare il piede di una vacca) infortunata.
Per la segnatura delle distorsioni non recenti, cioè avvenute parecchio
tempo prima, la ritualità prevista seguiva la pratica già illustrata
per gli strappi articolari recenti, con la differenza però che questa
doveva essere ripetuta per tre giorni consecutivi, e rigorosamente
sempre alla stessa ora. Inoltre nei giorni successivi il guaritore non
doveva assolutamente chiedere alla persona sulla quale aveva operato il
segno se fosse guarita o meno, perché avrebbe inficiato e messo in
discussione l’atto di fede iniziale; inoltre l’esercizio delle
segnatura non poteva essere effettuata a scopo di lucro, col divieto
quindi di chiedere o pretendere compenso alcuno. Eventuali libere e
spontanee elargizioni dovevano essere devolute per ol bé de la Césa (il bene della
Chiesa).
Depositario di un potere guaritivo analogo contro le distorsioni era
anche ol pòer (lo scomparso) Pùcio della Roncaglia, il quale,
oltre che la sùnda,
utilizzava anche particolari impiastri a base di erbe, di cui non si
conoscono più gli ingredienti.
Ol sègn de scotadüre, invece, nel villaggio era esercitato dalla Rösa de la Corna, che l'aveva
ricevuto in dalla propria madre. Si racconta che, anticamente, tale
potere fosse depositato presso öna
Mafenèta (4), la quale lo ebbe poi a
trasmettere alla la Caterina di Regòrda, in occasione di una grave
ustione, di cui fu vittima uno dei suoi numerosi figli. La tradizione
voleva che la segnatura contro le scottature, applicabile per qualsiasi
ustione, fosse dispensata prima di ogni altro medicamento, in quanto
anch'essa sostenuta dal presupposto religioso della manifestazione di
fede.
Semplicemente, con il pollice della mano destra, il curatore disegnava
simbolicamente, per tre volte consecutive, il segno della croce sulla
parte del corpo "abbruciacchiata", dimensionato all'estensione
dell'ustione, mentre, con voce sommessa, recitava il formulario
prescritto e invitava il richiedente il beneficio a pregare e a
confidare nelle forze spirituali del bene. Come avveniva anche per
tutte le altre segnature, il rito poteva essere ripetuto, anche sulla
stessa ferita, a distanza di qualche giorno, a seconda dell'estensione,
gravità e profondità dell'ustione. Al termine del rito, quella curarice
era solita rincuorare il malcapitato con queste parole:
- Adès endà a cà tò. Mètega sö negót
e t'ederé che te spàset (Ora vai a casa. Non coprirla con niente
e vedrai che ti passa) ... !
I consigli alla preghiera e a mètes en mà dol Signùr (mettersi
nelle mani del Signore) non mancavano mai al termine di ogni cerimonia.
Contro le scottature esistevano nel villaggio altri due segni,
esercitati da altrettanti soggetti depositari del potere di guarire: il
primo si avvaleva dell’olio, mentre il secondo, praticato dalla pòera Ghéta de Canìt (di Canito,
una contrada di San Simù) ,
si giovava di impacchi a base di latte. Quella donna era infatti solita
affermare:
- Tra töte i èrbe che gh’è dét en
dol làcc, gh’è dét da chèla che fà bé (tra tutte le erbe che ci
sono nel latte vi è dentro anche quella che fa bene) (5)!...
Terminiamo questo post riportando una pratica curativa contro le
scottature (vedasi l'immagine allegata) tratta dal manoscritto
settecentesco, già oggetto di studio da parte della dr.ssa Fabrizia
Milani e in fase di pubblicazione da parte del Centro Studi Valle
Imagna:
Prendi: Lardo (6) vecchio di porco
maschio. Si batte molto bene; indi si piglia un fiasco di aceto forte
bianco, e si fa bollire dentro per due hore. Levato dal fuoco, e
lasciato raffreddare si raccoglie tutto il grasso, che resta di sopra e
si spreme tanto che niente vi resti dentro d’aceto. Si conserva in un
vaso di terra vetriato per li bisogni e quanto più vecchia diventa
tanto si fa migliore.
Si Unge con questo la
parte offesa, e vi si pone sopra un poco di pelo di lepre tagliato
[...].
Si Unge mattina e sera
sempre ponendovi il pelo, et ogni unzione si fa sopra la gia fatta
senza nettare la parte, ne levando quella materia fino, che non si
stacca da se.
Quanto più si unge tanto
più va declinando il dolore.
Note
(1) Oltre alla
spiegazione che vede in queste espressioni una "sopravvivenza"
culturale limitata alle classi subalterne, per spiegare come certr
pratiche "riappaiono" anche in contesti urbani non si può non fare
riferimento ad alcune tendenze postmoderne quali la messa in
discussione dei dogmi della scienza e la rivalutazione dei saperi
tradizionali e delle pratiche "naturali", fino alla proliferazione di
"medicine alternative" che in ampia misura si rifanno a tradizioni
esotiche o alla medicina popolare "autoctona".
(2) Non
si può non osservare che, al di là dell'aspetto religioso, vi era una
forte aspettativa circa i poteri di guarigione (e in generale magici)
del prete. Il rispetto per la figura sacerdotale era commisto a un
certo timore per i suoi poteri (la capacità di produrre anche la
"fisica", ovvero la magia nera). Molti preti utilizzavano la
fitoterapia, specie dopo che la scomparsa (almeno apparente) delle
streghe aveva reso questa pratica non sospetta. Non a caso un trattato
pratico di fitoterapica come quello del prof. dott. Giuseppe Antonelli
(vedi bibliografia), con quattro edizioni tra il 1936 e il 1950 era
rivolto "in modo speciale ai parroci di campagna". Tra i preti
guaritori famosi che utilizzavano le piante medicinali vi era Don
Gervasini (el prèet de ratanàa),
morto nel 1941 e ancora molto ricordato a Milano a dimostrazione che
non si devere ritenere che i guaritori e la medicina popolare fossero
un fenomeno relegato nell'ambito rurale. Don Gervasini, come altri
sacerdoti guaritori, trasmetteva i "segni" che conferivano a chi fosse
ritenuto degno, il potere di praticare attraverso di essi la guarigione.
(3) La sugna (grasso di maiale)
era largamente utilizzata nella medicina popolare. Oltre alle propretà
emollienti e alla capacità del grasso di veicolare, ovvero far
assorbire attraverso la pelle, i principi attivi in grado di
sciogliersi nei grassi, facendone la base di unguenti preparati con
erbe medicinali o resina, esso posside anche proprietà antisettiche e
antiffiammatorie legate all'effetto degli acidi grassi per la qual
ragione si spiega in suo largo utilizzo in medicina popolare nella cura
di contusioni, slogature, malattie respiratorie.
(4) Soprannome famigliare.
(5) Una credenza con un solido
fondamento, dal momento che nel latte filtrano molti principi attivi
delle piante .
(6) Vedi n. 3.
Bibliografia (un assaggio)
G. Antonelli, Le
piante che ridanno la salute : ossia le piante alimentari
e alcune selvatiche comuni italiane nella medicina domestica ,
Roma, Libreria pontificia Federico Pustet, 1936.
A. Citelli et al. Int
u segnu : guaritori popolari e
pratiche magiche nelle Quattro province, Milano,
Associazione culturale Barabàn, 2014
P. Giovetti, I
guaritori di campagna. Viaggio attraverso la medicina poplare in Italia,
Roma, Mediterranee, 2016.
A.
Imbalzano, Segnare la malattia.
Ricerca etnografica presso le guaritrici tradizionali nel parmense,
Tesi di laurea , Università Cà Foscari, Venezia, 1992
G. Maconi, La
medicina popolare in Valle Imagna, Componenti magiche, religiose ed
empiriche tradizionali tra l'Ottocento e il Novecento,
Sant'Omobono terme, Centro Studi Valle Imagna, 2006.
M. Pirovano, Vermi,
donne che segnano, trasmissione dei saperi magico-religiosi. Una
ricerca sul campo nel territorio lecchese, in "Annali di
S.Michele", 16 (2003), 61-74
M.
Savini, La tradizione interrotta.
Segni magici e segnoni in Lomellina, in "La Ricerca Folklorica",
n 23, (Apr., 1991), pp. 109-114.
V. A. Sironi, Medicina
popolare in Brianza : malattia e salute delle classi subalterne
nell'alto milanese tra Ottocento e Novecento
, Oggiono, Cattaneo, 1998.
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Serie
di cultura
ruralpina (in valle Imagna)
a
cura di Antonio Carminati
Ol sègn di èrem. "Segnare" i vermi come pratica di guarigione popolare
(13.08.19) I guaritori popolari operavano (operano) con varie
modalità. I gesti, i "segni", praticati sul malato (o su
degli oggetti), sono tra quelli più caratteristiche. Una delle
applicazioni più importanti dei "segni" era relativa alle verminosi,
specie quelle che colpivano i bambini.
Quando i bimbi morivano
in estate
(05.08.19) Ancora alla fine dell'Ottocento la mortalità infantile in
Italia, nel primo anno di vita, era pari al 20%, senza grandi
differenze tra la regioni. Era causata in prevalenza da
gastroenteriti, ma anche da affezioni respiratorie e
setticemia. I più piccini i patìa tant per ol prìm
cold, soffrivano molto per le prime calure, tanto più che -
in tarda primavera - tutti soffrivano per la fine delle scorte
alimentari accumulate per l'inverno
Vita
e morte nella dimensione rurale
(03.08.19) Oggi la morte è stata rimossa dalla
dimensione sociale, senza per questo allontanarne
l'angosciosaincombenza.
Anzi.
L'individualizzazione esasperata la rende inaccettabile in quanto fine
di tutto, nell'orizzonte materialista e narcisista della società
attuale, limitato all'io, al presente, al piacere,all'efficienza. Nella
dimensione rurale, vita e morte si confrontavano tutti i giorni. I
cari defunti continuavano, in varie forme, a fare parte della famiglia,
della comunità, attraverso varie forme di ricordo e di rito
Quel
prato al centro del mondo
(15.07.19) Luglio è il mese della riconquista degli spazi rurali, che
al termine della fienagione ritornano ad essere fruibili, con gioia
soprattutto per bambini e ragazzi, che finalmente possono correre un
po’ dovunque e dare spazio alla fantasia. Il prato era anche una
palestra di vita, un prezioso ambito per avviare i fanciulli ai doveri
e agli impegni degli adulti.
Giugno: tra
intenso lavoro campestre e rito
(16.06.19) Nel mese di giugno, non possono essere dimenticati almeno
tre eventi ricorrenti e particolari, assai sentiti e vissuti nel
calendario rituale dei contadini: due di essi celebravano i poteri
magici della notte, solitamente frequentata dagli spiriti che si
volevano propiziare. Queste notti, che cadono nel periodo del solstizio
Il
fienile come granaio (in montagna)
(08.06.19)
Nella civiltà agropastorale alpina il
fieno assume unaforte centralità. Dalla sua raccolta dipende la
possibilità di mantenere più o meno animali durante l'inverno, animali
da vendere oda utilizzare per il latte, animali produttori del prezioso
letame. Dal fieno quindi dipendeva la ricchezza (o la minor povertà,
per meglio dire) della famiglia contadina
Tempo
di preparazione all'alpeggio
(18.05.19) A
Corna Imagna, come in tante realtà delle prealpi, l'alpeggio è
praticato spostandosi su maggenghi siti a diverse quote, sino a
raggiungere i 1.000 m. Si reata, però, sempre a moderata distanza
dal villaggio. Così il contadino saliva e scendeva ogni dai
pascoli e la sua attività principale continuava ad essere la
fienagione. Per le bestie, ma anche per gli uomini, era comunque un
periodo atteso.
Maggio:
natura fiorita e culto
popolare
(10.05.19) Quando
la fede popolare umanizzava e santificava la natura in fiore, i campi,
il territorio. Nel mese di maggio, oltre al culto mariano, erano
importanti le preghiere e i riti di benedizione delle case, dei campi,
dei raccolti ancora incerti. Lo spazio abitato, che andava ben oltre
quello "urbanizzato", era presidiato da contrade e cascine e marcato da
numerose presenze del sacro, prime tra tutte le santelle per le
quali transitavano le processioni delle rogazioni a marcare lo spazio
simbolico della comunità da difendere dal disordine e dalla negatività leggi
tutto
Quando
la vacca deve partorire. Quand che la aca la gh'à de fà
(05.05.29)
Per la famiglia contadina tradizionale, ma anche per il piccolo
allevatore di montagna di oggi, l'attesa del parto della vacca è piena
di trepidazione. Si spera che nasca una femmina ma si temono le
complicazioni del parto. Ancor oggi tutto quello che ruota intorno alla
riproduzione bovina nelle piccole stalle è oggetto di pratiche di
solidarietà orizzontale che tengono insieme la comunità degli
allevatori locali.
Hanno
ucciso la montagna (la fine della grande famiglia del nonno)
(15.04.19)
Nel racconto autobiografico di Antonio Carminati la "grande
trasformazione" degli anni '60. L'entrata nella modernità, vista per di
più come limitativa e negativa, attaverso l'esperienza di un bambino
che vive il passaggio dalla vita patriarcale di contrada a quella della
famiglia nucleare e dell'appartamento "stile città", una distanza di un
km o poco più in linea d'aria che segna il passaggio traumatico tra due
mondi.
Architettura
identitaria. I tetti in piöde, bandiere di identità valdimagnina
(06.04.19) In valle Imagna L'arte delle
coperture, della posa delle piöde ha raggiunto particolare
perfezione tanto da assumere i connotati di un emblema identitario. Non
sono poche, però, le difficoltà nel conservare e far rivivere questo
patrimonio di valori culturali (saperi, abilità) ed estetici. Un tema
per un utile dibattito con il coinvolgimento delle comunità locali e
non solo degli addetti ai lavori.
Pecà
fò mars Il rito della definitiva cacciata della cattiva stagione
(31.03.19)
Dopo il carnevale, ancora una volta, per cacciare la brutta stagione,
soprattutto la sua pazza coda di marzo, occorre produrre altro rumore,
diffondere suoni anche strani nell’aria, insomma fare chiasso e… tanto
baccano. La funzione è sempre stata duplice: da un lato
allontanare gli spiriti del male, dall’altro richiamare ad alta voce la
bella stagione, facilitando così il risveglio della natura
Omaggio
ai boscaioli emigranti (eroi del bosco, martiri del lavoro)
(25.03.19)
Una vita di sacrifici durissimi, di frugalità, di duro lavoro quella
dei boscaioli bergamaschi che emigravano abbandonando le loro valli e
le loro famiglia a marzo per recarsi in Svizzera e in Francia. Doveroso
ricordarla.
La gestione
del letame nell'economia
agropastorale
montana
(20.03.19) Lo spargimento del letame nei
prati e campi di montagna, utilizzatonaturale. Almeno così era nel
passato. quale fertilizzante, è forse una delle attività
maggiormente faticose, ma anche più importanti, sul piano della
conclusione di un ciclo.
La
stalla e gli altri manufatti dell’edilizia tradizionale
(03.03.19)
Una stalla, un prato, un pascolo, una vacca, quando sono in grado di
accogliere relazioni generative con la popolazione locale, e quindi di
esprimere i caratteri di una visione, rappresentano dei valori, più che
dei beni o delle merci. Francesco, Ugo e tanti molti agiscono come
tante api operaie, ossia contribuiscono in modo determinante a
sostenere l’ossatura e il futuro del “sistema montagna” delle Orobie,
presidiando il territorio e difendendo l’insieme delle sue
caratteristiche naturali e antropiche.
La
distillazione della grappa (una tradizione di libertà)
(23.02.19)
Oggi molti possono permettersi di acquistare la grappa (e il mercato ne
offre per tutti i gusti) ma distillare in casa frutta o vinacce
gratifica con quel senso di indipendenza, di libertà e, diciamo pure,
di sfida. La sfida a uno stato che per non perdere le accise sostiene
di vietare la distillazione casalinga per "tutelare la salute",
disconoscendo un sapere contadino secolare (l'alambicco si diffonde dal
Cinquecento).
La
caccia alla volpe (e al lupo) nella realtà contadina
(15.02.19) Nel periodo più freddo e nevoso dell’anno, quando cioè gli
uomini avevano tempo a disposizione, öna ölta (una
volta) i cacciatori più sfegatati, ma anche i contadini meno provetti
all’uso dell’archibugio, i vàa a vulp (andavano
[a caccia] di volpi).
L'economia
delle uova nella società contadina
(05.02.19) Loaröi e loaröle(venditori
e venditrici di uova) erano protagonisti di una economia integrativa
per il sostentamento del gruppo familiare, sia sotto il profilo
alimentare, che per quanto concerne l’introito di qualche pur modesta
somma di denaro...
In
morte di un complesso rurale di pregio
(22.01.19) La
triste parabola di una contrada a oltre 900 m di quota in valle Imagna.
Un tempo abitata tutto l'anno, poi alpeggio, oggi consiste solo di
prati e di fabbricati in rovina. Quelli ristrutturati trasformati a
"uso vacanza".
La méssa dol rüt
(08.01.19) La
méssa dol rüt (la concimaia) era l'elemento chiave di un
paesaggio ordinato che nutriva animali e persone senza inquinare e
sprecare risorse
Il Natale dei contadini. Un rito che non
scompare: la macellazione del maiale (cupaciù)
(23.12.18)
Riti che rivivono, pieni di significato. Ancora oggi la macellazione
del suino è occasione per aiutarsi tra giovani allevatori. Quella
che sembrava una pratica da amarcord da vecchie foto in bianco e nero
possiamo documentarla come un fatto attuale e in ripresa. La sequenza
della macellazione con qualche immagine di insaccatura.
contatti:redazione@ruralpini.it
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