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cultura ruralpina in valle Imagna


I sègn de bén
tra magia bianca e pratica teraputica popolare


I "segnatori" erano guaritori popolari che operavano (operano) su patologie di diverso tipo: slogature, ustioni, contusioni, sciatica, verruche, herpes zoster ecc. In genere i "segnatori" erano specializzati e diagnosticavano e curavano un solo tipo di male. Operavano gratuitamente e traspettevano il loro "potere" a qualcuno (famigliare o no) che ritenevano idoneo. Non mancavano i preti-guaritori che, a loro volta, conferivano a persone da essi scelte la "segnatura". Vi erano anche "segnatori" per gli animali domestici. Segni rituali e preghiere erano a volte accompagnati dall'uso di rimedi fitoterapici o tratti dal mondo animale (il latte, il grasso). di cui oggi è provata l'efficacia farmacologica.



di Antonio Carminati



(17.08.19)   Questo contributo, come quello precedente, "Ol sègn di èrem. Segnare i vermi come pratica di guarigione popolare" (vai qui) e come uno che seguirà, traggono spunto dall’indagine condotta alcuni anni or sono dal Centro Studi Valle Imagna nel villaggio di San Simù (Corna Imagna). Molti si meravigliano che queste pratiche appartenenti a un passato  solo apparentemente tramontato. Evidentemente le evoluzioni culturali dei popoli, connesse al modo di pensare, di agire e al sentire comune delle persone, vanno decisamente più a rilento di quelle materiali e richiedono lunghi periodi di sedimentazione (1)

Sino a tutto il diciannovesimo secolo, la maggior parte della popolazione nasceva, viveva e moriva senza ricorrere all'intervento della medicina ufficiale. Diagnosi e pratiche terapeutiche venivano effettuate direttamente dagli anziani, depositari dei segreti della medicina popolare, o dai guaritori, anch’essi di norma non più giovani, i quali traevano i loro fondamenti nella conoscenza della natura, soprattutto delle risorse contenute nel mondo vegetale e animale, e in una profonda componente religiosa.
Non sempre gli infusi o i decotti bastavano per scacciare la malattia e restituire al soggetto le sue piene funzioni vitali: significava che le forze malefiche erano più forti di quelle benefiche. La consuetudine richiedeva, a questo punto, il ricorso diretto alla divinità. La malattia e la morte erano infatti considerati eventi ineluttabili, predeterminati da forze superiori, frutto dell’eterno conflitto tra il bene e il male.
Quando le terapie della medicina tradizionale e delle pratiche religiose prodotte nell'ambito familiare (con preghiere, uso dell’acqua benedetta, noéne - novene -, pellegrinaggi alla Cornabusa o a tribülìne - cappellette - votive più vicine,…) non sortivano gli effetti attesi, era solito il ricorso alla speciale benedisiù (benedizione) (2) del prete. Si riteneva che le sofferenze e le malattie provenissero dal peccato, causa di ogni male.



Il ricorso al soprannaturale avveniva anche attraverso la pratica esoterica delle "segnature", un tempo molto diffusa, ma ancor oggi presente in modo significativo nella società rurale. Rivelate soltanto a poche persone e provenienti da molto lontano nel tempo, le segnature avevano un profondo fondamento religioso. Coloro che i gh'ìa ol sègn (possedevano il segno) avevano il potere riconosciuto di comprendere e controllare le forze della natura, sottoponendole alla propria volontà. La ritualità delle segnature si collocava all'interno del filone magico nelle manifestazioni di spiritualismo mistico-esoterico, in grado di ottenere una rapida ed efficace connessione tra la sfera dello spirito e quella della materia. I sègn dol bé (segni benefici), quelli che portavano benefici, accolti come benedizioni, si distinguevano da i sègn dol màl, (i segni malefici) cioè le maledizioni.
Nella pratica delle segnature positive, la simbologia del segno della croce, di chiara matrice cristiana, costituiva il fulcro di tutto il rituale, attraverso il quale il guaritore sconfiggeva, con le malattie, anche i malefici che costituivano il presupposto della patologia stessa. I segreti posseduti dai depositari dei segni fanno parte di una eredità antica, giunta sino ai giorni odierni, trasmessa da bocca ad orecchio, nell’ambito di una relazione fiduciaria e segretamente personale. Le malattie, le scottature, le slogature, ... venivano guarite attraverso l'applicazione delle rispettive segnature, all'interno di una cornice magica e misteriosa, che richiedeva una sincera manifestazione di fede da parte del malato. Si diceva che, perchè ol sègn e l'fàghe bé, mè crèdega (affinché il segno gli procurasse giovamento egli [il malato] doveva crederci) ! Al resto provvedeva il guaritore, mormorando parole segrete, recitando preghiere e compiendo determinati gesti, che variavano in relazione alla malattia, sulla parte del corpo colpita dalla patologia. Il segreto della segnatura, oltre che nelle gestualità ad esso connesse, era conservato nello speciale frasario.
Si tende oggi a presentare il rito delle segnature benefiche come pratica di religiosità medievale, ispirata alla magia, alla taumaturgia, all'esorcismo o alla forza della suggestione: seppure tutti "ingredienti" dello stesso, unico ed esteso fenomeno, questi aspetti da soli non bastano per comprendere il rito dei segni. Perché siamo soprattutto in presenza di un'importante manifestazione di religiosità popolare, esercitata a fin di bene, ossia per guarire una persona.
Abbiamo già parlato dol sègn de èrem (del segno dei vermi) nel contributo precedente, ma ci sono almeno altre tre segnature, oggi ancora presenti e richieste: ol sègn de slogadüre, ol sègn de scotadüre e ol sègn dol Föc de Sant'Ántóne (il segno delle slogatire, il segno delle scottature e il segno del fuoco di Sant'Antonio).  Ciascun segno ha la sua storia, collegata di norma a quella del suo depositario e della famiglia di appartenenza, quindi varia da villaggio a villaggio e si confonde con leggende e credenze popolari.



Nel villaggio di San Simù (Corna Imagna), ad esempio, gli anziani raccontano che ol sègn de slogadüre (il segno delle slogature) sia stato trasmesso da un sacerdote (un vescovo, per altri) al pòer Gnéc de la Còrna: quel prelato, durante una visita al villaggio, avendo preso una forte distorsione ad un piede e non potendo operare su se stesso la segnatura (secondo un principio valido per tutte le segnature, che impedisce al detentore di usare su se stesso il potere guaritivo, ma esclusivamente al servizio degli altri), si era trovato nella condizione di trasmettere il segno al pòer
(allo scomparso)Gnéc , affinchè lo guarisse. Così il nuovo depositario del potere curativo operò la segnatura su quell’alto prelato, guarendolo dalla distorsione, ma rimase investito per sempre del beneficio, che continuò ad applicare a favore di tutta la popolazione; prima di morire, lo trasmise a sua figlia, la Celèsta de la Còrna, la quale, poi, lo ha dato in consegna a un familiare, che continua ad utilizzarlo ancora oggi.
La pratica della segnatura contro le distorsioni aveva due versioni, rispettivamente applicabili ai traumi articolari recenti e a quelli già avvenuti nel tempo. Il segno non aveva alcun potere sulle fratture ossee (si diceva, in generale, che i sègn iè bù per chèl tàt de otoretà chè i gh’à - i segni sono buoni  entro i limiti del loro potere) e veniva dispensato attraverso una ritualità semplice, utilizzando una simbologia ben comprensibile a tutti. Anche i materiali occorrenti, l’acqua e la sunda (sugna)(3), sono di uso comune.
Il curatore modella con la mano tre “palline” di sunda e le immerge in una scödèla (ciotola) d’acqua. Poi, mentre recita le orazioni prescritte, alcune delle quali (ossia quelle segrete della formula del segno) sottovoce, prende dalla ciotola una pallina di grasso di maiale e massaggia per bene la zona affetta dalla distorsione. La pallina di sunda viene poi ridepositata nella scodella e sostituita con l’altra, e poi con la terza, e così per tre volte consecutive, sempre massaggiando, contestualmente alla recita delle orazioni, la parte del corpo lesa. A conclusione del rito, il paziente viene invitato alla recita, imposta di solito per il giorno successivo, di ü Pàter, öna Ai Maréa, ü Glòria e ü De Prufùndis (recita un Peter, una Ave Maria, il Gloria e il De prufundis) per il suo santo protettore. Queste preghiere, oltre al carattere propiziatorio, avevano anche un valore quasi penitenziale, di remissione del “male” nelle mani della divinità. La segnatura poteva essere effettuata in qualsiasi luogo, non necessariamente presso l’abitazione del segnatario.



Nel passato il segno delle distorsioni veniva utilizzato anche per gli animali, quando ad esempio una mucca la s’ìa storpiàda sö en dol saltà dó da ü rìol (si era procurata una distorsione saltando giù dall'orlo di un ciglione) , oppure la s’ìa ensopàda (si era azzoppata) : in tal caso, le preghiere venivano imposte al proprietario dell’animale tanto prezioso. Capitava di frequente di dover segnà ol pì d’öna àca (segnare il piede di una vacca) infortunata.
Per la segnatura delle distorsioni non recenti, cioè avvenute parecchio tempo prima, la ritualità prevista seguiva la pratica già illustrata per gli strappi articolari recenti, con la differenza però che questa doveva essere ripetuta per tre giorni consecutivi, e rigorosamente sempre alla stessa ora. Inoltre nei giorni successivi il guaritore non doveva assolutamente chiedere alla persona sulla quale aveva operato il segno se fosse guarita o meno, perché avrebbe inficiato e messo in discussione l’atto di fede iniziale; inoltre l’esercizio delle segnatura non poteva essere effettuata a scopo di lucro, col divieto quindi di chiedere o pretendere compenso alcuno. Eventuali libere e spontanee elargizioni dovevano essere devolute per ol bé de la Césa (il bene della Chiesa).
Depositario di un potere guaritivo analogo contro le distorsioni era anche ol pòer (lo scomparso) Pùcio della Roncaglia, il quale, oltre che la sùnda, utilizzava anche particolari impiastri a base di erbe, di cui non si conoscono più gli ingredienti.
Ol sègn de scotadüre, invece, nel villaggio era esercitato dalla Rösa de la  Corna, che l'aveva ricevuto in dalla propria madre. Si racconta che, anticamente, tale potere fosse depositato presso öna Mafenèta (4), la quale lo ebbe poi a trasmettere alla la Caterina di Regòrda, in occasione di una grave ustione, di cui fu vittima uno dei suoi numerosi figli. La tradizione voleva che la segnatura contro le scottature, applicabile per qualsiasi ustione, fosse dispensata prima di ogni altro medicamento, in quanto anch'essa sostenuta dal presupposto religioso della manifestazione di fede.
Semplicemente, con il pollice della mano destra, il curatore disegnava simbolicamente, per tre volte consecutive, il segno della croce sulla parte del corpo "abbruciacchiata", dimensionato all'estensione dell'ustione, mentre, con voce sommessa, recitava il formulario prescritto e invitava il richiedente il beneficio a pregare e a confidare nelle forze spirituali del bene. Come avveniva anche per tutte le altre segnature, il rito poteva essere ripetuto, anche sulla stessa ferita, a distanza di qualche giorno, a seconda dell'estensione, gravità e profondità dell'ustione. Al termine del rito, quella curarice era solita rincuorare il malcapitato con queste parole:
- Adès endà a cà tò. Mètega sö negót e t'ederé che te spàset (Ora vai a casa. Non coprirla con niente e vedrai che ti passa) ...
!
I consigli alla preghiera e a mètes en mà dol Signùr (mettersi nelle mani del Signore) non mancavano mai al termine di ogni cerimonia.
Contro le scottature esistevano nel villaggio altri due segni, esercitati da altrettanti soggetti depositari del potere di guarire: il primo si avvaleva dell’olio, mentre il secondo, praticato dalla pòera Ghéta de Canìt (di Canito, una contrada di San Simù) , si giovava di impacchi a base di latte. Quella donna era infatti solita affermare: 
- Tra töte i èrbe che gh’è dét en dol làcc, gh’è dét da chèla che fà bé (tra tutte le erbe che ci sono nel latte vi è dentro anche quella che fa bene) (5)!...
Terminiamo questo post riportando una pratica curativa contro le scottature (vedasi l'immagine allegata) tratta dal manoscritto settecentesco, già oggetto di studio da parte della dr.ssa Fabrizia Milani e in fase di pubblicazione da parte del Centro Studi Valle Imagna:
Prendi: Lardo (6) vecchio di porco maschio. Si batte molto bene; indi si piglia un fiasco di aceto forte bianco, e si fa bollire dentro per due hore. Levato dal fuoco, e lasciato raffreddare si raccoglie tutto il grasso, che resta di sopra e si spreme tanto che niente vi resti dentro d’aceto. Si conserva in un vaso di terra vetriato per li bisogni e quanto più vecchia diventa tanto si fa migliore.
Si Unge con questo la parte offesa, e vi si pone sopra un poco di pelo di lepre tagliato [...]. 
Si Unge mattina e sera sempre ponendovi il pelo, et ogni unzione si fa sopra la gia fatta senza nettare la parte, ne levando quella materia fino, che non si stacca da se. 
Quanto più si unge tanto più va declinando il dolore.






Note

(1) Oltre alla spiegazione che vede in queste espressioni una "sopravvivenza" culturale limitata alle classi subalterne, per spiegare come certr pratiche "riappaiono" anche in contesti urbani non si può non fare riferimento ad alcune tendenze postmoderne quali la messa in discussione dei dogmi della scienza e la rivalutazione dei saperi tradizionali e delle pratiche "naturali", fino alla proliferazione di "medicine alternative" che in ampia misura si rifanno a tradizioni esotiche o alla medicina popolare "autoctona".


(2) Non si può non osservare che, al di là dell'aspetto religioso, vi era una forte aspettativa circa i poteri di guarigione (e in generale magici) del prete. Il rispetto per la figura sacerdotale era commisto a un certo timore per i suoi poteri (la capacità di produrre anche la "fisica", ovvero la magia nera). Molti preti utilizzavano la fitoterapia, specie dopo che la scomparsa (almeno apparente) delle streghe aveva reso questa pratica non sospetta. Non a caso un trattato pratico di fitoterapica come quello del prof. dott. Giuseppe Antonelli (vedi bibliografia), con quattro edizioni tra il 1936 e il 1950 era rivolto "in modo speciale ai parroci di campagna". Tra i preti guaritori famosi che utilizzavano le piante medicinali vi era Don Gervasini (el prèet de ratanàa), morto nel 1941 e ancora molto ricordato a Milano a dimostrazione che non si devere ritenere che i guaritori e la medicina popolare fossero un fenomeno relegato nell'ambito rurale. Don Gervasini, come altri sacerdoti guaritori, trasmetteva i "segni" che conferivano a chi fosse ritenuto degno, il potere di praticare attraverso di essi la guarigione.

(3) La sugna (grasso di maiale) era largamente utilizzata nella medicina popolare. Oltre alle propretà emollienti e alla capacità del grasso di veicolare, ovvero far assorbire attraverso la pelle, i principi attivi in grado di sciogliersi nei grassi, facendone la base di unguenti preparati con erbe medicinali o resina, esso posside anche proprietà antisettiche e antiffiammatorie legate all'effetto degli acidi grassi per la qual ragione si spiega in suo largo utilizzo in medicina popolare nella cura di contusioni, slogature, malattie respiratorie.

(4) Soprannome famigliare.


(5) Una credenza con un solido fondamento, dal momento che nel latte filtrano molti principi attivi delle piante .

(6) Vedi n. 3.


Bibliografia (un assaggio)



G. Antonelli,
Le piante che ridanno la salute : ossia le piante alimentari e alcune selvatiche comuni italiane nella medicina domestica , Roma, Libreria pontificia Federico Pustet, 1936.

A. Citelli et al. Int u segnu : guaritori popolari e pratiche magiche nelle Quattro province, Milano,  Associazione culturale Barabàn, 2014


P. Giovetti, I guaritori di campagna. Viaggio attraverso la medicina poplare in Italia, Roma, Mediterranee, 2016.


A. Imbalzano, Segnare la malattia. Ricerca etnografica presso le guaritrici tradizionali nel parmense, Tesi di laurea , Università Cà Foscari, Venezia, 1992

G. Maconi, La medicina popolare in Valle Imagna, Componenti magiche, religiose ed empiriche tradizionali tra l'Ottocento e il Novecento, Sant'Omobono terme, Centro Studi Valle Imagna, 2006.

M. Pirovano, Vermi, donne che segnano, trasmissione dei saperi magico-religiosi. Una ricerca sul campo nel territorio lecchese, in "Annali di S.Michele", 16 (2003), 61-74

M. Savini, La tradizione interrotta. Segni magici e segnoni in Lomellina, in "La Ricerca Folklorica", n 23, (Apr., 1991), pp. 109-114.

V. A. Sironi, Medicina popolare in Brianza : malattia e salute delle classi subalterne nell'alto milanese tra Ottocento e Novecento , Oggiono, Cattaneo, 1998.






Serie di cultura ruralpina (in valle Imagna)

a cura di Antonio Carminati


Ol sègn di èrem. "Segnare" i vermi come pratica di guarigione popolare
(13.08.19)  I guaritori popolari operavano (operano) con varie modalità.  I gesti, i "segni", praticati sul malato (o su degli oggetti), sono tra quelli più caratteristiche. Una delle applicazioni più importanti dei "segni" era relativa alle verminosi, specie quelle che colpivano i bambini.

Quando i bimbi morivano in estate
(05.08.19) Ancora alla fine dell'Ottocento la mortalità infantile in Italia, nel primo anno di vita, era pari al 20%, senza grandi differenze tra la regioni.  Era causata in prevalenza da gastroenteriti, ma anche da affezioni respiratorie e setticemia.  I più piccini i patìa tant per ol prìm cold, soffrivano molto per le prime calure, tanto più che  - in tarda primavera - tutti soffrivano per la fine delle scorte alimentari accumulate per l'inverno

Vita e morte nella dimensione rurale
(03.08.19) Oggi la morte è stata rimossa dalla dimensione sociale, senza per questo allontanarne l'angosciosaincombenza. Anzi. 
L'individualizzazione esasperata la rende inaccettabile in quanto fine di tutto, nell'orizzonte materialista e narcisista della società attuale, limitato all'io, al presente, al piacere,all'efficienza. Nella dimensione rurale, vita e morte si confrontavano tutti i giorni. I cari defunti continuavano, in varie forme, a fare parte della famiglia, della comunità, attraverso varie forme di ricordo e di rito


Quel prato al centro del mondo
(15.07.19) Luglio è il mese della riconquista degli spazi rurali, che al termine della fienagione ritornano ad essere fruibili, con gioia soprattutto per bambini e ragazzi, che finalmente possono correre un po’ dovunque e dare spazio alla fantasia. Il prato era anche una palestra di vita, un prezioso ambito per avviare i fanciulli ai doveri e agli impegni degli adulti.


Giugno: tra intenso lavoro campestre e rito
(16.06.19) Nel mese di giugno, non possono essere dimenticati almeno tre eventi ricorrenti e particolari, assai sentiti e vissuti nel calendario rituale dei contadini: due di essi celebravano i poteri magici della notte, solitamente frequentata dagli spiriti che si volevano propiziare. Queste notti, che cadono nel periodo del solstizio


Il fienile come granaio (in montagna)
(08.06.19) Nella civiltà agropastorale alpina il fieno assume unaforte centralità. Dalla sua raccolta dipende la possibilità di mantenere più o meno animali durante l'inverno, animali da vendere oda utilizzare per il latte, animali produttori del prezioso letame. Dal fieno quindi dipendeva la ricchezza (o la minor povertà, per meglio dire) della famiglia contadina

Tempo di preparazione all'alpeggio
(18.05.19) A Corna Imagna, come in tante realtà delle prealpi, l'alpeggio è praticato spostandosi su maggenghi siti a diverse quote, sino a raggiungere i 1.000 m. Si reata, però, sempre a  moderata distanza dal villaggio. Così il contadino saliva  e scendeva ogni dai pascoli e la sua attività principale continuava ad essere la fienagione. Per le bestie, ma anche per gli uomini, era comunque un periodo atteso.

Maggio: natura fiorita e culto popolare 
(10.05.19) Quando la fede popolare umanizzava e santificava la natura in fiore, i campi, il territorio. Nel mese di maggio, oltre al culto mariano, erano importanti le preghiere e i riti di benedizione delle case, dei campi, dei raccolti ancora incerti. Lo spazio abitato, che andava ben oltre quello "urbanizzato", era presidiato da contrade e cascine e marcato da numerose presenze del sacro, prime tra tutte le  santelle per le quali transitavano le processioni delle rogazioni a marcare lo spazio simbolico della comunità da difendere dal disordine e dalla negatività leggi tutto

Quando la vacca deve partorire. Quand che la aca la gh'à de fà
(05.05.29) Per la famiglia contadina tradizionale, ma anche per il piccolo allevatore di montagna di oggi, l'attesa del parto della vacca è piena di trepidazione. Si spera che nasca una femmina ma si temono le complicazioni del parto. Ancor oggi tutto quello che ruota intorno alla riproduzione bovina nelle piccole stalle è oggetto di pratiche di solidarietà orizzontale che tengono insieme la comunità degli allevatori locali.

Hanno ucciso la montagna (la fine della grande famiglia del nonno) 

(15.04.19) Nel racconto autobiografico di Antonio Carminati la "grande trasformazione" degli anni '60. L'entrata nella modernità, vista per di più come limitativa e negativa, attaverso l'esperienza di un bambino che vive il passaggio dalla vita patriarcale di contrada a quella della famiglia nucleare e dell'appartamento "stile città", una distanza di un km o poco più in linea d'aria che segna il passaggio traumatico tra due mondi.

Architettura identitaria. I tetti in piöde, bandiere di identità valdimagnina

(06.04.19) In valle Imagna  L'arte delle coperture, della posa delle piöde ha raggiunto particolare perfezione tanto da assumere i connotati di un emblema identitario. Non sono poche, però, le difficoltà nel conservare e far rivivere questo patrimonio di valori culturali (saperi, abilità) ed estetici. Un tema per un utile dibattito con il coinvolgimento delle comunità locali e non solo degli addetti ai lavori.

Pecà fò mars  Il rito della definitiva cacciata della cattiva stagione
(31.03.19) Dopo il carnevale, ancora una volta, per cacciare la brutta stagione, soprattutto la sua pazza coda di marzo, occorre produrre altro rumore, diffondere suoni anche strani nell’aria, insomma fare chiasso e… tanto baccano.  La funzione è sempre stata duplice: da un lato allontanare gli spiriti del male, dall’altro richiamare ad alta voce la bella stagione, facilitando così il risveglio della natura

Omaggio ai boscaioli emigranti (eroi del bosco, martiri del lavoro)
(25.03.19) Una vita di sacrifici durissimi, di frugalità, di duro lavoro quella dei boscaioli bergamaschi che emigravano abbandonando le loro valli e le loro famiglia a marzo per recarsi in Svizzera e in Francia. Doveroso ricordarla.

La gestione del letame nell'economia agropastorale montana

(20.03.19) Lo spargimento del letame nei prati e campi di montagna, utilizzatonaturale. Almeno così era nel passato.  quale fertilizzante, è forse una delle attività maggiormente faticose, ma anche più importanti, sul piano della conclusione di un ciclo.

La stalla e gli altri manufatti dell’edilizia tradizionale

(03.03.19) Una stalla, un prato, un pascolo, una vacca, quando sono in grado di accogliere relazioni generative con la popolazione locale, e quindi di esprimere i caratteri di una visione, rappresentano dei valori, più che dei beni o delle merci. Francesco, Ugo e tanti molti agiscono come tante api operaie, ossia contribuiscono in modo determinante a sostenere l’ossatura e il futuro del “sistema montagna” delle Orobie, presidiando il territorio e difendendo l’insieme delle sue caratteristiche naturali e antropiche.

La distillazione della grappa (una tradizione di libertà)
(23.02.19) Oggi molti possono permettersi di acquistare la grappa (e il mercato ne offre per tutti i gusti) ma distillare in casa frutta o vinacce gratifica con quel senso di indipendenza, di libertà e, diciamo pure, di sfida. La sfida a uno stato che per non perdere le accise sostiene di vietare la distillazione casalinga per "tutelare la salute", disconoscendo un sapere contadino secolare (l'alambicco si diffonde dal Cinquecento).

La caccia alla volpe (e al lupo) nella realtà contadina
(15.02.19) Nel periodo più freddo e nevoso dell’anno, quando cioè gli uomini avevano tempo a disposizione, öna ölta (una volta) i cacciatori più sfegatati, ma anche i contadini meno provetti all’uso dell’archibugio, i vàa a vulp (andavano [a caccia] di volpi).


L'economia delle uova nella società contadina
(05.02.19) Loaröi e loaröle(venditori e venditrici di uova) erano protagonisti di una economia integrativa per il sostentamento del gruppo familiare, sia sotto il profilo alimentare, che per quanto concerne l’introito di qualche pur modesta somma di denaro...


In morte di un complesso rurale di pregio
(22.01.19)
La triste parabola di una contrada a oltre 900 m di quota in valle Imagna. Un tempo abitata tutto l'anno, poi alpeggio, oggi consiste solo di prati e di fabbricati in rovina. Quelli ristrutturati trasformati a "uso vacanza". 



La méssa dol rüt
(08.01.19) La méssa dol rüt  (la concimaia) era l'elemento chiave di un paesaggio ordinato che nutriva animali e persone senza inquinare e sprecare risorse


Il Natale dei contadini. Un rito che non scompare: la macellazione del maiale (cupaciù)
(23.12.18) Riti che rivivono, pieni di significato. Ancora oggi la macellazione del suino è occasione per aiutarsi tra giovani allevatori.  Quella che sembrava una pratica da amarcord da vecchie foto in bianco e nero possiamo documentarla come un fatto attuale e in ripresa. La sequenza della macellazione con qualche immagine di insaccatura. 



contatti:redazione@ruralpini.it

 

 

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