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(04.07.09)
Si
moltiplicano le polemiche dopo la proclamazione delle
Dolomiti quali "Patrimonio dell'Unesco"
E'
rissa tra le provincie interessate mentre i veri
amici della montagna affidano alla stampa amare considerazioni.
Quale idea di montagna c'è dietro tutto questo?
Il 26
giugno scorso, appena ufficializzata la notizia che i 21 componenti del World
Heritage Committee riunito a Siviglia avevano votato l'inserimento delle
Dolomiti nel 'Patrimonio naturale dell'umanità, si sono scatenati inopportuni
commenti di tono calcistico. 'Una grande vittoria dell'Italia' ha commentato la
ministra all'Ambiente, Stefania Prestigiacomo (presente alla proclamazione).
Scusi ministra, ma è 'Patrimonio naturale', non 'Patrimonio culturale'; ha
compreso la distinzione? Le Dolomiti iniziarono a formarsi 250 milioni di anni
fa e l'ultimo e definitivo sollevamento è di 4-5 milioni di anni fa. Se ha poco
senso vantarsi per l'eredità culturale di secoli o millenni fa non ne ha nessuno
l'orgoglio 'nazionale' per un patrimonio naturale di natura geologica. Anche
i media, però, non sono andati per il sottile e hanno annunciato
trionfalisticamente che l'Italia con 44 siti Unesco (42 culturali e 2 naturali)
è saldamente in testa alla classifica. L'Italia, che era il paese
tradizionalmente leader nel turismo internazionale, si è fatta superare dalla
Francia, poi dalla Spagna, dagli Usa e, in ultimo, dalla Cina. Anche se avessimo
100 siti Unesco ciò basterebbe a risalire la china?
Un motivo
per frenare l'entusiasmo viene anche da Lipari dove, dopo la proclamazione
dell'arcipelago delle Eolie quale 'Patrimonio naturale' Unesco, l'attività di
estrazione della pietra pomice è stata bloccata (probabilmente giusto ai fini
della tutela, ma i contraccolpi sono stati previsti?) e l'amministrazione locale
ha dovuto pagarsi i cartelli con l'indicazione del riconoscimento Unesco.
Il timore
- non del tutto ingiustificato - che l'inserimento nel 'Patrimonio dell'umanità’
implichi vincoli ('una campana di vetro', 'una riserva indiana' solo le
espressioni utilizzate) ha messo in moto la reazione dei bellunesi. Da parte di
forze politiche e imprenditoriali bellunesi si teme una penalizzazione della
propria area. Esse, infatti, paventano la subalternità a Bolzano e, in minor
misura, a Trento, provincie che - grazie alle risorse dell'autonomia - hanno da
tempo realizzato opere di 'valorizzazione turistica'. A Belluno, insomma, c'è
chi accusa i privilegiati di difendere i propri vantaggi e di impedire a Belluno
di colmare il ritardo nello 'sviluppo turistico', magari con il pretesto
dell'Unesco (dettaglio non trascurabile, a Belluno c'è una nuova maggioranza di
centro-destra allineata con la Regione Veneto, a Bolzano e Trento ci sono
maggioranze, sia pure sui generis, di centro-sinistra).
Se si
aggiungono le polemiche sull'autonomia 'dolomitica' pagata dai
contribuenti lombardo-veneti, sui privilegi 'feudali' goduti dalle provincie
autonome, sul 'secessionismo' di Cortina (verso Bolzano) e di Asiago (verso
Trento), si capisce come la questione della gestione del 'Patrimonio
dell'Umanità' abbia innescato, tra Belluno e il Veneto da una parte, Bolzano e
Trento (quest'ultima in posizione più defilata) dall'altra, una rissa politica.
Nei titoli dei giornali si parla già di 'battaglia' e, persino di 'guerra'.
In
concreto, oltre alle regole di tutela, è in gioco la sede della
Fondazione (da creare entro 18 mesi dalla proclamazione). Belluno la rivendica a
spada tratta e ne fa questione di vita o di morte. A Bolzano ribattono che la
sede è già pronta. A Trento, ineffabili e sornioni, propongono una sede a
rotazione delle 5 provincie interessate (sì, perché oltre a Belluno, Bolzano e
Trento ci sono anche Pordenone e Udine). Ottime
premesse.
Tutto qui?
Ma va! Sul fronte ambientalista Mountain Wilderness e Luigi Casanova (Cipra)
dichiarano la loro delusione totale. Mountain Wilderness che, insieme a
Legambiente e a Sos Dolomites, rivendica la primogenitura dell’idea dell'Unesco
attacca: "L’elemento rivoluzionario della proposta originale stava nell’aver
incluso entro i confini l’intero territorio dolomitico, dal Sarca al
Tagliamento, compresi i fondovalle e gli abitati. E ciò allo scopo di unire in
un unico discorso coerente natura e cultura. La nuova proposta privilegierà un
approccio riduttivo identificando solo alcune e circoscritte zone di alta
montagna. Sussiste il timore che nell’ottica dei proponenti l’inserimento a
pelle di leopardo di spezzoni delle Dolomiti finisca con l’equivalere a qualcosa
di pericolosamente simile ad un mero marchio turistico di qualità". Dice Luigi
Casanova: "Ci aspettavamo la candidatura a patrimonio culturale, non ambientale;
saranno tutelati solo i picchi delle montagne, e non il contesto storico e
sociale delle vallate. Temiamo che le Province intendano utilizzare il 'marchio'
Unesco a soli fini turistici, senza impegno nella conservazione del paesaggio".
Non è da
meno il Prof. Giorgio Daidola che su l'Adige del 28 giugno parla di 'buffonata',
di una 'trovata turistica' fatta a fini turistici e commerciali che servirà
alla Provincia per nascondere altre 'marachelle' (viene in mente l'uso - analogo
- dell'orso). La risposta indignata dell'assessore al turismo, Mellarini, non si
è fatta attendere e ha ribattuto: 'se l'Unesco ha avuto l'attenzione di
concedere questo prestigioso riconoscimento, credo sia frutto anche di
comportamenti passati e del segnale forte che abbiamo dato sul fronte del
rispetto dell'ambiente e del territorio'. Ma Mellarini dimentica che si tratta
di patrimonio geologico e geomorfologico (costituito da quella roccia che
Déodat Guy Silvain
Tancrède Gratet de Dolomieu ha reso così famosa). Per
definizione non è un riconoscimento al territorio visto che si tratta di 9
distinti ambiti di alta montagna che si qualificano per picchi, pareti e
ghiacciai e non per la qualità del paesaggio antropizzato. Ovvio che se ci
fossero stati gli ascensori che portano sulle cime, i resort ai piedi delle
pareti, i luna park turistici troppo
sfacciati a disturbare il fondale, a Siviglia il pollice di parecchi
membri decisivi si sarebbe rivolto verso il basso. Però da qui a dire che è
stata premiata la conservazione dell'ambiente in Trentino... ce ne corre.
Un
fondale, già. Nulla di male in sé. Ma questa idea della montagna-fondale, della
montagna dove si privilegia la roccia e non l'uomo nasconde dei pericoli. Il
pericolo è quello che le Dolomiti divengano ancor più marchio e icona turistica,
che si promuova un turismo che è già poco sostenibile (seggiovie, funivie, neve
artificiale e 'autostrade dello sci', vie ferrate dove si fa la coda,
concentrazioni assurde di presenze attirate dai paesaggi-icona, serpenti di auto
sui passi). Che le Dolomiti come territorio di genti e culture alpine siano
state 'bocciate' in quanto 'Patrimonio Unesco' è peraltro una sconfitta. Al di
fuori dell'immaginario delle genti Dolomitiche, delle affascinanti leggende,
della stessa 'costruzione sociale' delle Dolomiti messa in moto da Dolomieu
siamo sicuri che le rocce (sia pure con la loro meravigliosa morfologia)
avrebbero quel grande valore? La contemplazione estasiata di un pinnacolo o di
una parete sono elementi indipendenti da filtri culturali? Il freddo dato
scientifico, paleontologico giustificherebbe l'elevazione a 'Patrimonio
dell'Umanità'? Di certo no. E allora perché isolare il valore naturalistico da
quello culturale?
Ci spiace
che 9 isolotti siano estrapolati da un tessuto territoriale. Ci spiace che
queste Dolomiti 'canonizzate' dall'Unesco accentuino l'apprezzamento per la
montagna 'eccezionale', per le 'emergenze', per il fondale scenico. La montagna
non ha bisogno di veder puntare i riflettori sui 'gioielli'. Le mille valli
alpine nascondono tesori grandi e piccoli di cultura e di natura. Alle montagne
sotto i riflettori corrispondono troppe montagne in ombra che potrebbero
recuperare vitalità se un po' dei flussi che si dirigono verso i luna park si
distribuissero nelle mille vallate.
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