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2008

 

Nei cespuglieti la capra trova un pabulum ideale e opera una azione efficace di contenimento del rischio di incendio

Ginestreto percorso dal fuoco

Questi ontani sono stati defogliati dalle capre. In assenza di questa azione di 'potatura' il pascolo verrebbe invaso sottraendo ai bovini quanto resta del pascolo erbace (sullo sfondo  rimboschimenti artificiali con Abete rosso preda del Bostrico in quanto realizzati al di fuori dell'habitat della conifera).

Capre al pascolo in 'neoformazioni' classificate bosco dalla legge regionale e quindi ad esse vietate. Nessuno viene a fare un verbale ma perché mantenere certe norme assurde? Gestire le capre in alpeggio è giustificato solo se producono latte. Valorizzare le produzioni è un modo efficace per consentire di ottenere un reddito più elevato che consenta di mantenere come un tempo un addetto alle capre in alpeggio.

 Oggi troppe mandrie alimentate con mangimi non si allontanano dalle casere degli alpeggi (e così i cespugli avanzano). Mandrie come questa rischiano di vedersi riconoscere ai fini dei contributi una superficie inferiore a quella effettivamente pascolata mentre le mandrie 'pigre' ottengono più contributi rispetto alla superficie pascolata.

I greggi ovini svolgono un'azione insostituibile nel recupero dei pascoli degradati. I greggi di pecore da carne, però, per essere gestiti in modo economico devono essere di grandi dimensioni. Spostarli, recintarli comporta un lavoro non indifferente e una grande professionalità. Se per esigenze di 'multifunzionalità' si volesse ricorrere a greggi più piccoli è necessario corrispondere al pastore la differenza del mancato reddito.

Come se non bastassero gli altri problemi ci sono anche le anime belle ambientaliste che protestano per un cespuglio di piante infestanti dei pascoli. La foto si riferisce al sito delle Foppe di Braone (siamo sempre in Valle Camonica) dove è sorta una polemica perché le pecore avevano 'devastato' gli ontani.

 

(05.09.09)  

 

Da un incontro tecnico  in un alpeggio del demanio regionale lombardo emerge quanto sia difficile utilizzare il pascolo come mezzo di 'manutenzione ambientale'

 

Troppe normative, troppe competenze, troppi 'piani' e autorizzazioni. Come è difficile la gestione multifunzionale dello spazio silvopastorale

 

Negli ultimi anni la produzione normativa in materia forestale in Lombardia è stata 'rigogliosa'. E' vero che alcune norme abrogano quelle vecchie, ma in pochi anni leggi, regolamenti, circolari sono stati prodotti a raffica e gli stessi addetti ai lavori fanno fatica a raccapezzarsi.

Le deleghe agli  'enti forestali' (provincie, comunità montane, enti gestori di aree protette), la possibilità di applicare le norme generali regionali  in modo (teoricamente) flessibile attraverso i  'piani di indirizzo forestale' sono tutte cose sulla carta positive. Si fatto, però, sono molti gli enti delegati con competenze in materia e molti gli enti gestori dello spazio silvopastorale. La normativa poi cambia (e anche i soggetti responsabili della sua attuazione e controllo) se il territorio è compreso entro i limiti della ormai estesa rete di Parchi, Riserve e siti Natura 2000 (SIC e ZPS).

Di fronte a tutto ciò vi è il  disorientamento dei soggetti chiamati concretamente a gestire la materia come  si è potuto verificare il giorno 3 alla Malga Rosello (sede del Centro faunistico della Provincia di Brescia) in occasione della giornata di Forestry Education organizzata da Ersaf (Ente regionale per i servizi agricoli e forestali) con il titolo:  'I miglioramenti ambientali a scopo faunistico; il recupero funzionale delle aree pascolive marginali'. 

Va premesso che lo scopo dell'iniziativa era quello di verificare le possibilità di una gestione del pascolo finalizzata anche a precisi obiettivi ambientali, in vista di un rapporto tra esigenze faunistiche, forestali, pastorali che vada al di là della mera 'convivenza'. Il sito dove si è svolta la Giornata è stato scelto in quanto ricade all'interno del grande comprensorio della Foresta Val Grigna del Demanio regionale (gestito da Ersaf). La pproprietà regionale comprende 22.000 ha distribuiti in 9 comuni della Valle Camonica e della Val Trompia. Numerose sono le malghe ancora caricate dove si producono  pregiati prodotti caseari. Il comprensorio ha anche un grande valore faunistico (presenza di Gallo cedrone) e sono in atto, o in procinto di essere attivati, diversi progetti per  valorizzarlo dal punto di vista turistico, storico-culturale, naturalistico; il tutto senza ovviamente dimenticare la centralità dell'attività pastorale che da millenni ha plasmato il paesaggio.

Nella fattispecie presso la Malga Rosello sono stati attivati degli interventi di miglioramento ambientale a fini faunistici consistenti nell'effettuazione di operazione di taglio di Ontano alpino all'interno di dense formazioni arbustive. Di questo e altro si è discusso in occasione delll'incontro.

 

Tra gli addetti ai lavori c'è perplessità e pessimismo

Da parte delle decine di tecnici ed esperti convenuti  si è concordato che gli interventi di tipo meccanico ai fini del ripristino di formazioni vegetali più 'aperte' sono estremamente onerosi e possono essere attuati solo in combinazione con l'attività di pascolo (specie ai fini del mantenimento delle superfici 'pulite'). A questo proposito, però, le difficoltà non sono poche, sia di ordine economico che normativo e si scontrano con il ginepraio burocratico e la poca coerenza di certe norme.

Vediamone alcune considerazioni emerse nell'incontro tecnico a Malga Rosello:

1) i contributi previsti dal Piano di sviluppo rurale per il pascolo escludono le superfici boscate e cespugliate e questo disincentiva i pastori dal mantenere le aree marginali degli alpeggi promuovendo la graduale perdita di superfici per espansione dei cespuglieti e neoformazioni;

2) la Rete Natura 2000 ha posto sotto tutela tutta una serie di formazioni vegetali; ciò  in aggiunta alle previsioni normative precedenti (tipo rododendro  'pianta protetta') rendono impossibile intervenire con il taglio o il pascolo;

3) la legge forestale (L.R. 31/2008) all'art 51, comma 4 consente il pascolo in bosco con la finalità di 'prevenzione di incendi boschivi e di conservazione del paesaggio rurale' (l'idea che gli animali pascolino in bosco per alimentarsi - come avviene da millenni - è evidentemente considerata eresia) ma lo condiziona ai piani di indirizzo forestale e, in mancanza di essi, ad apposita autorizzazione dell'ente competente in materia forestale e, in ogni caso al rispetto delle norme forestali.

Ricordiamoci che nel vigente regime burocratico ottenere autorizzazioni significa pagare un tecnico progessionista, produrre mappe, citare parcelle catastali ecc.

 

E cosa dicono le norme forestali?

Che il pascolo è consentito solo nelle fustaie mature con altezza media delle piante superiore a 10 metri e, nei cedui, solo dopo 10 anni dall'ultima ceduazione. Che è vietato nelle fustaie disetanee ed irregolari, che è vietato nei boschi percorsi dal fuoco da meno di 10 anni, che è vietato ... nei boschi di neoformazione sino allo stadio di perticaia (ovvero i 10 m di cui sopra).

Ma almeno nei cespuglieti si può pascolare? Macchè. Posto che se sono compresi nell'ambito della Rete Natura 2000 si ricade nei vincoli di cui sopra, è l'assurda definizione di 'bosco' della legge forestale a precludere anche questa possibilità. Che cosa dice, infatti, la 'definizione di bosco' (Art. 42 legge forestale regionale). A leggere tutto l'articolo viene da ridere. Praticamente dove c'è un fazzoletto di terra con quattro   cespugli è bosco e va tutelato come tale. Tanto è vero che per dire cosa non è bosco si arriva a sfiorare il ridicolo precisando che ('non sono bosco le coltivazioni di alberi di Natale).

Veniamo all'articolato. Sono considerati bosco: a) le formazioni vegetali, a qualsiasi stadio di sviluppo, di origine naturale o artificiale, nonché i terreni su cui esse sorgono, caratterizzate simultaneamente dalla presenza di vegetazione arborea o arbustiva, dalla copertura del suolo, esercitata dalla chioma della componente arborea o arbustiva, pari o superiore al venti per cento, nonché da superficie pari o superiore a 2.000 metri quadrati e larghezza non inferiore a 25 metri;

b) i rimboschimenti e gli imboschimenti; c) le aree già boscate prive di copertura arborea o arbustiva a causa di trasformazioni del bosco non autorizzate.   La colonizzazione spontanea di specie arboree o arbustive su terreni non boscati dà origine a bosco solo quando il processo è in atto da almeno cinque anni.

 

E'evidente che è una norma superprotezionista che eredita definizioni che andavano bene 60 anni fa quando i boschi erano stati decimati ma che ora è assurda dal momento che, come dovrebbero capire tutti, la montagna va difesa dall'avanzata del bosco. E' bosco anche un terreno che era pascolato sino a 5 anni prima e che ora è invaso per il 20% da cespuglietti (non da alberi, attenzione). Altre regioni almeno definiscono un minimo di sviluppo in altezza di questi arbusti. La legge lombarda no. E' radicalmente boschista, boscofila (nel disinteresse dei politici per simili quisquiglie non ritenute abbastanza 'politiche').  Sappiamo bene con quale velocità gli arbusti (rododendro, ontano vere, ginepro, rosa canina, rovo, lampone, ginestra ecc.) invadano prati e pascoli (specie a quote non elevate in condizioni climatiche insubriche). Se per pochi anni un pascolo non viene utilizzato diventa bosco e non si può più pascolare. Può succedere semplicemente perchè l'alpeggio 'salta' un contratto di affitto, perché una zona del pascolo non viene utilizzata, perché - con la compiacenza degli organi di controllo - i pascoli vengono affittati ad aziende della pianura che non mandano in alpeggio bestiame e pagano l'affitto solo per avere i contributi e ridurre il carico di Uba ... e il pascolo di incespuglia).

 

Le norme forestali dicono poi che il pascolo delle capre nel bosco è vietato. Considerato cosa si intende per bosco e considerato che la capra è l'animale più utile per 'pulire' le boscaglie e contenere l'avanzata delle neoformazioni di piante legnose

non si può non concludere che si vuole caparbiamente, ostinatamente restare fermi ai pregiudizi di secoli fa. Inoltre gli animali che pascolano nel bosco devono essere custoditi confinandoli con recinzioni elettriche (una previsione che non tiene conto che il pastore con i cani anche se non è costantemente presente sul posto può benissimo 'controllare' il gregge e che posare le recinzioni implica un notevole aggravio di manodopera).

 

Quanto alla possibilità degli 'enti forestali' di applicare deroghe e forme di 'flessibilità' ai piani di indirizzo si deve purtroppo osservare che nessuno ha osato sfidare il conformismo. La cultura 'forestalista' dei tecnici addetti ai piani (spesso estranei all'ambiente locale e quindi operanti molto a tavolino) è sempre quella e non ci si poteva aspettare molte novità. Politici e amministratori locali delegano agli 'esperti' e gli 'esperti' ragionano in modo settoriale applicando i criteri delle loro discipline consolidate (altro che multifunzionalità e ruralismo!).

 

Dalla 'tolleranza' al riconoscimento del ruolo di pubblico servizio del pascolo estensivo

Si dirà (ed è stato osservato anche all'incontro a Malga Rosello) che tutte queste prescrizioni e il sostanziale conformismo forestale nella realtà dei fatti non vengono fatti osservare e che c'è 'tolleranza'. A parte che non si capisce perché si debbano mantenere norme anacronistiche per poi disattenderle quello che non si vuole capire è che il pascolo nelle aree marginali è esercitato non solo per reperire risorse foraggere a basso costo e avvantaggiare gli allevatori/pastori, ma anche per 'tutelare il paesaggio e la biodiversità'. Ma mantenere gli animali in zone a forte pendenza, cespugliate, di difficile accesso implica un forte impegno da parte dei conduttori delle greggi/mandrie. Come è possibile che questo tipo di pascolo multifunzionale sia esercitato 'di sfroso'? Deve, al contrario, essere riconosciuto e prevedere una integrazione di reddito. Esso è, almeno in parte, 'pascolo di servizio' ovvero esercitato in modo produrre pubbliche utilità. E perché questo 'servizio pubblico' non dovrebbe essere riconosciuto e remunerato?

 

Se non si risolvono questi problemi continueremo a vedere buttare via i soldi in 'interventi ambientali' del tutto inutili. Mantenere le praterie aride ricche di biodiversità con i decespugliatori, tagliare le ceppaie di ontano o di altri arbisti con la motosega, entrare con le frese e le trince a 'pulire' i terreni inarbustiti non serve a nulla. L'animale è dal neolitico l'alleato naturale dell'uomo nel 'gestire' la vegetazione. Solo la supponenza della nostra epoca tecno-scientifica che crede di sostituire con i saperi 'esperti' , le tecnologie, l'uso concentrato e dissipatorio dell'energia la saggezza accumulata dall'uomo pastore-contadino può pensare di fermare i boschi con le macchine e non con gli animali e con il fuoco (proibitissimo in Lombardia, utilizzato legalmente in Svizzera ai nostri confini).

Se non c'è il morso dell'animale che bruca i ricacci le azioni di taglio meccanico sono inutili, le piante arbustive ricrescono più vigorose. E poi (come dice proprio oggi sulla stampa il Ministro Zaia a proposito delle greggi impiegate per 'manutenzione ambientale') gli animali solo 'operai a buon mercato'.

 

Nell'incontro di Malga Rosello si è anche detto che il pascolo estensivo, invece che essere ostacolato, dovrebbe essere incoraggiato al massimo in quanto forma altamente ecologica di produzione (sia pure in quantità limitate) di alimenti sani ottenuti senza usare combustibili fossili. Scarsamente efficiente dal punto di vista della economia di mercato delle commodities il sistema di pascolo estensivo, che non 'ruba alimenti' alla disponibilità delle popolazioni umane, è estremamente efficiente in termini energetici in quanto converte l'energia solare in carne e latte di alta qualità. Le deiezioni degli animali vengono sparse sul pascolo e riciclate dalla vegetazione evitando accumuli, perdite e lisciviazioni massive come nel caso della zootecnia intensiva che produce latte e carne a prezzo di un forte impego di cereali, ottenuti con grande dispendio di carburanti, acqua di irrigazione, concimi chimici e pesticidi.

 

Servirebbe una svolta culturale. Il pastoralismo è oggi una cenerentola, un figlio di nessuno. Il settore agricoltura ragiona sempre (erroneamente) in termini di efficienza aziendale e di mercato, quello foreste in termini di prevalente 'protezionismo'. Due logiche opposte che non si incontano. Il pastoralismo ne fa le spese.

 

 

 

 

 

 

 

 

pagine visitate dal 21.11.08

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