(13.08.09)
Una incredibile campagna
della Provincia Autonoma di Trento presenta gli allevatori
come accattoni per indurre sensi di colpa nei consumatori
e distogliere dalla politica provinciale le colpe della
crisi zoocasearia. Di seguito i commenti di M.
Corti e G. Pallante
Spregiudicata
campagna pubblicitaria della Provincia Autonoma di Trento
per indurre i trentini a comprare latticini trentini di Michele Corti
Consumi
locali: pubblicità ingannevole della PAT
di Giuseppe Pallante
Spregiudicata
campagna pubblicitaria della Provincia Autonoma di Trento
per indurre i trentini a comprare latticini trentini
di Michele Corti
Un
allevatore con il cappello in mano (il messaggio suona:
"aiutatemi mangiando latte, yogurt, burro e formaggio
trentino o mollo"). Con questo poster che invita
a non 'rimpiangere il latte versato' inizia la 'campagna
d'autunno' finalizzata a indurre i trentini
a comprare latticini trentini. Di stalle in Trentino,
nel giro di qualche anno, ne sono state chiuse 2.000
e ormai ne rimangono 900. Altra musica in Sudtirolo
dove la difesa della stalla di 10 mucche da latte è
un imperativo etico-morale prima che politico.
Oggi la realtà della globalizzazione ci dice che non
ci sono 'vie di mezzo' e che realtà di piccole aziende
può sopravvivere meglio di una 'a mezza strada'. Quindi
la politica sudtirolese non è 'retorica conservatrice
retrograda' (come potrebbero pensare i bacchettoni
progressisti), ma una scelta necessaria, lungimirante.
A
Trento, invece, la politica provinciale 'progressista'
ha ben pensato di sostenere la stalla 'media-tendente-al-grande' con
pretese di 'imprenditorialità'. Le stalle di Fiavè
con 200 Frisone testimoniano di questa follia.
Una follia prima di tutto ecologica. Essa, però, però
poco turba i politici, compresi i Verdi che
da tempo sono al governo (a Trento domina una
maggioranza bianco-rosso-verde o, se preferite, rosa-verde
in omaggio ai democrat compresa la variante dellaiana).
L'establishment politico si picca di essere
la prima della classe in 'sostenibilità', 'solidarietà',
'democrazia di base' e quant'altro un affettato politically
correct imponga (purchè resti scritto sulla carta
...). Ma anche una follia socio-economica.
Le
rigidità del 'Polo bianco' (qui si fa il latte fresco,
qui il burro, là lo yogurt) L'unica cosa che fanno tutti,
cioè i pochi grossi caseifici comprensoriali, è
il ... Grana padano. Con queste rigidità Latte
Trento faceva latte bio... a lunga conservazione scoprendo
che il consumatore non gradiva (ci voleva un Nobel del
marketing per capirlo!). Le 'economie di scala' si sono
rivelate una camicia di forza quando si è scoperto che
inseguire la globalizzazione con prodotti di massa era
impresa inane. Nella Padania le stalle da 500 Frisone
son già quasi diventate uno standard e dall'estero arriva
un latte a 19 cent. 'Ma il nostro è di qualità
migliore!' sostengono piccati a Trento, prendendosela
con il consumatore trentino che, pur di lucrare
sul prezzo, è renitente agli appelli autarchici (ma
non si dica così per favore!) lanciati dal Presidente Dellai
sin dall'inizio del 2009.
Il
consumatore è meno stupido di quanto di pensi, però.
Sa che il latte trentino non è meglio di tanti altri
latti. Buona parte del fieno utilizzato dalle grosse
(e nmedie) stalle viene da centinaia di km di distanza
(sarà di prima qualità? In ogni caso è fieno de-territorializzato).
Intanto i pascoli e i prati. materia prima
del marketing territorial-turistico, inselvatichiscono
(l'altra faccia delle maxi-stalle e della valangate
di liquame ad inquinar le fresche acque).
Poi,
come tutte le macchine da latte, le mucche trentine
'vanno a mangime'. In primis le Super-Brown,
orgoglio di una Provincia che si permette il lusso
di finanziare neintemeno un centro di ricerca per
il 'miglioramento genetico' della razza Bruna. E nel
mangime, dovrebbero saperlo in molti oramai, ci
sono sottoprodotti di industrie alimentari 'globali'
ottenuti con procedimenti chimici, ci sono additivi
vari, tra cui gli anti-ossidanti sintetici (sospetti
cancerogeni e che passano nel latte) e, a parte queste
amenità, abbondanza di mais e soia (i pilastri
dell'agricoltura capitalista mondializzata) sotto varie
specie e forme. Quanto sia difficile evitare la soia
OGM è fatto noto.
Da
un confronto con il latte austriaco (ma non solo) quello
trentino uscirebbe male. E allora perché insistere con
questa pietosa storia del 'latte di montagna'? Ma
poi non avete voluto la bicicletta? Non avete creato
il 'Polo Bianco' nelle logiche della concentrazione,
del management, del marketing? Avete inseguito o no
la logica del sistema alimentare industriale? Si! E
allora dovreste sapere bene che la logica di tale
sistema è che una commodity è una commodity, che il
latte è latte. In un sistema dove la sempre maggiore
scala produttiva porta la qualità ad allinearsi al ribasso
e l'unica competitività si fa sulla quantità, sulla
riduzione dei costi e sulla produttività, è il
prezzo (sempre più basso) che conta. Oggi ci sono l'agricoltura
artigianale e qualla industriale. Tertium non
datur.
Ma
poi quali formaggi producono Fiavè e Latte trento? In
gran parte formaggi simili a quelli di altre regioni:
Grana padano, Asiago, Fontal, Mozzarella, Scamorza,
Stracchino + formaggi abbastanza 'standard' con improbabili 'nomi
di fantasia'. Solo un inusitato impulso patriottico
potrebbe indurre il consumatore a comprare lattiero-caseari
trentini quando trova alternative di qualità confrontabile
a minor prezzo. Quando un prodotto ha una 'faccia industriale',
però, non c'è appello al 'local food' che tenga
. E' solo se scatta la molla del connotato artigianale,
del richiamo di un luogo preciso o di un produttore
in carne ed ossa che 'ci mette la faccia' che si solletica
la reazione 'localista', che si fanno scattare
richiami variamente digradanti dall'emozionale al politico
riflessivo. Un 'Polo bianco' è un freddo complesso industriale
e non cambia molto sapere che il latte proviene dagli
allevamenti trentini. Ci sono passaggi che lo rendono
commodity (anche senza riflettere sulla provenienza
globale di ciò che le mucche mangiano).
Ma
nei palazzi della Provincia credono di poter continuare
con la politica dei 'due forni' o, se preferite, del
'piede in due scarpe'. L'assessore Mellarini si agita
per superare 'con l'aiuto di Zaia' (una volta tanto
i leghisti veneti tornano buoni ...) le difficoltà
incontrate nel globalizzare Melinda (i russi 'fanno
i difficili' sui residui di alcuni pesticidi che
in Val di Non si usano regolarmente).
Intanto,
nelle stesse ore, parla di 'pericolo di estinzione per
la nostra zootecnia' e ci si appella alla coscienza
territoriale dei consumatori trentini. Ed ecco che Trentino
s.p.a. lancia una campagna pubblicitaria stile Toscani
per suscitare il senso di colpa dei consumatori. Nella
prima fase della campagna (avviata in questi giorni)
un 'povero allevatore' con il cappello in mano è raffigurato
come se fosse tormentato dal dilemma: mollo o non mollo?
Se mollo - pare essere il messaggio - la colpa è tua
che non compri Latte Trento e mozzarella Fiavè. Questo
il messaggio subliminare escogitato da qualche guru
del caso (Trentino s.p.a. non manca di risorse per il
marketing territoriale).
Una
trovata 'geniale'. In un colpo solo allontanano dalla
politica, per farle ricadere sul consumatore, le
colpe della crisi del sistema zoocaseario trentino e
si fa intendere agli allevatori che 'mamma provincia'
si sta dando da fare.
Gli
allevatori - da tempo gratificati quali 'imprenditori
agricoli nell'ambito dell'ideologia agroproduttivistica
- non hanno gradito però; parecchi sono proprio incazzati.
Non si identificano nella raffigurazione con il cappello
in mano da questuanti (magari di quelle sovvenzioni
che hanno consentito di costruire stalloni e acquistare
maxi-trattori per poi trovarsi al punto di prima).
Che
la politica non sia immune da colpe lo sanno o cominciano
a capirlo. Di certo lo capisce benissimo quella sparuta
pattuglia di allevatori biologici della Rendena (intesa
sia come valle che come razza bovina) che si erano fatti
convincere a passare al biologico (erano 28!). Il caseificio
di Fiavè (Fiave-Pinzolo-Rovereto) ha annunciato di essere
costretto a settembre a rinunciare a ritirare il latte
bio in quanto tale. Significa che lo pagherà 30 cent.
al litro come il latte 'convenzionale'. Una 'minestra'
immangiabile e quindi gli allevatori ... salteranno
dalla finesta e, aiutati dai consumatori (GAS bio),
stanno pensando di mettersi in proprio e abbandonare il
sistema di 'mamma ccoperazione' (ma non sarà una matrigna
'autoreferenziale'?).
E
pensare che a giugno, in una conferenza stampa sulla
crisi del comparto bio (crisi nella crisi), il direttore
unico di Latte Trento e Fiavè, Paoli, non trovava
anch'egli di meglio che attribuire tutta la colpa della
crisi del lattiero-caseario biologico ai consumatori
trentini . Proprio così. La colpa è tutta dei
consumatori.
Consumi
locali: pubblicità ingannevole della PAT
di Giupeppe Pallante
CSIZ (Centro Studi Interdisciplinari di Zooantropologia)
Centro di Trento dell’Istituto Italiano di Bioetica kkokp@tin.it
Nelle ultime settimane la Provincia Autonoma di Trento
facendo seguito ad una campagna promozionale a livello nazionale lancia
l'allarme sullo scarso consumo di latte "della nostra terra" e così
accusa il consumatore locale di scarsa sensibilità verso i prodotti locali: compriamo
latte trentino o piangeremo sul latte versato, recita il messaggio .
Ma è poi vero quanto detto nella campagna che si vorrebbe di
sensibilizzazione al consumatore trentino?
È giusto accusare il consumatore di scarsa sensibilità e
addebitargli in modo abbastanza palese la chiusura di oltre 2000 produttori di
latte?
Proviamo a far parlare le cifre.
Negli ultimi tre anni il Trentino si è dotato di oltre 30
(trenta!!) distributori di latte crudo in quasi tutte le valli,
commercializzato a distanze minime dal luogo di produzione con notevole
vantaggio per gli allevatori che vedono giustamente raddoppiato il loro
guadagno in flessione da oltre vent’anni, i consumatori per la qualità del prodotto
acquistato e per il portafoglio (dal 20 al 30 % in meno di pari prodotto
acquistato in un supermercato) oltre alla difesa dell'ambiente in quanto
attualmente i punti di distribuzione più distanti non superano i dieci
chilometri dal centro di produzione con il risultato di azzerare i costi
elevatissimi dell’attuale trasporto su ruota.
Discorso non molto diverso è possibile fare con il
formaggio. Oltre ai tradizionali Casolet della Val di Sole, Puzzone e Vezzena,
tutti con certificazione dop e riconoscimenti di associazioni nazionali
quali slow food che spuntano mediamente cifre superiori del 30%
alla base del prezzo del latte si aggiunge il costante successo dei formaggi di
malga (dove è possibile produrlo!!!) O forse si dovrebbe dire dove la Provincia
lo lascia produrre?
Il formaggio da acquistare in malga oggi è una pura rarità
se non si è prenotato la forma per tempo (ovvero prima della monticazione
estiva) e quel poco che rimane a male appena soddisfa i consumatori occasionali
di passaggio (se non si è acquistato da prima in valle…) .
Attraverso un processo di marketing ingannevole ancora
una volta si fa di ogni erba un fascio accusando un generico consumatore (che
invece si sta dimostrando sempre più attento alla qualità e accorto al
borsellino) quanto forse più correttamente dovrebbero ritorcersi contro chi ha
lanciato questo appello.
Chi in tutti questi anni ha sbagliato la politica agricola
ispirandosi alla pianura padana (altro che “identità e tradizioni” come recita
il messaggio) favorendo le grandi concentrazioni come i mega impianti (il polo
bianco del latte) del caseificio di
Fiavé o lo sviluppo zootecnico di modelli con grosse concentrazioni di capi
bovini in stalle di montagna; come mai non si è pensato ai “nostri pascoli e alle nostre montagne” prima?
Ci si è dimenticato quali messaggi proponevano i vari
consulenti pagati dalla Federazione Allevatori (produrre latte in più…riduzione
dei costi…aggiornamento tecnico…genetica….)
Quando si è deciso di abbandonare la bovina tradizionale locale,
grigia, bruna alpina o rendena, a discapito delle alte produzioni fornite dalla
pezzata nera olandese o della brawn swiss americana?
Chi invece di difendere i piccoli caseifici di valle e le
piccole produzioni aziendali - da 1 a 5
capi bovini adulti recitava la scheda di profilassi sanitaria di una volta
- vero patrimonio del territorio, facili
da gestire (anche part-time) , a basso costo e rispettose
dell'ambiente (sia per lo sfalcio dei terreni che veniva di norma effettuato
che per lo smaltimento dei liquami) ha permesso lo sviluppo di aziende da
100 e passa capi?
Chi invece di favorire la
diversificazione si è ispirato a modelli di pianura con alimentazione
essenzialmente composta da concentrati e fieno di pianura in
quanto impossibile garantire foraggio in autosufficienza e gestione di liquami
inquinanti che richiedono bioconvertitori?
Siamo sicuri che il latte che
pensa di proporci la provincia abbia ancora un qualche cosa di trentino?
Siamo sicuri che tutto ciò è
ancora colpa del consumatore che non apprezza il prodotto locale?
Perché allora non si dice a chiare
lettere “signori comprate i prodotti del caseificio Industriale di Fiavé che vi
piacciano o no perché altrimenti non sappiamo più come fare e ci toccherà
sempre pagare per mantenere in piedi il nostro fallimento agricolo?
A pensare male a volte… ma il dubbio che sorge spontaneo non è che una
volta lanciato il sasso ovvero l’allarme per la scarsa sensibilità dei
consumatori trentini poi ai politici diviene gioco forza foraggiare il carrozzone
messo in piedi inopinatamente?
Del tipo: io vi ho avvisai, vi ho sensibilizzati…voi non mi avete
dato retta…e quindi…mi tocca!
Si chiede troppo ai promotori di questo campagna di sensibilizzazione
nel rivolgere il messaggio in positivo, dove magari si ringraziano i piccoli
allevatori che ancora si impegnano su questo faticoso sentiero e i consumatori
locali che ne apprezzano la qualità e nello stesso tempo la sinergia (che bel
termine!) di entrambi nel valorizzare il territorio locale e difendere
l’ambiente?
Possibile che si preferisce sparare indifferentemente addosso a tutto e
tutti pur di non riconoscere almeno per una volta i propri errori?
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