(28.08.09)
Nella montagna varesina
si rilanciano le antiche tradizioni di lavorazione del
latte di capra
Avviata
la procedura di riconoscimento quali 'Prodotti tradizionali
della Regione Lombardia' di prodotti fortemente radicati
nella cultura locale
La
provincia di Varese si è vista riconoscere, prima in
Italia, un prodotto Dop caseario derivato da puro
latte caprino: la Formaggella del Luinese. Eppure, senza
sedersi sugli allori, l'amministrazione provinciale,
settore agricoltura, ha pensato bene di raccogliere
le sollecitazioni delle organizzazioni agricole e di
eseguire nel 2008 un'indagine approfondita sulle
tradizioni locali di lavorazione del latte caprino.
Tanto interesse è motivato dal carattere strategico
che l'allevamento caprino riveste nella montagna varesina,
ma anche nella fascia collinare. Grazie al sorgere (a
partire dalla fine degli anni '70) di numerosi nuovi
allevamenti a carattere professionale il comparto caprino
ha assunto non solo una sua dignità alla pari di altri
settori della zootecnia, ma, grazie al suo ruolo dinamico,
ha fatto da volano al rilancio della zootecnia in alcune
aree del territorio. Ha anche dato vita ad
un importate indotto turistico, non solo grazie ai numeosi
agriturismi ma anche attraverso la valorizzazione dei
formaggi caprini locali nell'ambito della ristorazione
tipica.
Dall'indagine
dello scorso anno è emerso un quadro quanto mai interessante:
il recupero delle lavorazioni tradizionali non ha bisogno
di 'spinte dall'alto' (anche se il sostegno alla valorizzazione
è necessario) perché la riscoperta della tradizione
è già avvenuta, in modo spontaneo. Alcune produzioni
tradizionali non sono mai state abbandonate, altre hanno
conosciuto una ripresa grazie alla passione di allevatori/casari
e di ristoratori. In alcuni casi le tradizioni casearie
locali si sono tramandate grazie all'interesse di comunità
locali per le loro valenze culturali, per il loro ruolo
identitario e di socializzazione.
E'
il caso di un prodotto molto particolare: il furmagg
de ségia. Ad Arcumeggia (in Val Cuvia) tutti gli
anni si organizza la Festa del furmagg de ségia
(che qualcuno chiama anche bicc'). Tutti gli
anni l'anziano 'decano' titolare dei segreti della preparazione
del furmagg de ségia lo prepara come una volta.
Pezzi di formaggio caprino (acquistati da allevatori
della zona) vengono collocati a strati (spoverati di
pepe) in un recipiente di legno con le doghe, chiuso
da un coperchio. La preparazione deve essere accuratamente
seguita aggiungendo siero, latte o panna nel primo periodo
ed allontanando l'eccesso di liquido successivamente.
Dura circa 40 giorni e il risultato è, come si può immaginare,
di gusto forte data la maturazione spinta che porta
la massa ad una consistenza quasi liquida. Il furmagg
de ségia è oggetto di revival anche in Val Veddasca,
la più settentrionale delle valli varesine. Qui alcuni
produttori e un ristoratore hanno ripreso a produrne
piccole quantità. In passato questo prodotto era preparato
in modo casalingo in ogni famiglia della valle. Chi
non aveva capre acquistava formaggini di capra e piccole
tome dai vicini, le faceva a pezzi e le collocava nella
ségia di famiglia. Produrre il furmagg de
ségia era un rito che scandiva la fine della stagione
di pascolo. Un tempo finito l'alpeggio capre e vacche
andavano in asciutta e l'unico modo di conservare formaggi
'poveri' di piccola pezzatura era .. la ségia.
Era anche un sistema per recuperare formaggi con qualche
difetto (anche se molti anziani asseriscono che sceglievano
pezze di buona qualità). Uno zic di furmagg de ségia
era sufficiente a condire una bella fetta di polenta
e questo spiega perchè questo prodotto era così popolare.
Sono soprattutto gli uomini a ricordare con nostalgia
il suo forte ma gradito sapore.
Parente
del furmagg de ségia è lo zincarlin (sancarlin).
Ha versioni un po' diverse in Canton Ticino e nel
Comasco. Quello varesino si otteneva utilizzando un
contenitore meno rustico rispetto alla sègia
(espressione di una 'civiltà del legno' montanara. In una ula
di terracotta denivano sistemati pezzi di formaggini
di capra (o misti) a coagulazione lattica (detti anche
furmagina) con eventuale aggiunta di pezzi di
formaggio vaccino. Il zincarlin è 'tornato in
vita' per opera di alcuni allevatori che hanno saputo
cogliere l'interesse del mercato per un prodotto spalmabile
e aromatizzato. Oggi oltre al pepe si usano aglio e
cipolla e, ancor meno tradizionali, prezzemolo e peperoncino
per assecondare i gusti e la moda. La lunga maturazione
è stata sostituita da un periodo di prepazione più breve
(massimo due settimane invece che quaranta giorni) e
si parte da formaggini meno stagionati. Il furmagg
de ségia, più austero, resta fedele alla tradizione:
solo pepe. In realtà anche il pepe era una volta un
lusso. Il 'decano' del furmagg de ségia di Arcumegga
ricorda che il pepe lo metteva chi poteva. Chi lo usava
regolarmente era l'oste del paese che lo usava senza
risparmio ... per vendere più vino ai clienti.
Veniamo
ora al frumagit di Curiglia con Monteviasco.
E' un formaggino caprino presamico (ma la coagulazione
può protrarsi anche più di un'ora) di piccola pezzatura.
La particolarità è la forma ovale (in realtà a cilindro
elissoidale). La forma deriva dal tipo di stampo: la
'tromba' o caròt. Trattasi di un tubo metallico
forato allargato ad imbuto ad una estremità (da dove
si 'carica' la cagliata). I frumagit terminato
lo spurgo venivano ottenuti tagliando con il coltello
alla stregua di fette di salame la pasta che fuoriusciva
dallo stampo. Qualcuno a volte usa ancora la 'tromba'
anche se, di solito si utilizzano i soliti
'bicchierini' di palstica traforata (ma i produttori
intendono farsi fare degli stampini su misura da una
ditta specializzata). Il frumagit era consumato
abitualmente durante il periodo estivo di alpeggio per
l'alimentazione famigliare ma era anche oggetto
di commercio. La reputazione dei formaggini di Curiglia
e Monteviasco (oggi i due comuni sono fusi) era
notevole e le donne portavano a valle (sul lago a Maccagno
e Luino) i formaggini con il gerlo (opportunamente
imballati con fogliame). Al mercato settimanale in piazza
a Luino per un certo periodo (si parla di 40 anni fa)
le donne di Curiglia e Monteviasco avevano un 'posteggio'
assegnato dal comune. La fama dei formaggini era tale
che erano acquistati non solo da privati ma anche da
rivenditori (compresi alcuni della sponda opposta del
Lago).
Il
frumagit (i vecchi pronunciano così che
pare un misto di lombardo e francese) era (ed è) apprezzato
da entrambi i sessi, da giovani e anziani. Oggi
il formaggino presamico fresco e dolce ha assunto un
appeal salutistico che fa presa su nuove categorie di
consumatori. Ma è anche consumato da 'vecchi consumatori'
che, da bambini o giovani, avevano fatto in tempo a
consumare quello fatto dai famigliari o dai vicini.
Ha un buon apprezzamento anche nella ristorazione dove
si presta molto ad antipasti ma anche a piatti principali
(con accompagnamento di verdure e frutta). Come spesso
accade le cose 'di un tempo' sono anche quelle 'up to
date'.
La
storia del frumagit è quella di una riscoperta
solo parziale. Non si è mai smesso di produrlo. Tra
gli anni '70 e '80 al tipo di allevamento famigliare
della capra (spazzato via della fine della società rurale)
sono subentrati nuovi allevamenti. Inizialmente i pionieri
l'hanno fatto alcuni neocontadini 'alternativi' che
si sono insediati nella frazione di Piero di Curiglia
(anche sulla scorta dell'esperienza una comunità di
recupero tossicodipendenti animata da un prete). Sono
seguiti altri allevamenti un po' di gente del posto,
un po' di personaggi venuti da fuori. Da queste prime
esperienze si sono sviluppate diverse realtà imprenditoriali
(spesso accompagnate da attività agrituristica a fianco
di quella zoocasearia). Così il frumagit non
è morto e il testimone è passato.
Va
detto, però, che era diventato un po' la 'cenerentola'.
Oscurato dalla gloria della Formaggella Dop era anche
stato guardato con sospetto negli anni appena trascorsi
degli eccessi igienistici e di caccia alle streghe
(allo stafilococco coag. +). Rispetto ad un caprino
a coagulazione lattica (parliamo sempre di prodotti
a latte crudo ovviamente) viene considerato più a rischio,
dato che manca di qualla forte acidificazione che 'protegge'
da insesiderate proliferazioni il cugino lattico. Ma
è poprio così? Il produttore di Curiglia (nelle foto)
che ha da tempo puntato sul formaggino 'dolce', in anni
e anni di controlli del latte non ha mai avuto 'grane'
con la Lysteria o gli Stafilococchi. Il 'segreto' (si
fa per dire) risiede nell'attenzione alla salute delle
mammelle, nella scrupolosa pulizia di attrezzi e locali.
E' qualcosa di possibile proprio in una dimensione artigianale
(la maggior parte dei produttori hanno 30-50 capre).
Ma il frumagit ha anche un altro pregio. Il suo
legame con il territorio è dato non solo dal radicamento
nella cultura locale ma anche nella realtà del pascolo.
Tutte le aziende (ma proprio tutte) del frumagit
nei comuni di Veddasca, Curiglia con Monteviasco
e Dumenza utilizzano il pascolo da maggio ad ottobre.
Un piccolo formaggio ma con dietro una storia
e che nasce tra i profumi delle erbe dei prati
e pascoli (prati e pascoli che senza le capre sarebbero
già stati cancellati).
Intorno
al frumagit che, è doveroso ricordarlo, è stato
'identificato' e 'riscoperto' come gli altri prodotti
qui ricordati per iniziativa della Provincia di Varese
si è anche coagulata una 'Comunità del cibo' di Slow
Food che ha già fatto la sua apparizione all'ultima
edizione di Terra Madre. I produttori sono a Veddasca
(Az. Alberti e Az. Carraro), Curiglia con Monteviasco
(Az. Gatta e Vanes a Curiglia, Az. Tasso e Kedo a Piero,
Az. Tosi a Monteviasco), Dumenza (Az. Brancher)
Monteviasco
è raggiungibile solo con una funivia e a piedi con la
mulattiera.
Piero
è raggiungibile solo con piccoli mezzi agricoli (10'
a piedi dal parcheggio della Funivia per Monteviasco).
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