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[Latte crudo nel mirino]

 

(05.12.08) Latte crudo: bestia nera dell'industria

Dal Sen. De Castro al "mondo produttivo" della provincia Sondrio nuovi attacchi alla "filiera corta" del latte crudo

La legge obbliga a chiamare "crudo" il latte così nature emesso dalla mammella della mucca e riserva  l'attributo di "fresco" al latte industriale, omogenizzato, pastorizzato, parzialmente scremato (anche se "intero" lo sapevate?)delle "Centrali". Un fatto che la dice lunga in materia di partigianeria proindustriale del sistema politico e amministrativo e della volontà di "frenare" la filiera corta del latte. Come se questo non bastasse, come se non bastassero i severi parametri igienici che devono essere rispettati dai produttori di latte "crudo" ora è in atto una campagna contro la vendita diretta.

 

Nelle ultime settimane si è registrata una strana coincidenza di interventi.  Aveva cominciato l'ex-ministro (De Castro ai primi di ottobre che, in una interrogazione affermava a proposito del latte venduto direttamente dalle aziende agricole che "al contrario di quanto avviene nelle produzioni industriali, nel processo produttivo non sono presenti fasi in grado di bonificare il prodotto dalla presenza di microrganismi patogeni".

Il messaggio, ripreso dai media, è che il latte proveniente direttamente dalle stalle è un ricettacolo di patogeni.

 

All'industia non rimangono molto argomenti e deve ricorrere al terrorismo. Ingiustificato perchè i risultati delle analisi rigorose cui è sottoposto il latte messo in vendita crudo dimostrano che i patogeni non ci sono.

I patogeni "potrebbero esserci?". E'come dire che va abolita l'industria alimentare  perchè ci sono stati i "polli alla diossina", il "latte alla melamima", il "vino al metanolo" ecc. ecc.

Nel 2007 sono stati pubblicati su una rivista specializzata (Clinical & Experimental Allery) i risultati di un’ampia indagine epidemiologica condotta in 5 paesi europei . Lo studio è stato eseguito su un totale di ben 14.893 bambini da 5 a 13 anni e diceche consumo di latte crudo è associato a una riduzione dell’asma (-26%), della febbre da fieno (-33%) e delle allergie alimentari (-58%). E' meglio il latte crudo della stalla quindi è meglio di quello "bonificato" (e impoverito) delle centrali. Evidentemente Pierluigi Vecchia, Tecnologo di Latteria Soresinese e Gruppo Lactalis (La Provincia, quotidiano di Cremona dell' 8 novembre non è al corrente che questi vantaggi del latte acquistato direttamente alla stalla si mantengono anche se questo latte è bollito. Secondo Vecchia, infatti, lo sprovveduto e maldestro consumatore bollendo il latte acquistato direttamente dal produttore è "incapace di controllore questa operazione" e "scassa" e vitamine". Insomma se non bollite il latte rischiate chissà quali infezioni mortali, se lo bollite "lo scassate". In realtà la bollitura del latte crudo è raccomandata come misura precauzionale solo nel caso di donne incinte e per soggetti in età infantile. Ma l'industria vuole dimostrare che i consumatori non sono capaci di utilizzare gli alimenti "lasciate fare agli addetti ai lavori, all'industria, fidatevi ciecamente della megamacchina del food system".

 

Negli ultimi decenni il "pregiudizio igienista" è stato utilizzato dall'agroindustria per spazzare via i produttori e le filiere rurali. Dovrebbero averlo ormai capito tutti. E allora perchè tirare ancora strumentalmente in ballo la "salute" del consumatore. La salute è minacciata dal prodotto venduto direttamente dall produttore o da tutte le manipolazioni dell'agroindustria che toglie, aggiunge, forca e disfa a spese di materie prime che arrivano al consumatore sempre più manipolate, impoverite, alterate?

 

Ultimamente, però, la campagna contro il latte crudo ha conosciuto un nuovo capitolo. Chi si è apertamente pronunciato per "mettere un freno" alla vendita diretta del latte è stato un "tavolo" del "sistema produttivo" della Provincia di Sondrio (Coldiretti, Confcooperative, Unione del Commercio del Turismo e dei Servizi, cooperative di raccolta e lavorazione del latte). Nel corso della riunione "è stata rappresentatauna forte preoccupazione rispetto ad un fenomeno che, senza l’adozione di opportuni criteri programmatori e di meccanismi di effettiva garanzia, rischia di arrecare seri danni al sistema produttivo ed a quello della distribuzione, senza reali e duraturi vantaggi e garanzie per il consumatore". Concretamente si è auspicata l'emanazione di "criteri guida da sottoporre, in spirito di fattiva collaborazione, alle Amministrazioni Locali quale supporto alle decisioni che le stesse sono chiamate ad assumere in argomento". Dietro il linguaggio contorto si legge chiaramente che si vogliono dare dei segnali ai Comuni perchè limitino le autorizzazioni a installare distributori automatici. Normale che questo "freno" lo vogliano i commercianti e le centrali del latte, molto singolare (per non dire scandaloso) che i rappresentanti dei produttori (Coldiretti) si schierino con gli interessi industriali e commerciali.

 

Ai rappresentanti degli "interessi produttivi" della Valtellina e Valchiavenna va quantomeno dato atto di aver ammesso che il problema è economico.  E' evidente che un certo sistema cresciuto sui contributi pubblici, sulla delega dei produttori (spesso poco consapevoli delle scelte delle coop) teme di fare la fine del "re nudo".
Il gran parlare di filiere corte e di km 0 rischia (dal punto di vista dell'industria di trasformazione alimentare e della distribuzione, del packaging, dell'advertising ecc.) di mettere in luce che tutto questo sistema è in larga misura una superfetazione, largamente inutile e, a volte, dannosa.

 

Così come la Levissima va a Roma, la Ferrarelle viene in Valtellina. Con il latte è lo stesso, con i formaggi "di massa" idem. Si fa un gran trasportare, un gran distribuire, si da lavoro alla "logistica", alle multinazionali (veicoli e petrolio) ... allo Stato che incassa le accise carburanti (e l'Iva) su tutto questo flusso di apparente ricchezza creata.

Non parliamo della pubblicità e del packaging che assorbono più valore aggiunto della materia prima solo per illudere il consumatore che il prodotto "standardizzato", mediocre dell'industria è diverso.  Ogni Centrale del Latte utilizza una serie di confezioni e marchi diversi operando "conto terzi". La marca è diversa il prodotto tragicamente identico mix di latti di varie provenienze (tolto quello "Alta qualità" spesso è latte che viene dall'estero magari comprato spot). Sono cose che il consumatore è bene non sappia... e allora distraiamolo con l'Escherichia coli.

 

 In tutto questo "giro" di packaging, di logistica, di distribuzione il Pil cresce (o meglio cresceva), ma la ricchezza reale? E l'ambiente che a parole sta a cuore a tutti? E le benedette "emissioni" dove le mettiamo? Intanto il numero dei produttori agricoli è crollato. Queste "filiere" che ora andrebbero difese dalla "minaccia" delle filiere corte (Golia che ha paura di Davide?) non hanno impedito la diminuzione del prezzo del latte e l' espulsione di tantissime aziende agricole dal comparto lattiero. Gli economisti sostengono che l'agricoltura di montagna si salva solo col differenziale di prezzo e con i circuiti brevi. E allora? Le vogliamo queste benedette filiere corte o no?

 

Si è sempre sostenuto che gli investimenti nel comparto agroindustriale (specie cooperativo) avrebbero lo scopo di sostenere l'agricoltura. Ma se non si vogliono le filiere corte, vuol dire che si raccontavano frottole, che si vuole sostenere la filiera nell'interesse della sua componente "forte", quella industriale e commerciale e non di quella agricola (che  si vuole ridotta a poche maxi-stalle trasformatrici di mangini a pochi passi dai caseifici dentro le aree a fianco dei tanti altri capannoni industriali). Si abbia almeno il coraggio di dirlo apertamente.


Quello che gli interessi costituiti temono è che discutendo di filiere corte si arrivi a chiedere di dirottare le risorse pubbliche dal fin qui generoso e indiscriminato sostegno delle strutture di trasformazione "a valle" a quello diretto alle aziende agricole (soldi al contadino, come in Svizzera per intenderci). Temono che si ragioni sul fatto che le centrali coop non falliscono (anche se accumulano 50 milioni di debido come la Latteria sociale di Fiavè in Trentino). Le piccole stalle invece, lasciate senza sostegno, hanno chiuso e basta. Una bella disparità di trattamento.

 

 
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