Ruralpini | ||||||||
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Si cercava di macellare in luna calante,
in giornata fredda e asciutta, tra novembre e febbraio, spesso facendo
coincidere l’evento con il periodo di Natale o di Sant’Antonio,
evitando però la macellazione il 17 gennaio. All’interno del ciclo
annuale del lavoro contadino la macellazione del maiale rappresentava
un evento complesso, che richiedeva la presenza di specialisti, spesso
itineranti. In loro assenza la qualità e la conservabilità dei prodotti
lasciavano spesso a desiderare e si rischiava di compromettere tante
fatiche e prodotti. L’operazione richiedeva quindi elementi di
competenza specialistica, tramandata di padre in figlio, e di impegno
corale. Come per gli altri grandi eventi della vita contadina (quelli
legati alle raccolte), uomini e donne, giovanissimi e anziani, avevano
ciascuno un compito, nel contesto di una o più giornate frenetiche in
cui si lavorava in modo instancabile perché non era possibile ritardare
certe operazioni, necessariamente concatenate tra loro. La macellazione
del maiale richiedeva anche la collaborazione di più famiglie
contadine. Si trattava di una collaborazione su vari piani: spesso le
famiglie piccole (o più povere) avevano collaborato sin
nell’allevamento e nell’ingrasso di un suino in comune. Essenziale, per
il buon andamento delle operazioni, era, in ogni caso, il poter
disporre di numerosa manodopera. Al termine delle lunghe e faticose
operazioni di macellazione e insaccatura nessuno di coloro che non
appartenevano alla famiglia e che avevano partecipato alla “festa”,
tornava a casa a mani vuote: In queste giornate ci si faceva aiutare da
parenti e amici come per la vendemmia e la sera tutti gli “aiutanti” se
ne tornavano a casa con alcuni prodotti della giornata; c’erano sempre
una salsiccia e un salame e, a volte, anche qualche pezzo di carne e di
frattaglie. La cooperazione tra famiglie si esprimeva anche nella fase
di consumo, dal momento che, onde evitare sprechi e/o un’abbondanza
eccessiva quanto effimera, era bene cedere “a ruota” le parti più
deperibili o, nei mesi successivi alla macellazione, organizzare delle
cene con i vicini. Le altre famiglie avrebbero ricambiato. Così, il
periodo di fine autunno, rappresentava un periodo di inconsueta
abbondanza di carne fresca, grassi e proteine animali. I prodotti più
nobili (salami da consumare crudi, coppe, pancette, prosciutti) e il
prezioso lardo, che avrebbe rappresentato il condimento principale,
erano destinati a durare per tutto un anno. La macellazione del maiale
era una “festa del sacrificio” perché la morte del maiale, di cui nulla
sarebbe stato sprecato, era realmente una condizione per
assicurare la vita del gruppo parentale (e non solo per soddisfare
appetito e golosità). L’epoca della macellazione era determinata dalla
necessità di conservazione della carne, che richiedeva il
sopraggiungere del freddo, ma coincideva anche con l’esaurimento del
ciclo della vegetazione e la fine dell’annata agraria, accentuandone i
significati simbolici.
La
festa della macellazione del maiale aveva anche profondi risvolti
sociali: rappresentava un elemento di coesione e solidarietà tra le
famiglie sia nella fase di macellazione e lavorazione delle carni che
in quella del loro consumo, occasione di scambi e di convivialità. Va
tenuto presente che, molto spesso, le famiglie non erano in grado di
alimentare il maiale (gli scarti alimentari erano pochissimi perché non
si sprecava nulla) e dovevano perciò consorziarsi tra loro per
acquistare e ingrassare un maiale. Quando, invece, la famiglia riusciva
a macellare il proprio maiale offriva ai vicini, nei giorni dopo la
macellazione, delle cene a base delle parti non destinate a
conservazione. Sicura che, le altre
Al termine del lavoro, si cenava, spesso
con una “rituale” minestra d’orzo, con la quale si utilizzavano parti
come le orecchie, il musetto, i piedini, il codino; altre volte, con la
trippa o con polenta e salsiccia fresca60 accompagnata da una minestra
ordinaria. [...] Per
consumare il tutto [le parti
deperibili] organizzavano anche delle cene in
compagnia di amici e parenti
Ancora
oggi la macellazione del suino è occasione per aiutarsi tra giovani
allevatori. Anche l'arte del norcino è tutt'altro che in rarefazione e
non pochi giovani - finite l'epoca della grande attrattiva di
fabbriche, cantieri edili, uffici - si rendono conto che le
professionalità tradizionali del mondo rurale hanno un futuro meno
incerto di altre occupazioni. Quella che sembrava una pratica da
amarcord da vecchie foto in bianco e nero possiamo documentarla come un
fatto attuale e in ripresa. Di seguito una sequenza di macellazione con
qualche immagine di insaccatura. Il suino, legato per una zampa al
paranco elettrico che ne solleverà il corpo, viene stordito con la pistola a proiettile
captivo.
La macellazione a domicilio risparmia all'animale lo stress del
trasporto e dell'attesa nelle "camere della morte". Viene ucciso da chi
lo ha accudito. In un certo senso è vitgtima di un tradimento ma, così,
non si allarma per la presenza di estranei. Non solo si risparmiano
all'animale molte ore di stress ma si evita il peggioramento della
qualità delle carni connesso con lo stress da macellazione.
L'animale viene dissanguato. Il cuore
pulsante dell'animale ancora vivo , consente la fuoriuscita della
maggior quantità di sangue possibile, premessa fondamentale per la
qualità igienica delle carni.
Una volta dissanguato il corpo del maiale
viene sottoposto alla lunga operazione di "pelatura". La pelle, bagnata
con acqua bollente viene pulita dalle setole con un coltello affilato.
Operazione fondamentale per la qualità di quei prodotti della
norcineria che sono avvolti di cotenna (cotechini).
Oggi come in passato per far bollire
l'acqua si utilizzano grandi contenitori predisposti prima della
macellazione. Il corpo per l'operazione di "pelatura" viene disteso su
delle assi (un tempo dei tavolacci o delle scale a pioli).
Una
volta pelato il maiale viene re-issato con il paranco e lavato con
acqua fredda. Le setole residue vengono eliminate con il coltello o
fiammeggiandole (un tempo si usava la paglia).
Il
grosso suino (il classico "pesante" della tradizione) inizia ad essere
sezionato .
Le
cavità viscerali vanno attentamente svuotate degli organi facendo
attenzione che gli organi digestivi non siano lacerati contaminando le
carni del contenuto intestinale. L'intestino verrà poi ripulito
con l'acqua per utizzarte il "budello" per insaccare.
La sezionatura viene effettuata con
coltello e seghetto (qui viene segato lo sterno per aprire la gabbia
toracica)
Dopo
aver rimosso vescica, reni, intestino, stomaco tocca al fegato, ai
polmoni e al cuore. Le frattaglie fresche si presteranno a preparare i
piatti della tradizione.
I
visceri, allontanati con cura, senza lacerarli, vengono ora
accuratamente lavati dal sangue.
L'operazione
di macellazione si completa con il taglio della testa, degli zampetti e
la divisione della carcassa in due mezzene.
Qui
vediamo solo le operazioni di insaccatura. Si utilizza il budello come
da tradizione. Prima di questa operazione vi è un lungo lavoro di
macinatura e impasto delle carni con il grasso e le cotenne
(impasto variabilein funzione dei diversi prodotti. Si tratta di
operazioni molto delicate che sono prerogativa del norcino. Oltre alla
giusta miscela di carni e tagli grassi e trgli ricchi di connettivo e
cartilaginei, il norcino deve "indovinare" la giusta aggiunta di sale,
di pepe e di alti aromatizzanti. C'è sempre l'ingrediente segreto.
Ogni tipo di insaccato, in funzione della
composizione e della pezzatura, dovrà asciugare per un tempo adeguato.
Poi, se destinato alla stagionatura dovrà conservarsi in locale freddo
non troppo umido (i formaggi hanno altre esigenze). Qui vediamo il
norcino confezionare le filze delle salamelle con lo spago.
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