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Montagna che muore

Michele Corti, 18 aprile,2022

Cinghiali: devastazione senza precedenti alla Costa del Palio (tra BG e LC), gestione Ersaf


Il crinale pascolivo di 3 km tra la valle Imagna e Morterone (Lecco), arato per tutta la lunghezza dai cinghiali. Ma abbiamo constatato di persona estesi danni anche in altri settori del pascolo. Un fatto scandaloso perché i pascoli sono gestiti dall'ente regionale Ersaf. Nonostante l'impegno della Regione Lombardia (che ha emanato negli ultimi anni vari provvedimenti per arginare la piaga dei danni da cinghiale), proprio i pascoli regionali sono, ancora una volta, un esempio in negativo di gestione. Alla base del disastro la creazione di un ampia zona dove  è stata esclusa, a vari titoli, la caccia. Pesano negativamente gli ostacoli e i disincentivi che continua a incontrare l'attività degli operatori faunistici volontari ("selecontrollori")  ma anche l'ideologia animal-ambientalista che ispira l'azione dell'Ersaf, ente in teoria "strumentale" al settore agricolo ma, in realtà, tutto teso a favorire il rewilding, a propagandare orsi e lupi, a gestire progetti con associazioni ambientaliste (vedi proprio alla Costa del Pallio assurdi interventi nell'ambito di Life gestire con il WWF che documentiamo in questo stesso articolo). 

In questa immagine satellitare di inquadramento, i pascoli della Costa del Pallio sono la strisca chiara orizzontale.

 (18/04/2022) Lombardia - Calamità cinghiali. Avvertiti che, alla Costa del Palio, si sono registrati danni da cinghiali di entità senza precedenti, una settimana fa siamo andati a constatare di persona. La Costa del Palio è un pascolo tra la valle Imagna bergamasca e la parte lecchese della val Taleggio (comune di Morterone), dietro il Resegone, a un tiro di schioppo la Lecco. Un tempo il pascolo era frequentato durante il giorno da un migliaio di bovini che salivano dalle cascine di Morterone (con le sue varie frazioni), Brumano, Fuipiano. Alla sera rientravano nelle stalle.Oggi i pascoli sono quasi scomparsi in seguito agli impianti artificiali di conifere estranee all'habitat. Negli anni '70 , quando i comuni cedettero le proprietà all'Azienda regionale delle foreste, vennero piantati abete rosso, pino nero e larice. Tutti fuori del loro ambiente (che lì è quello della faggeta). Poi le cure selvicolturali furono abbandonate. Ci torneremo dopo. Quello che ci interessa è che, con l'acquisizione da parte del demanio, si introdusse il divieto di caccia.


In verde l'area dei pascoli. Il retino indica l'area delle ZPS. A sinistra (Ovest) quella del Resegone. Le Zone di protezione speciale sono zone di protezione poste lungo le rotte di migrazione dell'avifauna, finalizzate al mantenimento ed alla sistemazione di idonei habitat per la conservazione e gestione delle popolazioni di uccelli migratori. Sono state istituite in applicazione alla direttiva europea Habitat (quella della super protezione eterna del lupo)


All’interno delle Foreste Regionali  vigeva già, prima della ZPS, il divieto di caccia, un retaggio dei tempi in cui la foresta (quella vera, però), era la riserva di caccia dei feudatari e dei sovrani. In latino il bosco è la silva, termine che indicava il bosco naturale, poi è passato a indicare - ancora oggi - il castagneto, il bosco umanizzato, da pane. Altri termini latini per indicare il bosco erano lucus e nemus (affine al celtico nemeton). Entrambi si riferivano a spazi sacri. E la "foresta"? Questa parola, diventata sinonimo di bosco naturale, folto ed esteso, la silva latina, da dove viene? "Foresta" è voce tardo latina che deriva da contesti altomedievali; che ha a che fare con il latino foris (fuori), nel senso di esclusione, di bandita. La bandita di caccia, la  foresta venationis
, diventa per estensione il bosco. Il forestarius era lo sgherro dei signorotti, pronti a impiccare i contadini che osavano sfidare il divieto di caccia. Come si vede le cose non cambiano poi molto, cambiano le ideologie, le forme di legittimazione, ma il succo è che, in nome di elevati valori (oggi l'ambientalismo, ieri i diritti della nobiltà), si combatte sempre un conflitto sociale teso ad accaparrarsi risorse, potere, privilegi.



Sarà per il timore che incutevano i forestarii, sarà quelli che, nel tardo medioevo
presero a suscitare i boschi, la foresta ha assunto un potere evocativo, che incute un misto di fascino e di timore. Qualcosa di ben comprensibile: prima, nell'alto medioevo (e forse anche nel pieno), quando i boschi erano molto diffusi, il contadino  vi aveva familiarità, andava tranquillamente a pascolare i maiali e altro bestiame, a far legna, a cacciare (con limitazioni di mezzi e di prede). Poi, con la rarefazione dei boschi legata al boom economico successivo al mille, le cose si ribaltarono. Il legname diveniva scarso e prezioso, la selvaggina idem. Ai contadini (in pianura con secoli di anticipo rispetto alla montagna) vennero espropriati i diritti sui boschi, le infrazioni da loro commesse (estrazione di legna, bracconaggio, pascolo) erano severamente punite. E per tenere fuori i "villici", oltre alla minaccia delle punizioni corporali, cosa di meglio che favorire la diffusione di storie "della paura" che parlavano di esseri fatati e pericolosi? Più tardi, siamo alle soglie dell'età moderna, o già dentro di essa, per rendere la "foresta" ancora più paurosa, essa divenne anche la sede del famoso sabba delle streghe. Il bosco divenne quindi un luogo di perdizione fisica e morale, chi lo frequentava un sospetto, un "bandito". Ma anche un eroe, talvolta. Dal punto di vista sociale (ed economico) il bosco viene monopolizzato dai potenti, come ci racconta l'istituzione delle foreste reali, finalizzata all'esercizio venatorio (propedeutico alla guerra) ma anche fondamentale per le flotte (vedi le severissime leggi venete) e la costruzione di opere di ingegneria militare.


Pensiamo al paradigmatico castello di Fointainebleau, nato come castello di caccia dei re di Francia nel XII secolo, in connessione con l'omonima foresta che si estende oggi su 25 mila ettari e che è forse la prima "area protetta" al mondo, dichiarata - nel 1844 - "riserva artistica" per opera dei pittori che amavano ritrarla e che si opponevano al disboscamento.
Torniamo a noi, alle nostre "foreste" patacche. Utilizzando il termine "foresta" (applicato all'insieme delle proprietà regionali, inclusive dei pascoli), l'Azienda regionale delle foreste, ora Ersaf, tende a sfruttare il riverbero del prestigio evocato dalle foreste reali al fine non solo di marcare la superiorità sociale, simbolica, ideologica del bosco sul pascolo, del forestale sul contadino e sul pastore (a Brumano i forestali che davano lavoro erano riguardosamente chiamati "padroni"), ma anche di nobilitare boschi di modesta qualità... e persino squallidi popolamenti artificiali con conifere fuori del loro habitat. Questa enfatizzazione del bosco è stato anche un modo per giustificare il divieto di caccia e, col tempo, una progressiva trasformazione di risorse silvopastorali in aree naturalistiche. Come è detto stato detto alla nausea il Parco naturale si costruisce sull'archetipo della riserva signorile. Sono gli aristocratici che promuovono l'istituzione dei primi parchi italiani perché ormai la caccia diventava un fatto plebeo e diventata più nobile proteggere gli animali che cacciarli.
Nel 2004 la Costa del Palio, dove già era divieto di caccia, è diventata una ZPS. Si dirà: tanto era già area di divieto di caccia. Ma con la deriva anticaccia, che ha portato a escludere dall'esercizio venatorio sempre più territorio regionale, sono state sottoposte a divieto anche le fasce intorno al perimetro delle ZPS. La situazione dell'alta valle Imagna, tra ZPS, oasi di protezione (verde chiaro) e zone speciali di divieto di caccia è quella illustrata nella mappa allegata al piano faunistico della Provincia di  Bergamo (sotto): un ampio territorio off limits per i cacciatori. Il cinghiale ringrazia.


In questa situazione il cinghiale ha potuto insediarsi tranquillamente e proliferare. I danni ai pascoli, in ogni caso, non sono cominciati quest'anno, anche se oggi assumono proporzioni inaudite. Perché non si è prevenuto? Conviene fare un po' di premesse.

I bastoni tra le ruote della lobby dei cinghialisti

Quando si scriverà la storia della catastrofe faunistica che si è abbattura sull'Italia, al capitolo cinghiale si dovrà ricordare come l'espansione della specie sia stata dovuta alla concomitanza di due fattori:  da un lato le azioni dei cinghialisti (immissioni illegali, ostruzionismo verso norme di controllo efficaci, sottostima dei capi presenti per limitare i piani di abbattimento, insistenza nel prelievo dei maschi), dall'altro quello dei gestori delle aree protette e del mondo ambiental-animalista in genere.  Quanto ai cinghialisti, vale quanto osservato da Monaco et. al: ...
in diverse realtà del Paese le squadre di caccia al Cinghiale sono venute assumendo una connotazione di “blocco sociale” in grado di condizionare le scelte di gestione faunistica operate dagli amministratori locali e, di fatto, la gestione faunistica e la fruizione ambientale di vasti territori, secondo criteri che tengono in poca considerazione la necessità di mantenere zoocenosi diversificate e di consentire un uso plurimo delle risorse naturali. (Monaco A., Carnevali L. e S. Toso, Linee guida per la gestione del cinghiale (Sus scrofa) nelle aree protette , Ispra, 2010). I freni posti dai cinghialisti, che continuano a non vedere di buon occhio (per gelosia e patrimonializzazione della specie) la caccia di selezione e la stessa azione dei selecontrollori, sono ancora in essere. Perché chiedere un contributo di 52 euro per ogni capo a partire dal terzo? Lo dice il comma 5 dell’art. 5 della pur importante e positiva Legge regionale n 19/2017, quella che, onore al merito, ha introdotto la possibilità di effettuare la caccia di selezione al cinghiale durante tutto l’anno, anche nelle ore serali (con visore notturno) e persino con limitata pasturazione. Tutte cose che invocavamo da anni. Bravo Rolfi.
Ora, però, bisogna insistere nel favorire selezione e controllo. I cacciatori di selezione arrivano dove non ci sono le squadre (in tutta la valle Imagna e la val Brembana ve n'è una sola). I cacciatori di selezione attuano il piano agendo sulle classi di età che richiedono la massima pressione di prelievo (cosa ovviamente impossibile nelle cacce collettive). I cacciatori di selezione sono conosciuti e chiamati dagli agricoli. Viene anche da chiedersi, a proposito di ostacoli che ancora si frappongono a selettori e selecontrollori, perché - fatto ancora più incomprensibile - agli operatori volontari (il termine corretto per i "selecontrollori") che operano un servizio per gli enti, che con il loro intervento evitano alle amministrazioni di sborsare i rimborsi danni provocati dai cinghiali, venga ancora imposto di pagare i cinghiali. I volontari agiscono su precise disposizioni, non operano di testa propria ma sotto la stretta direzione delle guardie venatorie delle provincie, si mettono a disposizione, impegnano il loro tempo, le loro attrezzature, il loro equipaggiamento, i loro automezzi. Già non sono molti, già non sono incoraggiati ad intervenire dai comandi delle polizie provinciali (che preferirebbero agire con i propri uomini, peraltro scarsissimi, anch'essi gelosi delle loro prerogative e campo di azione e che sono oggi come oggi infiltrati alla grande da comandanti animal-ambientalisti). Se, in più, li si scoraggia anche economicamente, facendogli pagare i cinghiali (sia pure scontati) cosa si vuole pretendere? Ogni cinghiale prelevato va lasciato a gratis a chi l'ha tolto di mezzo (previ controlli sanitari) e gli andrebbero dati 50 euro di premio. E la società ci guadagnerebbe ancora molto. Quest'ultima riflessione ci porta lontano (al superamento della 157/92). Restando con i piedi per terra, dobbiamo notare che, se i cinghiali continuano a operare sfracelli è perché ci sono ancora troppi lacci e lacciuoli. In parte colpa dei cinghialisti, in parte degli enti di gestione delle aree protette. Nel 2021, su 4.274 cinghiali prelevati in provincia di Bergamo, il controllo si è limitato a 941, la selezione a 1181. Prograssi, ma limitati. Tra qualche anno è tutto distrutto se non si opera una svolta. Al di là dei chilometri di carta prodotti, dei modelli, del parametri, degli indici.
All'inizio di quest'anno, con ulteriore iniziativa della regione, si è stabilito che essa eserciterà i poteri sostitutivi laddove gli enti faunistici (CAC) non abbiano provveduto a stabilire i piani di gestione del cinghiale e gli interventi annuali di prelievo. Un proprietario, o conduttore, può già fare richiesta alla polizia provinciale di autorizzare due selecontrollori per intervenire. Non ci sono più scuse.



Aree protette, centri di moltiplicazione e irraggiamento dei cinghiali

Per anni il mondo animal-ambientalista ha combattuto strenuamente a colpi di ricorsi (spesso vinti) la battaglia contro i "selecontrollori". Era bestemmia, sacrilegio, abominio che gli impuri cacciatori (seppure in veste di operatori inquadrati dalle polizie provinciali o dagli enti gestori dei parchi) entrassero nei "sacri santuari della natura"... a sparare. Finalmente, con tante limitazioni, il principio è stato attuato, ma la strada non è ancora in discesa.


Per anni il controllo dei cinghiali è stato frenato dagli animalisti. Consapevoli che, a seguito della sciagurata riforma Del Rio, il personale delle provincie, è ridotto al lumicino, hanno cercato di bloccre ogni controllo con raffiche di ricorsi contro i selecontrollori

Il mondo animal-ambientalista non si è limitato a osteggiare i "selecontrollori" ma, confondendo caccia e controllo numerico, un po' per la crassa ignoranza, un po' per volontà strumentale, il suddetto ha messo tutti i bastoni possibili tra le ruote. Cervi e cinghiali, ci mettono poco a imparare che in periodo di caccia se ne devono stare nei parchi e nelle accoglienti riserve naturali, zps, sic, siti Natura 2000; così hanno potuto aumentare esponenzialmente. Finita la stagione di caccia si riversano tutt'oggi, nel "territorio libero" dove devastano le colture. Per smuovere gli enti gestori delle aree protette, la Regione Lombardia ha emanato, la delibera n. 1364 dell’11 marzo 2019 che stimola gli enti gestori delle aree protette a dotarsi di regolamenti per l'attività di controllo e di prelievo selettivo prevedendo anche incentivi economici e un - modestissimo - decurtamento di 1500 € per chi non si dota di piani di contenimento e selezione. Va però detto che ci sono enti in ritardo. Cosa dire, però, quando Ersaf, ente regionale risulta tra i soggetti che lasciano che le superfici a pascolo siano devastate senza che ci sia in atto un minimo di controllo?


Un "paradiso ambientale" in abbandono

Fatte le doverose premesse per inquadrare la situazione, torniamo alla Costa del Palio. Vediamo come la descrive Ersaf e come è nei fatti. Parliamo quindi di pascoli, di popolamenti arborei, di interventi, di cinghiali.

I numeri corrispondono a punti dove ho eseguito delle riprese fotografiche

Scrive l'Ersaf, con la solita enfasi che giustifica i provvedimenti vincolistici e i progetti per portare a casa finanziamenti: Nella ZPS Costa del Palio la parte sommitale prativa e pascoliva è ammirevole sia paesaggisticamente, per il contrasto tra l’andamento dolce contro la figura rocciosa del Resegone, sia naturalisticamente come oasi per la fauna e per la vegetazione erbacea che annovera le formazioni a nardeto (Nardus stricta) di notevole valore per la loro rarità nei territori con substrati carbonatici.

Sul piano paesaggistico siamo d'accordo. Il nardeto, tipo di pascolo magro,  non è affatto raro su substrati carbonatici perché è il risultato di un'acidificazione secondaria legata al pregresso sovrapascolamento storico. Peraltro, se può essere interessante quale formazione erbacea naturale in altri contesti è comunque una pessima foraggera, un'infestante (una parolaccia da non usare, per non scandalizzare i naturalisti, non meno sconcia alle loro orecchie delicate di "fauna nociva"). Il nardo ha le lamine fogliari silicizzate, che tagliano la bocca anche ad animali che l'hanno piuttosto "foderata" come i ruminanti. I quali, però, tranne che quando è in uno stadio vegetativo molto precoce, la rifiutano. Diventando così matura senza essere consumata assume un colore grigiastro che, dal punto di vista paesaggistico, è fattore di compromissione del paesaggio in quanto, già ad agosto, il pascolo appare giallo-grigio. Uno schifo. La sommità del Palio è bella con i suoi mammelloni erbosi perché l'erba, grazie alla presenza degli animali, una volta pascolanti i versanti a sud e a nord ora solo sul crinale comodo e piano, cresce rigogliosa. Assume l'aspetto di un prato da sfalcio (e, in effetti, viene anche sfalciata).

La fioritura dell' Achillea sui pascoli pingui della Costa del Pallio (foto Corti, qualche anno fa)

Il problema è che, tolta la striscia dell'ampio crinale, il pascolo sta sparendo. Il carico di bestiame è troppo basso per il solito meccanismo: il sottopascolamento porta al restringimento del pascolo, i tecnici - applicando i criteri della sostenibilità astratta e il solito pregiudizio ambientalista - riducono il carico di pascolo ammissibile. Il meccanismo si autoalimenta inesorabilmente fino alla ... scomparsa del pascolo. Fine del disturbo antropico, basta fastidiosi agricoli tra i piedi; il campo sarà libero per la fauna selvatica e i naturalisti. A nord, il versante è invaso dalle felci (Pteridium, una pianta non solo rifiutata dal bestiame ma anche velenosa, per chi volesse approfondire rimandiamo a un articolo qui su ruralpini).


Sul versante sud (punto 4 della mappa sopra) il pascolo si sta incespugliando e vi sono anche sempre meno rade essenze arboree. Sottopascolate queste zone vedono la diffusione di piante erbacee tendenzialmente di taglia elevata, quindi con fusti legnosi (per restare erette e raggiungere la luce dominando le buone foraggere), poco appetibili e poco nutritive (anche quando sono graminacee) per via delle lamine fogliari coriacee. Anche qui sono ben visibili i danni dei cinghiali.


Anche ai margini della "foresta", su prati-pascoli in fase di abbandono (punto 1 della mappa) sono osservabili i danni dei cinghiali.


Veniamo quindi ai danni maggiori: due fasce arate che si snodano su e giù per tre chilometri. Di seguito riprese nei punti 3, 4 e 5.






Percorso il crinale in direzione est-ovest, poco sopra il Passo del Palio, ecco una realizzazione con legname locale (immaginiamo la durata). L'Europa investe nelle zone rurali, recita il cartello beffardo. Peccato che questi investimenti siano vanificati dalla protezione del lupo (Direttiva Habitat) e da tutte quelle norme di tutela della fauna selvatica e burocratiche che uccidono le aziende agricole. Intanto i cinghiali si abbeverano (le barriere tengono fuori i bovini).





Al Passo del Palio un cartello, un po' surreale, intima il divieto di transito sui pascoli. I cinghiali, però, non sanno leggere. Ci vogliono metodi più persusasivi per fermarli. Gli ambientalisti da salotto si stracciano le vesti temendo che la strada che passa di qui, oggi già aperta al traffico con pedaggio, potrebbe essere asfaltata. Sarebbe un grande vantaggio per le comunità locali, per gli agricoltori, le aziende boschive (ne abbiamo parlato qui). Ma le devastazioni dei cinghiali li lasciano indifferenti e guai a parlare di controllo del cinghiale. Tra gli animal-ambientalisti (crediamo anche funzionari e dirigenti Ersaf)  qualcuno penserà : "se i cinghiali fanno scappare il gestore dell'alpeggio, che si trova con il pascolo devastato, tanto meglio, via finalmente quei volgari animali bovini e ci sarà più spazio per i nostri più nobili animali: più ungulati poi portano gli ancora più nobili e fieri lupi e speriamo anche gli orsi, gli sciacalli dorati e le linci".  In ogni caso, la strada - tanto osteggiata dagli ambientalisti da salotto - c'è già. Come si può vedere nella foto il tracciato ha caratteristiche di strada carrozzabile e, con un modesto ampliamento del calibro, potrebbe servire egregiamente a scopi turistici. Ma l'asfalto sotto il Resegone no, è blasfemo. Così i comuni devono spendere un pacco di soldi dopo ogni bomba d'acqua, chi si guadagna da vivere faticando deve trasportare la legna con trattorini da 20 q.li mentre potrebbe usare mezzi più comodi. Ma bisogna far contenti i Signori ambientalisti.

I tornanti della strada del pallio. Si nota che le pendenze sono da strada carrozzabile.

Veniamo alla gestione della magnifica foresta, quella che ha sostituito i pascoli per creare un deserto con biodiversità zero. Senza vita. Il milanese, da lontano, vede la pineta e, magari, compra anche la villetta a schiera con vista sulle "magnifiche pinete". Ma se, a poche decine di metri dal Passo, entriamo nella "foresta" c'è da restare basiti.

Carta uso del suolo regione Lombardia: in blu il "bosco" artificiale, in giallo chiaro il pascolo.

L'invitante entrata del "bosco"

La magniloquente "foresta", con la quale i tecnoburocrati dell'Ersaf si riempiono la bocca, è uno squallido popolamento artificiale monostratificato con piante alte e sottili, "filanti", di valore economico negativo e fortemente suscettibili a danni (vento) in forza della bassa stabilità fisica (rapporto altezza e diametro sfavorevole). Un bel risultato, in barba ai tanti finanziamenti ricevuti in decenni dall'ente; un risultato dovuto all'assenza di interventi selvicolturali. Perché? Quando si operavano questi "rimboschimenti" (ovvero queste porcherie) vi era l'interesse assistenzialistico, si voleva dare lavoro agli operai dei cantieri forestali. L'ARF era un ente, come gli altri, politicizzato. La Coldiretti (anni '70-'80) aveva l'assessorato "pesante" all'agricoltura, la sinistra (PSI) voleva le foreste, per mangiarci su e per procacciarsi voti. Come oggi anche ieri c'era l'ideologia a legittimare tutto (per chi se la vuole bere). Ora non ci sono i partiti ma ci sono le lobby e, venuto meno un assistenzialismo tutto sommato onesto (gli operai sgobbavano e sudavano, sia pure inutilmente, come pe scavare le famose buche keynesiane), si è fatta avanti un'altra forma di assistenzialismo dai forti connotati parassitari, l'assistenzialismo "verde". Bisogna pur far lavorare tutti questi naturalisti. Parliamo di una assistenzialismo fatto di parcelle, incarichi, consulenze al vasto bosco e sottobosco di "naturalisti" e ambientalisti, quelli che sono capaci, a tariffa di dimostrare che ovunque ci sono specie animali e vegetali rare. Chi commissiona loro certi studi sa bene che sono ciofeche, ma ciofeche utili a mettere le mani sul territorio con tutti i vari vincoli e istituti di "protezione delle natura". L'assistenzialismo verde si allarga. Il "blocco sociale" verde si rinsalda. Ogni nuova area protetta, inizialmente minuscola, ogni nuovo vincolo su aree già protette, rappresentano tasselli per togliere spazio, via via, ai contadini, ai pastori, ai boscaioli, ai cacciatori ai montanari e regalarlo alla tecnoburocrazia verde. Non solo l'ingresso nel "bosco" è l'ingresso in un ambiente spettrale, morto, senza un filo d'erba, ma ci sono anche delle originali "installazioni" che incuriosiscono l'escursionista.


Andiamo a vedere di cosa si tratta. Si tratta di log pyramid. E che roba è? Un'ingegnosa invenzione per... giustificare i finanziamenti dei progetti Life europei. Il legno morto non viene, almeno in parte, rimosso e viene accumulato così: si scava una buca e si infilano tronchetti di vario diametro e altezze. Così si crea un rifugio e un substrato per insetti (ovviamente), uccelli (boh), funghi (ovviamente). pare che così picchi e cervi volanti troveranno casa. Il tutto all'insegna della biodiversità, il solito passpartout per spillare soldi. ma parlare di "biodiversità" in un orrido popolamento artificiale non è grottesco? Intorno alla piramide si vedono delle ramaglie ma di pulizia e diradamenti nel complesso del "bosco" se ne vedono pochi. Queste "piramidi" sono i soliti interventi di facciata, modaioli, che suonano bene (hanno anche iun nome anglo) e incantano gli sprovveduti.

Ma quale biodiversità? Cosa si può migliorare in una porcheria di popolamento artificale, dove non filtra un raggetto di sole, dove la germinazione di agni seme è inibita dall'acidità di una spessa lettiera superficiale di aghi indecomposti di abete rosso (nemmeni i fungi possono lavorare). Si devono fare superdiradamenti e basta, non buttare soldi con pretesti ridicoli. Dove non è stato rimboschito il faggio si è già installato. Questo "bosco" impedisce che si sviluppi alcunché. Solo il vento, il fuoco e il bostrico possono accellerare uno sviluppo e fare giustizia. Ma se questi agenti biotici e abiotici, come probabile, interverranno in modo catastrofico, se le radici (le radici molto superficiali dell'abete rosso, teniamo sempre a mente) si scalzano, se una pianta che si scalza sradica le altre come nel domino, cosa rimane? Il terreno nudo. Esposto all'azione di ruscellamento. E vai.


Non è finita. Almeno le log pyramid possono essere scambiate per Land art. Proseguendo lungo il sentiero che riconduce a Fuipiano si deve constatare come l'idea del forestalismo naturalistico talebano propugnata dal WWF (totare il loghino del panda) si sia tradotta in un'altra bella pensata, meno originale e più banale peraltro: le cataste.


Il forestalismo (ricordate il forestarius medievale al servizio del potere, dei prepotenti?) passa da un'ideologia all'altra: dal produttivismo dalle piantumazioni monospecifiche, monoplanari intensive con specie a veloce accrescimento, al legno che deve marcire, alla "gestione zero" così cara agli ambientalisti da salotto che non vivono in montagna e non fanno i conti con gli incendi (ieri 50 abitazioni sgombrate a Colico per un incendio boschivo). In mezzo a questi "contrordine compagni" ci rimette la montagna, ci rimettono i rurali. Loro, gli studiati, i burocrati, cadono sempre in piedi. Come si vede questa "nuove gestione" prevede che non si scortecci, che si accumuli il legno morto. Si gabella per un intervento naturalistico (leggere i cartelli) quello che, se fatto da un privato comporterebbe sanzioni, . 

Concludiamo ritornando ai cinghiali. Il gestore dell'alpeggio, ovviamente preoccupato che le cose vadano di male in peggio, di restare senza alpeggio dovendo pagare l'affitto, ha sollecitato, come da delibere regionali le polizie provinciali di Lecco. Sembra che, per ora, non ci siano molti riscontri tranne la promessa di mandare "due gabbie". Va anche detto che le attrezzature (armi, visori notturni) in dotazione delle guardie sono inferiori a quelle dei cacciatori (tutto dire...). Vediamo, in ogni caso, se e quando arriveranno. Staremo a controllare. Forse sarà più facile che si faccia avanti qualche selecontrollore di buona volontà. Questo con riferimento alla provincia di Lecco. Per quella di Bergamo, l'agricoltore non è ancora riuscito a contattarla ma sappiamo che, da voci raccolte, le guardie della provincia, che intervengono nella piccola Oasi di Zuc di Valmana (piccola area in verde chiaro nelle mappe a fianco della ZPS) si guardano bene dall'intervenire nell'area protetta. Non c'è comunicazione? Ci piacerebbe sapere perché la proprietà regionale fornisce, ancora una volta, un esempio così in negativo. Perché l'Ersaf è intoccabile?




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(05/08/2021) A Pinzolo, nella trentina val Rendena, la tradizionale Festa delle Giovenche di razza rendena è saltata. Decisione unanime degli allevatori che, a giugno, all'assemblea dell'associazione di razza, avevano deciso di mandare un segnale forte alla politica e agli amministratori locali. Il messaggio è chiaro: la mafia dei pascoli, che in valle è gestita da elementi locali, sta mettendo a rischio la sopravvivanza degli allevatori e delle stesse malghe.

Si allarga lo scandalo dei pascoli di carta

(07/05/2019) Dopo la prima inchiesta a carico di Gianmario Bana di Premolo (Bg) (ex biogassista fallito) che coinvolgeva i pascoli di Paspardo, in Valcamonica vai a vedere, ora due imprenditori agricoli cremonesi sono sotto accusa per truffe sui pascoli di Cimbergo, il comune confinante. Ne da notizia il comunicato stampa del gruppo di Brescia dei cc forestali (che riportiamo sotto integralmente). Agli indagati sono stati sequestrati beni per 1,8 milioni di euro (l'equivalente della somma truffata).

Speculazioni sui pascoli

(08.06.12) È tempo di salita agli alpeggi. Preferiremmo parlarne in temini festosi ma la realtà è un altra: dal Piemonte al Trentino i pastori sono in ansia per il rischio di predazione da orsi e lupi. Ma c'è anche di peggio...