Sommario:
Save
the mountains:
ormai è un boomerang
di
Michele Corti
Alberto Rampini, presidente del Club alpino accademico italiano stronca senza appello la kermesse Save the mountains,
evento di massa in quota del CAI Bergamo. Un evento confuso e
contradditorio (un ossimoro secondo Rampini) tra ricerca di record di
massa, educazione alla sostenibilità, valorizzazione della cultural heritage
(usare l'italiano no?); una macedonia con i soliti ingredienti della
retorica ambientalista, generica e ipocrita che esprime
allineamento alla cultura euroambientalista dominante e subalternità
culturale a partire dal disprezzo per la lingua nazionale, sostituita
dall'inglese. La manifestazione è stroncata anche dalla giornalista
bergamasca Anna Carissoni qui su Ruralpini (vedremo se le critiche
appariranno anche sulla stampa locale). Invece l'Eco si profonde
giornalmente in pagine di sostegno per tentare di salvare il salvabile,
mettendo pezze che sono peggio dei buchi. Perché chi legge si ricorda
bene la comunicazione tutta improntata allo spettacolarismo
dell'inseguimento del Guiness dei primati.
RETTIFICA: La sezione del Cai di Clusone smentisce di essersi dissociata dall'evento come avevamo riportato
(14.05.19) Dopo la partenza della
petizione che chiede al Cai Bergamo di annullare l'evento (arrivata a 3
mila firme), dopo la presa di posizione - nettamente contraria - di
Alessandro Gogna, fondatore di Mountain
wilderness, arriva come un macigno la durissima stroncatura del
presidente del Club alpino accademico italiano, Alberto Rampini, che
chiede al Cai nazionale di fermare la manifestazione.
Oltre a riportare qui di seguito l'intervento di Rampini (apparso
su www.montagna.tv)(vai al pezzo) riportiamo anche un articolo di Anna
Carissoni, giornalista della val Seriana (di coriaceo lignaggio
pastorale di Parre). Il pezzo di Anna (vai al pezzo) che appare qui è in attesa di pubblicazione su un periodico bergamasco.
Fatto sta che il Cai Bergamo, supportato da paginate de l'Eco , ha
dovuto ridimensionare di molto l'annunciata ricerca di conquista di un
primato da Guiness (che risultava sulle prima al centro della
comunicazione) e ha spostato il tiro, ma era ormai un po' tardi, sugli
aspetti di educazione alla sostenibilità. Peccato che la più
qualificante delle iniziative annunciate in proposito sia una
"compensazione di CO2" che rappresenta la classica pezza che è peggio
del buco. Queste "compensazioni" , che a livello mondiale hanno dato
vita al business dei crediti di carbonio, hanno spesso un significato
ecologico discutibile se non negativo. Si piantuma in Europa, dove
l'avanzata del bosco è un problema sociale, che compromette la
vivibilità e la biodiversità della montagna divorando pascoli e prati e
strigendo d'assedio gli abitati, per compensare (sulla carta) la
trasformazione di foreste vergini in terre arate per la produzione di
soja ogm. C'è bisogno di piantare altri alberi nelle Orobie o di
fermare il disboscamento dell'Amazzonia e di Sumatra? E che bisogno
c'era di mettere ulteriore carne al fuoco tirando in ballo la "cultural
heritage" (e dagli con l'inglese come se l'italiano facesse schifo) con il rischio concreto di parlare di tutto e di nulla e di
banalizzare temi di grande serietà e importanza. Per il resto le
raccomandazioni dei decaloghi della sostenibilità in montagna
"lanciate" da Save the mountains sono valide e di buon senso, ma sono
appelli generici alla buona volontà e che bisogno c'è di collegarle a
un maxi evento che rischia di mettere l'aspetto silenzioso ed educativo
in secondo piano?
L'augurio, comunque, è che il Cai Bergamo riprogrammi
radicalmente la manifestazione, slegandola da una singola data e
sfrondando gli aspetti spettacolari, le formule ipocrite della retorica
ambientalista e l'impostazione di marketing dell'evento (saper riconoscere gli
sbagli fa onore a chi ha il coraggio di farlo). Un ultima
notazione: sia Rampini che la Carissoni non possono fare a meno di
citare il mega concerto di Jovanotti al Pla de Corones quale termine
negativo di riferimento. Chi ama la montagna è quindi invitato a
firmare le due petizioni: quella contro "Save the mountain" (sic) e
quella contro Jovabeachtour2019 a Plan de Corones a 2775 m il 24
agosto. Due eventi più che
discutibili "venduti" come eventi ambientalisti da organizzazioni
ambientaliste.
FIRMA LA PETIZIONE PER CHIEDERE CHE NON SIA
AUTORIZZATO IL MEGACONCERTO DEL WWF
VAI
ALLA PETIZIONE
torna su
Questi eventi arrecano
ferite culturali nefaste alla montagna
di Alberto Rampini
Ne
abbiamo viste
tante, abbiamo combattuto tanto e sinceramente pensavamo che
aberrazioni del
genere non avrebbero mai trovato spazio nel rapporto tra l’uomo e la
natura e
men che meno nel rapporto tra la natura e le istituzioni che se ne
dovrebbero
prefiggere la tutela e la promozione sostenibile.
Cai,
nuova sfida da
Guinness, portare 10 mila persone sulle Orobie così titolava con
enfasi l’Eco di Bergamo
portando la
notizia dell’iniziativa della Sezione di Bergamo del Cai, sottolineata
da una foto
a piena pagina di una folla in montagna aggrappata a una corda che
saluta
festosa un elicottero che sorvola le cime circostanti.
Già
nel 2018 le Orobie
erano entrate nel Guinness dei primati con oltre 2800 persone
convogliate in
quota e legate in unica cordata. Ora l’obiettivo è più ambizioso:
arrivare a 10
mila persone contemporaneamente nei rifugi del Cai Bergamo dislocati
sulle
Orobie.
Ma
sono questi i
record che ricerchiamo in montagna e che ci aspettiamo da essa? Se di
primati
si vuole parlare in montagna credo si debba parlare del primato della
pace,
della tranquillità, del rispetto e di una frequentazione in punta di
piedi e,
anche in prospettiva, sostenibile per l’ambiente.
L’iniziativa
del Cai
di Bergamo, per quanto denominata “Save the mountains”, sembra muoversi
in
direzione completamente opposta. Non basta battezzare l’evento come
salvifico e
cercare di convincere (e forse convincersi) che più persone si portano
in
montagna più sono le occasioni per insegnare che la montagna va
frequentata con
rispetto e misura: un ossimoro. Come dire: venite tutti che vi insegno
a non
venire più in questo modo!
Credo
che la montagna
vada assolutamente tutelata come bene non fungibile, delicato e
difficilissimo
da mantenere, figuriamoci da ripristinare dopo l’aggressione di folle
immense.
In montagna andiamo per ricercare quello che la società moderna ci ha
tolto in
pianura e nelle città, una naturalezza dove lo spirito trova
pace, si
ristora ed entra in contato profondo con sé stesso. Portare in montagna
le stesse
folle vocianti che frequentano la domenica i centri commerciali
difficilmente
promuoverà la sensibilità ambientale di queste mentre sicuramente
toglierà alla
montagna una delle sue prerogative più significative. È vero, alla sera
tutti
tornano a valle. Si dice quindi che la montagna ritorna se stessa e la
gente si
è arricchita di consapevolezza. Credo invece che le ferite, soprattutto
culturali, inferte alla montagna da eventi come questo e come altri del
genere
(vedi il programmato concerto Jovanotti a Plan de Corones, per citarne
uno)
siano assolutamente nefaste. Queste manifestazioni di massa anche solo
con il
parlare che se ne fa e con la ripetizione che ormai si sussegue, fanno
diventare quasi “normale” il concetto che in montagna questi eventi
sono
“ormai” naturali e si affiancano e gradualmente sostituiscono i valori
che da
sempre sono stati riconosciuti all’ambiente montano. Il consumismo e la
massificazione omologatrice avanzano dalle città verso le terre alte e
ne
compromettono progressivamente e in modo definitivo l’identità.
E
la cosa più preoccupante è
che ad organizzare l’evento “Orobie” sia una Sezione del Cai con la
benedizione
di altissime personalità dell’ambiente. Le Sezioni del Cai sono
associazioni
private autonome e libere nello svolgimento della loro attività, ma non
dovrebbero mai andare contro i principi statutari del CAI centrale che
ha ad
esempio approvato e sempre riconosce le Tavole di Courmayeur, il
Bidecalogo e
altri infiniti documenti a tutela della montagna, che, tutti,
richiamano alla
sobrietà e al senso della misura. Abbiamo combattuto per anni le spinte
alla
mercificazione della montagna da parte dei privati e adesso ci troviamo
a dover
far i conti con questo tipo di iniziative organizzate dal Cai. Nutriamo
la
speranza che i promotori si rendano conto di quello che stanno facendo
e
riconducano l’evento entro l’alveo della ragionevolezza e del decoro.
Se così non fosse
vogliamo
nutrire un’altra speranza, che cioè la casa madre, il Cai centrale,
Ente
Pubblico retto da una normativa statutaria chiara e stringente,
intervenga
direttamente per fermare l’iniziativa o quanto meno per prenderne le
distanze
in modo chiaro.
torna su
Abbracci…letali
di Anna Carissoni
Il
progetto “Save the mountains and their cultural heritage” (Salvare la
montagna
e il suo patrimonio culturale) promosso sulle Orobie bergamasche
era stato
presentato nell’ aprile scorso in Senato a Roma:
un’iniziativa del
gruppo di Forza Italia, a sostegno della sfida che l’Associazione
nazionale alpini, la sezione di Bergamo del CAI, il Collegio lombardo
del Corpo
nazionale del Soccorso alpino e speleologico, l’Osservatorio per le
montagne
bergamasche e la Provincia di Bergamo avevano lanciato per la
tutela
ambientale delle Orobie, con il patrocinio del ministero
dell’Ambiente.
Proposito
del tutto condivisibile, quello di “salvare la montagna”, ma siamo
sicuri che
quest’obiettivo lo si raggiunga portando 10.000 persone tutte insieme
nello
stesso giorno – il prossimo 7 luglio - sulle Orobie?
Domanda
che Mountcity si era fatta da
subito, esprimendo la preoccupazione per l’enorme impatto - ambientale,
appunto!
- che un’iniziativa del genere avrebbe sicuramente rappresentato. E
così sono
arrivate le proteste contro il CAI bergamasco, rilanciate ed
amplificate dai
social, sfociate in una raccolta firme su Change org che ha già
totalizzato
migliaia di adesioni. Tra i primi
firmatari alpinisti di vaglia come Ivo Ferrari, Alessandro
Gogna e Maurizio Agazzi, che non hanno esitato a dichiararsi
meravigliati e, soprattutto, indignati.
In
effetti vien da chiedersi se intasare le Orobie sia uno strumento di
educazione
ambientale, se la sostenibilità si identifichi con la voglia di entrare
(di
nuovo, perché era già successo nel 2017 con l’abbraccio alla
Presolana) nel Guiness
dei primati.
E’
infatti facilmente immaginabile quale impatto devastante, per la fauna
e per la
flora e in generale per patrimonio naturalistico, potrà avere una
presenza
umana così massiccia. E tanto meno si
capisce quanto ci possa guadagnare, in conoscenza e valorizzazione, il
“patrimonio culturale” delle montagne: patrimonio fatto sì di
bellissimi paesaggi, ma anche della
presenza secolare e silenziosa e di chi
ci vive e ci lavora presidiandone il territorio e dalla volontà di chi
torna ad
insediarvisi proprio perché disgustato dal chiasso e dall’omologazione
delle
città; nonché di turismo, certo, a patto che sia sostenibile, cioè a
bassa
densità e capace di convivere con il
genius locis senza stravolgerlo, cioè
con una presenza turistica che non costringa un intero territorio ad
adattarsi
alla schizofrenia degli affollamenti improvvisi e degli altrettanti
subitanei
abbandoni.
Secondo
Paolo Valoti invece “Save the mountains – and their
cultural heritage” è un titolo che sottolinea la finalità
dell’iniziativa: “educare gli escursionisti a
vivere in maniera sostenibile la montagna, salvaguardando da un lato
l’ambiente dall’altro le genti di
montagna”, mentre secondo i firmatari della petizione
l’iniziativa si
propone “
di portare il maggior numero di persone possibile sulle montagne viste
unicamente come fonte di guadagno e nient’altro”.
Un
evento che sembra a
fin di bene, mentre rappresenta la conferma della tendenza ormai
consolidata a
fare della montagna un oggetto di consumo di massa, senza riguardo per
le sue
specificità e per le motivazioni che vi portano turisti ed
escursionisti. I
raduni di massa, nella nostra società della solitudine che peraltro
disgrega
ogni forma di comunità, esaltano così l’individuo e la sua sommatoria
meccanica, cioè la folla, la moltitudine; e il numero diventa valore in
quanto
è il metro della mercificazione e della spettacolarizzazione.
La
stessa logica sottesa al prossimo concerto di Jovanotti
benedetto dal WWF: un nobile scopo (la campagna contro la plastica),
che però
porterà 20.000 persone su una cima delle Dolomiti; e anche allo scempio
programmato per costruire una strada in Val di Mello, in Valtellina,
giustificato dall’Ersaf regionale (ente preposto alle aree protette e a
molti
progetti ambientali!) con il pretesto di consentire l’accesso ai
disabili…
“Save
the mountains“
appare dunque un motto un po’ ipocrita. Ed è ineffabile il ragionamento
di Paolo
Valoti: prima afferma di voler portare sulle
Orobie 10 mila persone per fare il record e poi dice che 10 mila
persone in
quella zona ci sono sempre e che nelle domeniche estive ce ne sono
anche di più…
Quanto
alla finalità di “educare gli escursionisti a vivere in
maniera sostenibile la montagna, salvaguardando sia l’ambiente che le
genti di
montagna” - aggiunta a posteriori forse nel tentativo di parare le
critiche - appare
decisamente difficile che in un giorno si possa “formare” chicchessia,
mentre
le “genti di montagna” avrebbero bisogno di ben altra “salvaguardia”:
dal
ritorno dei tanti servizi perduti nei piccoli paesi, alla
semplificazione
burocratica, agli sgravi fiscali e magari anche - perché no? - a un
aiuto in
lavoro concreto quando mancano le braccia e le energie per sfalciare i
prati,
per fare il fieno, per pulire i boschi pieni di legna marcia, le
vallette
intasate, ecc…ecc…
Insomma,
un tentativo di mistificare la realtà, quello del CAI –
ovviamente sostenuto massicciamente
dalla stampa locale “amica” – che appare dettato solo dall’ambizione di
fare spettacolo, di stupire, di fare notizia, di apparire sui social.
Quelli
che in montagna ci vengono in buonafede cercano invece il suo
silenzio, la sua sacralità, la sua autenticità, la semplicità e la
saggezza
della sua gente, il suo stile di vita alternativo, la sapienza antica
di uno
sfruttamento delle risorse che le preserva anche per il futuro: in una
parola,
l’esatto contrario della massificazione.