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Montagna che muore

Michele Corti, 17 luglio, 2022


Combinato disposto: cinghiali + siccità = alpeggi in agonia

Torniamo a parlare dei pascoli della Costa del Pallio tra la valle Imagna e Morterone (Lecco), arati dai cighiali, per tutta la lunghezza, la scorsa primavera. Ora il numeroso branco, nelle more di un controllo numerico che non decolla,  danneggia anche le pozze d'abbeverata. L'acqua è poca perché non piove da un mese e, a causa dell'intorbidamento della stessa da parte dei cinghiali, l'allevatore è costretto a scendere al paese sotto (Morterone) per rifornirsi d'acqua. Un lavoro improbo. La sua esasperazione è accresciuta dal fatto che la polizia provinciale, di fatto, mette i  bastoni tra le ruote ai volontari che si sono resi disponibili a eliminare i cinghiali. La soluzione: far pagare i danni alle provincie (a Bergamo gli operatori volontari non vengono nemmeno impiegati), chiudere il rubinetto regionale dei finanziamenti alle polizie proviciali. Intanto gli alpeggi senz'acqua devono essere approvvigionati per evitare lo scarico precoce. Gli animali, che siano mandrie o greggi, devono essere mantenuti in alpeggio anche oltre il termine di legge del 15 ottobre perché la sostanza secca accumulata sui pascoli, non consumata dagli animali, potrebbe alimentare gli incendi e per non aggravare la situazione del mercato del fieno.

 (17/07/2022) Lombardia - Calamità cinghiali e siccità. Estate difficilissima per tutti gli allevatori lombardi (e non solo lombardi), sia in pianura (dove il mais non si è fecondato e deve essere trinciato precocemente peer non perdere tutte le unità foraggere), sia in montagna. In montagna la produzione di fieno è scarsa e non potrà essere integrata dagli acquisti di fieno della pianura (dove la produzione è ancora più scarsa). A queste difficoltà, legate alla carenza di foraggio, si aggiungono quelle legate alla carenza di acqua sui pascoli. Negli anni passati, le piogge primaverili compensavano, almeno in parte, le scarse precipitazioni invernali, quest'anno - come prevedibile - le sorgenti si sono asciugate, i ruscelli che, solitamente, si asciugavano a fine stagione, si sono asciugati subito. Dove, nella fascia prealpina, le sorgenti sono sempre state scarsissime per motivi geologici, le pozze d'abbeverata, non caricate dalle piogge, sono ridotte al lumicino

In questa immagine satellitare di inquadramento, i pascoli della Costa del Pallio sono la strisca chiara orizzontale.

In questa situazione, aggravata spesso, dalla carente manutenzione e pulizia degli invasi, si inserisce la piaga dei cinghiali Ua piaga non nuova, fortemente denunciata, ma senza esiti. Alla Costa del Pallio, (alpeggio di proprietà della Regione Lombardia) come abbiamo documentato in aprile (vai a vedere) decine di cinghiali hanno devastato (quest'anno in modo peggiore di quelli precedenti) i pascoli migliori. Ora, in cerca di acqua di abbeverata e di refrigerio, sguazzano nelle pozze intorbidando la poca acqua rimasta, smuovendo il fondo dove, in assenza di ricambio, di deposita materiale organico e rendendola inutilizzabile per i quasi 200 bovini caricati sui pascoli. Che devono essere abbeverati trasportando su e già dal paese di Morterone i serbatoi da 1000 l con il pick-up.


Una piaga inevitabile? No di certo. E' per una precisa volontà politica ostruzionista, che non si attui un controllo efficace del cinghiale, perché si vuole che contiui a proliferare e (insieme ai grandi predatori)  distrugga le attività di agricoltura e di allevamento. Dopo molte difficoltà, dopo tre mesi, è stata posata una sola gabbia (nella foto sotto) ma, sinora, non è entrato un solo cinghiale. Non è un mistero che sia nell'Ersaf che nelle polizie provinciali, prevalga la linea del "rewilding" e si spera che l'abbondanza dei cinghiali attiri il lupo, che tutto diventi giungla impenetrabile.

Così, finalmente, gli allevatori con le loro vacche, colpevoli di ruttare micidiali emissioni climalteranti (e del resto ormai inutili perché ci sono i latti e la carne artificiale dei "filantropi"), non verranno più a operare il "disturbo antropico", a bere fiumi di acqua.  La Natura potrà riprendere il sopravvento e noi - chiusi in città sotto una cupola ben sorvegliata - a mangiare insetti e cibo da laboratorio spazzatura, la sbobba (a caro prezzo), dei padroni del vapore sino a che piacerà lasciare in vita quella che sarà ridotta a una larva di umanità. Ormai è dichiarato apertamente che l'obiettivo degli animal-ambientalisti è la completa sparizione di ogni forma di allevamento animale (tranne gli insetti). Poi toccheerà alle coltivazioni.

Del resto quale sia l'orientamento della gestione della "Foresta demaniale della Costa del Pallio"  (una "foresta" nata da un antiecologico  popolamento artificiale monospecifico di abete rosso fuori areale) lo dicono le cataste di legna verde lasciate a terra per "nutrire la fauna selvatica". E poi si chiama Ente per i servizi all'agricoltura e alle foreste ...

Di agricolo l'Ersaf ha solo la provenienza del bilancio (rubato all'agricoltura), per il resto segue una linea antiagricola, animal-ambientalista dettata dalla Direzione Generale Ambiente e Clima (vedi lupo e orso). L'assessore all'agricoltura, Rolfi, , dando prova di buona volontà (come con le norme sul cinghiale) ha cercato di riformare l'Ersaf e di ridimensionarlo; ha cercato anche di trasferire la proprietà dei pascoli e dei boschi del demanio regionale ai comuni. Niente da fare, si è scontrato conntro il muro di gomma delle lobby e della burocrazia. Anche quando la politica si impegna non la spunta contro il deep state che obbedisce alle centrali internazionali del potere reale con i loro ramificati terminali. A contrastare queste lobby c'è poco o niente.


Buona parte dei pascoli della Costa del pallio sono stati inseriti in una ZPS (zona di protezione speciale) istituita per l'avifauna migratoria ma, come tutte le "aree protette", diventata "santuario" e preclusa all'empio profanatore (il cacciatore di qualunque tipo). Era la linea in voga ai tempi successivi all'attuazione della legge 157/92. L'ambientalismo, falliti i referendum anticaccia, puntava a ridurre - seguendo la strategia del carciofo -, le possilità di caccia e le aree per l'esercizio venatorio. A scoraggiare i cacciatori dal continuare l'attività e, soprattutto, a disincentivare il ricambio generazionale si sono aggiunte le eccessive specializzazioni, le troppe limitazioni dell'esercizio venatorio a fronte di costi crescenti. Con la proliferazione della fauna, però, la strategia delle "aree protette" ha iniziato a stridere con la necessità di contenerne i danni. Per anni nelle aree protette i cinghiali si sono moltiplicati indisturbati. Dopo lunghe battaglie, durate anni, si sono finalmente aperti i "santuari" al controllo numerico della fauna nociva. Dopo anni di ricorsi, sentenze, modifiche normative si sono istituiti gli operatori faunistici venatori e gli agricoltori hanno avuto la possibilità di sparare ai cinghiali (se i possesso di licenza) o di chiamare parenti muniti di licenza di caccia e volontari regolarmente abilitati. Ma dopo questa trafila defatigante cosa è successo? Le provincie (polizie provinciali) hanno subìto una falcidia di personale con la "riforma" Del Rio e hanno pochissime guardie venatorie in grado di eseguire direttamente i controlli. Il buon senso imporrebbe di formare (con gli appositi corsi) e impiegare gli operatori faunistici volontari. Invece non lo fanno. A Lecco ne sono impiegati pochi, a Bergamo - dove i volontari sono numerosi -  nessuno. Per di più li si scoraggia in ogni modo e ne si limita in ogni modo l'operatività


Non trattadosi di caccia gli operatori volontari non possono tenere il capo per sé e devono conferirlo ai centri di raccolta. Ma ci si chiede se è giusto che debbano trasportare a loro spese i cinnghiali finiti nelle gabbie, se è giusto che gli vengano rimborsate solo le cartucce (e la benzina, l'uso del mezzo proprio, delle proprie attrezzature?). Non è finita. Agli operatori volontari la polizia provinciale di Lecco impone di limitare le operzioni a un ora prima e dopo il tramonto. Che senso ha operare il controllo su un periodo acora più limitato della caccia di selezione (alla quale vengono concesse tre ore?). La soluzione? Considerato che a livello provinciale la politica è particolarmente debole (circostanza che ha facilitato l'autoreferenzialità, o meglio la referenza alle lobby ambientaliste degli uffici fauNistici e delle polizie proviciali) la Regione deve imporre che siano le provincie a pagare i danni da cinghiale dovuti alla loro politica ostruzionistica nei confronti degli operatori faunistici volontari, tagliando, in caso di recidiva, ogni finanziamento alle polizie provinciali. Quanto all'Ersaf l'assessore dovrebbe porre la questione politica di un ente strumentale che è un centro di potere che ha la forza di bloccare la sua riforma e il trasferimento ai comuni delle proprietà che gestisce.


Emergenza siccità: subito misure di buon senso

Allargando lo sguardo alla situazione attuale degli alpeggi in generale (in Piemonte e in vento le cose non vanno meglio) si è di fronte a una grave carenza idrica. Qualcuno psa di scaricare anzitempo per "calamità naturale", meglio, inveece, in attesa dei temporali di agosto che potrebbro mitigare un po' la situazione (almeno dove vi sono le pozze d'abbeverata), procedere con il rifornimeto d'emergenza e contiuare il pascolamento. L'erba è abbondante sui pascoli perché cresciuta a maggio con un po' di piogge e il caldo ma manca in alcuni settori l'acqua per abbreverare gli animali. Va segnalato e seguito l'esempio della protezione civile della val Brembana, un fiore all'occhiello per tutto il nord Italia che sta rifornendo con le autobotti le situazioni critiche.  


Quello che non va fatto è pascolare velocemente l'erba migliore in prospettiva di uno scarico anticipato e lasciare invecchiare la cotica su vaste superfici.  Bisogna, anzi, restare in alpeggio più a lungo possibile. L'abbondanza di erba  secca lasciata indietro, infatti, potrebbe lasciare una necromassa combustibile tale da determinare un alto rischio di incendio e, una volta compressa dalla neve, di movimenti valanghivi. La discesa precoce determinrebbe un'ulteriore pressione su un mercato del fieno già codizioato negativamente dalle ridotte produzioni della primavera e dell'estate.  Andrebbe quidi concessa  una deroga al regolamento regionale che impone una discesa sotto i 1500 mt entro il 15 di ottobre in modo da consentire un miglior sfruttamento della massa vegetale sia pr motivi economici che ambientali. Quanto prima gli alpeggiatori verrao a cooscenza dell'auspicabile deroga quanto prima potrebbro programmare un miglior utilizzo della risorsa pascolo.

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