C'è un piano per programmare condizioni di insicurezza alimentare
sino al limite della carestia? I fatti dicono che c'è la volontà di
distruggere l'agricoltura e l'accesso alle risorse alimentari della
terra. L'agricoltura deve fare i conti con aumenti diretti e indiretti
del costo dell'energia e delle materie prime.
Aumenti che, a differenza di altri settori, non riesce se non in
modesta misura, a trasferire sui
prezzi che le vengono riconosciuti. L'aumento più
forte è stato quello dell'urea, ma le prospettive per i prezzi del
gasolio agricolo sono nere, specie se torneranno alla carica le lobby
che chiedono l'abolizione del gasolio agricolo. Nel frattempo, la
Commissione europea prospetta scenari allucinanti relativamente alla
sostituzione di fonti fossili con le bioenergie, in particolare con il
biogas. Spinta da incentivi
abnormi, la produzione di biogas si
mangerebbe una buona fetta delle terre agricole europee. In un contesto
in cui l'import di commodities agroalimentari sarà sempre più
problematico. Si profila quindi una preoccupante strategia del "o
mangi sta
minesta..." per imporre, con lo spettro della carestia, il cibo
spazzatura (prodotto senza terra) degli oligarchi e nuove forme di schiavitù. Oltre alla terra
che sarà sottratta dalle bioenergie, concentrandosi in poche mani, vi sarà quella destinata a wilderness. Il
tutto attraverso la rovina delle aziende agricole e l'esproprio di
massa della proprietà terriera. In questa chiave si capiscono tante cose.
Gli effetti della pandemia e le
direzioni che prenderà la transizione energetica incideranno
profondamente sugli assetti economici e sociali. Su questo sino tutti
d’accordo. Quando poi, però, si osserva che quanto sta avvenendo non è
affatto “socialmente neutro”, che è palese la volontà dei poteri
oligarchici di utilizzare questi frangenti per imporre un nuovo ordine
sociale, allora il coro mass-mediatico deve alzare cortine fumogene,
far credere che certe scelte siano imposte dall’ordine naturale delle
cose (il riscaldamento climatico sostituisce la volontà divina di un
tempo), denigrare anche i timidi accenni di critica sociale con
il bollo d’infamia del “complottismo” e “no-vaxismo”. E’ sotto gli
occhi di tutti, però, che, mentre i miliardari alla Gates e Bezos hanno
fatto affari d’oro con la pandemia, interi settori di piccola e media
impresa siano sotto stress e come nei settori del commercio al
minuto, del turismo, della ristorazione vi sia un picco di mortalità
impressionante.
La penetrazione delle multinazionali
nella distribuzione alimentare continua inesorabile. Se i francesi
hanno subito perdite e battute d’arresto, i gruppi tedeschi avanzano.
Dopo aver messo in crisi il “negozio di vicinato”, le grandi catene
hanno lanciato le loro formule di “punto vendita di prossimità”. Non
era quindi obsoleta la formula (era evidente che un mondo di
ipermercati come solo luogo, o piuttosto “non luogo” commerciale
rappresentasse una follia in termini di consumo di suolo e di mobilità
e viabilità insostenibile) era “obsoleta” (dal punto di vista
capitalistico) la piccola impresa commerciale indipendente. Andava
“fatta fuori” in tempo prima che si scoprisse che è meglio, per la
qualità della vita e dell’assetto urbanistico e viabilistico, avere una
rete di punti vendita raggiungibili in bicicletta che essere costretti
a utilizzare l’auto (e riempirla di scorte settimanali o bisettimanali
per poi riempire frigo e freezer alla faccia dei consumi energetici e
degli sprechi alimentari). Intanto la “logistica” si incarica di
sostituirsi ai centri commerciali in crisi per continuare a consumare
suolo e, nei settori del commercio non alimentare, l’e-commerce ha
sfondato. Spinto da una pandemia tanto provvidenziale (per i
colossi delle tecnologie informatiche e della comunicazione) da
avvalorare i peggior sospetti, che si rafforzano quando si apprende
degli intrecci finanziari e societari tra big pharma e big tech, i
colossi di internet, i veri “padroni del vapore” del XXI secolo.
L’agricoltura è tutt’altro al riparo
dai contraccolpi di questa situazione. Il fenomeno più evidente è
rappresentato dall’aumento dei costi di produzione legati alle materie
prime. Vediamo la crescita dei prezzi di alcune materie prime
fondamentali per l’alimentazione animale:l’orzo è passato (prezzi al
q.le) da metà gennaio 2021 a metà gennaio 2022 da 21,5 a 31,1, il mais
da 20,2 a 28,5, il frumento 22,2 a 32,5. L’aumento del latte, dopo
difficile trattativa, è risultato di 4 centesimi al litro, portandolo
al prezzo a 39. Sempre scarsamente riconosciuta la qualità, in termini
di premi perché sulla qualità industria e Gdo si riservano loro un
ampio margine di manovra (attraverso politiche di marchio e di
packaging più che sulla qualità intrinseca) entro una forbice
che, per un litro di latte al dettaglio, varia da 0,80 a 1,80 €.
Nei fatti, l’aumento delle materie prime di base per l’alimentazione è
risultato doppio dell’aumento del prezzo riconosciuto all’allevatore.
Tutte le altre componenti minori del razionamento alimentare sono state
trascinate in su dall’aumento dei prodotti base e dall’aumento dei
costi dell’energia che incide sui processi industriali (vedi
preparazione mangimi) che sul trasporto.
L’agricoltura paga pesantemente l’aumento del costo dell’energia
L’agricoltura paga anche direttamente l’aumento del costo dei
carburanti. Il prezzo del gasolio agricolo (sino a 1000 l) a metà
gennaio 2021 era pari a 0,69 €/l, a metà gennaio 2022 è arrivato a
0,94. Anche in questo caso un aumento di oltre 1/3 in un
anno. A questo punto, nella struttura dei costi di un’azienda
agricola non si può non dimenticare un altro elemento chiave che
ha subito rincari ancora più pesanti: i fertilizzanti chimici. Sempre a
metà gennaio 2022 il prezzo dell’urea agricola (46%), principe dei
fertilizzanti azotati, è arrivato alla bellezza di 95€ /q.le contro i
31 di un anno prima. In questo caso l’aumento è del 200%. Un fatto che
è coneseguenza del fatto che per la sintesi dell'urea servono notevoli
quantitativi di energia elettrica. Un'agricoltura resa
"tossicodipendende" dai concimi chimici è esposta oggi a contraccolpi
pesantissimi. Ben diverso sarebbe se le pressioni di mercato non
avessero separato agricoltura animale e monocolture vegetali. Da una
parte si è creato il problema dell'eccesso di nutrimenti (che devono
essere "smaltiti", basti pensare agli impianti energivori per abbattere
la carica di azoto dai liquami zootecnici o comunque ai trattamenti
(separazione liquido-solido) per rendere il liquame più gestibile,
dall'altra si sono create situazioni di pesantissimo deficit di
sostanza organica nei terreni per impossibilità di disporre di concimi
animali. In condizioni di una meno squilibrata distribuzione
dell'allevamento animale, la fertilità dei terreni, il risparmio di
concimi chimici ne avrebbero immensi benefici. Che l'agricoltura
biologica ben fatta abbia rese di non molto inferiori a quella che
utilizza concimi chimici è un fatto. A chi sostiene che sono stati i
concimi chimici ha vincere la fame possiamo ricordare che per secoli le
rese del frumento sono state ferme a 6 q.li /ha mentre oggi
l'agricoltura bio produce 10 volte tanto. Basterebbe impedire
l'ulteriore consumo di suolo e il rewilding (che sottrae alla
produzione agricola anche terreni buoni) e si avrebbero produzioni
quantitativamente uguali, con meno inquinamento, con meno utilizzo di
energia fossile, con più aziende agricole. Ma questo non è nella
logica del sistema. Comunque non tutto il male viene per nuocere e chi
snobbava il letame sta tornando a chiederlo agli allevatori, disposto a
pagarlo (come è giusto).
Un
impianto di urea in Egitto. I paesi esportatori stanno chiudendo le
esportazioni (Cina, Russia, Egitto) e il prezzo è impazzito.
Oltre la congiuntura: si profilano scelte politiche pericolose
Il tema del gasolio agevolato e dei
fertilizzanti azotati ci porta a considerazioni che vanno oltre la
congiuntura. Entriamo nel campo delle scelte politiche e industriali.
La scelta dell’industria automobilistica di puntare sull’elettrico nel
contesto di un colossale greenwashing, più in generale, le strategie
della “transizione energetica” orientate agli interessi dell’oligarchia
mondialista, saranno tali nei prossimi anni dal decidere delle sorti
dell’agricoltura. Dal momento che, nell’ambito della motorizzazione
agricola, la sostituzione dei motori endoternici risulterà per forza di
cose più lenta, l’agricoltore verrà a dipendere da un costo del gasolio
che, al di là delle fluttuazioni dei prezzi petroliferi, sarà sempre
più elevato a mano a mano che l’industria petrolifera si contrarrà e i
costi di produzione e distribuzione aumenteranno. Sarà bene
ricordare che, prima della pandemia, venne sventato il tentativo di
introdurre nel “decreto Clima” l’abolizione dell’agevolazione sul
gasolio agricolo. Ma possiamo essere certi che la lobby che sostiene la
motorizzazione elettrica (la cui sostenibilità ambientale è tutta da
dimostrare) e le “rinnovabili” (spesso solo sulla carta e comunque
costose e in larga parte intermittenti) tornerà alla carica. Le
prospettive non sono comunque incoraggianti perché, sia passando alla
motorizzazione elettrica, sia subendo l’aumento del gasolio,
l’agricoltura dovrà pagare un costo elevato. Tutto ciò incoraggerà
l’ulteriore chiusura di aziende per mancato ricambio generazionale o
per resa a condizioni impossibili di sopravvivenza, la fagocitazione
dei loro terreni da parte di agricoltori più grossi ma, andando avanti,
di società che di “agricolo” hanno solo il distorsivo riconoscimento
della legge per le srl.
Trattrici
agricole elettriche: batterie mostruose per autonomie ridicole: i tempi
per la meccanizzazione agricola elettrica saranno lunghi e nel
frattempo il costo del gasolio diventerà proibitivo, specie dopo che
non saranno più prodotte autovetture e veicoli industriali con modore
diesel.
Se il costo dell’energia aumenta, alle
aziende agricole viene indicata la strada dell’autoproduzione. Anzi,
viene indicata quella della trasformazione in aziende bioenergetiche
(ovviamente in “partenariato” con opache società, magari
lussemburghesi). L’ondata di centrali a biogas che ha sfigurato regioni
agricol come il cremonese, incentivando la monocoltura maidicola
(una “perla” di sostenibilità agroambientale, specie in versione no
food) e facendo schizzare i costi per l’affitto dei terreni a tutto
danno degli agricoltori non coinvolti nella speculazione
“bioenergetica”. Ora, però, con il tema della “transizione
energetica” e, in particolare con la classificazione delle fonti
energetiche, su cui si sta svolgendo una battaglia furiosa, si
addensano nuvole nere. Pare paradossale ma è sul Sole 24 ore (articolo
del 25 gennaio) che si leggono le notizie più allarmanti. A
proposito della bozza della Commissione. Luca Bonaccolsi, co-autore del
parere della piattaforma della finanza sostenibile sulla bozza di
classificazione delle fonti energetiche, afferma:“«Questa bozza è anche
il più grande incentivo della storia per la produzione di biogas». E,
andando al sodo, mette in guardia: «Per rimpiazzare il solo carbone con
il biogas come prevede l’atto delegato – spiega - dovremmo destinare
più del 20% della terra coltivabile europea al mais e triplicare la
produzione attuale. Parliamo di una superfice grande come tutta la
Francia. Se poi, come dice ancora la legge, dal 2036 volessimo
sostituire tutto il gas col biogas ci vorrebbe l'80% della terra
arabile. Stiamo parlando di un incentivo a produrre un disastro
paragonabile solo a quello che la soia e l'olio di palma stanno
causando in Asia e nell'America del sud». Ora, a meno di credere che
anche certi ambienti della finanza si siano convertiti al complottismo,
cosa si deve dedurre?
Mais per biogas.
Una speculazione dannosa per l'agricoltura, una delle "rinnovabili" più
impattanti dal punto di vista economico, cociale, ambientale.
La fine dell'agricoltura?
Se anche solo si dedicasse alle
bioenergie il 20% della superficie agricola, considerata la situazione
mondiale - che non lascia ben sperare nella possibilità di
approvvigionamenti facili ed economici sul mercato internazionale -, le
tensioni sui prezzi dell'agroalimentare e i rischi di difficoltà di
approvvigionamenti si farebbero seri. Ancora più seria se si
considerano le superfici agricole che si continuano a perdere per il
consumo di suolo (sono tutti gretini ma al cemento non rinunciano e i
primi a cementificare sono i big - ultra ambientalisti quando c'è da
tagliare le gambe agli altri - ma bramosi di nuove "logistiche"). E
cosa dire del terreno agricolo che si perde per il rewilding, sostenuto
attivamente dalle politiche delle lobby animal-ambientaliste e,
passivamente dalla vecchia legislazione forestale di stampo
ottocentesco (che, guarda caso, non si vuole aggiornare), che si perde
per i danni e la diffusione sempre più massiccia della fauna ungulata e
dei grandi predatori (che non si fa nulla per controllare, sempre per
lo strapotere delle lobby animal-ambientaliste, mantenendo, anche in
questo caso la vecchia legislazione protezionista). Proviamo ad aprire
gli occhi: i "conservazionisti" vogliono imporre per il 2030 il 30% di
"aree protette" (destinato a salire al 50%). Se le superfici
utilizzabili per l'agricoltura vengono dedicate alle produzioni
bioenergetiche nelle folli proporzioni prospettate nei disegni della
Commissione europea ... non rimane nulla per coltivare il cibo. Niente
paura: c'è la carne sintetica di Bill Gates, ci sono le insalatine
vegane idroponiche (ma a che costi?), c'è la farina di camole e ci sono
le alghe. Come fare a indurre la gente a convertirsi al neo cibo? La risposta viene dalla storia. Per far digerire l'uso
alimentare della patata ai nostri contadini, che la reputavano alimento
adatto ai suini, l'élite (che aveva capito che con la patata si
producono più calorie per unità di terreno agricolo che con i cereali,
anche se a prezzo di più fatica e ore di lavoro di zappa, ma tanto
quella non ce la mettevano loro che avrebbero ottenuto maggiori rendite
dall'estensione della superficie di cereali destinati al
mercato), le provò tutte, mobilitando anche i preti (il sostituto
dei mass media di oggi). Ma fu la carestia che culminò nel 1816 (l'anno
senza estate a causa dell'eruzione del vulcano Tambora Indonesia che
riempì di polveri l'atmosfera abbassando la temperatura), l'ultima da
noi, che fece "mangiare la minestra".L'èlite non gradisce che la
plebe studi la storia. Loro la conoscono, però. E sanno che solo la
minaccia di "saltare la finesta" può far accettare la loro "minestra". Oggi, però
la "minestra" si profila molto, ma molto peggio delle patate (di cui il contadino
diffidava, non senza motivo, per via della solanina presente nelle patate
non adeguatamente conservate).
Un mondo così, in cui sei controllato
in ogni tua azione (il green pass è il primo... pass, ma ci sono già lo
smartphone e l'internet delle cose che operano da occhio e orecchio del
Grande Fratello), in cui devi mangiare il tristo cibo artificiale che ti propineranno gli
oligarchi, in cui non potrai fare una passeggiata perché nella
wilderness non si dovrà mettere piede per non disturbare gli animali
selvaggi sarà un mondo che merita vivere? La wildernes, infatti sarà privilegio degli oligarchi,
e dei tecnocrati ambientalisti che visiteranno i parchi con
le scorte armate, con la soddisfazione di godere - essi soli - della
natura incontaminata, mentre agli schiavi sarà proibito uscire dalle
metropoli. Sarà un mondo con il pass alimentare
(per nutrirsi di porcherie) e il reddito universale di cittadinanza, sarà degno
di essere vissuto o non procurerà piuttosto depressione di massa? Ancora una volta niente
paura: ci pensa il Grande Fratello. Il Canada ha già legalizzato le
cure psichiatriche con ecstasy, lsd, psilocibina e vi è notizia che,
attraverso le solite start-up (chi c'è dietro sono sempre quei cari
signori), si stanno investendo miliardi di dollari nelle applicazioni
terapeutiche delle sostanze psichedeliche. Gli schiavi saranno
controllati anche così. Ma siamo veramente sicuri che distruggere
l'agricoltura e la società con la scusa del
riscaldamento valga la pena? Per l'umanità no di sicuro. Probabilmente, invece, la vale, eccome, per chi vuole sfidare Dio e
diventare onnipotente riducendo il 99% dell'umanità a formiche da poter schiacciare a piacimento
La
vaccinazione antipolio veniva somministrata con uno zuccherino (chi ha
una certa età se lo ricorda). La
vaccinazione con le droghe pesanti sintetiche contro la depressione
indotta da una società senza libertà idem. Così si somministra la
dietilamide dell'acido lisergico, versione sintetica del principio
attivo della segale cornuta.
Difendere l'agricoltura che produce cibo sano è difendere la libertà, la vita.
Il timore è che l’agricoltura come la conosciamo da millenni possa
essere smantellata, non certo in favore del benessere dell’uomo e degli
ecosistemi ma per assecondare quella tendenza – che si palesa sempre
più demoniaca – da parte dei circoli che aspirano a un effettivo
governo mondiale oligarchico e tecnocratico, ad assumere il controllo
totalitario delle vite delle persone oltre che dell’economia e
dell’uso dei territori. Il controllo delle fonti alimentari, la perdita
di ogni autonomia personale, famigliare, comunitaria, locale, nazionale
sulla produzione e distribuzione delle risorse alimentari,
l’eliminazione delle comunità rurali, il controllo tutale delle
superfici oggi agricole, forestali, pastorali rappresentano pericoli
reali. La nuova religione di stato, il pensiero unico
animal-ambiental-climatista sono l'oppio ideologice per nascondere
tutto questo. In attesa della droga obbligatoria (si comincia con i
vaccini, che dovevano riportare alla normalità, che non avevano effetti
collaterali, che erano la salvezza).