(22.01.12) Il TAR di Trento respinge (in larga misura) il ricorso di alcuni grandi melicoltori nonesi contro il regolamento del comune di Malosco. Una sentenza storica per l'applicazione del principio di precauzione
di Michele Corti
Le motivazioni della sentanza del TAR di Trento fanno riferimento alla pericolosità - alla luce del rischio cancerogenesi - anche delle dosi bassissime di pesticidi pericolosi. Il Comune di Malosco ha quindi agito legittimemente nello stabilire limiti di distanze di nebulizzazione dalle abitazioni e il divieto di alcuni pesticidi molto pericolosi (ma ancora in commercio e consigliati dalla Fonfazione Mach nonché da altri servizi di fitoiatria pubblici)
Uno dei comuni che hanno cercato di contrastare l'espansione della monomelindacoltura che ha trasformato l'intera valle di Non in un meleto (sottoposto a decine di trattamenti con pesticidi all'anno) è Malosco.
Il comune del'alta valle ha emanato un regolamento articolato in sedici punti che norma le coltivazioni intensive e l'impiego di fitofarmaci. A Malosco i melindacoltori sono pochi e si vuole evitare che melindacoltori di fuori acquistino terreni mettendofuori gioco quel poco di zootecnia che resiste, consapevole che la zootecnia sostenibile, quella con adeguata base di prati e pascoli, rapprenti la chiave di volta della conservazione di un paesaggio, iacevole, sano e fruibile.
Così Malosco ha vietati i prodotti delle classi di maggiore tossicità, i pali metallici e di cemento per la realizzazione degli impianti di frutticultura intensiva, ha vietate le reti antigrandine di plastica (tutte cose che offendono il paesaggio e non incentivano il turismo che non apprezza certo un paesaggio monotono e artificioso). Il "Regolamento comunale per l'utilizzo di prodotti fitosanitari e la disciplina delle coltivazioni agricole", approvato con deliberazione n. 25 di data 17.11.2010 del Consiglio comunale stabiliva anche che per nuovi impianti e rinnovi dei vecchi sarà necessario realizzare delle siepi a protezione dell'effetto di deriva dei fitofarmaci.
Il comune, guidato dal sindaco Adriano Martini punta in questo modo a difendere il paesaggio, a salvaguardare i prati rimasti e la zootecnia attività che meglio si sposano con il turismo degli atomizzatori. Il rischio secondo il sindaco era di fare la fine del vicino paese di Rumo 'colonizzato' da melindacoltori di paesi vicini. Non si vuole eliminare le mele ma fare si che ci si converta alla produzione biologica. Nel consiglio comunale ha votato al regolamento contro solo Francesco Calliari figlio di Gabriele Calliari. Di tutto ciò ne abbiamo parlato anche qui su Ruralpini (vai all'articolo)
Il ricorso al Tar di cui oggi si festaggia il sostanziale respingimento
Gabriele Calliari è un personaggio noto. Presidente della Coldiretti provinciale è un melicoltore di peso visto che è tra 'piantatori colonialisti' che hanno trapiantato la melicoltuira intensiva (e con largo uso di prodotti chimici di sintesi nel feltrino (BL), in un'area dove stava sviluppandosi un piccolo distretto della mela bio. Forti dei loro capitali i 'piantatori' trentini (e sudtirolesi) hanno comprato parecchi terreni in Veneto dove la terra costa meno che dalle loro parti dove hanno piantato mele ovunque. Considerata che l'opposizione del figlio in consiglio comunale ha avuro solo l'effetto della 'testimonianza' il nostro ha ben pensato di presentare al Tar, insieme ad un pensionato melicoltore a part-time (Franco Marini) ,un ricorso articolato contro il regolamento comunale. Lo si riteneva totalmente illegittimo e si è fatto leva su vari cavilli per farlo decadere. Eravamo ad aprile di quest'anno.
Il ricorso sosteneva:
1) l'illegittimità dell’art. 5 del citato Regolamento, nella parte in cui prescrive, ai fini dell’utilizzo di
prodotti fitosanitari, il mantenimento di una fascia di rispetto di
2) illegittimità degli artt. 9 e 11, nella parte in cui inibiscono l’utilizzo di pali in cemento o metallo e di reti antigrandine; si lamenta l’incompetenza dell’atto regolamentare in materia, violazione della disciplina urbanistico edilizia provinciale e comunale relativa alle aree agricole, violazione, sotto altro profilo, degli artt. 41 e 42 Cost., nonché eccesso di potere per illogicità, ingiustizia manifesta e sviamento.
Il Comune di Malosco si è costituito in giudizio, eccependo in via preliminare l’inammissibilità del ricorso e resistendo nel merito all’introdotta domanda.
Motivazioni di grande valore innovativo
La sentenza è stata depositata il 14 gennaio. Essa prende atto che ll nuovo regolamento del Comune di Malosco, richiamandosi alle linee guida provinciali (deliberazione provinciale n. 1183/2010), ha disciplinato la materia in asserito rispetto "del paesaggio definito come un bene di tutti anche dalla stessa Convenzione europea del paesaggio", nonché della vocazione turistica del Comune di Malosco (22.201 presenze alberghiere e 34.455 extralberghiere nell’anno 2010). Viene considerato che: "a Malosco i terreni agricoli non solo circondano completamente l’agglomerato urbano, ma si insinuano al suo interno, fondendosi con lo stesso. Inoltre, una fitta rete di percorsi pedonali, ciclabili e sentieri attraversa il territorio comunale, rappresentandone una peculiare attrazione turistica entro un contesto ambientale alpino di grande suggestione". Fatto molto importante si considera il fatto che la melicoltura ha soppiantato la forme tradizionali introducendo la nomocoltura e quello che ne consegue in termini di massiccio utilizzo di pesticidi:
"Va, altresì, rilevato che lo sviluppo dei fondi coltivati a meleto ha in parte soppiantato la tradizionale vocazione agricola della valle di Non, in passato basata prevalentemente sull’allevamento e sulla coltura del foraggio e dei cereali, portando il problema della regolamentazione dell’uso dei pesticidi per proteggere le piante dagli agenti patogeni. In particolare, tra i processi produttivi che caratterizzano la monocoltura del melo praticata non solo a Malosco, ma intensivamente nell’intera vallata e se si esclude un ancora limitato ricorso ai metodi di lotta biologica, quello nettamente prevalente prevede la massiccia somministrazione di pesticidi per la difesa dai parassiti animali e vegetali, nonché dalle piante infestanti. Di qui, l’impatto dell’attività agricola con le finalità di tutela della salute e dell’ambiente, non solo dal punto di vista della protezione degli operatori agricoli, ma, soprattutto, di tutti coloro che abitano o si trovano a transitare in prossimità delle coltivazioni trattate con sostanze nocive per la salute umana.
Premesso tutto questo il Collegio giudicante non ha convenuto con i ricorrenti sulla illegittimità delle restrizioni imposte all'uso dei pesticidi dal comune in quanto "non previste da norme comunitarie o provinciali"
Infatti secondo il TAR la materia ambientale rientra sì fra le competenze provinciali ma non essendo l’ambiente materia in senso tecnico, qualificandosi piuttosto come valore costituzionalmente protetto e rientrando in esso le materie di tutela della salute e governo del territorio. In particolare i Comuni sono titolari di funzioni proprie, che l'art. 13 del D.Lgs. n. 267/2000 individua in tutte quelle riguardanti la popolazione ed il territorio comunale, precipuamente tra l’altro nei settori organici dell'assetto ed utilizzazione del territorio e dello sviluppo economico. Gli stessi enti locali sono, poi, titolari anche di funzioni conferite dallo Stato, dalle Regioni e/o Province autonome, secondo il principio di sussidiarietà di cui all’art. 118 comma 1 Cost. Per di più la suddetta delibera provinciale n. 1183/2010 - emessa in dichiarata applicazione della ricordata Direttiva UE n. 128/2009 attribuisce con l’art. 6 un ampio potere regolamentare ai Comuni.
Il principio di precauzione trova una precisa definizione inrelazione al potere discrezionale degli enti locali in materia di tutela della salute e del territorio
Dopo aver rilevato come il Comune si sia mosso all'interno della propria sfera di competenza il TAR ha preso in considerazione il contenuto dei provvedimenti (divieto atomizzatori, distanza di 50 m, bando di prodotti molto pericolosi per quanto ancora in commercio) e la leggittimità delle motivazioni in base alle quali il Comune ha inteso adottarle. E qui arriva un'affermazione molto importante. Si chiarisce che principio di tutela significa agire prima che le statistiche epidemiologiche (di solito con ritardo di decenni) certifichino la pericolosità di un pesticida.
"... l'introduzione in sede comunale di valori più rigorosi rispetto a quelli validi sul territorio provinciale costituirebbe, secondo l’amministrazione locale, applicazione del principio di cautela, che rende necessario minimizzare le esposizioni ai fitofarmaci in questione, sia in relazione a recenti studi medico-scientifici, che proverebbero un’associazione positiva tra pesticidi agricoli e vari tipi di cancro, sia in attesa di ulteriori accertamenti che diano risultati indiscutibili".
Come se non bastasse il principio di precauzione viene ritenuto legittimo fondamento del provvedimento comunale anche in materia di utilizzo degli atomizzatori che, secondo dati diffusi dalla Provincia, determinerebbe un effetto deriva di soli pochi metri. Qui il TAR obietta che:
"... i trattamenti fitosanitari effettuati con speciali mezzi diffusori (i cosiddetti atomizzatori), che permettono l’irrorazione delle campagne attraverso il sistema dell'atomizzazione delle particelle di composto attivo in soluzione acquosa, veicolate con un potente flusso d’aria verso le piante e che sono ripetuti per diverse decine di volte durante tutto il ciclo vegetativo, di norma da marzo a settembre. Tra l’altro, essi danno luogo al cosiddetto "effetto deriva", ovvero alla dispersione aerea delle particelle di miscela di prodotto fìtosanitario che non raggiungano la coltura da trattare o l'infestante da eliminare, ma si diffondano nell’ambiente circostante, inquinando così variamente (in ragione del grado di tossicità) l'aria, l'acqua, il suolo e poi, di conseguenza, tutte le forme di vita, animali e vegetali, presenti nell’ecosistema, con inevitabile successivo ingresso anche nel ciclo alimentare umano.
La sentenza passa poi a trattare un punto assolutamente cruciale nell'ambito di tutte le controversio sul rischio: "i limiti massimi tollerabili" vale a dire il limite massimo oltre il quale si potrebbero avere effetti pregiudizievoli sulla salute umana. Su questo punto il TAR ha richiamato una sua precedente sentenza (n. 171/2010) nonché l'art. 174 del Trattato UE che ha indicato, al comma 1, la protezione della salute umana fra gli obiettivi della politica comunitaria in materia ambientale ed introdotto, al comma 2, il principio di precauzione, il quale dispone che “La politica della Comunità in materia ambientale mira a un elevato livello di tutela, tenendo conto della diversità delle situazioni nelle varie regioni della Comunità. Essa è fondata sui principi della precauzione e dell'azione preventiva, sul principio della correzione, in via prioritaria alla fonte, dei danni causati all'ambiente, nonché sul principio chi inquina paga".
l principio di precauzione, dunque, ed il correlato obbligo giuridico di assicurare un “elevato livello di tutela ambientale” con l'adozione delle migliori tecnologie disponibili è pertanto finalizzato ad anticipare la tutela, poi da apprestarsi in sede legislativa, a decorrere dal momento in cui si profili un danno da riparare ai fini sia della sua prevenzione, ove possibile, sia del suo contenimento. Per le autorità competenti la conseguenza è chiara:
".. si costituisce l’obbligo di adottare provvedimenti appropriati al fine di prevenire rischi, anche se solo potenziali, per la salute, per la sicurezza e per l’ambiente, facendo in ciò necessariamente prevalere le esigenze connesse alla protezione di tali valori sugli interessi economici dei singoli [...] essendo le istituzioni comunitarie e nazionali responsabili - in tutti i loro ambiti d’azione - della tutela della salute, della sicurezza e dell’ambiente, la regola della precauzione può essere considerata come un principio autonomo che discende dalle menzionate disposizioni del Trattato (Corte di Giustizia CE, sentenza 26 novembre 2002 n. C-132; Consiglio di Stato, sez. VI, 5.12.2002, n. 6657)".
Sulla base di tutto ciò il Comune di Malosco avrebbe esercitato legittimamenteil proprio potere discrezionale sulla base proprio del principio di precauzione che si caratterizza per tre aspetti
fondamentali: a) il suo carattere di principio generale; b) l’impossibilità, in
sede di bilanciamento fra protezione della salute e libertà economica, di
consentire alle imprese di essere esonerate dall’adottare le indispensabili
misure di cautela; c) la validità del principio in questione come criterio
interpretativo del sistema giuridico unitariamente considerato. Tra l'altro nell'applicazione di detto principio il Comune di Malosco, stabilendo una distanza minima per l' effettuazione dei trattamenti pari a 50 m dalle abitazioni non avrebbe fatto altro che utilizzare studi dell'Azienda Provinciale
per la Protezione dell’Ambiente, dai quali risulta che residui di
anticrittogamici di un certo rilievo si possono diffondere entro la fascia di
"Inoltre, accreditati riscontri medico-scientifici, come anche puntualmente indicati nella memoria depositata dall’Amministrazione comunale in data 22.7.2011, rilevano che l’esposizione a pesticidi, anche a dosi bassissime, rappresenta un rischio per la salute umana, in special modo durante le prime fasi della vita, comportando una documentata associazione a specifiche patologie cancerogene, in particolare linfomi, mielomi e leucemie".
Quanto agli aspetti paesaggistici e urbanistici il TAR ha respinto il ricorso in ponto ai teli e alle reti (di plastica) antigrandine giudicandolo il divvieto degli stessi contrario all'intangibilità del bene e dei frutti ricavabili dal fondo, travalicandosi altrimenti la soglia. Lo ha invece respinto in punto alle palificazioni in metallo e in cemento giudicate un vulnus ai valori paesaggistici ed "estranee alla tradizione trentina".
Una sentenza importante che farà discutere ma che rappresenta un importante punto di riferimento non solo per la lotta contro i pesticidi ma anche per quella contro le centrali a biogas da biomasse.
Una sentenza come questa mette con le spalle al muro quei comuni che si trincerano dietro la mancanza di competenze in materia agricola e che esitano a far valere, nell'ambito dei conflitti sopra richiamati, la carta della tutela della salute.