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(14.01.10) Preoccupanti
i risultati delle analisi sulla presenza di pesticidi
nelle urine degli abitanti della Val di Non
Gestione
del rischio pesticidi: gli organi pubblici tendono a
sottovalutarlo
In un'area a rischio come
la Val di Non, dove sulle mele si eseguono decine di
trattamenti ogni anno impiegando 30 diversi principi
attivi, il Comitato per la salute NON-Pesticidi si è
visto costretto ad autosassarsi per promuovere un'indagine
sulla presenza di pesticidi e loro metaboliti nei fluidi
biologici degli abitanti
Il Trentino è la provincia
con il più alto impiego di pesticidi per ettaro di terreno
coltivato. Un triste primato dovuto alla presenza di
colture 'specializzate' quali i vigneti, ma, soprattutto,
i meleti intensivi. Purtroppo da molti anni non
si va al di là della 'lotta integrata' una dizione ipocrita
per nascondere un impiego massiccio di prodotti 'fitosanitari'.
Un impiego che non accenna a ridursi. Il mercato globale
e le esigenze di stocaccaggio e logistica richiedono
varietà di mele suscettibili alle malattie crittogamiche
e ai parassiti. Il risultato è che le mele sono il prodotto
ortofrutticolo più contaminato. L'ultima indagine di
Lega ambiente ('Pesticidi nel piatto') segnalava tra
l'altro che proprio in Trentino sono in vendita le mele
più contaminate (su 22 campioni di mele 9 erano
fuorilegge a causa del superamento dei limiti massimi consentiti del
fungicida Boscalid).
Ovviamente
se sono contaminate le mele figuriamoci l'ambiente.
L'esposizione ai pesticidi riguarda in primo luogo gli
addetti (gli stessi melicoltori) e poi coloro che
hanno la sfortuna di abitare vicino ai meleti. In Val
di Non sono tanti perché il business Melinda (proiettato
ai mercati emergenti della Russia) continua a tirare
e si sono piantati meleti ovunque, eliminando i prati,
arrampicandosi sui versanti, piantando a ridosso degli
abitati. Le piaghe della monocoltura in Val di Non sono
ben evidenti ma buona parte dell'economia locale gira
intorno a Melinda e, sino a pochi anni fa, nessuno osava
contestarla. Oggi, invece, la petizione promossa dal
Comitato per il diritto alla salute, finalizzata a tutelare
meglio la popolazione dall'impatto della melicoltura
intensiva e chimica è stata sottoscritta da quasi
mille abitanti.
L'onere
della prova è a carico di chi subisce l'inquinamento
Il
Comitato per il diritto alla salute aveva riscontrato
presenza di residui di pesticidi in abitazioni private
e giardini. Di fronte a questi elementi gli esperti
ufficiali hanno contestato la carenza della metodologia
di raccolta dei campioni.
Nonostante
i vari tentativi di minimizzare i dati del Comitato
e, in generale, il problema dell'esposizione ai pesticidi,
l'attenzione e la preoccupazione sono rimaste elevate
e, alla fine del 2008, l'Azienda sanitaria provinciale
si accinse ad attivare un monitoraggio sull'esposizione
della popolazione. I rilievi avanzati dal Comitato circa
i limiti dell'indagine non venenro tenuti in considerazione
e il Comitato stesso decide di procedere ad una indagine
indipendente. Tra le 23 persone di Cles, Tuenno, anno
e Tassullo le cui urine sono state analizzate dall'Azienda
sanitaria prima e dopo l'esecuzione dei trattamenti
nei meleti vi è un testimone che asserisce che gli
venne chiesto di consegnare un campione di urina 'dopo
trattamento' prima che i trattamenti con i pesticidi fossero eseguiti.
Di fronte al rifiuto del cittadino l'Azienda sanitaria
dovette attendere, ma l'interessato si chiede come
siano andate le cose con le altre 'cavie'. In ogni caso
anche nei campioni analizzati dall'ASP il livello di
clorpirifos-etil nelle
urine raddoppiava tra il periodo precedente e quello
successivo ai trattamenti nei meleti segno che l'esposizione
- poca o tanta - c'è e che un 'pò' di avvelenamento
gli abitanti lo subiscono.
Fatto
sta che il Comitato, ritenendo limitata e insufficiente
l'indagine 'ufficiale', ha proceduto ad
autotassarsi per far eseguire analisi più complete
ad un laboratorio fuori del Trentino. Sono stati campionati
anche i bambini oltre agli adulti e sono stati ricercati
(e trovati) più principi attivi. Il confronto è stato
possibile solo per il clorpirifos-etil per
il quale sono stati riscontrati valori 4 volte più elevati (6
nei bambini) rispetto alle analisi 'ufficiali' dell'ASP
.
Dati preoccupanti ma che non fanno che confermare un
quadro conosciuto. Anche le indagini dell'ASP hanno individuato
la persenza di prodotti fitosanitari nelle abitazioni
e nei giardini pubblici e privati. Secondo il Comitato
la presenza dei pesticidi nelle abitazioni private si
configurerebbe come una violazione dell'Art.
674 del Codice Penale (Getto pericoloso di cose).
Ma
per gli 'esperti' i livelli di contaminazione sono 'tossicologicamente
irrilevanti' e quindi non c'è 'molestia'. Da questo
punto di vista appaiono quanto mai pertinenti le osservazioni
del sociologo Ulrich Beck, teorico della 'società
del rischio', che a proposito dei livelli 'ammissibili'
di contaminazione, ha osservato che:
Abbiamo
a che fare con l'etica biologica di risulta della
civiltà industriale avanzata, un'etica che rimane caratterizzata
da una sua peculiare negatività. Essa esprime il principio,
un tempo del tutto ovvio, di non avvelenare il prossimo.
Per essere più precisi si dovrebbe dire: il principio
di non avvelenare completamente. Infatti essa,
per ironia della sorte, consente proprio quel famoso
e controverso 'un pò'. [...] In questo senso i valori
massimi non sono altro che linee di ritirata di una
civiltà intenta a rifornirsi in abbondanza di sostanze
inquinanti e tossiche. L'esigenza di per sè ovvia di
non essere avvelenati viene respinta come utopistica.
Nello
stesso tempo, con i valori massimi consentiti quel 'pò'
di avvelenamento diventa normalità, scompare dietro
essi. (U. Beck. La società del rischio. Verso una seconda
modernità, Carocci, Roma, 2000, p. 85.
Beck
sostiene che nella 'società del rischio' l'onere della
prova di un effetto di causale sulla salute è
a carico delle vittimedella contaminazione (lo
si è visto anche in tanti casi di nocività aziendale).
La 'scienza' si trincera dietro alle statistiche epidemiologiche,
ai test sulle cavie di laboratorio, ai 'valori di sicurezza'
con il risultato che c'è un avvelenamento ammissibile,
normale, che quindi è come se non ci fosse. Per non
'guastare le feste' all'industria chimica e a chi utilizza
i suoi prodotti.
La consapevolezza
dei cittadini rispetto ai rischi è però cresciuta e
le rassicurazioni non bastano più considerata la tendenza
alla sottovalutazione del 'rischio' da parte degli esperti
e delle agenzie ufficiali.
Pertanto
di fronte ai risultati delle nuove analisi il Comitato
chiede con forza che vengano fatte rispettare le ordinanze
dei comuni a rispetto delle abitazioni private e che
si inizi a dare veramente un taglio all'uso di sostenze
nocive e inquinanti nei meleti.
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