L'ultimo rapporto dell'ISPRA sulla contaminazione con fitofarmaci delle acque italiane registra un ulteriore peggioramento della situazione. 37% dei campioni fuorilegge. Principale imputata la monocoltura del mais che dilaga nella pianura padano-veneta come base di una zootecnia intensiva sempre più insostenibile La zootecnia intensiva, sempre più industrializzata, ha trasformato la Padania in una distesa di mais. E' utilizzato come granella (tal quale, fioccata, rotta, macinata), come granella umida, pastoni, insilato integrale. Alimenta polli, galline, maiali, vitelloni e vacche da latte. Queste ultime nonostante il grave problema dei Clostridi (batteri anaerobici sporiformi che possono provocare gravi difetti al formaggio tanto da richiedere l'uso di conservanti). Dal dilagare delle distese di mais deriva l'aggravamento dei problemi della monocoltura e, in primo luogo, una sempre maggiore difficoltà a contenere le malerbe. Per non rinunciare alla monocoltura diventa necessario utilizzare sempre più pesticidi ricorrendo anche al mercato nero.
L'ISPRA (Istituto superiore per la protezione e la ricerca ambientale) nel comunicato del 18 dicembre 2008 denuncia come aumenti l'incidenza (siamo al 37%) dei campioni di acque con presenza di pesticidi eccedenti i limiti di legge (0,1 μg/litro per singoli principi attivi 5 per la somma). E quelli del mais (seguiti dal riso) sono sul banco degli imputati. Non c'è da meravigliarsi perché gli ultimi dati dell'Istat indicano un aumento considerevole dell'impiego di diserbanti per la coltivazione del mais (2,4 kg/ha come media nazionale nell'annata 2006-2007 contro 1,1 kg/ha in quella 2001-2002). L' atrazina è il "miglior" diserbante del mais (dal punto di vista dell'efficacia). A metà degli anni '80 in Italia è stato bandito perché aveva inquinato le falde freatiche e l'acqua di molte località padane non era più potabile. Ci fu un periodo di emergenze con le cisterne che rifornivano molti paesi e, successivamente, la realizzazione di nuovi pozzi acquedotti. Pagò, come sempre, Pantalone e gli economisti, non dovendo imputare queste "esternalità negative" al bilancio del mais (come attività aziendale), del latte, della carne, del Grana Padano o degli altri prodotti, legittimarono l'inarrestabile "corsa al mais" con la soddisfazione di quelle 4-5 multinazionali che monopolizzano la produzione di sementi ibride e diserbanti (e ora di mais OGM). La conseguenza di quel disastro fu che l'atrazina venne bandita in Italia da parete di alcune amministrazioni locali partire dal 1986 e poi fu soggetta a numerose restrizioni fino a che nel 1992 venne messa definitivamente al bando in largo anticipo rispetto al resto d'Europa. Nel frattempo è stato riconosciuto che questo diserbante che - in teoria - doveva essere "innocuo" (interferendo solo con la sintesi di proteine vegetali implicate nella fotosintesi) è in grado di provocare il tumore mammario in animali da laboratorio (attraverso l'induzione della sintesi di estrogeni) e che uno dei suoi metaboliti, la desetilatrazina, sempre in animali da laboratorio, incide negativamente sulla fertilità maschile Alla base di queste osservazioni vi è un meccanismo di alterazione della steroidogenesi con inibizione del testosterone e di induzione della secrezione di estrogeni. In esperimenti di laboratorio si è osservato come l'esposizione di atrazina a concentrazioni bassissime (0,1 μg/litro = la concentrazione massima ammissibile per legge) faccia cambiare sesso alle rane. Un fatto che, da solo, spiega il declino di popolazioni di anfibi in aree intressate all'agricoltura intensiva e all'uso di atrazina. Di recente è stato anche osservato che l'atrazina altera anche i meccanismi di trasporto del sodio attraverso la pelle degli anfibi una conferma che gli effetti di alterazione biologica possono essere imprevedibili.. La Commissione Europea sta decidendo in queste settimane la messa al bando di 22 pesticidi tra cui diversi "disturbatori endocrini" (l'atrazina, non è certo la sola molecola a giocare brutti scherzi). Ricordiamoci di questi precedenti quando ci dicono che gli OGM sono "sicuri". A tutt'oggi l'atrazina e la desetilatrazina si trovano ancora nelle acque superficiali, specie del bacino del Po (rispettivamente in 6,7 e 7,1% dei campioni analizzati in Italia con 0,3 e 0,4% dei campioni al di sopra del limite di legge).. Bandita l'atrazina, essa e i suoi metaboliti non sono affatto scomparsi dalle nostre acque, segno di una notevole e inquietante persistenza nell'ambiente ma, soprattutto, dell'esistenza di un mercato nero dei fitofarmaci cui fanno ricorso non pochi farmer senza scrupoli. A conferma della pericolosità dei diserbanti va segnalato che un altro tra i più comuni diserbanti del mais (il metolaclor) è stato ritirato dal mercato nel 2003 (sostituito peraltro prontamente dal S-metolaclor, molto simile) e che l'attuale caposaldo del diserbo del mais: la terbutilazina, che appartiene alla stessa classe dell'atrazina è sotto esame con possibile revoca delle autorizzazioni alla produzione a livello comunitaria; nel frattempo è già stata messa al bando da diversi paesi. Nel 2002 venne revocata l'autorizzazione per gli erbicidi contenenti terbutilazina (GU n. 178 del 31-7-2002) per fare si che entrassero nel mercato nuove confezioni indicanti che l'uso è riservato al mais e al sorgo e al rispetto della dose di 1 kg/ha. Di fatto se ne usa a fiumi (il mais è tanto e sul rispetto della dose di 1 kg c'è da dubitare) e se ritrova in quantità diverse volte la soglia massima di legge nelle acque del Po (ridotto a collettore di ogni tipo di veleno) in corrispondenza del periodo primaverile successivo alle semine (è un diserbante utilizzato nella fase di pre-emergenza del mais). La terbutilazina si trova nel 51% del totale dei campioni analizzati in Italia (nell'8% dei casi in concentrazioni superiori al limite di legge). In ogni caso la storia degli ultimi venti anni dimostra che togliere un diserbante dal mercato non serve a molto. Le multinazionali ne sfornano subito degli altri. La soluzione al problema della contaminazione delle acque non può che derivare da severe limitazioni alla monocoltura. Per ora, però,non passa per la testa a nessun politico l'idea di affrontare il problema dell'insostenibilità ambientale del sistema agrozootecnico padano-veneto. Meglio metterci delle pezze, recitare il mantra della sostenibilità e continuare a finanziare generosamente la zootecnia più industrializzata e inquinante e le sue sovraproduzioni. Il contribuente, attraverso l'AGEA, agenzia di stato, ha pagato 6,1 € al kg 100.000 forme di Grana Padano ritirate dal mercato e donate agli indigenti. E' bene che si sappia che pagherà (attraverso le regioni) anche i costosi impianti di abbattimento del contenuto di azoto dei reflui zootecnici necessari per potere allevare il doppio degli animali che sarebbe "sostenibile" allevare per unità di superficie e sostenere le superproduzioni. Ma così si va avanti con il fiume di diserbanti (senza contare sugli altri impatti della monocoltura e di una elevatissima intensità di allevamento). |
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