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(09.11.10) I formaggi d'alpeggio fanno bene alla salute (ma senza mangimi) Il 3 novembre a Baveno (VB), nel corso di un interessante convegno presso la Camera di Commercio, è stata presentata dalla STEA (Società Ticinese di Economia Alpestre) una ricerca sulle caratteristiche chimiche e sensoriali del formaggio d'alpeggio ticinese. Povero di grassi saturi, ricco di grassi poli-insaturi e omega-3. Ma se si alimentano le vacche con integratori questi benefici si riducono drasticamente (anche se ci si limita a 1-2 kg di cereali)
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(27.09.10) Val Vigezzo (VB). I tesori degli alpeggi: Alpe Basso
All'Alpe Basso, in Val Loana, Bruno Zani alpeggia 80 capre e venti mucche e produce un formaggio particolare e molto pregevole mescolando latte caprino e vaccino (al 50% ca). La tecnica risente dell'influsso della cultura casearia della vicina Svizzera interpretata però in modo originale. Il risultato è rappresentato de forme del peso di 15 kg. La pasta presenza una marcata occhiatura ma la tecnica accutata e paziente di lavorazione è tale da consentire una maturazione piuttosto lunga senza difetti. Anche qui, però, i problemi non mancano; a parte la siccità di questa stagione è in forse la possibilità di utizzare l'alpeggio del comune, a quota più elevata, a causa della mancata esecuzione dei benedetti 'adeguamenti igienico-sanitari'. vai a vedere (21.09.10) Gerola (SO). Il Bitto storico prepara la secessione dalla Valtellina Ormai è sicuro, la 97a Mostra del Bitto (storico) si terrà a Branzi, in alta Valle Brembana (tèra de Berghem). Una decisione che era già nell'aria ma che è ora definitiva, dopo quanto avvenuto domenica a Gerola alta in occasione della Sagra del Bitto. Alla vigilia della Sagra la stampa locale ha annunciato con grande enfasi la notizia di un 'accordo sul Bitto' promosso dai comuni di Gerola e di Albaredo (che fino a pochi mesi fa si lanciavano reciprocamente velenose accuse). I produttori non erano stati neppure interpellati e la loro reazione a queste manovre è stata netta: si sono rifiutati di ritirare i tradizionali premi per i casari. Sul palco c'erano politici e anmministatori e 2 casari 'traditori' di Albaredo. Una situazione imbarazzante per Sertori, il presidente della provincia. 'Ci scusiamo con il presidente Sertori, non ce l'avevamo certamente con lui'. Questa la diichiarazione che ci ha rilasciato oggiPaolo Ciapparelli , presidente del Consorzio Bitto storico, che conferma che sabato a Branzi darà ufficcialmente l'annuncio del trasloco della Mostra del Bitto (storico) a Branzi. leggi l'intervista a Paolo Ciapparelli (30.07.10) All'Alpe Nesdà (Plesio, CO) si festeggia la rinascita Gli alpeggi del Bregagno, nei comuni di Garzeno, Pianello, Cremia, S.Siro, Plesio, Grandola e Cusino rappresentavano un grande comprensorio di alpeggi con pascoli alti fino a 2.000 m, affacciati sul lago di Como e di Lugano. Pochi sono ancora caricati ma l'apertura di una nuova pista forestale, che dai 'monti' di S.Siro porta all'Alpe Nesdà (passando per l'Alpe Rescascía), può aprire nuove prospettive. Domenica 25, con una bella cerimonia (che ha compreso anche la benedizione dei pascoli, degli animali e dei fabbricati) si è aperta la prima forma prodotta in alpe dopo anni di abbandono. Oltre agli strepitosi panorami questi alpeggi hanno anche un altro asso nella manica: i prodotti. Il formaggio che si produce (da secoli) è il Bitto, che qui, come nelle Valli omonime, viene prodotto con l'aggiunta del latte di capra. Insieme ad esso si produce una straordinaria mascarpache diventa poi zígher. leggi tutto
(12.06.10) Valstrona (VCO). Una valle da capre (che oggi possono tornare ad essere una risorsa) Tipica valle insubrica aspra, incassata, rocciosa, dove l'economia per secoli si è basata sull'integrazione dell'agricoltura di sussistenza con l'emigrazione, l'artigianato del legno e le miniere. Agricoltura e zootecnia 'povere', (almeno secondo certi schemi che forse è ora di rivedere). Basata sulle capre, le castagne e l'orticoltura (in assenza di campi e di grandi pascoli da bovini). Un modello ecologico efficientissimo che consentiva un'elevata densità demografica . Oggi di caprai e di capre ne rimangono pochi ma di buona razza (entrambi). E la tradizione della trasformazione del latte caprino nei tipici furmagit at crava si rinnova. vai a vedere
(06.03.10) Originale Lagorai: autentico formaggio di malga trentino Il 1° marzo si è tenuto a Trento un incontro-degustazione che ha avuto per protagonista il formaggio 'Originale Malghe del Lagorai': un formaggio di malga, fatto in malga. All'incontro promosso dalla Strada del vino e dei sapori del Trentino hanno partecipato alcuni esponenti della ristorazione di qualità della provincia. L'Originale Malghe del Lagorai, controcorrente rispetto alla realtà zoocasearia trentina, sta ottenendo apprezzamenti significativi trovando i canali giusti di valorizzazione leggi tutto
(11.06.10) Morbegno (SO). Ufficialmente costituito il 'Consorzio per la salvaguardia del Bitto storico' Venerdì 4 giugno, presso il Centro del Bitto di Gerola Alta si è ufficialmente costituito il Consorzio per la Salvaguardia del Bitto Storico. La mossa era da tempo nell’aria. Paolo Ciapparelli, presidente dell’Associazione Produttori Valli del Bitto, da tempo aveva anticipato che, in caso di rientro dei produttori ribelli nella Dop, non ci sarebbe stato comunque un 'ritorno all'ovile' nel CTCB (Consorzio di Tutela Valtellina Casera e Bitto). La notizia, resa nota solo oggi, è comunque clamorosa e non mancherà di provocare fibrillazioni nel sistema di potere che in questi anni, ha inutilmente cercato con varie forme di pressione di piegare i 'ribelli del Bitto'. Superata la fase di provocatoria di autoescusione dalla Dop i produttori storici (sempre 'ribelli' ma non più 'fuorilegge') rappresentano più che mai un punto di riferimento in Italia e oltre per le esperienze di resistenza casearia e più in generale rurale. leggi il comunicato stampa integrale |
(15.10.10)
In Italia, nonostante alcune
deroghe, l’applicazione delle norme-igienico sanitarie continua a mettere in
crisi gli alpeggi e i formaggi d’alpeggio
Ancora una lezione
dalla Svizzera
Il Berner Alpkäse Dop è prodotto secondo regole che
impedirebbero la concessione della DIAP (ex.aut. sanitaria) da parte delle
nostre aziende sanitarie
di Michele Corti (Foto
dal sito http://www.aoc-igp.ch)
Gli
svizzeri, secondo radicati stereotipi, sarebbero legati a una visione
‘igienista’ di matrice centro-nord europea e ‘maniaci della pulizia’ applicherebbero
in maniera rigida e scrupolosa le normative in materia di produzione di
alimenti. E invece… se si va a vedere come producono i loro formaggi d’alpeggio
emerge una realtà ben differente. Non solo viene previsto l’uso di attrezzi e
materiali tradizionali ma, anche per quanto riguarda i locali di lavorazione,
si deroga nientemeno che al sacro principio della ‘separazione fisica’ del
locale di lavorazione da quello di abitazione affidandosi al buon senso, alla
pulizia e all’esperienza dei casari. Il caso ‘di studio’ ce lo offre il Berner
Alpkäse Dop.
La
lezione del Berner
Alpkäse Dop
La produzione del Berner
Alpkäse Dop è regolata dal disciplinare di produzione approvato
dall’Ufficio Federale dell’Agricoltura con delibera del 24 marzo 2004 e
successive modifiche (19 dicembre 2007 e 28 luglio 2009. http://www.aoc-igp.ch/_upl/files/BAK_pflichtenheft_fr.pdf). Esso è prodotto
esclusivamente in alpeggio (tra il 10 maggio e il 10 ottobre ) o meglio è
prodotto in 23 alpeggi espressamente indicati
(quando da noi – in sede di attribuzione delle Dop si va a blocchi di
intere province senza guardare troppo per il sottile sull’accertamento storico
della ‘tradizione’).
Il Berner Alpkäse è
un formaggio grasso a pasta dura prodotto con latte crudo dell’alpe. Le forme
sono cilindriche, con un diametro compreso fra i 28 e i 48 centimetri e un peso
fra i 5 e i 14 chilogrammi. Per quanto riguarda l’alimentazione delle mucche è
previsto che essa sia esclusivamente a base di pascolo. Solo in caso di
avversità (siccità, grandine ecc.) è ammesso l’impiego di una integrazione con
fieno e concentrati (rigorosamente OGM free) ma nella misura limitata al 10%
del fabbisogno di sostanza secca. Anche da questo punto di vista una bella
lezione visto che anche per il più prestigioso dei formaggi d’alpeggio italiani,
il Bitto Dop, sono ammessi sino a 3 kg di sostanza secca (compresa la soia) indipendentemente
dalle condizioni dei pascoli (3 kg che poi … all’italiana)
La trasformazione del latte
per la produzione del Berner Alpkäse si svolge in caldaie di rame che
vengono collocate direttamente o indirettamente su un fuoco a legna. Per la
trasformazione devono essere
utilizzate apparecchiature di legno e tele per formaggio in materiale
tradizionale. Notare il ‘devono’ laddove per i formaggi tradizionali italiani
si ricorre di solito alla concessione: al ‘possono’.
Ma veniamo al punto sostanziale
Le ‘deroghe’ di cui sopra
appaiono meno ‘sovversive’ rispetto al paradigma igienista di quelle che stiamo
per esaminare e ci consentono fondamentali considerazioni circa la ben diversa
considerazione che ha l’alpeggio e il formaggio d’alpeggio in Italia e in
Svizzera. Ma vediamo cosa dice il disciplinare su due punti cruciali
“Nei locali adibiti alla
trasformazione e allo stoccaggio sono autorizzate pareti e coperture
tradizionali in legno, sempre che siano in uno stato ineccepibile”. E poi: “Il
locale di trasformazione dell’azienda d’estivazione, sempre che vi sia una
netta separazione visiva dei diversi
settori, può essere utilizzato anche per i seguenti scopi: a) per cucinare e
mangiare, purché le attrezzature utili a cucinare e mangiare siano ben separate
rispetto a quelle utilizzate per la trasformazione del latte; b) per accatastare
carichi di legna da ardere”.
I membri delle commissioni
di igiene che valutano la concessione delle deroghe per il formaggi Dop
(assogettati alla identica regolamentazione della UE), pur essendo veterinari e
medici hanno in qualche caso mantenuto un legame culturale con il mondo rurale,
il mondo alpestre (laddove da noi l’identità ostentata è quella del ‘sanitario’
del membro di una classe professionale urbana. Un legame prezioso con la
cultura rurale, una sensibilità che consente di afferrare il nesso inscindibile
tra pratiche, strutture edilizie, organizzazione del paesaggio e… un prodotto
come il formaggio d’alpeggio che è cosa del tutto diversa dal formaggio
industriale fabbricato in condizioni standardizzate secondo una ‘ricetta’
costante e la supervisione di tecnologie e saperi esperti.
Non si può spezzare il legame tra il formaggio e la
sua ecologia
Il formaggio d’alpeggio
come, in generale, i formaggi pastorali e quelli ‘sotto il cielo’, è legato a
fattori fortemente specifici, che siano la conformazione orografica, la
geologia, le caratteristiche dei pascoli, i materiali disponibili in loco, le
strutture materiali. Ad esse sono intrecciati i rapporti sociali e le forme
giuridiche che nei secoli e nei millenni si sono anch’esse adattate
all’ambiente quale forme idonee a garantire lo sfruttamento della risorsa
alpestre (pur rappresentando anche il portato di uno specifico etnoculturale).
Gli alpeggi del Berner
Alpkäse sono alpeggi tradizionalmente
di tipo familiare, privati, dove ci si trasferiva e si trasferisce tutt’ora la
famiglia allevatrice. Gli chalet (come vengono ufficialmente denominati) sono
costruiti in legno strutturale e anche le pareti dei locali di stagionatura del
formaggio sono in legno. E’ così da secoli e il formaggio è divenuto apprezzato
e pregiato.
Applicare,
come viene fatto di regola in Italia, anche ai prodotti tradizionali le norme
pensate per la pianura e per i grossi caseifici, ha portato a delle gravi
conseguenze, da noi più volte denunciate su queste pagine: non si possono
cambiare coperture, materiali, dimensioni e pianta dei locali senza alterare le
condizioni di microclima idonee alla stagionatura di quel formaggio in quel
contesto climatico. Ma, soprattutto, non si può preservare il valore
dell’architettura tradizionale se si impongono altezze minime, separazioni
fisiche dei locali, superfici lavabili. Anche in Italia in molte valli alpine
vi sono ‘chalet’ (‘baite’) di tipo ‘famigliare’ come quelli bernesi. Più spesso
sono riuniti in piccoli nuclei dove più famiglie alpeggiavano, ciascuna
lavorando il latte in modo indipendente; a volte le ‘baite’ erano riunite in
piccoli villaggi (che sorgono anche a oltre 2.000 m di altitudine) e allora
poteva essere il caso che più famiglie lavorassero il latte in comune o ‘a
turno’. Le ‘baite’ sulle Alpi italiane
sono più spesso costruite in sasso o in parte in sasso e in parte in legno, ma
quello che conta è che sono di dimensioni tali da impedire la separazione
fisica dei locali; di norma sono molto più piccole degli ‘chalet’ svizzeri. A
volte è possibile utilizzare più ‘baite’ per rispondere ai criteri di
‘separazione’ fisica delle fasi di lavorazione e, soprattutto per separare la
zona ‘abitazione’ da quella ‘lavorazione’ ma non sempre è possibile. E così si
rischia di far morire gli alpeggi che, per essere vivi, non possono non
continuare ad essere luoghi dove si pascola, si munge, si lavora il latte. O si
rischia di dover ‘buttare giù’ i vecchi fabbricati e realizzarne di nuovi. Con
grandi costi (specie dove non arrivano gli automezzi) e con grave perdita di
valori storico-culturali.
Quello che i
‘tecnoburocrati’ fanno fatica a capire
L’alpeggio
trae la sua forza dalla multifunzionalità. Una forma di produzione zoocasearia
che pareva ‘arcaica’ e che invece è post-moderna. Prodotti di alta qualità
(salutistica, organolettica), valori paesaggistici, sistemi di conoscenze
tradizionali, opportunità educative e ricreative rappresentano ‘servizi’
strettamente complementari che di rafforzano reciprocamente. Costituendo una
risorsa preziosa per tantissime valli alpine. C’è da auspicare che così come la
Svizzera sia riuscita a introdurre le ‘deroghe’ che abbiamo visto anche le
autorità sanitarie italiane, di fronte alla realtà di nuovi/vecchi formaggi
d’alpe Dop o PAT che desiderano restare fedeli alla tradizione e valorizzare le
specificità degli alpeggi dove sono nati, si dimostrino più flessibili
‘salvando’ anche le piccole produzioni di ‘baita’. Non stiamo compiendo
esercitazioni teoriche stiamo pensando a realtà come, per esempio, quelle dove
si realizzano autentiche tome d’alpeggio e altri prodotti particolari (compresi
quelli caprini e misti) dell’area valsesiana e ossolana. Ma il discorso si
potrebbe allargare anche a quelle valli della provincia di Sondrio dove il sistema
d’alpeggio era strettamente famigliare e dove la produzione non era certo il
Bitto ma gli scimudin, le formaggele, le magnuche ecc. Dove molti alpeggi sono
abbandonati o caricati con solo bestiame asciutto anche perché questa dimensione
‘minore’ è rimasta ingiustamente compressa tra le ferree ‘norme igieniche’ e la
‘corsa’ al Bitto Dop espressione di una discutibile ‘globalizzazione
regionale’.
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