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Commenti e riflessioni/Pecore nei parchi sub-urbani 

 

  

 

 

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Articoli correlati 

 

 (28.10.09) Brianza. La pecora Brianzola rivive con la 'multifunzionalità'

La Brianzola si è presa una bella rivincita. All'inizio degli anni '90 era data per estinta come consegunza del collasso dell'agricoltura contadina.  Oggi conta 1.000 capi. L'Associazione, grazie alla dedizione e passione dei suoi membri ha fatto il 'miracolo'. Oggi  è impegnata in programmi sulla carne (con ottimi riscontri per l'Agrellone brianzolo nella ristorazione tipica) e sulla lana (con innovativi progetti che riguardano l'abbigliamento, il cappello 'brianzolo' e la didattica). E si pensa anche al latte. leggi tutto

 

(19.05.10) Pecore in azione (sulle colline di Brescia)

Economiche,efficienti, silenziose. Il lavoro per l'ambiente delle pecore non drena le casse pubbliche. Una gestione oculata del pascolamento produce paesaggio e biodiversità e .... carne. Senza usare pesticidi e combustibili fossili. A chi interpreta l'ambientalismo in tutt'altra maniera non garba. E allora si accusa la pecora di 'mangiare' l'orchidea protetta. Orrore. leggi tutto

 

 

(05.06.10) La gente oggi di animali selvaggi in TV e sulle riviste patinate (da ambientalisti da salotto) ha fatto indigestione. Quando vede pecore, asinelli, capre, si assiepa curiosa e ammirata. Forse si può coinvolgerla in qualche concreta utopia di agricoltura urbana

Che bello vedere le pecore Brianzole nel Parco di Monza

 Fa pensare quanto sia bello, utile, educativo ... e poco costoso far vedere le pecore nei parchi sub-urbani mentre si spendono milioni su milioni per i centri della wilderness, creati con lo scopo di indottrinare la gente circa le presunte utilità e innocuità dell'orso e del lupo

di Michele Corti

Osiamo pensare che la stagione della wilderness sia  in declino e un certo ambientalismo 'di consumo', da 'guardare e non toccare', di natura 'altra' (da ciò che si coltiva, si alleva, si mangia) stia declinando, con gli ultimi fenomeni della vecchia civiltà industriale. Quando vediamo che - nonostante il bombardamento pro-wilderness -  c'è un insopprimibile magnetismo che continua ad attirare gli  uomini verso gli animali domestici vengono inevitabili delle riflessioni.  Sarebbe meraviglioso se questa forza d'attrazione potesse essere applicata a iniziative, progetti, utopie concrete finalizzate a ricomporre quelle frattura tra 'naturale' e 'artificiale', 'domestico' e 'selvatico' che ci sta portando a una sempre più grave nevrosi sociale con conseguenze permiciose per l'uomo e per la Terra.

C'è un legame profondo tra l'uomo e gli animali domestici. Si è creato in forza del processo di domesticazione, di simbiosi, di co-evoluzione o per una 'affinità elettiva' che spiega perché alcuni animali e non altri sino diventati parte della comunità dell'uomo? Non è facile rispondere. Di certo il 'tropismo', l'attrazione che uomini e animali domestici provano reciprocamente è forte e radicato, da entrabe le parti. Se è vero che il bambino, ma anche l'adulto è calamitato dagli animali domestici è anche vero che questi ultimi, quando trattati bene dall'uomo, si avvicinano confidenti anche agli estranei. In cerca di bocconi, ma anche di coccole e attenzioni. Capre, pecore, mucche, asini.

 

L'animale 'bistecca-ambulante' ti guarda, si fa accarezzare. Ti interroga.

 

La società metropolitana ha elevato allo status di pet, coccolati, viziati e vezzeggiati cani e gatti (e, occasionalmente, altre specie). Per gli 'amici a quattro zampe' oggi esistono linee di abbigliamento firmate, accessori, cosmetici. Una deriva demenziale. Se un pet serve a portare un po' di 'animalità' nella dimensione urbana questa umanizzazione deteriore e consumista ha provveduto a riassorbire quel poco di 'natura' che il pet portava con sè. Tra le varie commedie che la civiltà urbana inscena per alleviare i suoi sensi di colpa questo trattamento 'nella bambagia' dei pet va anche letto come 'risarcimento' verso una dimensione animale che - in altro ambito - viene sempre più disanimalizzata. Ridotta a cosa a fettine ben disposte di carne in vaschette incellofanate o già bella tritata e mescolata con altri ingredienti (e quindi irriconoscibile in quanto pezzo di un animale).  Ma basta?

Per quanto si tenda a rimuoverlo il senso di disagio per l'uccisione degli animali-bistecche incombe.

Una volta la dimensione cruenta era presente e forse contribuiva a mantenere entro limiti 'etici' il comunque basso consumo di carne. I bambini nel mondo contadino erano ben presto iniziati ai riti della macellazione del nimal (il porco).  Ma anche in città la vecchia macelleria era un luogo relativamente 'trasparente' (rispetto alla sorte subita dagli animali destinati a diventare bistecca). La macellazione avveniva nel retro  e,  nel negozio stesso, le teste e le varie pari anatomiche troneggiavano in bella vista. Difficile non ricondurre quelle viscere, quegli organi ad un animale in carne e ossa, per quanto ora 'smontato'. Posso dire di ricordare bene le vecchie macellerie dove accompagnavo la mamma da bambino (anche se c'era già l'Esselunga). Le teste bovine non mi impressionavano affatto e così le carcasse ovicaprine che mantenevano - come da tradizione - zampetti e testine (e un ciuffo di pelo all'estremità della coda). Chissà come reagirebbe un bambino di oggi in una vecchia macelleria?

 

Animali peluche

 

Oggi le occasioni di contatto tra bambini di città e animali sono rare. Le 'fattorie didattiche' (spesso una rappresentazione poco autentica di un 'rurale' ricreato un po' artificialmente) e gli alpeggi (quelli fortunatamente sempre autentici) sono tra i pochi luoghi dove è possibile vedere e accarezzare ghli animali domestici.

Va detto che i genitori oggi incoraggiano il contatto con l'animale e non tirano indietro i pargoli come invece capitava a me 'non toccare, ti sporchi, hanno malattie'. Dovevo fare il 'bambino di città' nonostasse frequentassi le cascine dei parenti con tanto di mucche, cavalli e ogni sorta di animali da cortile (tra i quali erano classificati, oltre ai vari volatili, anche le pecore, gli asinelli 'sardegnoli' le caprette 'camosciate' spacciate ai bambini per 'camosci'). Quando ripenso a tutte questi aspetti del rapporto uomo-animale-città-campagna mi è inevitabile pensare che, per quanto represso, il mio rapporto con gli animali domestici era pur sempre quello con animali 'veri'. Oggi bambini e giovani genitori scambiano spesso l'animale per un peluche. Fanno leva su questo le ruffiane campagne del wwf  che giocano sull'effetto peluche e presentano una serie di teneri cuccioli (tigre compresa). I cuccioli presentando 'segnali neotenici'  (caratteristiche che segnalano a individui della stessa e altre specie  l'immaturità e l'inoffensività) tali da disinnescare le pulsioni aggressive nei loro confronti e a stimolare protezione (l'adozione spontanea di animali di specie diverse è ababstanza diffusa). Gli animali selvatici perdono con la maturità questi caratteri assumendone altri che, all'opposto, suscitano tutt'altro che simpatia e ci inducono saggiamente a temerli anche se poi è il contesto culturale e storico a 'modulare' questa paura.

Il mantenimento di caratteri fisici e comportamentali neotenici negli animali domestici adulti fa parte delle 'strategie della domesticazione' e spiega perché come specie umana abbiamo una simpatia innata per i domestici (e  paura per i selvatici). Sfruttare l'immagine dei cuccioli è quindi una parte importante della strategia di comunicazione degli ambiental-animalisti. Per rafforzare le identità animali pericolosi- teneri cuccioli-peluche il WWF regala il peluche dell'animale selvatico 'adottato'.

 

 

Pecore Brianzole nella loro 'culla' : l'alta Brianza lecchese (Foto P. Redaelli)

 

Ripristinare un rapporto con gli animali su basi reali

 

Le mistificazioni degli ambiental-animalisti che presentano l'orso e il lupo come animali del tutto innocui, dei grossi peluche, non sono pericolose solo perché finalizzate a mettere a tacere la voce di quelle categorie che ricevono gravi e reali danni dalla diffusione di queste specie  ma anche perché inducono comportamenti irresponsabili in gente che per ammirare questi 'idoli della wilderness' si avvicina loro eccessivamente per scattare una foto o, peggio, offre loro del cibo inducendo una pericolosissima associazione uomo-cibo  che tende a rendere sempre più confidenti questi animali, un tempo temuti ma anche rispettati ed ora decaduti a copie viventi di cartoon televisivi.  Conoscere da vicino l'utilitità, l'ambiente, le caratteristiche, il comportamento dei vari animali domestici e selvatici, erbivori, onnivori e carnivori è importante per indurre comportamenti consapevoli nei cittadini-consumatori. In materia di alimentazione e in materia di politiche di gestione del territorio. Più il cittadino ha possibilità di avvicinarsi agli animali e di consoscere la loro vita e meno gli animali saranno dei peluche (o delle mute bistecche).

 

Uno scorcio del paesaggio del Parco: prati e cortine alberate (Foto M. Corti)

 

L'animale e il paesaggio

 

L'animale domestico attira di per sé grandi e piccini. Ma collocato in un ambiente idoneo diventa ancora più oggetto di attrazione. L'animale libero al pascolo rende vivo il paesaggio, infonde un senso di quiete, di vitalità tranquilla, di sicurezza. E' vero sulle Alpi, nella Maremma, nella Camargue, ma anche a pochi km da Mlano. Il paesaggio del Parco di Monza è senz'altro un grande regalo per chi vive nella conurbazione milanese dove quelli che erano i paesi e le campagne di un tempo hanno lasciato spazio ad una realtà informe di urbanizzazione disordinata e densa con poche brutte piante in brutti giardini. Ma il Parco è nato come realtà agricola (e venatoria) e tutt'oggi sono presenti attività agricole (sia pure ridimensionate a favore delle attività sportive, della ricreazione, dell'estetica, del loisir). Se confrontiamo la foto sopra con quella sotto è inevitabile constatare come nel paesaggio con gli ovino ci sia 'qualcosa di più'.

 

Pecore Brianzole al pascolo alla Cascina Mulini asciutti nel Parco di Monza (2 giugno 2010 - Foto M. Corti)

 

L'animale educatore

 

L'animale non parla ma è un efficace educatore. La sua capacità di attirare l'attenzione su si sè e di 'raccontare' si sé della sua vita, del suo comportamento è straordinaria. Ma andrebbe 'rinforzata' con appositi sussidi didattici. E' bello vedere al pascolo nel Parco di Monza le pecore Brianzole e persino qualche capra Bionda dell'Adamello (presente tradizionalmente in pianura e in Brianza in relazione alla provenienza di molti pastori dalla Valle Camonica). La Brianza, di cui Monza è capitale, ha nella pecora Brianzola uno dei suoi emblemi più simpatici che rimanda a storie di agricoltura contadina 'eroica', di squisiti formaggini, della lavorazione della lana. Ma se non c'è nessuna informazione, nessun cartello come fa la gente che si assiepa ad ammirare pecore, capre ed asini a sapere tutto questo?

 

Una vera e propria cortina di gente ha attirato la mia attenzione. Ho notato solo successivamente che stavano ammirando le pecore (più alcuni asinelli e capre Bionde). Quando il gregge ha effettuato un piccolo spostamento verso una zona con meno 'curiosi' ho potuto scattare quasta foto. Da notare che la doppia recinzione per evitare il contatto con gli animali e il loro 'foraggiamento' è stata scavalcata e messa fuori uso. L'agricoltore ha anche tolto la corrente visto che tenere lontano il 'pubblico' ed evitare carezze e offerte di pane è comunque impossibile  (2 giugno 2010 - Foto M. Corti)

 

Come fa a sapere dei progetti per rilanciare una pecora che vent'anni fa era data per estinta e che oggi è diventata un esempio di successo multifunzionalità ovina? Forse a volte bisogna essere soddisfatti per le belle iniziative in atto e pazientare un poco. Da iniziativa nascie iniziativa e forse la 'pastorizia urbana' dopo la 'forestazione urbana' e l' 'agricoltura urbana' potrà essere una realtà. E non limitarsi al fugace per quanto emozionante e utile passaggio dei grandi greggi transumanti ma divenire anche una realtà stanziale. Passando dal Nord al Sud milanese (foto sotto) come non osare sognare che le lande desolate della 'terra di nessuno' tra i grigi e tristi casermoni e un poco più allegra agricoltura 'sub-urbana' fatta di contoterzismo e monocoltura diventino teatro di iniziative di agricoltura civica, di un nuovo dissodamento di terre che sono state per secoli intensamente coltivate e che ora sono solo una landa. Non solo 'orti di pensionati' però, ma vigne, campi, pascoli. Per insegnare a chi abita la giungla d'asfalto che basterebbe inforcare la bici e diventare - ovviamente in spirito comunitario - contadino e magari anche pastore.

 

Parco della Vettabbia nei perssi del deupratore di Nosedo a Sud di Milano e delle lugubri torri-alveare che vediamo sullo sfondo. Poi dicono che la montagna è 'triste'. Vadano a vivere in quelle torri grigie (Foto M. Corti)

 

 

pagine visitate dal 21.11.08

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