(19.05.10) La via contadina e pastorale all'ecologismo non comporta
spese, non
alimenta pletorici sistemi di 'tavoli', 'gruppi
di lavoro', 'commissioni', consulenze, studi e
ricerche a go go e quindi non piace a chi intende
l'ambientalismo come una rendita
parassitaria
La pecora e
l'orchidea
(la vera 'economia
verde' sostenibile è quella dei pastori, dei
contadini, dei tagliaboschi non degli ambientalisti)
di Michele Corti
La crisi
delle finanze pubbliche pone drammaticamente il problema
dell'ambiente come 'voce di spesa'. Ma i sistemi
contadini, pastorali e forestali che
utilizzano risorse, energie, materie veramente rinnovabili,
che producono manutenzione ambientale 'gratis' si devono
confrontare con una serie di difficoltà. Danno
fastidio sia ai sistemi industriali che all'ambientalismo
consumistico ed 'estetico'
inteso come riparazione simbolica di
quello che l'industrialismo
distrugge
Come annunciato lo
scorso marzo (vedi il link qui a fianco) ha preso avvio il progetto
pilota di riqualificazione di boschi degradati e di mantenimento di prati
e pascoli nel Parco delle colline bresciane. Il Parco in questione è ben
diverso dai parchi nazionali e regionali. La gestione rimane in capo agli enti
locali (tecnicamente è un PLIS, parco locale di interesse sovracomunale); non
arrivano direttori e comitati scientifici calati sul territorio e collegati
alle lobby ambientaliste. La differenza di impostazione si vede. Il PLIS
produce miglioramenti ambientali concreti, non chiacchere (forse anche perché è
gestito da agronomi e non da architetti e naturalisti).
Nell'ambito del
progetto sono previsti interventi per il mantenimento delle superfici a
copertura erbacea. Buona parte degli 'interventi' sono affidato al pascolo
di ovicaprini. Questi ultimi hanno anche il compito di pascolare i
ricacci delle ceppaie di Robinia e di agevolare (di conserva con interventi di
risemina e piantumazioni) la trasformazione delle boscaglie in (bei) boschi e
prati. Il tutto con l'obiettivo di migliorare la biodiversità con
particolare attenzione a specie e comunità di piante ed insetti di elevato
significato naturalistico.
Pascolo naturalistico? Nei parchi europei si
fa da decenni
Che il pascolo sia
incompatibile con una gestione attenta ai valori naturalistici è ciò che
ritengono, in perfetta malafede, certi ambientalisti che teorizzano il 'ritorno
alla natura', la non gestione di boschi e spazi naturali. Per loro nel bosco
non si può nè tagliare il legname nè pascolare. E, dato che le leggi
assurde frutto del forestal-ambientalismo dei decenni passati definiscono
'bosco' un terreno coperto per il 20% da cespugli, è facile immaginare che
fine faremmo se ascoltassimo i verdi.
Ma la maggiore
biodiversità non si ha nei boschi ma nei prati e pascoli secchi e semi-secchi,
ambienti dove da millanni lo sfalcio e il pascolamento hanno determinato la
presenza di una grande varietà di specie erbacee (spesso originarie dalle
steppe euroasiatiche) che sono diventate spontanee.
La sovrapposizione di
influenze antropiche e di diversi influssi climatici fa si che certi ambienti
di prati semiaridi delle Alpi meridionali presentino una straordinaria varietà
di flora con la presenza di numerosi endemismi (piante esclusive di determinati
ambiti geografici spesso ristretti).
Nei paesi dell'Europa
centro-settentrionale la cultura autenticamente ambientalista è di lunga data,
radicata nel profondo sentire popolare e non è condizionata dai pregiudizi
della cultura 'alta' italiana caratterizzata dal distacco per le dimensioni
concrete del vivere e dalla predilezione per gli aspetti aulici e letterari
nonché dal profondo disprezzo per la ruralità. Lì pertanto non
esiste la frattura incolmabile che c'è in Italia tra un
mitico 'naturale' e un prosaico 'rurale' e la caccia e il
pastoralismo convivono con meno problemi con le gestioni delle aree protette.
Anzi il pascolo 'naturalistico' è attuato come forma normale di gestione di
biotopi ricchi di diversità. Con criteri ovviamente diversi dal pascolo
finalizzato alla produzione zootecnica e basta.
Il pascolo
naturalistico si attua con carichi elevati di animali per periodi molto
limitati o mediante sistemi estensivi (animali 'bradi' su ampie superfici). In
Italia sono pochi gli esempi di uso del pascolo 'mirato' a finalità
naturalistica. Uno dei pochi esempi è quello del Parco regionale del Monte
Barro (LC) (non tutti i Parchi sono ottusi!) dove gli asini sono stati
'arruolati' per salvare gli endemismi presenti. Il M.te Barro non è stato
coperto dalla calotta glaciale durante le ultime glaciazioni e lì hanno trovato
rifugio diverse specie che sulle Alpi sono quasi ovunque scomparse. Ma dopo
10.000 anni questa flora rischiava di sparire per via dell'abbandono delle pratiche
agropastorali. Arbusti e piante erbacee di alta taglia (ombrellifere come
Laserpitium, graminacee come Brachipodium, Molinia). Una testimonianza
preziosa, un patrimonio di biodiversità salvato da quegli asini stupidi e umili
che l'ambientalismo arrogante destina volentieri a pasto per orsi
(vedi le vicende venete di queste settimane). Ma al di là di aree specifiche
come il M.te Barro sono parecchi gli ambiti dove la biodiversità sta declinando
a seguito dell'abbandono del pascolo e dello sfalcio.
Per fortuna ci sono i
greggi transumanti
E' una vera fortuna
che i pastori transumanti, eredi di una tradizione che ha quasi un millennio,
tengano duro e nonostante le difficoltà (divieti di pascolo imposti dalla
maggior parte dei Parchi e da altri enti, traffico, burocrazia) proseguano
ogni anno a fare la spola tra la pianura del Po e le Alpi. Un tempo le tappe
del percorso erano più numerose ora, sempre più spesso, si parte in camion
dalla pianura e si arriva direttamente sugli alpeggi. Ma in diversi casi i
pastori si fermano per una tappa intermedia nella zona prealpina e possono
svolgere un'opera preziosa anche in ambiti sub-urbani. E' quello che sta
accadendo sulle colline di Brescia.
Pecore
al pascolo a Collebeato negli immediati dintorni di
Brescia (foto M.Corti)
I pastori chiedono
solo aree di pascolo e sono ben disponibili a pascolare anche superfici al
margine del bosco o il sottobosco stesso purché non vi siano 'grane' con il
Corpo Forestale, Guardie ecologiche ecc. Nel progetto del Parco delle colline
il pascolo in aree classificate boscate (con la precisazione che per la
burocrazia è 'bosco' anche un prato con quattro cespugli) è stato reso sempre
legale anche per le capre richiedendo le debite autorizzazioni motivate dalla
trasformazione temporanea o permanente del bosco (o pseudo tale) in superfici
prative.
Il
furgone dei pastori presso una cava dismessa dove le
pecore trascorrono la notte. Sullo sfondo l'area urbana
bresciana (foto M.Corti)
'Non sarete matti a
far pascolare le pecore?'
I prati asciutti
oggetto del programma si rivelano ricchi di specie di interesse naturalsitico.
Spesso l'attenzione degli appassionati si concentra sulle orchidee anche se
spesso queste appartengono a specie molto comuni e per i botanici non sono
certo tra le specie più interessanti e rare. La grande bellezza delle
orchidee spinge però molti cultori dilettanti o meno ad andare a 'caccia' di orchidee scovando
specie rare o i non infrequenti ibridi tra le specie già descritte.
Una
delle tante orchidee spontanee dei prati asciutti delle
colline di Brescia (foto M.Corti)
La scorsa settimana
mentre ero impegnato con colleghi agronomi e forestali collaboratori del PLIS a
svolgere dei rilievi finalizzati al monitoraggio dell'impatto del pascolamento
sulla vegetazione (ai fini della valutazione dell'effetto sulla biodiversità)
ci siamo imbattuti in un appassionato 'cacciatore' di orchidee che, saputo che
di lì a pochi giorni sarebbero passate le pecore, ha innescato un battibecco
durato un'oretta. Gli argomenti del nostro contraddittore erano del tipo 'sono
piante protette le pecore non devono mangiarle', 'il Parco è stato istituito
per proteggere la flora rara e voi la distruggete'. Argomenti molto poco
tecnici che non tenevano conto che di lì a pochi giorni molte orchidee
sarebbero già sfiorite prima del passaggio delle pecore e che il danno da
pascolamento è dato dal ripetuto calpestamento che può danneggiare il bulbo non
dal mangiare il fiore. Inutile poi cercare di spiegare che la maggior parte
delle specie presenti sono tipiche dell'orlo boschivo o del prato aperto e che
senza il pascolo il bosco avrebbe 'cancellato' l'habitat delle orchidee o
almeno di buona parte di esse. Inutile spiegare che tutto il progetto prevede
un accurato monitoraggio da parte dell'Università e che si era già instaurata
una collaborazione anche con il GIROS (vedi immagine sotto) al fine di
coinvolgere anche gli appassionati e gli studiosi di orchidee nel progetto .
Tutta la faccenda mi
ha portato a due considerazioni:
1) il 'talebano'
delle orchidee accusa le pecore-unni di distruggere la flora preziosa ma non
gli sfiorava il cervello che la pecora produce carne senza uso di pesticidi,
senza la soia OGM coltivata disboscando le foreste e le savane sudamericane,
che il poco gasolio che si utilizza è quello del furgone fuoristrada e dei
trasporti (in larga misura effettuati ancora sulle zampe), che - last but
not least - la pecora è libera all'aperto 365 giorni dell'anno o quasi;
2) i 'conservazionisti'
arroganti che impongono i loro programmi sulla reintroduzione dell'orso e del
lupo o il ritorno alla 'foresta vergine' coinvolgono i pastoralisti, i
contadini, i ruralisti, nei loro progetti? Giammai! Loro sanno tutto, il pastore 'ha perso la cultura
della convivenza con i selvatici'. Loro si occupano di cose 'nobili' ed
'elevate' non si abbassano a collaborare con chi si occupa di argomenti plebei
come le pecore.
L'approccio di questa
gente (a Milan i ghe dìis baüscia) è quello saccente delle campagne di
(dis)informazione. Fatte per 'convincere' il popolo bue che i suoi sono
solo 'pregiudizi dettati dall'ignoranza' e di suadente persuasione (brain
washing?) con i bimbi delle elementari invitati a disegnare l'orso con il
fumetto che dice 'sono vegetariano non avere paura'. Campagne che vengono
attuate perché previsto dalle normative. Mica perché lo farebbero
spontaneamente. La scienza si abbassa alla plebe con disdegno.
Invece noi si va a
coinvolgere le associazioni a far partecipe la comunità di un progetto senza
che nessuno obblighi a farlo. Forse i fessi siamo noi. Tanto fessi che per
sviluppare relazioni positive anche con i 'talebani' che inveiscono contro la
pecora che osa mangiare l'orchidea si va a recintare il 'giardinetto delle
orchidee' (foto sotto).
Le
orchidee 'protette' dal recinto per evitare il 'brucamento'
da parte delle pecore (foto M.Corti)
Ma dentro il recinto nel
frattempo (è passata una settimana) le orchidee sono sfiorite (le uniche tra
quelle che tappezzavano quell'angoletto tra bosco e prato sono quelle ritratte
nella foto sotto dove si distinguono con chiarezza le foglie dell'Artemisia
suffruticosa che 'abbraccia' le orchidee e sta invadendo i prati non più
pascolati e sfalciati soffocando tutto e aprendo la strada all'insediamento di
arbusti più grandi. (Le piante suffrutici sono piante perenni che possiedono solo la parte basale legnosa, in
quanto, i rigetti annuali restano erbacei e disseccano per ampio tratto o
interamente al sopravvenire della stagione favorevole).
Le
orchidee 'protette' dal recinto per evitare il 'brucamento'
da parte delle pecore (foto M.Corti)
Per fortuna i motivi di
consolazione non mancano. E' un piacere girare sui terreni 'puliti' dalle pecore dove, sino
ad una certa altezza la vegetazione è stata in parte rimossa e dove un
eventuale incendio farebbe molto meno danni limitandosi a percorrere il terreno
a livello del suolo senza possibilità di 'ghermire' le chiome degli arbusti più
alti e degli alberelli. Le osservazioni 'scientifiche' arriveranno con calma.
Intanto è incontestabile che laddove l'arbusteto e lo strato erbaceo sono
diradati si possono avvistare i funghi. Un piccolo 'servizio' che si aggiunge a
quelli sulla transitabilità di stradine e sentieri, sulla migliore
disponibilità trofica (di cibo) per lepri e uccelli ecc. ecc.
Dopo
la pulizia delle pecore che hanno brucato l'erba e il
Prunus spinoso sono ben visibili delle belle Mazze di
tamburo (ottime impanate!) ma le ho lasciate lì,
la cappella si deve ancora aprire del tutto (foto
M.Corti)
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