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Logo dell'Associazione. Su questa base sono stati realizzati anche i marchi della 'lana Brianzola', dell' 'Agnello Brianzolo' e degli altri prodotti.

 

Un esemplare di Brianzola con le caratteristiche tipiche della razza

 

 

Comuni con presenza di allevamenti di pecora Brianzola

 

Antonio Quairoli di Proserpio (Co) cui si deve la sopravvivenza della razza; ancora ottantenne manteneva un gregge di 30 pecore (foto di Lorenzo Noè tratta da volume La pecora Brianzola. Notizie storiche e ricerche zootecniche, Comunità montana del Lario orientale, 1997)

 

Luigi Formigoni

 

La Brianzola nel suo ambiente. Sullo sfondo Lecco e le Grigne (a sinistra)

 

 

Mostra della pecora Brianzola (ed. 2008)

 

 

Tabarri e gilet realizzati con la lana Brianzola esposti nell'ambito delle diverse iniziative (fiere, esposizioni) cui l'Associazione partecipa

 

Cappelli realizzati con la lana Brianzola riprendendo la grande tradizione monzese del cappello in feltro di lana.

 

 

Manifesto della III Mostra della Pecora Brianzola

 

Il contesto famigliare dell'allevamento tradizionale della pecora Brianzola

 

 

(29.10.09)  

Quando una  razza  rappresenta uno specchio delle trasformazioni socio-territoriali

 

Una pecora multifunzionale: la Brianzola, salvata dall'estinzione, si segnala  tra le razze autoctone più dinamiche e interessanti

 

La Brianzola è stata protagonista qualche giorno fa (17-18 ottobre) di una interessante manifestazione a Monza (Vivilana), è una delle razze protagonioste del rilancio delle lane nostrane, della gastronomia territoriale, di progetti educativi e di manutenzione territoriale essa appare proiettata in una dimensione 'post-moderna' tanto da far dimenticare che vent'anni fa era quasi sull'orlo dell'estinzione.

La Brianzola riflette in modo esemplare nelle sue vicende e nei suoi alti e bassi la storia sociale delle transizione dalla società contadina a quella industriale e di quella più recente dalla società industriale a quella della 'tarda modernità post-industriale'. Era allevata in piccoli greggi presso le aziende contadine della Brianza lecchese che disponevano di piccoli poderi 'multifunzionali'. La coltivazione del grano (per pagare l'affitto) era affiancata dall'allevamento dei bachi da seta, dall'ingrasso di vitelli 'baliotti' per la vendita, dalla produzione di ortaggi e legumi per autoconsumo, dall'allevamemto di qualche preziosa pecora che forniva la lana (allora costosissima e non alla portata delle tasche contadine), la carne (per consumo famigliare). Non era rara la fabbricazione ed anche la vendita di furmagit di puro latte di pecora brianzola o misto. Da brava razza multifunzionale ha rischiato di soccombere nell'era del monofunzionalismo (industralismo e produttivismo agricolo) ma ora si sta prendendo una bella rivincita per le stesse ragioni e 'doti' per le quali nel recente passato pareva 'condannata' (conservare gente, conservare ...).

 

 

Razze (apparentemente) simili

 

L'identità etnica della Brianzola (pecora stanziale) emerge in modo netto dal confronto con la Bergamasca (pecora transumante). Va precisato che la Bergamasca è tutt'altro che estranea alla realtà della Brianza dal momento che ancora oggi - come in passato - i greggi transumanti svernano nell'area collinare o alpeggiano sulle vicine montagne della Valsassina. Le differenze che, ad un occhio non esperto, non appaiono così nette sono in realtà profonde: la Brianzola presenta una estensione del vello molto più ridotta e una ossatura più fine.  In passato la Bergamasca aveva la pancia, le zampe (sino al ginocchio), la fronte, coperte di lana e la differenza tra le due razze balzava immediatamente all'occhio. Oggi la Bergamasca ha spesso la pancia, il collo e gli arti scoperti ma, nonostante questo, l'estensione del vello è dedicamente maggiore di quella della Brianzola. La differenza si spiega con la destinazione della lana. La Bergamasca forniva 5 kg di lana di qualità inferiore destinata alle industrie (coperte, panno ruvido militare, poi da materasso); la Brianzola, invece, era mantenuta per autoconsumo e si preferiva avere meno lana ma di migliore qualità.

Dal punto di vista della taglia, invece, la differenza si è mantenuta e forse accentuata. La selezione per la produzione di carne ha favorito nella Bergamasca la taglia e l'incremento dei diametri trasversali. Nella Bergamasca l'altezza è rimasta uguale (o è leggermente calata) mentre il peso è aumentato, quindi è oggi un ovino più largo e più pesante (una pecora adulta pesa più di 90 kg mente una Brianzola ne pesa solo 65-70). Forse, però, la differenza principale è quella che non si vede: la prolificità. La Bergamasca presenta un 50% di parti gemellari ma pochissimi parti trigemini. La cosa si spiega facilmente: in un gregge che si muove tutt'oggi a piedi l'agnello deve essere in grado di camminare dopo pochi giorni (dopo la nascita viaggia sull'asino) e deve essere il più possibile robusto e vitale anche perché deve stare all'aperto sia nella cattiva stagione che in alta montagna. La Brianzola è sempre stata allevata in stalla dove, in cambio dell'onere di un'alimentazione a base di fieno e sottoprodotti, forniva il prezioso concime. In queste condizioni gli agnelli non erano esposti alle intemperie e possono essere accuditi con più facilità, di conseguenza anche quelli di parto trigemino o quadrigemino possono essere svezzati con suiccesso.  Anche oggi nelle conduizioni dei piccoli allevamenti amatoriali, part-time o accessori (integrativi di altre attività agricole e zootecniche) le cure prestate alla Brianzola in termini di ricoveri e alimentazioni possono essere giustificate grazie alla notevole produttività (2 e più agnelli ogni 7-8 mesi).

 

 

L'affermazione della denominazione 'Brianzola'

 

Nonostante le caratteristiche della Brianzola fossero note sino agli anni '20 nessun autore o ente si era preso la briga di contraddistinguere questa popolazione con una denominazione specifica. Negli anni trenta apparvero alcuni articoli sul bollettino 'La campagna', pubblicazione della Cattedra Ambulante di Agricoltura della Provincia di Como, a firma di  L.Formigoni e C. Fornaci che chiamarono 'Brianzole di Oggiono' e poi semplicemente 'Brianzole' le pecore che fino al allora venivano identificate come locali o meglio 'nostrane', allevate in tutta la regione collinare della Brianza e presenti in maggiore densità nelle zone di Oggiono, Merate e Erba. Il ventennio tra gli anni '30 e i '50 fu quello d'oro per la Brianzola. Vennero organizzate fiere e mostre e, da parte dell'Ispettorato Agrario di Como, venne erogato un contributo del 50% per l'acquisto di arieti adulti di razza Brianzola. Per la diffusione di soggetti con buone caratteristiche furono istituite anche due stazioni di monta. Uno dei centri di 'monta pubblica' si trovava ad Oggiono, nel cuore dell'area di allevamento della razza, l'altro a Blessagno in Val d'Intelvi (fuori area di allevamento) con lo scopo di favorire la sostituzione delle capre (allevate in gran numero in quella valle) con le pecore.

Le necessità dell'autarchia imponevano nel periodo precedente la seconda guerra mondiale una grande attenzione all'allevamento ovino che veniva incentivato in molti modi. Nonostante l'interesse prevalente per la lana la selezione della Brianzola non dimenticava l'importanza della carne, facendo leva soprattutto sulla proverbiale prolificità della razza. I tecnici raccomandavano di allevare arieti provenienti da parti trigemini tenendo in debito conto anche i caratteri della madre. Tale selezione per l'elevata prolificità ha consentito di 'fissare' questa caratteristica nella popolazione. Tutt'oggi non sono infrequenti le pecore adulte che partoriscano 4-5 agnelli. Da questo punto di vista la Brianzola si avvicina alla pecora Finnica considerata la razza più prolifica al mondo.

 

 

La crisi

 

Nel dopoguerra il trasferimento del Dr. Formigoni da Como a Savona privò la razza di un personaggio chiave per la sua promozione. La crisi, però, arrivò con l'industrializzazione diffusa. In passato la presenza di alcune attività industriali era risultata compatibile con un quadro di agricoltura tradizionale dal momento che solo qualche componente delle numerose famiglie si dedicava al lavoro extra-agricolo. Con gli anni '50-'60 il travaso di manodopera dal settore agricolo a quello industriale fu massiccio e si accompagnò con un cambiamento degli stili di vita che rendeva sempre più difficile il mantenimento di un modello 'misto'. Vi fu, però, tra i meno giovani, chi continuò - spinto da un profondo attaccamento per la vita rurale, i suoi valori, le sue tradizioni - ad affiancare al lavoro in fabbrica un'attività agricola part-time o amatoriale. Ma erano pochi e la pecora Brianzola subì tra gli anni '50 e '90 una rarefazione che l'ha condotta al limite dell'estinzione.   All'inizio degli anni '80 esisteva un solo nucleo di ovini Brianzoli in purezza, quello di Antonio Quagliaroli di Proserpio (Co). La circostanza era segnalata dall'Atlante etnografico delle popolazioni ovine e caprine allevata in Italia, CNR, Roma, 1983. All'inizio degli anni '90 nella fase di avvio delle misure di sostegno alle razze in via di estinzione ex Reg. Ce 2078/92 la pecora Brianzola non venne considerata in quanto ritenuta estinta.

Nel 1996 il censimento e le connesse rilevazioni biometriche, promosse dalla Comunità Montana del Lario Orientale, fotografarono una situazione in ripresa: i soggetti censiti erano 129, allevati in 9 allevamenti nei Comuni di Galbiate, Suello e Valmadrera (Lc) e di Proserpio (Co). L'allevamento di Proserpio era ancora quello del Quaiaroli che, ottantenne, continuava a mantenere un nucleo di 30 Brianzole.

Il contributo di questo nucleo alla sopravvivenza della Brianzola è stato determinante; tutti gli allevamenti censiti nel 1996, infatti, vedevano la presenza di soggetti di linea maschile e femminile provenienti dal suo allevamento considerato l'unico dove, per un lungo periodo, fosse possibile reperire maschi riconducibili alla razza. Altrettanto determinante per la sopravvivenza della razza è stata l'ostinazione con cui Pasquale Redaelli, attuale presidente dell'Associazione, ha 'setacciato' la zona alla ricerca di capi con le caratteristiche tipiche della Brianzola deciso a non consentire che questo patrimonio di storia, passione, cultura così legato alla realtà locale si disperdesse per sempre. Grazie a Quairoli e a Redaelli la Brianzola c'è ancora. A fianco del loro contributo determinante è doveroso citare anche l'impegno della Comunità Montana Lario Orientale.

 

 

Il ruolo dell'Associazione e il riconoscimento della razza

 

L'incontro felice tra l'iniziativa 'dal basso' di allevatori appassionati (per lo più mossi da interesse amatoriale e senza finalità economiche) e la sensibilità delle istituzioni locali ha consentito non solo di salvare la razza ma di avviare una serie di iniziative che, in pochi anni, hanno portato il numero dei capi a 400 (2004) e quindi a 1000 (2009). Questo risultato è stato ottenuto anche perché i protagonisti del recupero della Brianzola hanno saputo coinvolgere una cerchia abbastanza ampia di nuovi allevatori e di 'sostenitori' superando le difficoltà - spesso insormontabili - che analoghe esperienze aggregative incontrano (gelosie, diffidenze reciproche, personalismi). L'Associazione, costituita il 13 marzo 1999 presso la Comunità Montana del Lario Orientale, si è dimostrata un soggetto attivo, in grado di dialogare con altri attori ma mantenendo l'iniziativa senza delegare la 'strategia' a soggetti esterni per quanto benintenzionati. I piani di intervento per il recupero e la valorizzazione di questa pecora, hanno portato il 13 novembre 2001 al riconoscimento da  parte della Commissione Tecnica Centrale dell’ASSONAPA di Roma, della Brianzola quale popolazione a limitata diffusione in pericolo di estinzione. Nel 2004 la Regione Lombardia, forte di questa ufficializzazione dello status della Brianzola, l'ha inserita nel piano di sviluppo rurale come animale da salvaguardare e quindi oggetto di contributi per l’allevatore.

L’allevamento della pecora Brianzola è oggi diffuso nelle provincie di Lecco, Como e Milano (Monza e Brianza). Attualmente sono 45 gli allevamenti, distribuiti in 25 comuni; la maggior parte di questi si trova in provincia di Lecco, una decina sono in provincia di Como, 2 in provincia di Milano.  I capi iscritti al Registo Anagrafico delle popolazioni ovine a limitata diffusione sono 760 (1000 soni i capi totali inclusi quelli non registrati). La maggior parte degli allevamenti non fa capo ad aziende agricole; circa il 70% percepisce comunque contributi per l’allevamento dal PSR.  Dal 2006, fatto molto significativo, è ripresa l'organizzazione della Mostra della Pecora Brianzola (dopo 60 anni!). Le Mostre della Brianzola sono occasioni per incontri e attività di carattere tecnico e culturale in un contesto di forte coinvolgimento di realtà aggregative locali.

 

 

I prodotti della Brianzola

 

Quella che era una razza la cui salvaguardia pareva legata per lo più a istanze culturali oggi appare in grado di valorizzarsi attraverso una serie di prodotti la cui apparizione e affermazione sul mercato sarebbe stata considerata utopistica solo pochi anni fa. Il prodotto di punta della Brianzola è l'Agnello brianzolo' che si caratterizza per l'alimentazione esclusivamente a base di latte materno successivamente integrata con fieno, sfarinati e granaglie.  In data 7 aprile 2008 la Regione Lombardia ha riconosciuto come prodotto tipico regionale (nell'elenco dei Prodotti Agroalimentari Tradizionali) l''Agnello Brianzolo'. In collaborazione con il ristorante 'La Piana' di Carate Brianza sono state organizzate serate gastronomiche con la carne dei nostri animali presentandola a diverse associazioni e club impegnati nella valorizzazione e riscoperta dei prodotti locali  e di nicchia quali Slow Food di Monza e Brianza, di Lecco, l’Accademia della Cucina di Lecco e il Club di Papillon di Milano ottenendo sempre ottimi giudizi.  Tra i locali che utilizzano abitualmente l'agnello Brianzolo si segnala, oltre al già citato Ristorante La Piana anche l'Agriturismo 'La Costa' di Perego (qualificata azienda vitivinicola).

In collaborazione con l’azienda oggionese 'Marco d’Oggiono prosciutti' sono stati messi in produzione, alla fine del 2008, alcuni  prosciutti di pecora. Piccoli artigiani, eredi della  grande tradizione salumiera del territorio brianzolo, sono in grado di produrre anche insaccati e bresaole di pecora.

L'interesse dimostrato dagli Enti pubblici per risolvere  il  problema della raccolta e valorizzare una risorsa che potrebbe avere grosse potenzialità è stato sin qui (almeno in Lombardia) pressoché nullo. L' Associazione si sta però impegnando da alcuni anni su questo tema per utilizzare  un 'rifiuto' nella realizzazione di articoli in 'lana di pecora Brianzola'.  L'Associazione ha potuto contare sulla collaborazione della Comunità Montana del Lario Orientale, del Consorzio Parco delle Groane, della Provincia di Lecco, del Comune di Monza, dell’Associazione ALDA, (ass. lombarda per la didattica in agricoltura) della Coop.REA (ricerche ecologiche applicate) e della Fondazione di Monza e Brianza. E' così riuscita a organizzare e gestire tutta la filiera: raccolta, lavaggio, filatura, tessitura e confezione. 
I prodotti che vengono proposti sono cappelli in feltro, plaids, tessuti e abbigliamento con i modelli della tradizione pastorale lombarda (tabarri, giacche e gilet) e recano una etichetta (con il logo dell'Associazione) che ne certifica la provenienza dalla 'lana Brianzola' . Sono in corso di realizzazione prodotti di maglieria.

 

 

Prodotti immateriali e reti di cooperazione

 

La Brianzola è una campionessa di 'multifunzionalità' perché, al di là dei prodotti alimentari e di lana, essa si è dimostrata anche un'ottima fornitrice di servizi immateriali di indubbia utilità. La collaborazione con il Parco delle Groane (sostenuta anche dall'impegno della Provincia di Milano a favore delle razze autoctone delle provincie limitrofe) oltre a consentire di stabilire un importante nucleo di moltiplicazione presso l'ITAS di Limbiate)  ha dimostrato anche l'utilità della pecora Brianzola sia sul fronte della manutenzione territoriale che dei servizi agri-didattici ed agri-educativi. Un gregge di pecore Brianzole è stato utilizzato per mantenere la vegetazione erbacea caratteristica delle brughiere in alcuni settori del parco che stavano 'chiudendosi' a causa della infestazione con felci (Pteridiun aquilinum) ed essenze arboreo-arbustive nel mentre le pecore continuano ad essere utilizzate per la manutenzione 'ecologica' dei bordi delle piste ciclabili.  Queste attività avrebbero modo di svilupparsi anche nell'ambito dei Parchi e aree protette della zona 'storica' di allevamento (pensiamo al Parco della valle del Lambro, ma anche al Parco di Montevecchia e della valle del Curone, al Monte Barro, Plis di San Genesio).

Nel Parco delle Groane sono poi state realizzate attività didattico-educative pilota (sia in sede che in occasione di eventi esterni) che hanno trovato continuità grazie al sostegno e all'interesse di diversi enti (vedi la recente iniziativa 'Vivilana' organizzata a Monza il 17-18 ottobre con convegno, mostra-fiera e attività didattiche sul tema della lana). Le varie iniziative culturali, gastronomiche, didattiche hanno consentito di  coinvolgere una rete di associazioni e enti che rappresenta una risorsa strategica dell'Associazione e della razza (oltre agli enti pubblici ricordiamo la collaborazione con ALDA, la coop REA,  la fondazione Monza e Brianza, la condotta Slow Food, il gruppo folkloristico 'I Paisan', il MEAB - Museo etnografico dell'alta Brianza. Se, da una parte, la pecora Brianzola sta contribuendo in modo non marginale al rafforzamento di una identità culturale e gastronomica della Brianza va anche detto che l'alone di interesse e di simpatia suscitato rappresenta un elemento prezioso per assicurare un buon mercato e un clima di generale sostegno alla razza e ai suoi prodotti. Un circuito virtuoso!

Non va dimenticato che la Brianzola vive in un 'habitat' fortemente antropizzato dove vi sono grandi opportunità di creazione di circuiti brevi di fornitura alimentare, ma dove possono anche risultare impatti negativi connessi alla persenza degli allevamenti in aree a forte densità residenziale.

 

 

Prospettive future: produzione di latte e del pregiato 'formaggino'

 

Che la pecora Brianzola sia lattifera lo testimonia, senza possibilità di smentite, la capacità di svezzare 3 e più agnelli. Pochi, però, sono a conoscenza del fatto che la Brianzola, sino ai primi decenni del '900, era regolarmente munta e che con il suo latte si confezionassero preziosi latticini. Il famoso 'formaggino di Montevecchia' era in passato prodott mescolando latte di capra e di pecora o di tutte e tre le specie. La pratica della mescolanza di 2 o 3 latti era comunque molto diffusa in alta Brianza come indicano numerose testimonianze orali. Ma anche scritte.

Apprendiamo dagli Atti della famosa Inchiesta Agraria Jacini (del 1883) che, nel Comprensorio di Lecco:

 

'Il latte delle pecore, il cui prodotto si calcola in ragione di ettolitri 2,50 annui per cadauna, mentre non si mungono che durante quattro mesi all'anno, con una media giornaliera di litri 2,25, è ricco di materia caseosa e prestasi alla fabbricazione di speciali latticini che foggiansi a guisa di piccoli cilindri detti formaggini, che sono molto pregiati in commercio. [...] I formaggini di pecora o di capra si possono consumare freschi, ed anche far stagionare, disponendoli su graticci in locale fresco, asciutto e bene aereato, rivoltandoli frequentemente fino a che siano secchi. Allora possono essere imballati in cesti di vimini o in barili, conservati per parecchi mesi, e posti in commercio ad un prezzo alquanto superiore a quello dello stracchino'. Giunta per l’inchiesta agraria e sulle condizioni della classe agricola, Atti, Vol. VI, Roma, Forzani, 1883, Il Circondario di Lecco, p. 335.

 

In tempi più recenti, nell'ambito di una conferenza tenuta a Milano il 14 febbraio 1942 il Dr. Formigoni sosteneva che: 'questa razza somiglia moltissimo a quella delle Langhe e della Frisa orientale [considerate tra le migliori pecore da latte in assoluto, n.d.r.]' e aggiungeva:

 

 'la nostra Brianzola meriterebbe di essere diffusa in quelle regioni dove si pratica l’allevamento semi-stallino per avere latte da fare formaggi freschi, come si pratica nelle Langhe dove si alleva una razza analoga ma meno nobile della nostra. In fatto di nobiltà la Brianzola viene subito dopo la Frisona'.

 

Aggiungeva inoltre che:

 

'per chi alleva pecore Brianzole ci sarebbe la convenienza di mungerle dopo la vendita degli agnelli, perché questi animali potrebbero dare anche due litri di latte al giorno. Con un chilo di latte di pecora si ricavano due etti di formaggio fresco e un etto di ricotta'

 

Già ai tempi di Formigoni l'allevatore non aveva più tempo di mungere e confezionare formaggini. E' evidente che, dopo la prima guerra mondiale, lo stile di vita era già cambiato rispetto al XIX secolo. Molte giovani donne lavoravano nelle fabbriche e anche i contadini si dividevano spesso tra lavoro extra-agricolo e la cura del podere.

Oggi vi sono le condizioni per un nuovo 'ciclo rurale'. Il forte ritorno di interesse per attività a contatto con la natura e gli animali, il desiderio di disporre di prodotti genuini a km 0 ottenuti con le proprie mani o dalle mani di qualcuno con il quale si ha un rapporto personale, l'interesse non passeggero della ristorazione di qualità per prodotti ottenuti da 'artigiani del latte' del territorio,  fa si che vi sia uno spazio anche per la produzione di latte e di furmagit (di pura pecora Brianzola o misti). La sapienza contadina faceva si che si utilizzasse tutto quanto disponibile e che le piccole quantità di latte (non importa se di mucca, capra, pecora) venissero usate insieme. A fianco di queste considerazioni va rilevato, però, che i vecchi si erano resi conto come l'utilizzo di latte di specie diverse - in opportune proporzioni -  migliori la qualità e 'corregga' i difetti di coagulazione, spurgo, essicazione del formaggio. Il latte ovino, ricco di grasso e proteine, è sicuramente idoneo a fornire formaggini di piccola pezzatura a breve maturazione, ma ricchi di gusto e con pasta (specie sottocrosta) opportunamente proteolizzata (e quindi morbidi e cremosi) e lipolizzata (e quindi dagli intensi e complesse senstoti). Speriamo di poterli assaggiare presto.

 

Per saperne di più sull'agricoltura contadina Brianzola:

A. De Battista (a cura di) Contadini dell'alta Brianza. con saggi di M.R. Galimberti, M.Pirovano, G.Sanga e prefazione di F. Della Peruta, Cattaneo Editore, Oggiono (Lc), 2000, pp.300.

Museo etnografico dell'alta Brianza - frazione Camporeso 23851 Galbiate (LC) http://meab.parcobarro.it/

Per saperne di più sulla pecora  Brianzola:

AA.VV. La pecora Brianzola. Notizie storiche e ricerche zootecniche con contributi di L.A. Brambilla, R.Corti, L.Noè, P.Redaelli e introduzione di M.Pirovano, Comunità montana del Lario orientale, stampa Cattaneo, Oggionio (Lc), 1997, pp.81

G. Bolis, M. Pirovano, La pecora è d'oro. L’allevamento ovino in Brianza ieri e oggi, Galbiate, Museo Etnografico dell’Alta Brianza, 2001 (videodocumentario)

Associazione pecora Brianzola - Via Pedro Vasena, 4 23856 Galbiate (Lecco) tel. 0341.240724
c.f. 92035310132

info@pecorabrianzola.it
 
pasquale@pecorabrianzola.it
emiliano@pecorabrianzola.it
http://www.pecorabrianzola.it/

 

 

 

 

 

 

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