Logo
dell'Associazione. Su questa base sono stati realizzati
anche i marchi della 'lana Brianzola', dell' 'Agnello
Brianzolo' e degli altri prodotti.
Un
esemplare di Brianzola con le caratteristiche tipiche
della razza
Comuni
con presenza di allevamenti di pecora Brianzola
Antonio
Quairoli di Proserpio (Co) cui si
deve
la sopravvivenza della razza; ancora ottantenne manteneva
un gregge di 30 pecore (foto di Lorenzo Noè tratta
da volume La
pecora Brianzola. Notizie storiche e ricerche zootecniche,
Comunità montana del Lario orientale, 1997)
Luigi
Formigoni
La
Brianzola nel suo ambiente. Sullo sfondo Lecco e le
Grigne (a sinistra)
Mostra
della pecora Brianzola (ed. 2008)
Tabarri
e gilet realizzati con la lana Brianzola esposti nell'ambito
delle diverse iniziative (fiere, esposizioni) cui l'Associazione
partecipa
Cappelli
realizzati con la lana Brianzola riprendendo la grande
tradizione monzese del cappello in feltro di lana.
Manifesto
della III Mostra della Pecora Brianzola
Il
contesto famigliare dell'allevamento tradizionale della
pecora Brianzola
|
(29.10.09)
Quando una razza rappresenta uno specchio delle trasformazioni
socio-territoriali
Una
pecora multifunzionale: la Brianzola, salvata dall'estinzione,
si segnala tra le razze autoctone più dinamiche
e interessanti
La
Brianzola è stata protagonista qualche giorno fa (17-18
ottobre) di una interessante manifestazione a Monza
(Vivilana), è una delle razze protagonioste del rilancio
delle lane nostrane, della gastronomia territoriale,
di progetti educativi e di manutenzione territoriale
essa appare proiettata in una dimensione 'post-moderna'
tanto da far dimenticare che vent'anni fa era quasi
sull'orlo dell'estinzione.
La
Brianzola riflette in modo esemplare nelle sue
vicende e nei suoi alti e bassi la storia sociale delle
transizione dalla società contadina a quella industriale
e di quella più recente dalla società industriale a
quella della 'tarda modernità post-industriale'. Era
allevata in piccoli greggi presso le aziende contadine
della Brianza lecchese che disponevano di piccoli poderi
'multifunzionali'. La coltivazione del grano (per pagare
l'affitto) era affiancata dall'allevamento dei bachi
da seta, dall'ingrasso di vitelli 'baliotti' per la
vendita, dalla produzione di ortaggi e legumi per autoconsumo,
dall'allevamemto di qualche preziosa pecora che forniva
la lana (allora costosissima e non alla portata delle
tasche contadine), la carne (per consumo famigliare).
Non era rara la fabbricazione ed anche la vendita
di furmagit di puro latte di pecora brianzola
o misto. Da brava razza multifunzionale ha rischiato
di soccombere nell'era del monofunzionalismo (industralismo
e produttivismo agricolo) ma ora si sta prendendo una
bella rivincita per le stesse ragioni e 'doti' per le
quali nel recente passato pareva 'condannata' (conservare
gente, conservare ...).
Razze
(apparentemente) simili
L'identità
etnica della Brianzola (pecora stanziale) emerge in
modo netto dal confronto con la Bergamasca (pecora transumante).
Va precisato che la Bergamasca è tutt'altro che estranea
alla realtà della Brianza dal momento che ancora oggi
-
come in passato - i greggi transumanti svernano
nell'area collinare o alpeggiano sulle vicine montagne
della Valsassina. Le differenze che, ad un occhio non
esperto, non appaiono così nette sono in realtà profonde:
la Brianzola presenta una estensione del vello molto
più ridotta e una ossatura più fine. In passato
la Bergamasca aveva la pancia, le zampe (sino al ginocchio),
la fronte, coperte di lana e la differenza tra le due
razze balzava immediatamente all'occhio. Oggi la Bergamasca
ha spesso la pancia, il collo e gli arti scoperti ma,
nonostante questo, l'estensione del vello è dedicamente
maggiore di quella della Brianzola. La differenza si
spiega con la destinazione della lana. La Bergamasca
forniva 5 kg di lana di qualità inferiore destinata
alle industrie (coperte, panno ruvido militare, poi
da materasso); la Brianzola, invece, era mantenuta per autoconsumo
e si preferiva avere meno lana ma di migliore qualità.
Dal punto di vista della taglia, invece, la differenza
si è mantenuta e forse accentuata. La selezione per
la produzione di carne ha favorito nella Bergamasca
la taglia e l'incremento dei diametri trasversali. Nella
Bergamasca l'altezza è rimasta uguale (o è leggermente
calata) mentre il peso è aumentato, quindi è oggi un ovino
più largo e più pesante (una pecora adulta pesa più
di 90 kg mente una Brianzola ne pesa solo 65-70). Forse,
però, la differenza principale è quella che non si vede:
la prolificità. La Bergamasca presenta un 50% di parti
gemellari ma pochissimi parti trigemini. La cosa si
spiega facilmente: in un gregge che si muove tutt'oggi
a piedi l'agnello deve essere in grado di camminare
dopo pochi giorni (dopo la nascita viaggia sull'asino)
e deve essere il più possibile robusto e vitale anche
perché deve stare all'aperto sia nella cattiva stagione
che in alta montagna. La Brianzola è sempre stata
allevata in stalla dove, in cambio dell'onere di un'alimentazione
a base di fieno e sottoprodotti,
forniva il prezioso concime. In queste condizioni gli
agnelli non erano esposti alle intemperie e possono essere
accuditi con più facilità, di conseguenza anche quelli
di parto trigemino o quadrigemino possono essere svezzati
con suiccesso. Anche oggi nelle conduizioni dei
piccoli allevamenti amatoriali, part-time o accessori
(integrativi di altre attività agricole e zootecniche)
le cure prestate alla Brianzola in termini di ricoveri
e alimentazioni possono essere giustificate grazie alla
notevole produttività (2 e più agnelli ogni 7-8 mesi).
L'affermazione
della denominazione 'Brianzola'
Nonostante
le caratteristiche della Brianzola fossero note sino
agli anni '20 nessun autore o ente si era preso la briga
di contraddistinguere questa popolazione con una denominazione
specifica. Negli anni trenta apparvero alcuni articoli sul bollettino 'La campagna', pubblicazione della Cattedra Ambulante di Agricoltura della Provincia di Como, a firma di L.Formigoni e C. Fornaci che chiamarono 'Brianzole di Oggiono' e poi semplicemente 'Brianzole' le pecore che fino al allora venivano identificate come locali o meglio 'nostrane', allevate in tutta la regione collinare della Brianza e presenti in maggiore densità nelle zone di Oggiono, Merate e Erba.
Il ventennio tra gli anni '30 e i '50 fu quello
d'oro per la Brianzola. Vennero organizzate fiere e
mostre e, da parte dell'Ispettorato Agrario di Como,
venne erogato un contributo del 50% per l'acquisto di
arieti adulti di razza Brianzola. Per la diffusione
di soggetti con buone caratteristiche furono istituite
anche due stazioni di monta. Uno dei centri di 'monta
pubblica' si trovava ad Oggiono, nel cuore dell'area
di allevamento della razza, l'altro a Blessagno in Val
d'Intelvi (fuori area di allevamento) con lo
scopo di favorire la sostituzione delle capre (allevate
in gran numero in quella valle) con le pecore.
Le
necessità dell'autarchia imponevano
nel periodo precedente la seconda guerra mondiale una
grande attenzione all'allevamento ovino che veniva incentivato
in molti modi. Nonostante l'interesse prevalente per
la lana la selezione della Brianzola non dimenticava
l'importanza della carne, facendo leva soprattutto sulla
proverbiale prolificità della razza. I tecnici raccomandavano
di allevare arieti provenienti da parti trigemini tenendo
in debito conto anche i caratteri della madre.
Tale selezione per l'elevata prolificità ha consentito
di 'fissare' questa caratteristica nella popolazione. Tutt'oggi non sono infrequenti le pecore adulte che
partoriscano 4-5 agnelli. Da questo
punto di vista la Brianzola si avvicina alla pecora
Finnica considerata la razza più prolifica al mondo.
La
crisi
Nel
dopoguerra il trasferimento del Dr. Formigoni da Como
a Savona privò la razza di un personaggio chiave per
la sua promozione. La crisi, però, arrivò con l'industrializzazione
diffusa. In passato la presenza di alcune attività industriali
era risultata compatibile con un quadro di agricoltura
tradizionale dal momento che solo qualche componente
delle numerose famiglie si dedicava al lavoro extra-agricolo.
Con gli anni '50-'60 il travaso di manodopera dal settore
agricolo a quello industriale fu massiccio e si accompagnò
con un cambiamento degli stili di vita che rendeva
sempre più difficile il mantenimento di un modello 'misto'.
Vi fu, però, tra i meno giovani, chi continuò -
spinto da un profondo attaccamento per la vita rurale,
i suoi valori, le sue tradizioni - ad affiancare
al lavoro in fabbrica un'attività agricola part-time
o amatoriale. Ma erano pochi e la pecora Brianzola subì
tra gli anni '50 e '90 una rarefazione che l'ha condotta
al limite dell'estinzione. All'inizio
degli anni '80 esisteva un solo nucleo di ovini Brianzoli
in purezza, quello di Antonio Quagliaroli di Proserpio
(Co). La circostanza era segnalata dall'Atlante
etnografico delle popolazioni ovine e caprine allevata
in Italia,
CNR, Roma, 1983. All'inizio degli anni '90 nella fase
di avvio delle misure di sostegno alle razze in via
di estinzione ex Reg. Ce 2078/92 la pecora Brianzola
non venne considerata in quanto ritenuta estinta.
Nel
1996 il censimento e le connesse rilevazioni biometriche,
promosse dalla Comunità Montana del Lario Orientale,
fotografarono una situazione in ripresa: i soggetti
censiti erano 129, allevati in 9 allevamenti nei Comuni di Galbiate, Suello e Valmadrera (Lc) e di Proserpio (Co). L'allevamento
di Proserpio era ancora quello del Quaiaroli che, ottantenne,
continuava a mantenere un nucleo di 30 Brianzole.
Il
contributo di questo nucleo alla sopravvivenza della
Brianzola è stato determinante; tutti gli allevamenti
censiti nel 1996, infatti, vedevano la presenza di soggetti
di linea maschile e femminile provenienti dal suo allevamento
considerato l'unico dove, per un lungo periodo, fosse
possibile reperire maschi riconducibili alla razza.
Altrettanto determinante per la sopravvivenza della
razza è stata l'ostinazione con cui Pasquale Redaelli,
attuale presidente dell'Associazione, ha 'setacciato'
la zona alla ricerca di capi con le caratteristiche tipiche
della Brianzola deciso a non consentire che questo patrimonio
di storia, passione, cultura così legato alla realtà
locale si disperdesse per sempre. Grazie a Quairoli
e a Redaelli la Brianzola c'è ancora. A fianco
del loro contributo determinante è doveroso citare anche
l'impegno della Comunità Montana Lario Orientale.
Il
ruolo dell'Associazione e il riconoscimento della razza
L'incontro
felice tra l'iniziativa 'dal basso' di allevatori
appassionati (per lo più mossi da interesse amatoriale
e senza finalità economiche) e la sensibilità delle istituzioni locali ha consentito non
solo di salvare la razza ma di avviare una serie di
iniziative che, in pochi anni, hanno portato il numero
dei capi a 400 (2004) e quindi a 1000 (2009). Questo risultato
è stato ottenuto anche perché i protagonisti del
recupero della Brianzola hanno saputo coinvolgere una
cerchia abbastanza ampia di nuovi allevatori e di 'sostenitori'
superando le difficoltà - spesso insormontabili - che
analoghe esperienze aggregative incontrano (gelosie,
diffidenze reciproche, personalismi). L'Associazione, costituita il 13 marzo 1999 presso la Comunità Montana del Lario Orientale,
si è dimostrata un soggetto attivo, in grado di dialogare
con altri attori ma mantenendo l'iniziativa senza delegare
la 'strategia' a soggetti esterni per quanto benintenzionati.
I piani di intervento per il recupero e la valorizzazione di questa pecora, hanno portato il 13 novembre 2001 al riconoscimento da parte della Commissione Tecnica Centrale dell’ASSONAPA di Roma,
della Brianzola quale popolazione a limitata diffusione in pericolo di estinzione. Nel 2004 la Regione Lombardia, forte di questa
ufficializzazione dello status della Brianzola, l'ha inserita nel piano di sviluppo rurale come animale da salvaguardare e quindi oggetto di contributi per l’allevatore.
L’allevamento della pecora
Brianzola è oggi diffuso nelle provincie di Lecco, Como e Milano (Monza e Brianza).
Attualmente sono 45 gli allevamenti, distribuiti in
25 comuni; la maggior parte di questi si trova in provincia di
Lecco, una decina sono in provincia di Como, 2 in provincia di Milano. I
capi iscritti al Registo Anagrafico delle popolazioni
ovine a limitata diffusione sono
760 (1000
soni i capi totali inclusi quelli non registrati). La
maggior parte degli allevamenti non fa capo ad aziende agricole; circa il 70%
percepisce comunque contributi per l’allevamento dal PSR.
Dal 2006,
fatto molto significativo, è ripresa l'organizzazione
della Mostra della Pecora Brianzola (dopo 60 anni!).
Le Mostre della Brianzola sono occasioni per incontri
e attività di carattere tecnico e culturale in un contesto
di forte coinvolgimento di realtà aggregative locali.
I
prodotti della Brianzola
Quella
che era una razza la
cui salvaguardia pareva legata per lo più a istanze
culturali oggi appare in grado di valorizzarsi attraverso
una serie di prodotti la cui apparizione e affermazione sul
mercato sarebbe stata considerata utopistica solo pochi
anni fa. Il prodotto di punta della Brianzola è l'Agnello
brianzolo' che si caratterizza per l'alimentazione esclusivamente
a base di latte materno successivamente integrata con
fieno, sfarinati e granaglie. In data 7 aprile 2008 la Regione Lombardia ha riconosciuto come prodotto tipico regionale (nell'elenco
dei Prodotti Agroalimentari Tradizionali) l''Agnello Brianzolo'.
In collaborazione con il ristorante 'La Piana' di Carate Brianza sono state organizzate serate gastronomiche con la carne dei nostri animali presentandola a diverse associazioni e club impegnati nella valorizzazione e riscoperta dei prodotti locali e di nicchia quali Slow Food di Monza e Brianza, di Lecco, l’Accademia della Cucina di Lecco e il Club di Papillon di Milano ottenendo sempre ottimi giudizi.
Tra i locali che utilizzano abitualmente l'agnello
Brianzolo si segnala, oltre al già citato Ristorante
La Piana anche l'Agriturismo 'La Costa' di Perego (qualificata
azienda vitivinicola).
In collaborazione con l’azienda oggionese 'Marco d’Oggiono prosciutti' sono stati messi in produzione, alla fine del 2008, alcuni prosciutti di pecora.
Piccoli artigiani, eredi della grande tradizione salumiera del territorio brianzolo, sono in grado di produrre
anche insaccati e bresaole di pecora.
L'interesse dimostrato dagli Enti pubblici per risolvere il problema della raccolta e valorizzare una risorsa che potrebbe avere grosse potenzialità
è stato sin qui (almeno in Lombardia) pressoché nullo.
L' Associazione si sta però impegnando da alcuni anni su questo tema per utilizzare un 'rifiuto' nella realizzazione di articoli in 'lana di pecora Brianzola'.
L'Associazione ha potuto contare sulla collaborazione della Comunità Montana del Lario Orientale, del Consorzio Parco delle Groane, della Provincia di Lecco, del Comune di Monza, dell’Associazione ALDA,
(ass. lombarda per la didattica in agricoltura)
della Coop.REA (ricerche ecologiche applicate) e della Fondazione di Monza e Brianza.
E' così riuscita a organizzare e gestire tutta la filiera: raccolta, lavaggio, filatura, tessitura e confezione. I prodotti che vengono
proposti sono cappelli in feltro, plaids, tessuti e abbigliamento con i modelli della tradizione pastorale lombarda (tabarri, giacche e gilet)
e recano una etichetta (con il logo dell'Associazione)
che ne certifica la provenienza dalla 'lana Brianzola'
. Sono in corso di realizzazione prodotti di maglieria.
Prodotti
immateriali e reti di cooperazione
La
Brianzola è una campionessa di 'multifunzionalità' perché,
al di là dei prodotti alimentari e di lana, essa si è dimostrata anche
un'ottima fornitrice di servizi immateriali di indubbia utilità.
La collaborazione con il Parco delle Groane (sostenuta
anche dall'impegno della Provincia di Milano a favore
delle razze autoctone delle provincie limitrofe) oltre
a consentire di stabilire un importante nucleo di moltiplicazione
presso l'ITAS di Limbiate) ha dimostrato anche l'utilità della pecora Brianzola
sia sul fronte della manutenzione territoriale che dei
servizi agri-didattici ed agri-educativi. Un gregge di
pecore Brianzole è stato utilizzato per mantenere la
vegetazione erbacea caratteristica delle brughiere in
alcuni settori del parco che stavano 'chiudendosi' a
causa della infestazione con felci (Pteridiun aquilinum)
ed essenze arboreo-arbustive nel mentre le pecore continuano
ad essere utilizzate per la manutenzione 'ecologica'
dei bordi delle piste ciclabili. Queste attività
avrebbero modo di svilupparsi anche nell'ambito dei
Parchi e aree protette della zona 'storica' di allevamento
(pensiamo al Parco della valle del Lambro, ma anche
al Parco di Montevecchia e della valle del Curone, al
Monte Barro, Plis di San Genesio).
Nel
Parco delle Groane sono poi state realizzate attività
didattico-educative pilota (sia in sede che in occasione
di eventi esterni) che hanno trovato continuità
grazie al sostegno e all'interesse di diversi enti (vedi
la recente iniziativa 'Vivilana' organizzata a Monza
il 17-18 ottobre con convegno, mostra-fiera e attività
didattiche sul tema della lana). Le varie iniziative
culturali, gastronomiche, didattiche hanno consentito
di coinvolgere una rete di associazioni e enti
che rappresenta una risorsa strategica dell'Associazione
e della razza (oltre agli enti pubblici ricordiamo la
collaborazione con ALDA, la coop REA,
la fondazione Monza e Brianza, la condotta Slow
Food, il gruppo folkloristico 'I Paisan', il MEAB -
Museo etnografico dell'alta Brianza. Se, da una parte,
la pecora Brianzola sta contribuendo in modo non marginale
al rafforzamento di una identità culturale e gastronomica
della Brianza va anche detto che l'alone di interesse
e di simpatia suscitato rappresenta un elemento prezioso
per assicurare un buon mercato e un clima di generale
sostegno alla razza e ai suoi prodotti. Un circuito
virtuoso!
Non va dimenticato
che la Brianzola vive in un 'habitat' fortemente antropizzato
dove vi sono grandi opportunità di creazione di circuiti
brevi di fornitura alimentare, ma dove possono anche
risultare impatti negativi connessi alla persenza degli
allevamenti in aree a forte densità residenziale.
Prospettive
future: produzione di latte e del pregiato 'formaggino'
Che
la pecora Brianzola sia lattifera lo testimonia, senza
possibilità di smentite, la capacità di svezzare 3 e
più agnelli. Pochi, però, sono a conoscenza del fatto
che la Brianzola, sino ai primi decenni del '900,
era regolarmente munta e che con il suo latte si confezionassero
preziosi latticini. Il famoso 'formaggino di Montevecchia'
era in passato prodott mescolando latte di capra e di
pecora o di tutte e tre le specie. La pratica della
mescolanza di 2 o 3 latti era comunque molto diffusa
in alta Brianza come indicano numerose testimonianze
orali. Ma anche scritte.
Apprendiamo dagli
Atti della famosa Inchiesta
Agraria Jacini (del 1883) che, nel Comprensorio di Lecco:
'Il
latte delle pecore, il cui prodotto si calcola in ragione
di ettolitri 2,50 annui per cadauna, mentre non si mungono
che durante quattro mesi all'anno, con una media giornaliera
di litri 2,25, è ricco
di materia caseosa e prestasi alla fabbricazione
di speciali latticini che foggiansi
a guisa di piccoli cilindri detti formaggini, che sono
molto pregiati in commercio. [...] I
formaggini di pecora o di capra si possono consumare
freschi, ed anche far stagionare, disponendoli su graticci
in locale fresco, asciutto e bene aereato, rivoltandoli
frequentemente fino a che siano secchi. Allora possono
essere imballati in cesti di vimini o in barili, conservati
per parecchi mesi, e posti in commercio ad un prezzo
alquanto superiore a quello dello stracchino'. Giunta
per l’inchiesta agraria e sulle condizioni della classe
agricola, Atti, Vol. VI, Roma, Forzani, 1883, Il Circondario
di Lecco, p. 335.
In tempi
più recenti, nell'ambito di una conferenza tenuta a Milano il 14 febbraio 1942 il
Dr. Formigoni sosteneva che: 'questa razza somiglia moltissimo a quella delle Langhe e della Frisa orientale
[considerate tra le migliori pecore da latte in assoluto,
n.d.r.]' e aggiungeva:
'la nostra Brianzola meriterebbe di essere diffusa in quelle regioni dove si pratica l’allevamento semi-stallino per avere latte da fare formaggi freschi, come si pratica nelle Langhe dove si alleva
una razza analoga ma meno nobile della nostra. In fatto di nobiltà la Brianzola viene subito dopo la Frisona'.
Aggiungeva
inoltre che:
'per
chi alleva pecore Brianzole ci sarebbe la convenienza
di mungerle dopo la vendita degli agnelli, perché questi
animali potrebbero dare anche due litri di latte al
giorno. Con un chilo di latte di pecora si ricavano
due etti di formaggio fresco e un etto di ricotta'
Già
ai
tempi di Formigoni l'allevatore non aveva più tempo
di mungere e confezionare formaggini. E' evidente che,
dopo la prima guerra mondiale, lo stile di vita era già
cambiato rispetto al XIX secolo. Molte giovani donne
lavoravano nelle fabbriche e anche i contadini
si dividevano spesso tra lavoro extra-agricolo e la
cura del podere.
Oggi vi sono le condizioni per un nuovo
'ciclo rurale'. Il forte ritorno di interesse per attività
a contatto con la natura e gli animali, il desiderio
di disporre di prodotti genuini a km 0 ottenuti con
le proprie mani o dalle mani di qualcuno con il quale
si ha un rapporto personale, l'interesse non passeggero
della ristorazione di qualità per prodotti ottenuti da
'artigiani del latte' del territorio, fa
si che vi sia uno spazio anche per la produzione di
latte e di furmagit (di pura pecora Brianzola
o misti). La sapienza contadina faceva si che si utilizzasse
tutto quanto disponibile e che le piccole quantità di
latte (non importa se di mucca, capra, pecora)
venissero usate insieme. A fianco di queste considerazioni
va rilevato, però, che i vecchi si erano resi conto
come l'utilizzo di latte di specie diverse - in opportune
proporzioni - migliori la qualità e 'corregga'
i difetti di coagulazione, spurgo, essicazione
del formaggio. Il latte ovino, ricco di grasso e proteine,
è sicuramente idoneo a fornire formaggini di piccola
pezzatura a breve maturazione, ma ricchi di gusto
e con pasta (specie sottocrosta) opportunamente
proteolizzata (e quindi morbidi e cremosi) e lipolizzata
(e quindi dagli intensi e complesse senstoti). Speriamo
di poterli assaggiare presto.
Per
saperne di più sull'agricoltura contadina Brianzola:
A.
De Battista (a cura di) Contadini dell'alta
Brianza. con saggi di M.R. Galimberti,
M.Pirovano, G.Sanga e prefazione di
F. Della Peruta, Cattaneo Editore, Oggiono
(Lc), 2000, pp.300.
Museo
etnografico dell'alta Brianza - frazione Camporeso
23851 Galbiate (LC)
http://meab.parcobarro.it/
Per
saperne di più sulla pecora Brianzola:
AA.VV.
La pecora Brianzola. Notizie storiche
e ricerche zootecniche con contributi
di L.A. Brambilla, R.Corti, L.Noè, P.Redaelli
e introduzione di M.Pirovano, Comunità montana
del Lario orientale, stampa Cattaneo, Oggionio
(Lc), 1997, pp.81
G. Bolis, M. Pirovano, La pecora è d'oro. L’allevamento ovino in
Brianza ieri e oggi, Galbiate, Museo Etnografico dell’Alta Brianza, 2001
(videodocumentario)
Associazione
pecora Brianzola - Via Pedro Vasena, 4
23856 Galbiate (Lecco) tel. 0341.240724 c.f. 92035310132 info@pecorabrianzola.it pasquale@pecorabrianzola.it emiliano@pecorabrianzola.it http://www.pecorabrianzola.it/
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